ANCONA (A. T., 24-25-26)
È la città più importante delle Marche, capoluogo di provincia; sorge ove la costa adriatica italiana forma un caratteristico gomito, dovuto al promontorio del Monte Conero, estrema propaggine orientale del fascio di pieghe appenniniche centrali. In questo punto la costa naturalmente portuosa (e ciò è tanto più notevole perché la costa adriatica italiana è molto povera di porti) invitò, fin da remotissima eta, a stabilire, come ricorda l'epigrafe traiana, l'"approdo d'Italia". Il n0me greco ('Αγκών ‛Ελληνίς), datogli dai Dori greco-siculi o greco-siracusani (nello stemma civico è Ancon Dorica Civitas Fidei) è appunto dovuto all'articolazione (ἀγκών "gomito") della costa.
Il luogo ove, con ritmo accelerato, dal 1860 si è sviluppata la città, è un ampio anfiteatro disteso su terreni terziarî, inclinato dolcemente da E. ad O., circoscritto a N. (Guasco e Cardeto) e a S. (Capodimonte) da rilievi che superano i 100 m. di altezza, a E. da una dolce ondulazione. Il rilievo N. precipita all'esterno con una faglia sul mare, mostrando le testate degli strati profondi, i calcari del Cretacico, che, logorati alla base dai frangenti, dànno una serie di piccoli scogli (di S. Clemente, della Volpe ecc.). Su uno dei rilievi, che sono a N., sorge, su una base di m. 104, il Faro, il più alto dell'Adriatico: esso si eleva di m. 22, onde abbraccia un orizzonte marino racchiudente un'area di kmq. 4.500. La latitudine del faro è 43° 37′ 29n nord.
La temperatura media annua di Ancona è di 15° 6 e, poiché la media del gennaio è di 5° 5 e quella del luglio di 26°, si ha una escursione di 20° 5; gli estremi assoluti sono − 6° e 37° 6. L'umidità relativa è in media del 69%; la precipitazione annua è di mm. 727, con un massimo autunnale e un minimo estivo; i giorni piovosi sono in media 102, quelli nevosi 4, quelli temporaleschi 7, quelli in cui cade la grandine 2, 7; la nebulosità, in decimi, è di 3,8, con giorni coperti 72, sereni e varî 293; la pressione media è di millimetri 762,07. I venti prevalenti sono quelli di O. e NO., cui seguono quelli di SE. (osservatorio meteorologico presso il R. Istituto tecnico, altitudine m. 30).
Alla fine del sec. XIX e nel primo quindicennio del secolo presente, il porto di Ancona aveva, nel movimento complessivo di merci imbarcate e sbarcate (1899: tonn. 319.861; 1908: tonn. 696.000), il secondo posto tra i porti adriatici, dopo Venezia, e l'ottavo fra tutti i porti del regno (tra Catania e la Spezia). Dopo la guerra, nel presente ventennio, esso è disceso al quarto posto tra i porti adriatici (Trieste, Venezia, Fiume, Ancona, Bari, Brindisi), con un movimento complessivo, nel 1921, di tonn. 404.740 e, nel 1925, di tonn. 663.292 (un po' meno d'un terzo del movimento di Venezia). I dati più recenti (biennio 1927-28) dànno un movimento annuo di circa 3.000 navi, e 30.000 passeggeri; un movimento complessivo di merci di quasi tonn. 790.000, nel 1927, e tonn. 715.000, nel 1928 (esclusi circa 2.000 capi di bestiame all'anno). Alla base esterna del molo N. esiste un grande e importante cantiere navale. Il maggior traffico del porto si fa con l'Inghilterra (carboni), poi con la sponda orientale adriatica; servizî regolari di vapori congiungono Ancona con Zara, Venezia, Trieste, Fiume, Bari e Brindisi.
Il luogo ove primamente si sviluppò la città era limitato alla falce del porto naturale, al ripido pendio incombente da N. su di esso, nell'alto del quale sorse il tempio di Venere Euplea e dal sec. V d. C. la chiesa di S. Ciriaco; nel Duecento un nuovo quartiere s'arrampicò sull'altro ripido pendio incombente sul porto da S. (Capodimonte), d'onde, per la Porta Romana, si entrava in città. Il nucleo urbano veniva successivamente murato nei sec. VIII, IX e XIV. Nel 1530, quando già il centro della città si era abbellito di opere del Rinascimento, Antonio da Sangallo, d'ordine di Clemente VII, iniziò su Capodimonte la costruzione della cittadella (Astagno). Alla metà del Settecento, la città cominciava a svilupparsi in basso, cioè a S. e lungo il mare (poderoso Pentagono del Vanvitelli), delineandosi così la Via del Porto. Nella seconda metà del secolo scorso, dopo le opere portuarie di Gregorio XVI e di Pio IX (il Faro), sempre sul piano a S., sorge, quale vero anello tra la Padania e le regioni adriatiche meridionali, l'importantissimo scalo ferroviario, ove la maggior ferrovia d'Italia, che va dalle Cozie a Brindisi, deve un po' internarsi dinanzi all'ostacolo del Conero; dallo scalo deriveranno il nuovo, grande quartiere di S. Lazzaro e la sottile, lunghissima digitazione occidentale verso la Palombina e Falconara. Contemporaneamente, e soprattutto nel primo venticinquennio di questo secolo, come si accennò, la città si è grandemente sviluppata anche verso le alture orientali. L'anfiteatro, su cui si stende la città, è attraversato dalla magnifica via Corso Vittorio Emanuele e Viale della Vittoria, risalendo la quale si giunge al pittoresco balcone IV Novembre, che domina la distesa dell'Adriatico.
L'antichissimma città, capoluogo delle Marche, nelle Costituzioni Egidiane (1357) è, per importanza e popolazione, già al primo posto tra le consorelle della regione, è, cioè, prima nel primo gruppo delle cinque Civitates maiores et mags nobiles, seguita da Fermo, Camerino, Ascoli, Urbino. Il suo sviluppo demografico, attraverso gli ultimi otto secoli, è dato dalle cifre seguenti: 1174, 11.000 ab. (dalla cronaca di Boncompagno nel Muratori); nel 1565, si calcola che la popolazione fosse di 18.435 ab.; nel 1725 di 7000; nel 1763 di 13.828; nel 1770 di 14.000 (di cui 1300 Israeliti); nel 1846 di 22.704; nel 1860 di 17.403; e poi 1881 (31 dicembre), 27.000 (?); 1901, 34.159; 1911, 36.779; 1921, 39.717. Questo per il nucleo urbano; le cifre relative all'intero comune sono: 1881, 48.572 ab.; 1901, 55.480; 1911, 63.535; 1921, 66.645; 1925, 69.539; presentemente (1928) con le aggregazioni recenti (Falconara marittima, ecc.), la popolazione del comune supera gli 80.000 ab. La natalità e la mortalità negli ultimi due anni, sono date dalle cifre seguenti: 1927: nati 1412 (media 20 su 1000 ab.), morti 939 (media 13,3 su 1000 ab.); 1928: nati 1589 (media 20 su 1000 ab.), morti 1039 (media 13, 1 su 1000 ab.).
