ANCORAGGIO
. È il luogo dove si getta, o il fatto di gettare l'ancora da parte di una nave, per mantenersi ferma in un porto, in mare aperto, in un fiume.
Diritto di ancoraggio. - È quella somma che una nave deve corrispondere all'autorità sovrana del luogo dove getta l'ancora, diritto questo che non ha in sé la natura vera e propria di un'imposta, ma che rappresenta piuttosto la giusta contribuzione da parte della nave alle spese che l'autorità del luogo deve sostenere per mantenere questo in buone condizioni di approdo e di scarico: spese per i fondali necessarî, spese per riparare la zona dalle tempeste, spese di manutenzione delle banchine di scarico e altre numerose, alle quali è ben logico contribuisca chi di questi vantaggi si giova. Questo il principio naturale giustificativo dell'esazione del diritto di ancoraggio, che troviamo in uso fin dai tempi più antichi. Lo conobbero i Greci, i Romani ebbero un vectigal portus o portorium, se ne parla nella legge navale dei Rodî del sec. VIII. Maggior importanza ancora e più largo uso che non nell'antichità ebbe questo diritto di ancoraggio, portaticum o ripaticum, durante il Medioevo. Al moltiplicarsi delle tasse portuali, verificatosi durante il periodo di governo bizantino in Italia, seguono gravi abusi nel periodo feudale, quando, con l'indebolimento dell'autorità dello stato e il frantumarsi della sua sovranità, viene spesso concesso e infeudato a privati, fra gli altri diritti statali, anche questo dell'ancoraggio. Così dalla concessione del privilegio di esenzìone da tasse di portatico e ripatico (Lotario al monast. di Farfa: Reg. Farf., 225, Ludovico a quello di Bobbio; Porro, 218) si va alle concessioni dell'uso di porti marittimi e fluviali fatte a monasteri e a privati col conseguente diritto di riscuotere i relativi tributi d'ancoraggio (Troya, IV, 566, 591; Porro, 712, 950); e da queste concessioni si passa facilmente, per il bisogno di denaro e la mancanza di sorveglianza statale, a riscossioni illegali e ad abusi, come quello di costringere navi a entrare in porto e di proibire la costruzione di altri porti vicini (Boretius, in Mon. Germ. hist., I, pp. 122, 144, 289). A lato delle regolari concessioni poi devono essere state pure frequenti le usurpazioni di questo diritto di ancoraggio, se l'imperatore Federico Barbarossa sente la necessità di riaffermare nella dieta di Roncaglia (1158), tra i diritti regali o regalie spettanti all'Impero, anche quella dei porti e delle rive.
Con l'avvento del periodo comunale, passa ai comuni, naturalmente, insieme con l'amministrazione dei porti, anche la riscossione dei diritti relativi, e così nei secoli del basso Medioevo fino all'età moderna sono gli statuti delle città marinare quelli che disciplinano il versamento e determinano l'ammontare dei diritti d'ancoraggio da corrispondersi dalle navi.
Nell'odierna legislazione italiana la materia del diritto d'ancoraggio è disciplinata dalle disposizioni riunite nel testo unico approvato con decreto 11 gennaio 1923, n. 404.
Bibl.: F. Stypmann, Ius maritimum, in Script. de iure naut. et marit. fasciculus, Halle 1740; P. Vaccari, La regalia delle acque ed il diritto di navigazione sui fiumi, Pavia 1907.