FRANCE, Anatole (François-Anatole Thibault)
Scrittore, nato a Parigi il 16 aprile 1844, morto alla Béchellerie presso Tours il 12 ottobre 1924. Il nome France non è uno pseudonimo, bensì il nome François pronunciato secondo l'uso dell'Anjou, e adottato dal padre, il libraio François-Noël Thibault (che firmava "France Thibault" e intestava i suoi cataloghi "France, Libraire") per amore verso il paese natale. Anatole crebbe in una famiglia di piccola borghesia conservatrice. Il lungosenna, i bouquinistes, l'ambiente caratteristico della sua infanzia e adolescenza, sono stati troppe volte descritti con arte squisita dal F., nel Pierre Nozière, nel Petit Pierre, nel Livre de mon ami, nella Vie en fleur, perché sia il caso d' insistere sull'influsso che esercitarono sul suo temperamento. A otto anni, il F. redigeva già un fascicoletto di Nouvelles pensées et maximes chrétiennes, a quindici, una Légende de Sainte Radégonde reine de France; e dal 1854 al 1861, durante i suoi studî al Collège Stanislas, le note autobiografiche, le poesie satiriche, le traduzioni ragionate, dimostrano che il pigro e disuguale alunno conservava la precoce confidenza con la penna. Uscito dallo Stanislas nel 1862, non riuscì a diventare baccelliere che nel 1864, dopo ripetuti insuccessi, ma il diploma non portò nessuna variante nella sua esistenza di dilettante erudito, che tra un'incombenza e l'altra relativa al commercio del padre rimava, con l'amico Étienne Charavay, dei versi per l'attrice Madeleine Brohan. Col 1867 incominciò a dare articoli di bibliografia e di erudizione all'Amateur d'autographes fondato dal Charavay, alla Gazette bibliographique di A. Lemerre, al Bibliophile français illustré, alternando questi saggi con abbozzi poetici. Durante la guerra del'70, dichiarato inabile al servizio di campagna, rimane a Parigi sino a quando non teme di essere arruolato dai comunardi, e nel maggio-giugno 1871 se ne va a Ville-d'Avray, conservando il suo atteggiamento di spettatore e di curioso. Terminata la bufera, riprende i suoi lavori: è assunto come lettore e consulente dal Lemerre, ed entra così decisamente nel gruppo parnassiano (il Parnasse aveva pubblicato due suoi poemi nel 1869). Il più notevole di tutti gli scritti di questo periodo (da lui ripresi, rifatti, rielaborati e ripubblicati di rivista in rivista con un procedimento che è caratteristico della sua maniera di lavorare, e che durerà sino all'ultimo) è l'Alfred de Vigny (1868), che egli riscriverà per intero nel 1924. Ma occorre attendere il 1873 perché i Poèmes dorés comincino a mettere in luce il F. e costituiscano il suo esordio letterario vero e proprio. La diversità dei soggetti, la composizione scolastica, la trattazione retorica di temi moderni, rendono disuguale e in complesso ingrata la raccolta, ma molte poesie "antiche" (La part de Madeleine) ci dànno già l'atmosfera mistica e sensuale delle Noces corinthiennes (1876), il tono all'André Chénier (uno Chénier che ha letto Renan).
La nomina a commesso-sorvegliante della biblioteca del Senato, nell'estate del 1876, gli consente maggiore organicità di lavoro. Per la Petite Bibliothèque Littéraire del Lemerre e per un'analoga collezione del Charavay, il F. compone una serie di prefazioni che formeranno (soltanto nel 1913, a transazione di una questione legale con l'editore) il Génie latin, e contengono analisi delicate, interpretazioni psicologiche assai interessanti e nuove. Nel 1877 il F. sposò Marie-Valérie Guérin de Sauville, che fu la madre della Suzanne del Livre de mon ami (1883) prima di divenire la signora Bergeret del Mannequin d'osier. Intanto, con Jocaste- Le chat maigre (1879), il F. iniziava la sua carriera di narratore, che gli darà un primo trionfo con Le crime de Sylvestre Bonnard (1879-81). Un anno dopo la sentimentale storia del membre de l'Institut che aveva portato allo scrittore i suffragi del pubblico facile, dei lettori di Feuillet, di Theuriet, i Désirs de Jean Servien (1882) che da un decennio giacevano in un cassetto, mettevano in luce la parte meno evidente della formazione del F, la meschina realtà che aveva accompagnato i grandi sogni febbrili dell'adolescenza. Gli anni dal 1881 al 1892, che sboccano in Thaïs (1890) e che possono sembrare scarsamente fecondi, sono in realtà occupati da una collaborazione giornalistica di carattere prevalentemente critico, assidua e copiosa: all'Univers illustré, alla Jeune France, al Journal des débats, e soprattutto al Temps, in parte raccolta, quest'ultima, nei quattro volumi della Vie littéraire (1886-1893) che giovarono immensamente alla fama dello scrittore, e ne fecero, per reazione contro la critica dogmatica alla Brunetière, il rappresentante della maniera impressionistica, schiettamente letteraria e soggettiva. Avverso al naturalismo, classicista convinto, la critica del F. è quella di un umanista: in fondo, il libro, l'autore, gli servono di pretesto per essais che egli potrà sfrondare da ogni particolare di cronaca e di recensione, sino a farne Le jardin d'Épicure (1894).
