DI NEGRO (de Nigro, Niger, Del Nero, Nero), Andalò (Andalo, Andalone, Andeolus)
Nacque molto probabilmente a Genova intorno al 1260, da Egidio.
La casata dei Di Negro, di antica origine, a partire dal primo secolo della Repubblica, contava diciotto consolati o del Comune o dei Placiti, ambasciatori e discendenti con diritti signorili in Acri in Siria, in Cipro e nella stessa Liguria. Gli Archivi di Genova ricordano tra gli antenati del D. un certo Leone, che fu vicario per la Repubblica nella Armenia minore nel 1279 e un Bartolino, tanto ricco da prestare denari al re di quella regione. Nell'Archivio dei notari di Genova è il più antico documento in cui compare il nome del D.: all'anno 1274 si ricorda Andalò di Negro, figlio di quell'Egidio che nel 1273 era stato vicario della Repubblica "oltre giogo". Ciò permette di scartare definitivamente l'ipotesi secondo cui egli sarebbe stato figlio di Salagro, pure esponente della stessa famiglia. Il nome del D. viene ancora ricordato nell'Archivio notarile di Genova nel 1287 e nel 1292, accanto a quello di Carlotto, suo fratello. Carlotto era un "uffiziale" di mare, molto legato, sia come nipote sia come confidente, al famoso Benedetto Zaccaria, tanto da essere designato come suo ambasciatore presso il re di Francia Filippo il Bello nel 1295 per fornirgli un piano di spedizione navale contro l'Inghilterra.
La famiglia Di Negro comprendeva due rami o "alberghi", detti dal luogo delle relative abitazioni, di S. Lorenzo e di Banchi. Il primo possedeva case poste - con la facciata sul vico dei Filo; il secondo, di Banchi, cui il D. apparteneva, aveva una loggia che dava sulla contrada dei Di Negro.
Quasi nulla sappiamo della prima formazione culturale del D., dei suoi studi e dei suoi maestri, né qualcosa di preciso è possibile asserire sui suoi spostamenti, che dovettero essere frequenti visto che, nonostante la fama e la reputazione di cui la sua famiglia godeva nella Repubblica di Genova, egli ebbe, come sembra, notorietà maggiore fuori che dentro la sua patria, anche se non mancò di offrire a questa, come era peraltro nella tradizione della sua casata, importanti servigi di carattere politico. Infatti, dovendo nel 1314 la Signoria di Genova condurre importanti trattative con l'imperatore di Trebisonda Alessio Comneno, affidò il delicato incarico al Di Negro.
Il 26 ottobre il D. concluse a Trebisonda una onorevole pace con l'imperatore, riuscendo ad ottenere per i Genovesi notevoli vantaggi pratici e soddisfazioni di principio. Alessio si impegnava infatti a perseguire tutti coloro che si fossero macchiati di delitti contro i Genovesi; metteva a loro disposizione la darsena di Trebisonda od altro luogo per costituirvi un borgo, lasciava loro il diritto di fortificarlo e di vietarne l'accesso ai Greci; concedeva inoltre loro un proprio consolato e tutta una serie di privilegi che gli assicuravano l'amicizia duratura del Comune (cfr. Archivio di Stato di Genova, Privilegi. Concessioni. Trattati, busta n. 8, anni 1302-1358).