La superficie del territorio del comune era, nel 1921, di 107,47 chilometri quadrati, dei quali 10.058 ettari di area produttiva, agricolo-forestale; dopo le aggregazioni di Falconara, Montesicuro e Paterno d'Ancona, è di kmq. 152. Tale superficie sale da 0 m. (livello del mare) a m. 572 (semaforo del Conero) ed è costituita da arenili, piccole piane litorali e deltizie, quaternarie, colline plioceniche e mioceniche, bassa montagna calcarea (Secondario recente). A tale varietà di terreno, in genere assai fertile, corrisponde una grande varietà di colture e di prodotti (gelsi, viti, frutta, cereali, prati e pascoli, bovini pregevolissimi, bachi, bosco).
Monumenti. - Dal mare su per basse colline disposte in ampio arco la città s'inerpica verso il colle Guasco, dalla cui vetta la cattedrale solitaria domina da un lato i moli operosi, dall'altro l'aperto mare. In questo animato scenario di alture e di acque Ancona ha serbato le caratteristiche vie medievali, soprattutto fra la zona del porto e quella del duomo, collegate fra loro pittorescamente da rampe tagliate sotto voltoni gotici e da tortuose scalette sboccanti in piazzette remote.
Dell'epoca romana la città conserva un monumento insigne: l'arco trionfale di Traiano, elevato dall'architetto Apollodoro di Damasco (dopo l'anno 115). È ad un solo fornice, fiancheggiato da quattro colonne corinzie, e sormontato da un alto attico; le sue proporzioni sono notevolmente slanciate, in paragone con quelle degli altri archi romani.
Del periodo paleo-cristiano essa custodisce le più cospicue testimonianze della regione. Un ipogeo del sec. III è indicato da un nobile musaico pavimentario che si vede nei sotterranei della casa n. 29 sul corso Vittorio Emanuele. In duomo, nella "cripta delle lacrime", è conservato il sarcofago romano di T.G. Gorgonio, con le quattro facce figurate, sormontato da un coperchio trapezoidale con antefisse; opera verosimilmente del sec. III. Alla fine del sec. VII si può riferire il pulpito, oggi nella chiesa di S. Maria della Misericordia, a tre facce leggermente convesse, decorate da due ordini di finte nicchiette, affine stilisticamente all'ambone nella chiesa dello Spirito Santo a Ravenna, ritenuto del sec. VI. Questo pulpito forse appartiene alla chiesa che si viene scoprendo sotto quella di S. Maria della Piazza. Di essa è ignota la dedicazione, ma è risultato che era costruita in grossi laterizî, aveva pianta quadrangolare, a tre navi con transetto. Gli schemi figurativi del pavimento a musaico policromo, il carattere dei plutei a trecce, degli affreschi residui con panneggi a frangia, comuni nella pittura romana fra il sec. VII e il sec. IX, concorrono a far stimare questa fabbrica del sec. VII circa. Nell'abside mediana, sul primo strato di affreschi se ne rileva un altro, purtroppo sempre frammentario, con otto figure sacre, del sec. X. La chiesa di S. Maria della Piazza, innalzata sulla precedente nel sec. XI, fu costruita in pietra calcare del Conero, a tre navate, spartite da pilastri poligonali a capitelli smussati, con archi a pieno centro e copertura in legname. Nel 1223, probabilmente, la zona presbiteriale fu modificata ed ebbe vòlte a crociera su costoloni. La facciata, in marmo dalmatico, analoga nei ritmici filari di gallerie cieche, di derivazione bizantina, al duomo di Zara, reca la data 1210 ed è opera di un maestro Filippo, che altri lavori eseguì in Ancona, ad es. Porta Farina. Vi sono incastrati marmi erratici pregevoli, soprattutto una mirabile Orante (sec. XII) che proviene certo dall'Oriente. Riflessi bizantini illuminano anche il duomo, fabbrica, a quanto ora si vede, costruita nel sec. XII, a croce greca, con colonne romane e capitelli ravennati, sormontata da una cupola poligonale su base quadrata di tendenza ogivale, voltata nel sec. XIII, con soffitto venezianeggiante a carena di nave del sec. XIV-XV. Il fastoso portale gotico, a marmi bianchi e rossi, risale al sec. XIII. All'interno il massimo ornamento è rappresentato dalle lastre di due plutei con figurazioni sacre e bestiarie, databili l'uno fra il 1148-78, l'altro nell'anno 1189, questo da considerarsi un capolavoro della tarsia in pietra del periodo romanico, ancora di squisito accento bizantino. Romanica è anche la facciata della chiesa di S. Pietro; così i portali di S. Anna e di S. Giovanni Battista. Per l'edilizia civile si deve ricordare il palazzo del Senato, originariamente a due ordini di bifore centinate su colonnine binate (metà del sec. XIII). Fra le sculture romaniche son da citare, inoltre, tre statuine del sec. XII, raffiguranti l'arcangelo Gabriele, S. Giovanni evangelista e Davide, e una Madonna bizantineggiante dello stesso tempo, che si trovano, fra molti altri frammenti di architettura e di scultura, nella "cripta delle lacrime" in duomo, e la serie dei rilievi che decoravano la fronte primitiva del palazzo comunale; inoltre, nel Museo Nazionale, alcune opere degli ultimi decenni del sec. XIII. La pittura vanta un Crocefisso conservato in duomo (metà circa del 1200) di tipo umbro.
Dell'arte gotica, oltre la chiesa di S. Maria della Misericordia (1399), la cui planimetria è tuttora di spirito romanico (pianta quadrangolare su quattro supporti centrali sui quali poggia la cupola ottagona a tamburo quadrato), e il palazzo della Farina (fine sec. XIII) dal possente bugnato, e il piano terreno ad arcate del palazzo Cresci-Antiqui in via della Loggia (sec. XV), sono da ammirare le opere di Giorgio Orsini da Sebenico, il più schietto erede del fiammeggiante gotico veneziano. La Loggia dei Mercanti (1459) se ricomposta idealmente nella sua genuina struttura (al primo ordine tre arcate aperte che davano adito ad una sala terrena, al secondo due grandi bifore che illuminavano la sala soprastante: dopo un incendio del 1558 venne ricostruita con una sola aula, la cui vòlta fu affrescata da Pellegrino Tibaldi, e gli archi furono chiusi e le finestre murate) svela intera l'agile sua grazia e insieme la floridezza decorativa. Il portale di S. Francesco delle Scale (1459) ricorda la Porta della Carta e altri monumenti veneziani, ma la visione d'insieme e il carattere dei particolari sono animati da un diverso spirito, in un'unità solenne e monumentale. All'Orsini sono da riportare, in gran parte, anche il portale dell'ex-chiesa di S. Agostino, terminata da altri dopo la morte dell'artista; e, secondo un cronista contemporaneo, il palazzo Benincasa, attiguo alla Loggia. Accanto alle opere dell'Orsini, tra le sculture del Rinascimento risaltano in duomo il monumento al B. Girolamo Giannelli (1509) assegnato a Giovanni da Traù, affine al monumento Lebretto in Aracoeli a Roma, e il sepolcro del Beato Gabriele Ferretti; al Museo l'altorilievo con lo stesso Beato (2a metà sec. XV), che sembra richiamare l'arte crivellesca nella stilizzazione della figura e nel modellato carnoso dei festoni. Si può menzionare anche il portale della già citata chiesa della Misericordia, decorato con pesantezza sullo scorcio del sec. XV, e ascritto a Marino Cedrino.