Il 2 agosto 1892 il F., causa divergenze di carattere, divorziava. Da tempo lo scrittore era in rapporti con M. me Arman de Caillavet che dopo la separazione coniugale diventerà fino quasi alla morte, avvenuta nel 1910, la sua compagna. L'influsso della signora di Caillavet nel ventennio glorioso dello scrittore è stato indubbiamente di grande importanza: senza le sue amicizie di sinistra, difficilmente si sarebbe avuta l'Histoire contemporaine, per tacere del Lys rouge (1894), espressamente sollecitatogli, né il F. avrebbe potuto disporre di un materiale mondano e di un panorama sociale così vasto. Le sue tendenze naturali lo portavano a racconti filosofici volterriani, tipo Thaïs e La rôtisserie de la reine Pédauque (1893), alle fantasie storiche de L'étui de nacre (1892; nelle quali è il famoso Procureur de Judée), alle polemiche Opinions de Jérôme Coignard (1893). Membro dell'Accademia nel 1896, aveva cominciato l'anno precedente, sotto il titolo Nouvelles ecclésiastiques, l'Orme du mail, il primo della serie (1897-1905) che termina con Sur la pierre blanche, comprende Le mannequin d'osier, L'anneau d'améthyste, M. Bergeret à Paris, Crainquebille, ed è ispirata dall'affare Dreyfus, e dalle sue ripercussioni religiose e sociali. Uno dei più fieri avversarî letterarî dello Zola veniva quindi a schierarsi a fianco di questo nella lotta per la libertà di pensiero e contro le sopravvivenze antirivoluzionarie e portava nella mischia l'arma più terribile: l'ironia. Ma sarebbe vano voler attribuire al F. un programma politico, mettergli una divisa di partito. Le sue relazioni con Jaurès prima, con i comunisti poi, la propaganda socialista e anticlericale documentata dalle Opinions sociales (1902), da Le parti noir (1904), l'Église et la republique (1904), Vers les temps meilleurs (1906) nulla aggiungono in realtà alle basi già note del suo pensiero, alla tolleranza chiaroveggente che lo informa, e che la consapevolezza delle passioni umane e della loro irresistibile forza vela di malinconica ironia, di serena pietà. L'Histoire contemporaine è una cronaca di costumi, ma è soprattutto un'opera d'arte, una collezione di ritratti senza eguali, dove appare nel suo nudo splendore il sobrio, classico stile del F.
La creazione di Bergeret e del piccolo mondo dreyfusardo e antidreyfusardo che lo attornia, le polemiche politiche e le battaglie sociali, non distraevano però il F. dai suoi temi prediletti, e l'Histoire comique (1903) segna, rispetto ai Désirs de Jean Servien e al più manierato Lys rouge, uno schietto progresso nell'arte del racconto di ambiente contemporaneo, sebbene il realismo vi si adorni di bella letteratura, e l'aneddoto di un significato filosofico. Mentre la Vie de Jeanne d'Arc (1908) raccoglieva materiali accumulati in anni di letture e risentiva della fretta della rielaborazione di una materia non più familiare né incandescente, i Contes de Jacques Tournebroche (1908), Les septs femmes de Barbe-Bleue (1909) costituivano un campionario delle curiosità diverse e insaziabili, mistiche e sensuali, dello scrittore, L'Île des Pingouins (1908) riepilogava con la disinvoltura di Voltaire la storia dell'umanità e le lezioni dell'affare Dreyfus. La fusione del racconto filosofico con la storia dei costumi non doveva riuscirgli mai più in modo cosi completo: nella Revolte des anges (1914) le divagazioni libresche e le fantasticherie sociali prendono la mano allo scrittore, e sebbene non manchino pagine squisitamente galanti, e capitoli con elevate, poetiche meditazioni, difettano l'agilità e la vivacità corrosiva che fanno de L'Île des Pingouins una specie di superiore parodia del Discours sur l'histoire universelle. Per ritrovare la grande maniera del F. bisogna invece leggere Les Dieux ont soif (1912), dove alcuni quadri della Rivoluzione francese sono ricostruiti con nitida sicurezza. Sobrio, scarno, contenente solo l'essenziale, il racconto è di uno psicologo acuto, di un artista sicuro, che mira ai tratti umani, li scopre e li disegna lavorando sulla materia lontana come sopra osservazioni dirette.