L'appartenenza a una illustre casata e le buone prove date come ambasciatore favorirono certamente il contatto del D. con importanti personaggi, come Ugo IV di Lusignano, di cui, a dire del Boccaccio, "conformitatis studiorum familiarissimus fuit", mentre questi era in Roma (cfr. Genealogia Deorum gentilium, Basileae 1532, p. 309). Ma certamente anche la sua cultura, che dovette raggiungere livelli non comuni per l'epoca, valse ad acquistargli una notevole fama di studioso, e ciò spiega come gli venisse attribuito anche l'insegnamento universitario. Il Libri, forse semplicemente deducendolo dalla notizia che Boccaccio fu tra i suoi discepoli, afferma che il D. fu professore a Firenze, ma questa asserzione non trova alcun riscontro documentario. Più fondata sembra invece l'ipotesi affacciata dal De Simoni che, più che a Firenze, città nella quale, come dimostrano le elogiative menzioni del Boccaccio, doveva comunque essere noto e apprezzato, egli avesse insegnato a Napoli. Ciò pare confermato, oltre che dal documento angioino del De Blasiis, di cui si dirà in seguito, dalle affermazioni del vescovo di Isola, nel Napoletano, che, in un manoscritto conservato ora alla Biblioteca nazionale di Firenze (Magliabechiano II, 67, f. 129r), afferma di essere stato discepolo del D. ("Subscripte sunt Regule Inuente in Almanac Bone memorie dni G. Ep[iscopi] Insulani periti in Astrologia. Sub doctrina et magisterio dni Andalo de nigro de Janua magistro in scientia astrologie qui supra dictos canones super Almanach Profatij compilavit fecit et composuit et erant scripti manu propria ipsius E[piscopi]"); da quelle del Boccaccio che tessendone l'elogio in più luoghi delle sue opere (cfr. Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri, V, Firenze 1724, p. 316; Id., Casi degl'huomini illustri, tradotti da M. G. Betussi, Firenze 1598, p. 122; Id., Genealogia, l. I, c. VI, p. 9; l. II, c. VII., p. 35; l. VIII, c. II, p. 201, e, soprattutto, l. XV, c. VI, p. 389) afferma di averne ricevuto l'insegnamento in astronomia quando era giovane a Napoli; ma, soprattutto, dalla scoperta, cui si è accennato, effettuata dal De Blasiis negli Archivi angioini e comunicata con una lettera al Bertolotto del 1893, di un documento che dimostra che il D. era pagato dal re angioino con 6 oncie d'oro annue, probabilmente per la sua opera di insegnante.
Il Boccaccio e il Fregoso per primi attribuiscono al D. una grande passione per i viaggi, animata non solo da pura curiosità e spirito di avventura, ma da solidi interessi di carattere geografico, astronomico e matematico. In tal senso va intesa la testimonianza del Fregoso, che riferisce che fu "ortus rerum inquisitor", profondamente versato nello studio dell'astronomia, e che "pene totum terrarum orbem peragravit" allo scopo di verificare l'esattezza delle antiche tavole astronomiche (cfr. B. Fulgosi De dictis factisque memorabilibus collectanea..., Mediolani 1509, f. 258). E in questa stessa prospettiva trova giustificazione una testimonianza del Ramusio accolta dallo Spotorno, secondo cui il D. sarebbe stato l'estensore delle scritture latine di Marco Polo. Nella Introduzione alla sua edizione del viaggi di Marco Polo il Ramusio narra che questi, avuti i memoriali, "col mezzo d'un gentil huomo Genovese molto suo amico, che si dilettava grandemente sopra le cose del mondo, et ogni giorno andava a star seco in prigione per molte hore, scrisse per gratificarlo il presente libro in lingua latina" (cfr. G. B. Ramusio, Delle Navigationi et Viaggi…, Venetia 1574, f. 6r; P. Spotomo, Storia letteraria della Liguria, II, Genova 1824, p. 219). In realtà questa attribuzione è stata da molti scartata, dopo quanto accertato da H. Hyle (The book of ser Marco Polo, the Venetian, London 1871), che l'autore della traduzione latina delle carte del Polo fosse Rustichello da Pisa. Ciononostante, il De Simoni la ripropone come non impossibile, rilevando appunto la coincidenza dell'epoca in cui il Polo era prigioniero a Genova, tra il 1292 e il 1304, e quella in cui il D. vi soggiornava, ed anche la corrispondenza tra le caratteristiche di questo gentiluomo descritto dal Ramusio con quelle dell'astronomo, matematico e viaggiatore genovese.
A partire dal 1314, data dell'ambasceria in Oriente, mancano notizie sulla vita e sull'attività del Di Negro. Sembra probabile che abbia trascorso la maggior parte della sua vita viaggiando e che negli ultimi anni fosse a Napoli, dove probabilmente morì poco prima del giugno del 1334.