Per l'architettura l'opera maggiore del Rinascimento è il palazzo degli Anziani, con ogni verosimiglianza sistemato e terminato da Francesco di Giorgio Martini, a finestre rettangolari sobriamente decorate. Il cortile con elementi gotici risale al 1493; le due arcate che imitano i romani archi di trionfo son datate 1470 e 1542. Le fortificazioni del Colle Astagno ebbero assetto e sviluppo da Antonio da Sangallo il giovane; ma l'opera di lui venne alterata nei successivi e continui aggiornamenti richiesti dall'evoluzione dei mezzi d'offesa. Si possono citare, infine, i portali dell'ex-convento di S. Francesco delle Scale, del palazzo Fatati in via Guasco, ecc.
La pittura si gloria segnatamente di una tela di Tiziano, la Crocifissione, nell'abside della chiesa di S. Domenico, firmata, che si può assegnare al periodo 1560-68, cioè a quell'ultima maniera "fatta di macchie", come scrive il Vasari. Pellegrino Tibaldi affrescò oltre alla rinnovata Loggia dei Mercanti, come s'è già detto, il salone del palazzo Ferretti. In parecchie chiese (S. Giovanni, S. Primiano, S. Stefano, della Sacra Famiglia), dipinti dell'anconetano Andrea Lilli o Lilio (1555-1610), manierista alla dipendenza di Francesco Vanni sotto l'influsso del Baroccio. Di uno dei primi barocceschi, Filippo Bellini, è un dipinto in duomo; altri si vedono nella chiesa del Sacramento e in quella di S. Primiano. Le arti minori toccano il maggior segno con un paliotto del duomo, in velluto rosso allucciolato d'oro illustrato da sei storie della vita di S. Lorenzo, opus anglicanum del sec. XV.
Il Seicento e il Settecento trasformarono la città, senza tralignare in retoriche esuberanze. Fra i molti palazzi che si allineano per via della Loggia, via Saffi, via del Comune, via Matas, semplici e dignitosi, non uno si stacca per una sua particolar vita, se non il palazzo Ferretti che si vuole ascrivere a Pellegrino Tibaldi, ma che da Luigi Vanvitelli ebbe il balcone sul portale, il portico, lo scalone, ecc. E fu il Vanvitelli ad imprimere al barocco anconetano più alta vita, pur non assurgendo egli nelle fabbriche locali agli sfolgoranti fastigi della reggia di Caserta. Nel 1732 costruì il Lazzaretto, pentagonale, a mo' di bastione fortificato; nel 1738 eresse l'arco Clementino, al porto, con classico decoro; rinnovò anche la chiesa del Gesù che prelude all'Annunziata di Napoli, sistemò la cappella e l'altare della Madonna in duomo. La scultura di questi secoli non offre che un gruppo in bronzo, la vergine col Bambino di T. e P. Jacometti (1627), nella chiesa del Gesù; le statue di Gioacchino Varlè (sec. XVIII), nella Loggia dei Mercanti e in S. Domenico; la statua di Clemente XII (1738), in piazza del Plebiscito, di Agostino Cornacchini; quella di Clemente XIV, in duomo. Migliore la pittura, e più largamente rappresentata: una tela di Antonio Viviani con la Madonna, il Bambino e tre Santi, nel duomo, degna di quest'ottimo fra gli epigoni del Barocci; un'Annunciazione del Guercino, in S. Domenico; una Predicazione di S. Francesco Saverio, nella chiesa del Gesù, del Conca, che ha un altro quadro in S. Primiano; e, pure nel Gesù, una Circoncisione di Orazio Gentileschi; nella chiesa della Sacra Famiglia, una tela vigorosa di Giacinto Brandi; in S. Maria della Piazza, una Presentazione della Vergine di Marco Benefial.
Per l'età moderna si deve ricordare soprattutto l'opera dell'anconetano Francesco Podesti (1800-1895). Levigato e smorto nel colore, studiato, anzi manierato nei quadri storici e in quelli religiosi (Martirio di S. Lorenzo in duomo, Annunciazione nell'Annunziata, S. Elena in S. Giacomo), riuscì ad esprimere meglio sé stesso nei ritratti, sì da non poter essere trascurato nella ricostruzione del movimento pittorico del sec. XIX. Nella Pinacoteca civica sono molte opere sue, dipinti e cartoni.
La Pinacoteca, iniziata nel 1884, ordinata e catalogata nel 1919, ha poche opere trecentesche: una tavola rappresentante la Morte della Vergine, attribuita ad Andrea da Bologna, una Circoncisione, forse marchigiana con influssi veneti, una Madonna dell'umiltà, dentro un giro d'angeli, di derivazione toscana. Pel'400, un'opera giovanile di Carlo Crivelli, la Vergine col Bambino, firmata. D'un altro veneziano che elesse le Marche a campo della sua operosità, Lorenzo Lotto, si hanno due opere, l'Assunzione del 1550, e la Madonna fra quattro Santi. E v'è un'altra opera di Tiziano, firmata e datata 1520, la Madonna col Bambino che appare a S. Francesco ed a S. Biagio. Della pittura secentesca si devono ricordare le Pieridi di Giulio Carpioni, la S. Palazia (1658-59) e la Concezione (1656-59) del Guercino, la Madonna e Santi di Carlo Maratta, otto Prospettive di Scipione Daretti, ecc. Qualche oggetto medievale e del Rinascimento (i più importanti sono stati già ricordati) si vede anche nel Museo nazionale archeologico.
La Biblioteca comunale, istituita nel 1669 da Luciano Benincasa, donata al comune nel 1749, possiede ora circa 60.000 volumi, fra cui una raccolta di opere di scrittori marchigiani, e un piccolo fondo di mss., dei quali l'inventario incompleto si trova in Mazzatinti, Inventari, VI,1-8. (V. tavv. XXIII a XXVI).
Storia. - Ancona, fondata da Dionisio di Siracusa circa il 390, durante l'opera di espansione marittima intrapresa da quel principe sulle rive italiane a favore dell'elemento greco, o, secondo Strabone (V, 4, 2), fondata da esiliati siracusani per sottrarsi alla tirannia di Dionisio, merita comunque il nome di dorica Ancon che le dà Giovenale (IV, 40). La città, di schietta cultura greca, entrata nell'alleanza comune dei Picenti con i Romani nel 299 a. C., rimasta indipendente e soltanto alleata di Roma anche dopo la conquista del territorio piceno (269-268 a. C.), batté moneta greca insieme con Fano, Atri e forse Ascoli. Era celebre il suo tempio di Afrodite (Catullo, XXXVI, 13, Giovenale, l. c.). In qualità di alleata dei Romani, assume già dal tempo della guerra illirica (178 a. C.), e conserva lungamente, il posto d'importante base navale della flotta romana. Divenuta municipio romano per effetto della guerra sociale, e iscritta nella tribù Lemonia, fu presa e subito fortificata da Cesare nel 49 a. C., dopo il passaggio del Rubicone. Fu sede di industrie di importazione greca, come quella della porpora, e centro del commercio marittimo dell'Italia con l'Illiria. Il suo porto ricevette la migliore sistemazione nel 115, dall'imperatore Traiano, il cui arco trionfale innalzato presso la marina e tuttora ben conservato, è uno dei più superbi esempî di archi trionfali romani ad unico fornice (Rossini, Archi trionfali, tavv. 44-46; Corp. Inscr. Lat., IX, 5890-5935).