La guerra del 1914, che seguì di qualche mese appena La revolte des anges, venne a chiudere il periodo aureo del F., a segnare la fine dell'epoca che lo aveva riconosciuto maestro. Essa costituì una sorpresa e una sofferenza che pesarono a lungo su di lui: sospettato e minacciato a causa dei suoi rapporti con i partiti di estrema sinistra, raccolse alcuni scritti di circostanza, Sur la voie glorieuse (1915) a beneficio dei mutilati, ma otto anni più tardi li rinnegò. Si volse allora, per conforto e oblio, ai giorni dell'infanzia serena, e mentre nel 1920 passava a nuove nozze con la signorina M. E. Laprévotte, riprese a scrivere ricordi autobiografici con Le petit Pierre (1918) e con La vie en fleur (1922) che si riallacciano, ampliandola, alla materia del Pierre Nozière (1899) e del Livre de mon ami e sono l'addio agl'ideali classici di un'arte che pareva si perdesse nel tumulto e nel disordine del dopoguerra. Se nei suoi ultimi ricordi egli si era congedato, con indimenticabili accenti, da Racine, lo Stendhal (1920), il Vigny rifatto (1924), e il postumo Rabelais (che raccoglie conferenze del 1909), il Comte, il Pierre Laffitte, si raccomandano per altre ragioni all'attenzione degli studiosi. E le Dernières pages inédites (1925), frammenti di una serie di dialoghi che avrebbe dovuto intitolarsi Sous la rose, testimoniano che la guerra e la pace lo avevano ricondotto alle meditazioni sul destino dell'urnanità e sulle eterne preoccupazione di essa, che sempre lo attraevano, e che sono in conclusione la spina dorsale di un'opera assai varia e copiosa, nella quale - secondo la bella parola di Gabriele D'Annunzio - "tutti i volti della Verità e dell'Errore sorridono insieme divinamente". Il F. nel 1921 aveva ottenuto il Premio Nobel per la letteratura.
Ediz.: Øuvres complètes (in corso di pubblicazione, presso gli editori Calmann-Lévy), Parigi 1925 segg. Comprendono anche l'inedito o, meglio, quanto era pubblicato in modo disperso, o in edizioni poco accessibili: non verrà raccolta la produzione giornalistica tralasciata dall'autore.
Bibl.: Manca un libro complessivo, documentato e imparziale, sulla vita e l'opera del F.: il migliore è il sommario profilo di L. Carias, A. F., Parigi 1931, che comprende una discreta nota bibliografica e un saggio iconografico di 60 tavole, con un buon indice ragionato. La vie et les opinions d'A. F., di J. Roujon, Parigi 1925, partigiano nell'esposizione del pensiero del F. e trascura quasi per intero la parte biografica. Per la quale saranno anzitutto da consultare: G. Girard, La jeunesse d'A. F.: 1844-1876, Parigi 1925, con inediti e illustrazioni; J.-M. Pouquet, Le salon de M.me Arman de Caillavet, Parigi 1926, essenziale per i rapporti con la signora Caillavet; per lo stesso periodo e sino al 1910, i due volumi di J.-J. Brousson, A. F. en pantoufles, Parigi 1924, e Itinéraire de Paris à Buenos Ayres, Parigi 1927, che debbono però esser consultati con precauzione: il Brousson, segretario assunto per la compilazione della Vie de Jeanne d'Arc, ha rancori da sfogare. Meno pittoreschi i Propos d'A. F. raccolti da P. Gsell, vivente l'autore, Parigi 1921; le Promenades d'A. F. dell'ungherese S. Kemeri, Parigi 1927. Per il periodo della guerra, A. F. à la Béchellerie: propos et souvenirs: 1914-1924, di M. Le Goff, Parigi 1924, e le note di M. Corday alle Dernières pages inédites d'A. F., Parigi 1925. Si veda anche il saggio di G. Brandes, A. F., trad. ital., Torino 1907, e il profilo di R. Palmarocchi, A. F., Roma 1924.
Fra gli studî critici, G. Michaut, A. F., Parigi 1913; Ch. Maurras, A. F. politique et poète, Parigi 1924; V. Giraud, Les maîtres de l'heure, II, Parigi 1914; G.-A. Masson, A. F., Parigi 1923; H. Massis, Jugements, I, Parigi 1923; P. Valéry, Discours de rèception à l'Académie Française, Parigi 1927; E. Faguet, propos littéraires; P. Lasserre, Faust en France et autres études, Parigi 1929, ecc. Su temi particolari: G. Des Hons, A. F. et Jean Racine, Parigi 1927; A. Antoniu, A. F. critique littéraire, Parigi 1929; A. Ahlstrom, Le Moyen Âge dans l'øuvre de A. F., Parigi 1909; H. De Noussanne, A. F. philosophe sceptique, 1925; G. Truc, A. F. l'artiste, le penseur, Parigi 1924, ecc. In Italia, numerosi articoli di giornalisti: D. Mantovani, in La letteratura contemporanea, 3ª ed., Torino 1913; Lucio D'Ambra, in Le opere e gli uomini, Torino 1904, pp. 172-191; G. A. Borgese, in La vita e il libro, Bologna 1923, I, pp. 11-22; ricordi personali di U. Ojetti, in Cose viste, II, Milano 1924, pp. 285-293; uno sguardo d'insieme di G. Levi Della Vida, A. F. poeta antiquario, in Cultura, 15 novembre 1924, pp. 9-14, e di L. Tonelli, Lo spirito franc. cont., Milano 1917, pp. 121-142.