Il De Blasiis infatti rinvenne nelle carte angioine un diploma di Roberto d'Angiò, datato al 9 giugno 1334, rimasto ignoto alla maggior parte degli storici e anche al De Simoni. In esso si dice che, "mortuo nuper Andalo de Nigro de yanua", il re assegnava a maestro Nicolino di Santo Prospero, anch'egli genovese e "fisico", le annue 6 oncie d'oro che prima erano state assegnate al Di Negro. Questo documento riveste una notevole importanza in quanto permette di arguire, in primo luogo, che forse il servizio che il nobile genovese prestava al re non era solo di insegnante, ma anche di medico e, in secondo luogo, che la data della sua morte, posta concordemente dagli storici e anche dall'attentissimo De Simoni, intorno al 1340-41, col riferire la sopracitata testimonianza del Boccaccio al 1340, epoca in cui lo scrittore ventottenne era a Napoli, va anticipata al 1334. In realtà il Boccaccio fu a Napoli attorno al 1327, inviato dal padre ad apprendervi la mercatura, e Il rimase fino al 1341, avendo dunque tutta la possibilità di seguire le lezioni del D. che proprio in quegli anni, e comunque certamente tra il 1333 e il 1334, era ivi presente al servizio del re Roberto.
Se le notizie sulla vita del D. sono relativamente scarse, per determinare l'importanza e il valore della sua attività restano fortunatamente più numerose testimonianze, tutte costituite dalle sue opere, edite, inedite o solo citate, che permettono di comprendere in modo più concreto le ragioni della sua grande fama e della sua fortuna presso i posteri.
Fra le sue opere maggior successo ebbero quelle a carattere matematico-astronomico, tre delle quali furono stampate a Ferrara (L. Picarius) nel 1475, in una edizione rarissima, di cui B. Boncompagni Ludovisi elenca quattro esemplari in tutto, di cui due soli in Italia. Di questa edizione ferrarese venne fatta, sul cadere del secolo scorso, una ristampa a cura e con introduzione di G. Bertolotto (cfr. Il Trattato sull'astrolabio di Andalò di Negro, Genova 1893, pp. 37-93), tratta dalla copia della Biblioteca Palatina di Parma. L'incunabolo (L. Hain, Repertorium bibliographicum, n. 967, s.v. Andalus de Nigro) comprende tre scritti del Di Negro. Il primo reca il titolo Opus preclarissimum astrolabii compositum a domino Andalo de nigro genuensi foeliciter incipit, consta di 20 fogli (ediz. Bertolotto, pp. 39-61) e comprende diciotto brevi capitoli, ciascuno dei quali con un titolo riassuntivo, in cui il D. espone con ordine le regole per la costruzione di un astrolabio, per determinare esattamente i vari circoli, segni e simboli che indicano i giorni, i mesi, le ore, l'aurora, il tramonto; spiega come disegnare la "rete" sulla parte anteriore e posteriore dello strumento e come collocarvi le varie stelle, senza trascurare di dare una tabella dei luoghi delle stelle fisse e della loro ascensione e declinazione.
Il secondo degli scritti editi nella edizione ferrarese reca la rubrica: "Hic incipit practica astrolabij et primo de nominibus instrumenti" e incomincia a f. 9r finendo a f. 16r. Come il primo; questo trattatello è suddiviso in brevi capitoli, 43 in tutto, e dall'argomento cui è dedicato sembrerebbe piuttosto propedeutico al precedente. Vi si passa infatti in rassegna sistematicamente la nomenclatura tecnica utilizzata nello scritto sulla costruzione dell'astrolabio, dando di ciascuna parte dello strumento il nome, il significato e una sintetica descrizione, non limitandosi però all'aspetto pratico, ma estendendo il discorso alla precisazione di concetti fondamentali della teorica astronomica, come 'almucarat', 'ostensor', 'quadrans', 'regula' o 'alidada'. Così non troviamo qui indicati soltanto i significati di 'armilla' o 'anulo', di 'ansa', 'mater in rotula', 'limbus', 'rethe sive araneam', ma si fa cenno al modo e alle regole da seguire per risolvere i più importanti problemi di astronomia, e all'uso corretto dello strumento per determinare ad es. il segno in cui si trova il sole in un certo giorno dell'anno, la sua altitudine e quella delle stelle, la latitudine e longitudine di una certa regione, Tindividuazione dei vari punti cardinali, l'orizzonte e l'occidente, le ore eguali e diseguali, e infine di che tipo sono e in quale direzione si rivolgono le "radiazioni" dei pianeti.