I rinvenimenti archeologici che si ripetono frequenti nell'area della città moderna permettono di definire con una certa esattezza l'estensione della città greca, limitata alla parte montuosa più prossima al porto, con l'acropoli sulla collina di S. Ciriaco, e la città romana, includente la città greca, più una vasta cerchia di territorio circostante. A caratterizzare i due periodi, greco e romano, vale il materiale, importantissimo, di numerose tombe, quale è conservato nel locale R. Museo archeologico. Dentro la città stessa si sono anche rinvenute tombe di una peculiare civiltà del ferro, detta di Novilara, anteriore alla colonizzazione greca. Tra le magistrature documentate della città romana vi sono duoviri, aediles, quaestores, un curator reipublicae; inoltre sono ricordati i decuriones, l'ordo et plebs, ecc. G. Ben.
Caduto l'impero romano d'Occidente, Ancona rimase sotto la protezione di quello d'Oriente e riuscì con le proprie forze a respingere i Goti di Vitige (539) e poi, con l'aiuto di Giustiniano, quelli di Totila (551). Respinse più tardi anche i Longobardi; ma, allorché l'imperatore d'Oriente fu scomunicato perché iconoclasta, dovette appoggiarsi ad essi, e fece parte della Pentapoli sotto l'alto dominio del duca di Spoleto (728), finché, nel 774 questa venne donata da Carlo Magno alla Chiesa insieme con l'Esarcato di Ravenna. Nell'848, dopo lungo assedio, fu completamente rovinata dai Saraceni. Risorta dalle rovine nell'876, riconobbe l'alto dominio della Chiesa, con un censo annuo, e respinse ancora i Saraceni che tornarono ad assalirla nel 917, ributtati di nuovo con l'aiuto del marchese di Toscana e del duca di Spoleto. L'invasione normanna della Marca (1073) si arrestò davanti ai suoi preparativi di difesa, mentre, alle nuove minacce islamiche in Oriente, la città rispose mandando due galere e molte navi onerarie alla prima Crociata. Soggiacque poco dopo ai luogotenenti imperiali, ma da essi si era già liberata, quando Lotario III la cinse invano di assedio nel 1137. In quest'epoca tornò a mettersi sotto la protezione degli imperatori d'Oriente, per averne appoggio specialmente contro Venezia che ne ostacolava i traffici marittimi: ordinata una buona flotta, mosse in aiuto delle terre ribelli a Venezia, ottenendo qualche successo sul mare. Ma i Veneziani riuscirono a impadronirsi del comandante Guiscardo Brancafiamma e lo impiccarono come pirata (1149); e fu allora conclusa una pace onorevole per ambedue le parti (1150). Nel 1167 Federico Barbarossa la cinse d'assedio, dal quale la città si liberò dopo tre settimane, mediante il pagamento di una grossa taglia. Non entrò nella Lega, forse per mantenersi indipendente; ma non riuscì a scongiurare il nuovo, durissimo assedio di cui la strinse nel 1174 l'arcivescovo Cristiano di Magonza, rimasto in Italia per far le vendette dell'imperatore e prepararne il ritorno. Questo assedio, durato oltre sei mesi, rimane una delle più belle pagine della storia di quei tempi. Se un contemporaneo non ne facesse fede, l'eroismo di Stamura e di Giovanni e gli altri episodî di valore e di pietà parrebbero leggende create dalla fantasia popolare. Né Cristiano di Magonza avrebbe potuto durar tanto nell'assedio se i Veneziani, pur nemici dell'impero, non l'avessero aiutato, bloccando dalla parte del mare l'odiata e anche temuta rivale. Il valore e la costanza dei cittadini, sebbene affamati, diedero tempo a un Guglielmo Marchesello di Ferrara e alla contessa di Bertinoro, Aldruda de' Frangipani, di correre in loro soccorso, liberandoli dal doppio assedio. Alessandro III riconfermò Ancona nella sua autonomia, salvo il censo alla Chiesa, e volle ancora sanzionata la pace con Venezia (1177).
La resistenza vittoriosa alle forze imperiali dimostra come il comune anconetano avesse allora raggiunto un alto grado di prosperità e di potenza, dovuto principalmente alla felice posizione sul mare che gli aveva consentito di spingere i suoi traffici oltre le coste a un ulteriore sviluppo: la gelosia di Venezia, l'impossibilità di allargare il territorio, e la politica della Chiesa che rispettava l'autonomia dei comuni quando non era in grado di sopprimerla, ma profittava di ogni occasione per limitarla, e, ogni tanto, con accorti provvedimenti o con la forza materiale e spirituale, riusciva in parte a diminuirla. Noi troviamo Ancona in guerra più o meno aperta e con esito più o meno felice con Venezia nel 1183, nel 1229, nel 1257 (alleata con Pisa), nel 1271 e nel 1428; le paci relative si fanno per essa sempre più onerose, di mano in mano che cresce la potenza veneziana. Ogni tentativo per estendere il territorio viene ostacolato dai vicini (sobillati alle volte da Venezia), e dal Legato pontificio della Marca: ed ecco Ancona in guerra a più riprese, dal sec. XIII al XV, con Osimo, con Macerata, col Legato, con Iesi. Nel 1348, i Malatesta se ne impadronirono per sorpresa, cedendola poi al cardinale Albornoz (1355) che la tenne per la Chiesa e fabbricò sul colle di S. Cataldo una forte rocca, demolita poi a furore di popolo nel 1383. Con tutto questo, Ancona poté prendere parte alla seconda Crociata; ampliò la cerchia delle mura nel 1220 e poi nel 1329; eresse edifizî sontuosi e mirabili per arte come il duomo di S. Ciriaco (sec. XI-XIII), le chiese di S. Maria della Piazza e di S. Pietro (sec. XII), di S. Francesco, S. Agostino e della Misericordia (sec. XIV), il palazzo del comune (sec. XIII), quello degli Anziani e la Loggia dei Mercanti (sec. XIV, XV). Ebbe rapporti di commercio estesi e attivi con tutti gli scali del Mediterraneo e del Levante: colonie e consoli proprî a Costantinopoli, in Acri, in Romania. Concluse trattati di amicizia e di commercio con diversi luoghi, e, non ultima fra le città marittime italiane, codificò la delicata materia della navigazione negli "statuti del mare" e del "Terzenale" o arsenale. Si reggeva press'a poco come gli altri comuni italiani, con un consiglio di cittadini e con magistrature periodiche che erano gli anziani e i regolatori. Emise moneta propria, senza il nome dell'imperatore e del papa: indizio evidente della sua indipendenza dall'una e dall'altra potestà. Questa moneta, detta agontano (v. anconetano), di cui si ha memoria fin dal 1170, ebbe larga accoglienza, e fu imitata da molte altre città non solo delle Marche e dell'Umbria, ma anche della Toscana e degli Abruzzi. Per assicurarne e favorirne la circolazione, gli Anconetani fecero convenzioni monetarie. Noi conosciamo sicuramente solo quella con Ravenna (1249); ma possiamo ben credere che altra ne facesse con Bologna, quando questa emise l'agontano pepolesco e a sua volta Ancona creò il bolognino anconetano. In progresso di tempo, non mancarono i pontefici di far pesare la loro autorità anche in questo campo, proibendo addirittura le coniazioni e gravandole di obblighi speciali, come fu, sotto Giulio II, quello di porvi le chiavi, insegna del dominio papale. L'epoca delle libertà comunali era tramontata; e Clemente VII, stretto dal bisogno di denaro, vendé Ancona al cardinale Benedetto Accolti per ventimila scudi d'oro, ordinando al legato della Marca, Bernardino Dellabarba, d'impadronirsene. Questi, col pretesto dei Turchi, fece costruire una nuova fortezza sul colle Astagno ed entrò poi di sorpresa nella città il 20 settembre 1532, senza colpo ferire, perché gli Anziani non avevano voluto prestar fede agli avvisi che erano loro pervenuti sulle intenzioni del legato. Il cardinale Accolti vi fece il suo ingresso nell'ottobre; e prima cura dei nuovi padroni fu quella di distruggere gli Archivî e di perseguitare quanti supponevano contrarî al nuovo ordine di cose, non peritandosi d'inventare immaginarie congiure, per imbastire processi e mandare alla morte o in esilio il fiore dei cittadini.
