Andalusia
di T. Falcón Márquez
Regione della Spagna meridionale, coincidente in parte con la prov. romana della Betica. I confini e lo stesso concetto storico-geografico di A. si sono trasformati nel corso dei secoli; la denominazione deriva infatti dall'arabo Andalus, nome con cui vennero designati i territori occupati dai musulmani nella penisola iberica. Con il procedere della riconquista cristiana, il territorio definito al-Andalus si andò via via ridimensionando e il termine A. si riferì quindi solo agli ultimi territori rimasti sotto la dominazione araba. Occorre comunque precisare che, fin dal Tardo Medioevo, i cristiani riservarono la denominazione di A. ai territori conquistati da Ferdinando III nel 13° secolo.
Già durante il Basso Impero, l'A. si caratterizzava come un importante crocevia culturale, aperto alle influenze delle Chiese gallica e nordafricana e posto in comunicazione con tutto il bacino del Mediterraneo attraverso i grandi porti di Tarragona, Cartagena e Cadice.
La parte meridionale della penisola iberica, la Betica in particolare, forse la più romanizzata delle province della Hispania, costituì uno dei primi canali di penetrazione del cristianesimo; un'attendibile tradizione della fine del sec. 1° attesta infatti la predicazione di s. Paolo nell'A. occidentale e la presenza dei 'sette uomini apostolici', discepoli di s. Giacomo, nella Betica orientale.
Le prime fonti sicure circa le origini del cristianesimo in A. risalgono comunque al sec. 3°, quando, in una lettera del sinodo di Cartagine, datata 254 e firmata da Cipriano e da altri trentasei vescovi africani, si danno notizie di varie diocesi spagnole. Fu in questo periodo che iniziarono, sotto Decio e Valeriano, le persecuzioni nella penisola iberica, che in A. furono particolarmente violente al tempo di Diocleziano, tra il 303 e il 305. Tra i numerosi martiri della regione vanno ricordati Giusta e Rufina (a Siviglia) e Acisclo, Gennaro e Marziale (a Cordova); particolarmente venerata in tutta la regione è s. Eulalia da Mérida.Il sec. 5° rappresentò per l'intera penisola iberica una fase di transizione che vide la fine della dominazione romana, il passaggio dei Vandali e l'insediamento dei Bizantini in una vasta area che si estendeva da Medina Sidonia (Cadice) a Denia (Alicante), riunita in una sola unità amministrativa, la provincia Spania, sottoposta all'autorità di un dux. Il resto della Betica venne occupato dai Visigoti, il cui potere venne rafforzato dalla progressiva unificazione politica della penisola sotto Leovigildo e dalla conversione al cristianesimo sancita da Recaredo, con il concilio di Toledo, nel 589.
Tra il 623 e il 625 il re Suintila sconfisse definitivamente i Bizantini; da allora, e fino al 711, l'A. appartenne interamente alla monarchia visigota. Nel corso del sec. 7° si consolidò anche l'organizzazione ecclesiastica, particolarmente quando, sotto Recesvindo (649-672), l'A. venne strutturata in diocesi; Siviglia divenne sede metropolitana con nove diocesi suffraganee: Italica, Asidonia (Medina Sidonia), Elepla (Niebla), Malaca, Iliberis (Granata), Astigi (Ecija), Corduba, Egabrum (Cabra) e Tucci (Martos). Fu questo il momento di maggior fulgore della cultura visigota, incentrata sulla figura di Isidoro di Siviglia, autore delle Ethymologiae, sintesi del sapere antico da cui gli uomini del Medioevo attinsero molte delle loro conoscenze.
Dopo l'invasione araba del 711 rimasero nella regione nuclei di popolazione cristiana, i Mozarabi, che nelle città vivevano in quartieri separati, protetti in alcuni casi da statuti e leggi assai tolleranti.
Tuttavia le vere e proprie persecuzioni di cui talvolta essi erano oggetto provocarono un forte flusso migratorio verso la Castiglia e il León, determinando così la crisi dell'organizzazione ecclesiastica nella regione.