Il terzo opuscolo, più breve dei precedenti, stampato ai ff. 16v, 17-19r (ediz. Bertolotto, pp. 84-93), ha per titolo De operationibus scale quadrantis in astrolabio scripte ed è anch'esso suddiviso in 13 brevi capitoli, nei quali, come dice il titolo, l'autore si propone di illustrare quali operazioni sia possibile effettuare con la scala del quadrante e come la si debba usare per conoscere non solo i fatti del cielo, ma anche certi fenomeni terrestri. Così il D. insegna come misurare l'ombra media, retta e versa attraverso l'altezza del sole, come determinare l'altezza di qualunque oggetto, sia di quelli accessibili sia di quelli inaccessibili (per es. quella di un oggetto posto su un monte), come misurare la profondità e, infine, come eseguire le medesime operazioni con mezzi diversi dall'ombra, come la "verga" o lo specchio.
Nel 1907 G. Boffito pubblicò un'altra delle opere astronomiche del D., esemplata su un manoscritto della Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze (cod. VIII, 29), conservata con lievissime variazioni anche in altri codici, come il ms. Fonds Latin 7272 della Biblioteca nazionale di Parigi e l'Ashburnham 131 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, quest'ultimo non recensito dal Boncompagni nel suo catalogo. Si tratta di uno scritto cosmografico dal titolo Tractatus spere materialis (cfr. G. Boffito, Il trattato della Sfera di Andalò di Negro, in La Bibliofilia, VIII [1907], pp. 72-85, 164-168). L'opera, scarsamente originale, si compone di una quindicina di capitoli e ha, come le opere precedentemente esaminate, un caratteristico tono didattico. L'autore esordisce definendo molto chiaramente i fondamentali concetti geometrici (punto, linea, superficie, triangolo, quadrato, semicerchio, diametro, corda, eccentrico, concentrico, sfera), per passare poi alla "descriptio omnium speraruni", considerando le sette sfere e quella delle stelle fisse come un'unica e continua sfera però distinta dalla ottava, del primo mobile, che è tuttavia ad essa contigua. Una importanza notevole nell'economia del trattato gioca la dimostrazione, svolta per lo più con argomenti ex absurdo, della circolarità delle varie sfere, della centralità della terra e della sua immobilità. Infine, discostandosi un poco dall'argomento specifico della sua opera, il D. si sofferma su temi di carattere più squisitamente astronomico, come la posizione dei vari astri rispetto allo Zodiaco, l'eguaglianza delle ore, giorni e notti, le case celesti, la suddivisione del globo in terre abitabili e non abitabili, ritornando così agli argomenti a lui probabilmente più congeniali.
Il Thorndike (1949) attribuisce al D. anche un secondo trattato sulla sfera che è anch'esso contenuto nel ricco manoscritto della Biblioteca nazionale di Parigi (Fonds Latin 7272, ff. 60ra-67rb), assegnato sia nel testo sia nel catalogo a Thābit, attribuzione che però lo storico contesta sia per la presenza di riferimenti a tavole astronomiche che quell'astronomo non poteva conoscere, ma che potevano invece esser note al D., sia per gli accenni a Genova che ricorrono nell'opera, oltre che per la considerazione che tutte le altre sette opere contenute nel manoscritto sono sicuramente del Di Negro. Questo secondo trattato, dal titolo Alius Tractatus de Spera liber secundus, è stato pubblicato dallo stesso Thorndike (cfr. la Appendix IV di The Sphere, pp. 463-475). Si compone di cinque brevi capitoli; l'argomento è sostanzialmente analogo a quello del precedente trattato e concerne ancora problemi di cosmologia, astronomia ed anche di astrologia. Dopo avere esordito con una serie di definizioni, come mondo, firmamento, centro, superficie, il D. passa alla descrizione del cosmo, che si delinea, com'era peraltro nelle concezioni del tempo, come una sfera avente al centro la terra immobile perché più pesante, circondata, senza intervallo, da quelle dell'acqua, aria e fuoco, che nel loro complesso costituiscono la sede di tutti i fenomeni di generazione e corruzione. Il trattato illustra poi la regione che si estende sopra la sfera del fuoco fino al firmamento, luogo dei pianeti, di cui non si manca di spiegare l'etimologia, e delle stelle. Con il terzo capitolo si passa a temi squisitamente astronomici, con la definizione dei concetti di polo, linea meridiana, emisfero, orizzonte, equatore, solstizio, circolo equinoziale, parallelo, zone terrestri, mentre la parte finale, quasi fosse il sotterraneo scopo dell'intero discorso, è dedicata all'astrologia, e ai suoi concetti, indispensabili appunto per accedere alle tavole astrologiche inutili a chi ignori cosa sia "radice", "via dei pianeti", "centro", "retrogradazione" ecc., termini tutti che vengono ordinatamente spiegati.