Da questo momento la storia di Ancona si confonde con quella degli stati pontifici di cui fece parte, divenendo sede dei legati della Marca. Occupata nel 1797 dai Francesi, divenne repubblica anconetana, e fu incorporata l'anno seguente in quella romana come capoluogo del dipartimento del Metauro. Assediata per terra e per mare nel 1799 dagli Austro-Russo-Turchi e dagli insorti, dopo sei mesi di resistenza, capitolò in mano dei Tedeschi. Nel 1801 tornò in potere dei Francesi; dal 1808 entrò a far parte del regno d'Italia. Gioacchino Murat la tenne con le truppe napoletane dal 1813 al 1815; ma dovette cederla agli Austriaci che la riconsegnarono al papa. Insorse nel 1831 anch'essa, e costituì un governo provvisorio; stretta subito d'assedio, si arrese al comandante pontificio, ma venne invece occupata dai Tedeschi, ai quali nel 1832 sottentrarono i Francesi che vi tennero guarnigione sino al 1838. Nuova insurrezione nel 1849 e adesione alla repubblica romana; altro assedio deì Tedeschi, ai quali dovette cedere dopo venti giorni di valorosa resistenza. Ma l'idea nazionale si manteneva viva nel segreto dei comitati; così che, quando nel 1859 il Piemonte mosse guerra all'Austria, ben 800 volontarî anconetani accorsero a ingrossare l'esercito regolare e le schiere di Garibaldi. Anche la città proclamò un governo provvisorio (18-28 giugno) ma fu ripresa dai Tedeschi di Kalbermatten per il papa. Per poco, ché il 29 settembre 1860, dopo breve assedio, vi entravano le truppe del generale Cialdini. Il plebiscito del novembre la congiunse per sempre al regno d'Italia. Nell'ultima guerra, Ancona fu la prima a provarne le offese; il 25 maggio 1915, fu bombardata dal mare.
Tra i molti Anconetani che in ogni secolo si distinsero per dottrina, valore e virtù religiosa, ricordiamo solo il santo vescovo Marcellino; Ciriaco de' Pizzicolli, primo in ordine di tempo fra gli archeologi; Benvenuto Stracca, cultore fra i primissimi del diritto commerciale; A. Albertini, L. Barnabei, F. Ferretti, A. Leoni e A. Peruzzi, scrittori di storia locale; A. Orsi poeta e patriota; il cosmografo Benincasa, Antonio e Augusto Elia ed Emilio Bianchi, valorosi combattenti nelle guerre nazionali. Anche nel campo dell'arte, ci limiteremo a ricordare i pittori Andrea Lili, Carlo Maratta e Francesco Podesti.
Storia militare. - Per le sue caratteristiche Ancona fu rafforzata dall'arte e rappresentò nella storia militare d'ogni tempo una parte assai importante. Nel 551 presso Ancona, che si era messa sotto la protezione dell'impero d'Oriente, avvenne una battaglia navale. Da una parte i Goti di Totila, che avevano posto l'assedio alla città da parte di terra e di mare, bloccandola con 47 navi al comando di Gibla e Indulfo; dall'altra parte, la flotta imperiale composta di 50 navi, comandate dai navarchi Giovanni e Valeriano. La battaglia finì con una completa disfatta dei Goti che salvarono solo 11 navi.
La città, difesa da mura sin da tempi remoti, venne sempre più fortificata: già nel secolo IX, dopo la grande incursione dei Saraceni, si costruirono varie torri, fra cui quella della Guardia sul molo. Al principio del sec. XIV fu fortificato il colle dei Cappuccini con robuste torri quadrate e una cinta (demolita nel 1869). Poi, l'ingegnere Pietro Amoroso rafforzò le mura con opere esterne (rivellini) ed allargò il fosso; e, passata la città in dominio del papa, Antonio da Sangallo vi costrui nel 1534 la cittadella sul colle Astagno, rinforzata poi col bastione di S. Pietro e col cavaliere dei Cappuccini; Paciotto da Urbino vi aggiunse un trinceramento che fu poi detto Campo trincerato; Giacomo Fontana (1566-67) vi costruì i baluardi di S. Agostino e S. Lucia e le relative cortine. Sulla fine del sec. XVI furono aggiunte la Batterie di S. Augusto a Monte Marazzo, e altre opere a Monte Cardeto. Il Vanvitelli (1732-40) rafforzò le difese, circondò il lazzaretto con muro a feritoie, e con un bastione che batteva il porto. Carlo Marchionni (1756) aggiunse la Batteria della Lanterna sul molo; infine i Francesi nel 1797 rafforzarono con batterie il Monte Cardeto.
Nella primavera del 1799 la sorte delle armi non volgeva favorevole ai Francesi in Italia; l'esercito di Lombardia era battuto a Cassano e quello di Napoli, accorso in suo aiuto, era stato sconfitto alla Trebbia. La divisione Garnier si era ridotta attormo a Roma e soltanto la divisione Monnier si manteneva salda entro le mura di Ancona. Questa divisione aveva una forza di 2300 uomini, riunita in gran parte nella piazza, con piccoli distaccamenti a Sinigaglia, Iesi e Macerata. Gli alleati (Turco-Russi ed Austriaci) dominavano il mare, le popolazioni erano ostili ai Francesi. Attaccata perciò anche dagli insorti oltre che dalle truppe nemiche, la città resistette per tre mesi, per merito soprattutto d'una difesa attiva che respinse cinque assalti, eseguì parecchie sortite, distrusse più volte le linee di approccio degli assedianti, capitolando soltanto dopo aver esaurito tutti i mezzi e con l'onore delle armi, il 12 novembre 1799.