Questa fase si protrasse fino al sec. 13°, quando il procedere della Reconquista condusse nuovamente gran parte dei territori andalusi nell'orbita cristiana. Dopo la battaglia di Las Navas di Tolosa (1212) e dopo la successiva conquista della valle del Guadalquivir da parte delle truppe castigliano-leonesi, l'A. venne divisa in due parti: una sottoposta alla corona di Castiglia e l'altra annessa al regno musulmano di Granada, fondato nel 1238 da Muḥammad b. Yūsuf b. Naṣr.In quest'epoca l'A. si estendeva per km2 55.000 ca., comprendendo più o meno le attuali province di Jaén, Cordova, Siviglia, Huelva e Cadice, ed era suddivisa nei tre regni di Jaén, Cordova e Siviglia.
Nonostante tale suddivisione, già in questa fase l'unità territoriale dell'A. è testimoniata sia nell'amministrazione - con la creazione di istituzioni quali l'adelantado dell'A., il sommo notaio d'A., il tesoriere maggiore, ecc. - sia nella creazione di federazioni tra i municipi andalusi.
La diocesi più importante, dopo Toledo, era quella di Siviglia al cui metropolita erano sottoposte le sedi suffraganee di Medina Sidonia (spostata in seguito a Cadice), Silves (Portogallo), Canarie e Marocco.
Al seguito di Ferdinando III giunsero nella regione i Francescani, quindi i Domenicani, gli Agostiniani, i Carmelitani e i Mercedari, con i rispettivi rami femminili di suore di clausura, oltre alle monache cistercensi.
L'arte paleocristiana andalusa è testimoniata da una serie di manufatti, soprattutto sarcofagi, rinvenuti nel corso di scavi in aree cimiteriali (in particolare a Cordova, Martos e Italica), mentre poche sono le testimonianze architettoniche pervenute. Tra gli edifici a carattere funerario conservati, si deve ricordare l'aula triloba della villa di Las Mezquitillas (Siviglia), che rivela forti legami con quelle di Centcelles (Tarragona) e di Cocosa (Badajoz). Nel centro della necropoli cristiana di San Pedro de Alcántara (Málaga) rimangono resti di una basilica ad absidi contrapposte, di tipo nordafricano. La recente scoperta di un fonte battesimale, appartenente a una basilica paleocristiana, nel patio delle Bandiere dell'Alcázar di Siviglia, in un'area in cui le iscrizioni indicano l'esistenza di un foro di corporazioni, ha permesso a Blanco Freijeiro (1979) di accertare l'esistenza di edifici religiosi nelle vicinanze delle mura o immediatamente all'esterno della città antica.
L'arte paleocristiana andalusa appare influenzata, oltre che dalla cultura artistica nordafricana, anche da opere provenienti da botteghe dell'area mediterranea. Lo testimonia tra l'altro il fatto che proprio in A. si trovano le uniche tre sculture a tutto tondo del Buon Pastore esistenti in Spagna: due di esse provengono da Gador (Almería, Mus. Arqueológico Prov.) e devono essere assegnate con ogni probabilità a botteghe orientali; la terza, che si trova nella c.d. casa di Pilato a Siviglia, potrebbe essere però giunta dall'Italia con il gruppo di sculture che Per Afán de Ribera, viceré di Napoli (1558-1571), inviò per la sua casa. I sarcofagi paleocristiani conservati provengono da officine sia romane, sia locali; tra quelli del tipo 'a colonne' sono da ricordare il sarcofago conservato a Cordova (Mus. Arqueológico Prov.) e quello di Martos, forse il pezzo tardocostantiniano più interessante tra i sarcofagi spagnoli.
Quella che de Palol (1967) definisce 'arte ispanica del periodo visigoto' affonda le sue radici nell'arte provinciale tardoromana e nei valori nuovi che vi infuse il cristianesimo. I centri più importanti in questa fase furono Siviglia e Toledo; la prima, saccheggiata nel 426 dal vandalo Gunderico, che spogliò la basilica in cui si trovavano le reliquie di s. Vincenzo, raggiunse grande splendore sotto i Visigoti, tanto che gli Arabi, trovandola intatta al momento della conquista, la definirono, secondo l'Ajbar Machmua (Cronica anonima del siglo X, a cura di E. Lafuente y Alcantara, Madrid 1867), la maggiore e più importante città di Spagna. Di questa fase si sono conservati solo alcuni capitelli, reimpiegati in altri monumenti (Alcázar, chiesa del Salvatore) e agli angoli di alcune strade.