Il D. scrisse anche altre opere di carattere astronomico matematico, rimaste però inedite. La Theorica planetarum, di cui il Boncompagni ricorda sei esemplari (cfr. cod. Barber. lat. 156 della Biblioteca ap. Vaticana, cart. in folio che fu dell'astronomo fiorentino B. Vespucci, che lo comprò nel 1512; un esemplare del Boncompagni stesso; - ora: Berlino, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Manuscripta Latina 599 -; due codd. Magliabechiani XI, 121 e XI, 114 della Biblioteca nazionale di Firenze; un cod. 868 (L, II, 1) della Biblioteca Riccardiana di Firenze; un cod. Fonds Latin 7272 della Biblioteca nazionale di Parigi), a cui vanno aggiunti i codd. Ashburnham 1336 (1263) e 1339 della Biblioteca Mediceo Laurenziana, ebbe, come si rileva dal numero dei manoscritti, una certa diffusione. L'opera, che si apre "Incipit theorica planetaruin composita ab Andalo de Nigro Ianuense. Capitulum primum de figura motus solis ..." (ms. Barb. lat. 156, f. 162), consta di sette brevi capitoli e termina con una tavola astronomica. Affronta temi di astronomia teorica, mostrando come i "pliilosophi" abbiano scoperto e individuato i moti dei pianeti, quali e quanti questi moti siano, come si giunse alla determinazione delle ore, il tutto basato sull'autorità dell'Almagesto di Tolomeo. Analogamente dedicata a problemi di teoria planetaria e, come ha rilevato il Duhem, anteriore alla Theorica planetarum è la Theorica distantiarum omnium sperarum et planetarum a terra et magnitudinem eorum, conservata, secondo il computo del Boncompagni, in tre codici (cod. Barb. lat. 156 della Biblioteca ap. Vaticana; cod. Fonds Latin 7272 della Biblioteca nazionale di Parigi; cod. Magliabechiano XI, 114 della Biblioteca nazionale di Firenze). In essa, quasi a complemento di un preciso disegno didattico-espositivo, il D. parla della distanza degli astri dalla terra e della loro grandezza, ispirandosi al metodo degli astronomi arabi Al Fargani e Al Battani.
A problemi, ancora squisitamente astronomici, ma di carattere pratico, sono dedicati altri scritti, come i Canones super Almanach Profatii, il De compositione astrolabii e il Tractatus quadrantis. La prima di queste opere, che da una espressione in essa contenuta sembra doversi far risalire al 1323, si conserva in un ms. della Biblioteca nazionale di Parigi (cod. Fonds Latin 7272). In essa l'autore non si prefigge di comporre nuove tavole astronomiche, ma si limita a redigere canoni adattati alle tavole dei pianeti che il rabbino Profatius Iudaeus sotto il nome di Almanach aveva allestito per il meridiano di Montpellier, difendendo l'astronomo ebreo dalle accuse di certi "moderni" di avere assunto a base le antiche, non più valide tavole di Toledo, rilevando invece come egli avesse utilizzato le più recenti, compilate per ordine di Alfonso X di Castiglia e completate nel 1272.
Il De compositione astrolabii, di cui esistono almeno quattro manoscritti (cod. Vat. lat. 5906, f. 94rv, Barb. lat. 156, ff. 146-147 della Bibl. ap. Vaticana, il cod. 868 della Bibl. Riccardiana di Firenze e Parigi, Bibl. nat., Nouvelles Acquisitions latine 1988), riprende sostanzialmente l'argomento dell'edita Pratica astrolabii, spiegando in primo luogo cosa sia un astrolabio, quindi, come vien detto nell'incipit, le "imaginationes et considerationes quas habuerunt compositores ipsius", infine, l'uso dello strumento. Il Tractatus quadrantis, di cui il Boncompagni segnala un solo manoscritto da lui posseduto (cfr. E. Narducci, p. 21), si occupa della descrizione di un quadrante e, anche se non può essere considerato identico alla terza delle opere dell'edizione ferrarese, ne riprende sostanzialmente il contenuto.