Nel 1849, dopo Novara, l'Austria spediva nell'Italia Centrale due corpi d'armata, quello del gen. D'Aspre in Toscana, quello del maresciallo Wimpffen nell'Emilia. Quest'ultimo, forte di 11 mila uomini, occupata Bologna, riceveva ordine di marciare su Ancona, presidiata da 4000 uomini agli ordini del colonnello Livio Zambeccari. Bombardata per tre giorni, difesa da volontarî e da guardie nazionali, la città resistette energicamente dal 23 maggio al 19 giugno, cedendo anche questa volta onorevolmente, di fronte a forze regolari preponderanti e munite di buone artiglierie. Per il valore dimostrato in questa difesa la città fu decorata di speciale medaglia d'oro, creata con R.D. 395 del 4 settembre 1898.
Nel 1860 l'esercito italiano rompeva a Castelfidardo la resistenza oppostagli dall'esercito pontificio. Il generale Lamoricière si ritirava ad Ancona, più per rallentare la marcia del corpo d'armata del generale Cialdini, che per apprestarsi a una difesa, che, nonostante la forza della guarnigione e le fortificazioni della piazza, era da ritenersi impossibile, soprattutto per mancanza di viveri e di munizioni. Ai 7000 uomini di cui disponevano i pontifici, si opponevano i 28 mila italiani dei corpi riuniti del Cialdini e del Della Rocca, e la squadra, padrona del mare, agli ordini dell'ammiraglio Persano. Scopo principale, anzi unico, della squadra sarda doveva essere quello di controbattere le artiglierie nemiche e specialmente quelle di Monte dei Cappuccini, Monte Pulito ed altre elevate sul mare, e quelle fisse e mobili della Lanterna.
Un primo combattimento di artiglierie avvenne il 18 settembre, con qualche danno delle fortificazioni, e nessuna perdita per le nostre navi, rimaste a distanza utile per noi, dato il maggior calibro delle artiglierie navali. Questa prudenza fu severamente rimproverata all'ammiraglio Persano, ma quando si pensi che le forze a cui il Persano era preposto erano le sole di cui potesse disporre il regno sardo, minacciato da tanti pericoli, e soprattutto da un intervento non impossibile dell'Austria, la sua circospezione nell'esporre le navi al fuoco delle batterie trova serî elementi di giustificazione.
Alcuni tentativi notturni di spezzare la catena che chiudeva l'imboccatura del porto fallirono (26-28 settembre); si dovette dunque, poiché da terra incalzavano le domande ed occorreva far presto, ricorrere ad un tiro riavvicinato da parte delle navi. Lo stesso giorno 28, le tre navi principali entravano in azione; ma il Vittorio Emanuele a causa del mare agitato non poté imbozzarsi. Invece il Carlo Alberto, sotto l'abile guida di Galli della Mantica, si collocò e si mantenne in posizione efficace, a breve distanza dalla batteria della Lanterna e iniziò un fuoco continuato, mentre il Govérnolo, la Costituzione e più tardi il Vittorio Emanuele, entravano anch'essi in azione. Dopo tre ore alcune batterie nemiche erano distrutte, altre smontate, molti artiglieri pontifici feriti. Il Lamoricière capitolò; ma pretendendo egli di arrendersi all'ammiraglio Persano, non al Fanti, quasi a dimostrare che solo dall'armata navale egli era stato vinto, il bombardamento da terra continuò finché il comandante pontificio non si fu piegato a trattare, come doveva, col generale Fanti, che aveva il supremo comando.
Lievi furono i danni delle nostre navi, ma non tali da indurre a credere che le batterie pontificie fossero rimaste inefficaci. Molto più gravi furono indubbiamente le perdite dell'esercito, che nelle giornate dal 24 al 28 settembre, oltre al continuo cannoneggiamento con le grosse artiglierie sbarcate dalle navi sulla spiaggia di Numana, aveva tentato varî assalti alle posizioni di Monte Pelago, Monte Polito e Santo Stefano. Non mancarono severe critiche, da parte dei suoi stessi ufficiali, al Persano, perché, mentre le altre navi si esponevano al fuoco delle batterie da Ancona, la Maria Adelaide, sulla quale egli aveva preso imbarco, si tenne sempre in riserva, cioè lontano dal fuoco. E questa accusa, sulla quale il giudizio dei posteri è molto controverso, pesò assai sulla campagna che si scatenò contro di lui dopo la battaglia di Lissa.
Ultimo evento militare di cui Ancona sia stata partecipe è il bombardamento del 24 maggio 1915. Il primo giorno di guerra tra l'Italia e l'Austria-Ungheria, tra le 3 e le 5 antimeridiane, il grosso della flotta austriaca si avvicinò ad Ancona e aprì, benché fosse stato notificato il disarmo della piazza, un vivo fuoco contro la città, arrecando danni alla cattedrale, al cantiere navale, alle prigioni e a case private. La floatta austriaca, le cui altre unità erano impegnate contemporaneamente in azioni contro altri posti del litorale italiano, si ritirò poi verso Pola.
Provincia di Ancona. - La provincia di Ancona ha una superficie di kmq. 1937,70 (area produttiva ett. 183,730). Nei riguardi dell'agricoltura, la provincia è la più intensamente coltivata della regione; le quantità medie annue dei prodotti principali risultano, nel decennio 1916-1925, le seguenti: frumento, q. 800.000, granoturco, q. 120.000; uva, q. 900.000; patate, q. 15.000. Il valore complessivo di tale produzione, calcolato nell'anteguerra a L. 68.200.000 (media, ogni ettaro, L. 371; per le Marche L. 316; per il regno L. 290), nel dopo guerra vien calcolato a L. 369.400.000 (media ogni ettaro, L. 2.010; per le Marche 1661; per il regno 1467); cioè il valore medio è il più alto della regione e molto superiore a quello del regno: ciò che conferma il carattere peculiare della provincia di Ancona. Lo sviluppo demografico, dal 1881 al 1921, è dato dal quadro seguente:
La densità (172) è notevolmente superiore alla media del regno (126) e a quella della regione (119). La densità massima si ha nel comune di Ancona (620), la minima in quello della Genga (56). Quella di Ancona è la più piccola delle quattro provincie marchigiane, ma la più popolosa, in modo assoluto e relativo. La sua popolazione, fino al 1927, era distribuita in 51 comuni, numero ora (1928) lievemente ridotto per le aggregazioni, già ricordate a proposito di Ancona città. Il coefficente di natalità è disceso, dalla media annua di 32 nati vivi su 1000 ab. nell'anteguerra, a quella di 28; è pure disceso quello di nuzialità; quello di mortalità, da 21,5 per 1000 ab., alla fine del secolo scorso, è diminuito costantemente fino a 16,3, che è il minimo delle Marche. Il coefficiente di criminalità (reati denunciati su 1000 ab.), di 17, è notevolmente minore alla media del regno (28).
Per popolazione, importanza civica e lavoro seguono, al capoluogo, Fabriano, Iesi, Senigallia e Osimo; mngono poi Arcevia e Sassoferrato; notevoli, per ragioni storiche e industriali, sono Loreto e Chiaravalle.