Sebbene la fama del D. sia rimasta soprattutto legata ai suoi scritti di astronomia e matematica, un certo significato rivestono anche le sue opere medico-astrologiche, che, seppure non così fortunate come le prime, ebbero, come si può arguire dal numero dei manoscritti esistenti, una loro circolazione. Fra queste vanno segnalate l'Introductorium ad iudicia astrologie, che è conservato in due manoscritti, di cui uno, già noto al Boncompagni (cod. Fonds Latin 7272, ff. 102-115, 115-142, 143-169, 17017), e l'altro individuato dal Thorndike (British Library, Add. Mss. 23770, f. 1r, col. 1-44r, col. 2). Il trattato non presenta elementi di originalità e assomiglia ad altri scritti di astrologia del tempo. Vi si illustrano le proprietà dei pianeti, dei segni delle case, le ore dei vari pianeti e che cosa sia prudente fare o evitare di fare in esse; ma la caratteristica più significativa dell'opera sono le illustrazioni in vari colori, a ciascuno dei quali viene attribuito un determinato significato, come, per e s., maschile e femminile, chiaro od oscuro, fortunato o sfortunato e via di seguito. Neppure qui manca una meticolosa determinazione del significato della terminologia astrologica, né l'autore si sottrae allo spinoso problema della contingenza o necessità dei giudizi astrologici, propendendo per la loro contingenza e sottolineando la necessità di considerare, oltre all'azione dell'agente, anche la disposizione del paziente, cercando cosi di evitare pericolose e drastiche posizioni, memore forse della lezione impartita a tutti gli astrologi con il rogo di Cecco d'Ascoli nel 1327, e, quindi, come si è rilevato, nel periodo stesso in cui venne composta quest'opera. Alcune dottrine qui esposte rinviano, secondo il Duhem, alle teorie di Pietro d'Abano, di cui il D. avrebbe sentito l'influenza, e soprattutto, quella, assai interessante, della determinazione astrologica dello sviluppo della civiltà, una sorta di filosofia della storia.
Le restanti opere del D. presentano una curiosa mescolanza di astrologia e medicina, facendo della prima un fondamentale ausilio della seconda. Il De infusione spermatis (Vat. lat. 4082, cc. 209-210, Vat. lat. 4085, c. 28) e il De ratione partus (Vat. lat. 4085, cc. 28-30) affrontano il problema dell'influsso planetario sul processo della generazione, riferendo in proposito le teorie di Hester, Tolomeo e Hermes. Il primo dei due scritti è stato pubblicato dal Thorndike (cfr. L. Thorndike, Notes upon some Medieval Latin astronomical, astrological and mathematical manuscripts of the Vatican, in Isis, XLVII [1956], pp. 395-397).
Carattere prevalentemente medico hanno il Liber iudiciorum infirmitatum (cod. Vat. lat. 4082, ff. 196-208, 209r) e il Canones modernorum astrologorum de infirmitatibus (cod. Vat. lat. 4085, ff. 11-27), dal Boncompagni distinti come due diverse opere, mentre dal Thorndike considerate come due versioni, leggermente diverse, della stessa opera.
La prima delle due versioni è dedicata al "magnifico et egregio uiro domino Iolianni de Laya militi regio cambellano magistro hostiario et tercie vicarie regni regenti suus", un nobile del Regno di Napoli di cui si trova menzione in una lettera a lui inviata dal re Roberto nel 1313 e in una lista di stipendi degli ufficiali della Curia della Vicaria nel 1321. È suddivisa in due parti, di cui la prima consta di sedici capitoli e la seconda, intitolata "de electionibus", di quindici (dell'incipit ed explicit e dei titoli dei vari capitoli ha dato una trascrizione il Thorndike). La prima parte, dopo avere stabilito il nesso fra condizioni del corpo e aspetti planetari, si sofferina a descrivere vari tipi di malattie, le loro cause umorali, e termina affrontando il problema se la medicina possa qualcosa contro il male o no. La seconda parte è in qualche modo una risposta, affermativa, a questo quesito, in quanto illustra i vari mezzi terapeutici, tanto chirurgici che farmacologici, anche se nella chiusa ritorna in qualche modo il pregiudizio astrologico nella valutazione dell'influsso dei pianeti: "Venus et Luna sunt mediocres, Saturnus est malus. Mercurius secundum quod invenitur".