Bibl.: Per la parte preistorica, geologica, climatologica (documentazione oggettiva, preziosa è nel museo istituito da L. Paolucci, presso il R. Ist. Tecnico): G. Bevilacqua, Della ricerca di stazioni preistoriche nel suolo anconitano, Ancona 1874; F. De Bosis, Ancona e dintorni. Cenni di storia naturale, Ancona 1860; id., Il clima di Ancona, Ancona 1862; id., La grotta degli schiavi presso Ancona, Ancona 1861 (con 1 tav.); Distinto ragguaglio del spaventoso temporale e burrasca di mare accaduto in Ancona la notte delli 14 alli 15 settembre 1733, Ancona; G. Orsi, Sul terremoto del 12 marzo 1873, Ancona 1873; G. Bevilacqua, Sul deposito di materie sottili che si estraggono dal porto di Ancona, Ancona 1862; P. Mantovani, Sulla formazione geologica delle colline presso Ancona, Roma 1880; E. Ricci, le Marche, Torino 1929.
Per la parte economica, industriale, statistica, delle comunicazioni: Rendiconto annonario della provincia di Ancona per l'anno 1847; L. Masi, Alamanacco statistico della città e provincia d'Ancona, 1851; Cenni sulla natichità del commercio di Ancona e sulel beneficenze compartite a questa città dai sommi pontefici; Ancona 1830; F. De Bosis, Le industrie della provincia di Ancona, Firenze 1861; I. Serbucci, L'avvenire d'Ancona sotto il rapporto del commercio e delle industrie, Ancona 1866; Bolle e privilegi concessi da molti sommi pontefici all'Università de' Mercadanti d'Ancona, Ancona 1613; E. Spadolini, Ordini della fiera d'Ancona, in le Marche, VI; G. B Gabrizi, Sul sistema stradale della provincia di Ancona, I, Ancona 1862; II, 1864; E. Ricci, Il problema ferroviario nelle Marche, Macerata 1913; Elenco dei comuni del regno... al 31 dec. 1924, Libr. dello stato, 1925 (per i risultati del censimento 1921, prov. e città d'Ancona, pp. 12 e 13).
Per l'analisi descrittiva della città guide: E. D'Anchise, Una pianta d'Ancona del sec. XVI, Ancona 1884; C. Feroso, Guida d'Ancona e dei soui dintorni con pianta topografica della città, Ancona 1884; P. Giangiacomi, Guida artistica ecc., Ancona 1925.
Per la veduta prospettica e a volo d'uccello della città (particolarmente ricca e remota è tale rappresentazione, per virtù della posizione centralissima del porto di Ancona e per la bellezza della città e del suo sito): Fr. Valegio, veneto, Veduta d'Ancona a volo d'uccello, inc. in rame (cm. 12 × 7,5), Venezia 1580?, G. Orlandi, A. Brambilla e Claudio Ducheto, Veduta d'Ancona e dintorni a volo d'uccello, dal mare, inc. in rame (cm. 50,5 × 33), Roma 1585-1602, d'eccezionale interesse per rilevarela forma ed estensione del porto, la topografia della città, la pianta completa del forte di Capodimonte e il grande campo trincerato aderente, alla fine del '500 (con più di 80 richiami); Braun e Hogenberg, Ancona civitas Piceni celeberrima, ad mare Adriaticum posita, inc. in rame (cm. 48 × 34); porto e città, con 86 richiami e breve testo, 1590?
Il '600 ci offre un notevolissimo numero d'incisioni in rame, specie francesi e tedesche: una, Ancona (cm. 15 × 12), del 1620?; un'altra, grande (cm. 48 × 33,5), importantissima, coN 45 richiami e breve testo, press'a poco del 1630; un'incisione del Merlan (cm. 35 × 22), di Francoforte, del 1640; altra parziale, Vue en partie de la ville d'Ancone, di J. Silvestre e Le Blond (cm. 12 × 12) d'intorno al 1650; poi quelle d'Amsterdam, presso P. Mortier, di F. Blaeu, del 1660 e del 1690? Ancona, ville de l'État de l'Église (cm. 54 × 42), con 87 richiami e note.
Nel '700 abbiamo al principio: F. B. Werner e J. C. Leopold, Augsburg 1700? (cm. 29 × 21), panorama prospettico dal mare, con 19 richiami e note; e al fine: Ph. Hackert, B. A. Dunker, M. G. Eichler (cm. 57,5 × 43), 1784, magnifica veduta del porto d'Ancona, dedicata dal pittore Hackert a S. M. Maria Carolina d'Austria, regina delle Due Sicilie.
Per la parte artistica. - Oltre le storie generali dell'arte italiana di A. Venturi e di P. Toesca, e alle Cronache anconitane del Bernabei (1492), v. C. Saracini, notitie historiche della città di Ancona, Roma 1675; A. Leoni, Ancona illustrata, Roma 1832; A. Ricci, Memorie delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata 1834; A. Peruzzi, La chiesa anconitana, Ancona 1845; M. Marinelli, L'architettura romanica in Ancona, in Deput. storia patria, 1921; L. Serra, L'arte nelle Marche, in Rass. Marchigiana, giugno 1926-giugno 1928; id., Le gallerie comunali delle Marche, Roma 1926; A. Dudan, La Dalmazia nell'arte italiana, Milano 1922.
Per la storia antica Huelsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., s. v.; E. De Ruggiero, Dizion. epigr. di antichità romane, s. v.; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, 415 segg.; G. De Sanctis, Storia dei ROmani, II, Torino 1907, p. 422 segg.; I. Dall'Osso, Guida del Museo Naz. di Ancona; G. Pellegrini, Scavi e trovamenti della necropoli preromana e romana di Ancona, in notizie scavi, 1910, p. 332 segg.; Corp. Inscr. Lat., IX, p. 572; Sambon, Monnaies antiques de l'Italie, p. 91 segg.; V. B. Head, Hist. Num., 2ª ed., Oxford 1911, 23; R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, p. 76; K. Lehmann-Hartleben, Antike Hafenanlagen, pp. 198 e 293.
Per il periodo medievale e moderno: G. Saracini, notize istoriche della città di Ancona, Roma 1675; A. Leoni, Istoria di Ancona, Ancona 1810-1815; A. Peruzzi, Dissertazioni anconitane, Bologna 1818; id., Della libertà e indipendenza di Ancona nel Medioevo, Bologna 1820; id., Storia di Ancona, Pesaro 1835; C. Ciavarini, Sommario della storia di Ancona, Ancona 1867; id., Collezione di documenti storici antichi, inediti ed editi rari della città e terre marchigiane, Ancona 1870 (vi sono le Croniche anconitane di Lazzaro de' Bernabei e altre, con una bibliografia storica); L. Franchi, Benvenuto Stracca, Roma 1888; E. Costantini, Il cardinale di Ravenna al governo di Ancona, Pesaro 1891; C. CIavarini, Statuti anconitani del mare, del terzenale e della dogana, e Patti con diverse nazioni, Ancona 1896; G. Luzzatto, I più antichi trattati di Venezia e le città marchigiane, in Nuovo Archivio Veneto, n. s., XI (1906); G. Castellani, Numismatica marchigiana, 2ª ed., Fano 1926.