Al nome del D., infine, sono riferiti ancora un breve commento alla cinquantunesima parola del Centiloquium di Tolomeo (cod. Vienna 5503, f. 115rv), secondo il Thorndike (Notes upon some Medieval, p. 395) un estratto di qualche opera maggiore; e, da nessuno citato, neppure dal dottissimo Boncompagni, un Centiloquium Andali Nigri Genuensis (cod. Vat. lat. 12927, ff. 17r-21r), contenuto in un manoscritto del secolo XVI della Biblioteca Vaticana, in cui, in forma di epistola, si espone la scienza astrologica, ridotta in cento aforismi. Sull'autenticità di quest'opera si possono avanzare serie riserve, ma è possibile che essa sia stata ricavata dalle opere astrologiche del Di Negro.
Fonti e Bibl.: Per la biografia del D. essenziale è C. De Simoni, Intorno alla vita ed ai lavori di A. D. matematico ed astronomo genovese del secolo decimoquarto e d'altri matematici e geografi genovesi, in Bull. di bibl. e di storia delle scienze matem. e fisiche, VII (1874), pp. 313-339, alla cui ricchissima bibliografia si rinvia. Per le opere resta ancora indispensabile B. Boncompagni, Catalogo dei lavori di A. D., ibid., pp. 339-370. Ad essi vanno aggiunti: R. Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova 1667, pp. 17 s.; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, pp. 19 s.; G. Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie depuìs la Renaissance des lettres..., Paris 1838, II, pp. 200 s.; B. Mojon, A. D., in Elogi di liguri illustri, a cura di L. Grillo, I, Genova 1846, pp. 110-15; A. Neri, Recens. alla mem. di De Simoni, in Giorn. ligustico di arch., storia e belle arti, II (1875), pp. 93-103; A. Favaro, Intorno ad uno scritto su A. D. pubblicato da d. B. Boncompagni, Padova 1876, pp. 5-22; N. Giuliani, Albo letterario della Liguria, Genova 1886, p. 21; Catalogo di manoscritti ora posseduti da A. B. Boncompagni, a cura di E. Narducci, Roma 1892, p. 21; G. De Blasiis, Racconti di storia napoletana, Napoli 1908, p. 182; F. Torraca, Per la biografia di G. Boccaccio, Milano-Roma-Napoli 1912, pp. II, 165 s., 20, 31, 34; M. Cantor, Vorlesungen über Geschichte der Mathematik, Leipzig 1913, p. 165; L. Thorndike, A.D., Profacius Iudaeus, and the Alphonsine Tables, in Isis, X (1928), pp. 52-56; Id., A history of magic and experimental science, III, New York, 1934, pp. 190-204 e 692 ss.; A. Cappellini, Dizionario biogr. di genovesi illustri e notabili, Genova 1936, p. 58; L. Thorndike, The Sphere of Sacrobosco and its commentators, Chicago 1949, pp. 35 s., 463-475; Id., Further incipits of mediaeval scientific writings in Latin, in Speculum, XXVI (1951), p. 690; P. Dulien, Le système du monde, Paris 1954, IV, pp. 266-278; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 82, 86, 125, 138, 180; II, pp. 158, 228, 325, 336, 348, 443, 506; G.-F. Klichaud-G. L. Michaud, Biographie universelle..., XXX, pp. 317 s. (sub voce Nero); N. Sapegno, Boccaccio, in Diz. Biogr. degli Ital., Roma 1968, p. 839; A. M. Cesari, Theorica planetarum di A. D. Questioni di astronomia. Indagine delle fonti astronomiche nelle opere del Boccaecio. Edizione critica, in Physis, XXVII (1985), 1-2, pp. 181-235.