Marca d'Ancona. - Già il Muratori vide acutamente il collegamento della marca d'Ancona con la precedente "marca Guarnerii", che compare nei documenti a partire dall'ultimo decennio del sec. XI. Questo Guarnerio, o Warnerio, dovette, intorno al 1090, essere investito dall'imperatore Enrico IV dei territorî poi componenti la marca anconitana, tolti dall'imperatore alla contessa Matilde. Né, trattandosi di Marca nuova, può sorprendere che questa per intanto abbia preso nome da lui. Ma già nel 1105, il cronista Eccheardo ci dice che Guarnerio era preposto alla marca quae est in partibus Aquinae, dov'è sicuramente da leggere Anconae; e in quello stesso anno, un altro cronista, Sigeberto, chiama Guarnerio princeps Anconae o Anconitanus, o perché egli risiedesse normalmente in Ancona, o perché la nuova marca prendesse nome da questa città, come centrale. Ed è il nome che poi rimase come ufficiale. Le ultime notizie di questo Guarnerio sono del 1120. Fu sua moglie Altruda, e furono suoi figli, forse di due letti diversi, Federico e Guarnerio II. Federico è ricordato, nel governo della Marca, da solo, dal 1125 al 1134; congiuntamente col fratello Guarnerio II, dal 1136 al 1139. Nel 1148 Guarnerio II è solo a sua volta, e sino al 1159, quando egli muore all'assedio di Crema. Figlio di Guarnerio II fu Gualterio, e figli di questo Gualterio, Guarnerio III e Federico II; i quali però, pur continuando a risiedere nella marca anconitana e ad avervi larghi possessi, non sembrano più averne esercitati effettivamente i poteri, che a partire dal 1177 si vedono concessi a Corrado di Lutzelhard, marchese di Ancona fino al 1189, poi preposto alla marca di Toscana. Nella marca di Ancona gli succedono prima Gotebaldo, già conte di Senigallia (1191-94); poi Marcoaldo di Annweiler, che nel 1197 allarga i suoi poteri anche al Molise, e si intitola: dux Ravennae, marchio Anconae et Molisii. Senonché, morto in questo anno (1197) l'imperatore Enrico VI, e iniziatasi dal nuovo pontefice Innocenzo III (eletto nel 1198) l'opera di ricupero del patrimonio della Chiesa, grave conflitto si accende tra Innocenzo III e Marcoaldo; e i tentativi indirizzati a comporlo sono troncati per l'infedeltà di Marcoaldo, il quale viene scomunicato. Il 28 agosto 1198, Marcoaldo è ancora nella Marca, all'assedio di Ripatransone; ma poi se ne allontana, diretto verso il mezzogiorno. E col marzo 1199, il papa può scrivere che quasi tutta la Marca è tornata in sua mano. Varie cause ne rendono tuttavia assai arduo il governo, e frequenti sono le devastazioni e i saccheggi, di cui il papa si duole; onde Innocenzo III, nel 1208, ritiene miglior partito il concedere la Marca, in feudo, ad Azzo IV d'Este. Due anni dopo, nel 1210, l'imperatore Ottone IV, già amico del pontefice, ma ora in conflitto con lui, concede egli in feudo la marca ad Azzo "così come l'ebbe (dice il testo) Marcoaldo di Anweiler", e senza far cenno della precedente concessione di Innocenzo; ma Ottone IV è scomunicato il 31 marzo 1211, e deve affrettarsi a far ritorno in Germania. La Marca è ridata ad Azzo dal papa nel 1212, come feudo della Chiesa; e, vinto da Aldobrandino d'Este, nel 1215, il conte di Celano, che intanto ne era stato investito da Ottone, la marca rimane, per oltre due decennî, come feudo pontificio, agli Estensi. Nel 1239, aggravatisi i conflitti fra il pontefice Gregorio IX e l'imperatore Federico II, questi manda il figlio Enrico a riconquistare la marca all'impero. Enrico riesce, e la marca ricuperata vien retta successivamente da vicarî imperiali (Roberto di Castiglione, Riccardo di Fasanella, Riccardo di Caserta, ecc.) fino al 1250, nel qual anno, morto Federico II, ritorna alla Chiesa. Ma nel 1258, Manfredi, incoronato re, la ritoglie al pontefice nominandovi suo vicario Percival Doria. Nominati da lui, si succedono, fino al 1265, altri vicarî, l'ultimo dei quali è Giordano d'Anglona. Ma, vinto ed ucciso Manfredi nella battaglia di Benevento (1266), la Marca ritorna di nuovo al pontefice, che nel 1273 ne ottiene il riconoscimento dal nuovo imperatore Rodolfo, e la conserva senza ulteriore contrasto sino alla traslazione della sede pontificia in Avignone. Durante il periodo della cattività avignonese, anche nella Marca, come nelle altre parti dello stato pontificio, i signori locali si ribellano e cercano di farsi indipendenti. Ma, riuscita vana la prima spedizione del cardinale Bertrando del Poggetto (1319-1332), Innocenzo VI manda a riconquistare i suoi stati il cardinale Egidio d'Albornoz, il quale con le armi e con l'astuzia riesce nella difficile impresa. E, ad impresa compiuta, pubblica nel 1357, nel Parlamento di Fano e per tutti gli stati della chiesa, le famose costituzioni egidiane, e più esattamente il Liber constitutionum sanctae matris ecclesiae, dette anche, con titolo poi ad esse rimasto, Constitutiones Marchiae Anconitanae, sia perché il nucleo principale era formato dalle costituzioni dei precedenti legati della Marca, sia perché anche altre costituzioni posteriori furono alla Marca specialmente destinate. Così, riconquistata alla Chiesa, la Marca non le fu in seguito ulteriormente ritolta, se non nei due decennî precedenti la metà del sec. XV, e più esattamente dal dicembre 1433 all'aprile 1447, nel qual periodo si costituì in essa la signoria di Francesco Sforza. Ma, col 1447, lo Sforza fu costretto a rinunziarvi, non salvando per la sua casa se non la limitata signoria di Pesaro, anch'essa poi finita nel 1500. Da quell'epoca, la storia della Marca si confonde con quella dello stato pontificio.
Bibl.: L.A. Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi, I, coll. 173, 324 segg.; M. Leopardi, Series rectorum Anconitanae Marchiae, Recanati 1824; J. Ficker, Forschungen zur Reichs- u. Rechtsgeschichte Italiens, Innsbruck 1868, II, pp. 317-19, 362, 371-72; 382-408; A. Luchaire, Innocent III, Rome et l'Italie, Parigi 1904; G. Ermini, La libertà comunale nello stato della chiesa (1198-1367), Roma 1926-27; G. Benadduci, Della signoria di Francesco Sforza nella Marca e peculiarmente in Tolentino, Tolentino 1892. - Per l'estensione territoriale della Marca, e in gener per la parte cartografica, v. O. Marinelli, Le più antiche carte stampate della marca d'Ancona, cap. I dello studio: Materiali per la storia della cartografia marchigiana, in Le Marche, II (1902), p. 131.