Secondo le fonti, anche la città di Cordova possedeva edifici di culto di grande splendore, come le basiliche dedicate ai ss. Felice, Acisclo, Zoilo, Eulalia, Vincenzo; quest'ultima venne utilizzata dai musulmani prima della costruzione della Grande moschea, in cui vennero reimpiegati, al tempo di 'Abd al-Raḥmān I (756-788), diversi capitelli corinzi. Tra i resti monumentali vanno annoverate anche le vestigia delle mura, con la porta di Siviglia, e della basilica della collina di El Germo.
Nel campo delle arti suntuarie, e in particolare della oreficeria, bisogna citare il tesoro di Torredonjimeno (prov. di Jaén; Cordova, Mus. Arqueológico Prov.), databile intorno alla metà del sec. 7°, proveniente da un tempio dedicato alle martiri sivigliane Giusta e Rufina e paragonabile per importanza a quello di Guarrazar, nelle vicinanze di Toledo (Parigi, Mus. de Cluny).
A causa delle persecuzioni, in questa regione rimangono pochissime vestigia dell'architettura mozarabica; occorre menzionare una serie di chiese rupestri, localizzate nella Sierra di Malaga, nei territori di Ardales, Coín, Ronda e Pizarra, tra le quali è da segnalare quella di Bobastro, dove si rifugiò il caudillo Umar b.Ḥafṣūn (m. 917), dopo la sua conversione al cristianesimo. Nel campo dell'arte mozarabica ebbero un ruolo importante le miniature, anche se quelle conservate non sono di altissima qualità, fatta eccezione per la Biblia Hispalense, del sec. 10°, ora a Madrid (Bibl. Nac., Vit. 13-1).
In A. non si trovano testimonianze dello stile romanico, essendo in quell'epoca la regione sotto il dominio almohade. Il primo stile europeo giunto a queste latitudini, il Gotico, promosso dalla monarchia e imposto dai conquistatori castigliani, ebbe caratteristiche peculiari, in un territorio fortemente segnato dalla tradizione islamica. Gli edifici più significativi vennero costruiti nella seconda metà del sec. 13°, durante il regno di Alfonso X, a Siviglia, la città più popolosa della penisola. Nella grande maggioranza dei casi essi presentano una muratura mista - in laterizio con elementi strutturali in pietra lavorata - il cui impiego va ricondotto alla mancanza di cave negli immediati dintorni e all'assenza di maestranze specializzate. Il primo edificio religioso costruito dopo la Reconquista fu quello di Santa Ana, edificato tra il 1276 e il 1280; si tratta di un tipo di chiesa fortificata, il cui modello influì su quella di San Antón a Trigueros (Huelva) e su quella di Santa Clara a Moguer (Huelva). La più importante opera d'architettura civile sivigliana fu la costruzione del palazzo gotico, nel recinto dell'Alcázar; nell'ambito del primo Gotico si distinguono alcune chiese a Jerez (San Dionisio, San Juan e San Mateo) e a Cordova (San Miguel e San Pedro), mentre l'opera di maggior importanza del Gotico andaluso è la cattedrale di Siviglia (1401-1507).
La scultura gotica ebbe il suo centro principale nel regno di Siviglia; all'epoca di Ferdinando III (1230-1252) risale un gruppo di immagini mariane conservate nella cattedrale sivigliana: la Vergine dei re Magi, patrona della città, la Vergine delle Battaglie e la 'Virgen de la Sede'. Tra i crocifissi più antichi, risalenti al sec. 14°, va soprattutto ricordato il Cristo del Milione, nel retablo maggiore della stessa cattedrale.Inizialmente per la pittura gotica rivestì un ruolo molto importante la miniatura, che ebbe un notevole centro nello scriptorium creato da Alfonso X nell'Alcázar di Siviglia; tra le opere più significative va annoverato il manoscritto del Libro de ajedrez (Libro degli scacchi; Escorial, Bibl., T. I. 6), datato al 1283.
Nella pittura murale, alla fine del sec. 14°, si diffuse nell'area sivigliana un tipo iconografico della Vergine che ebbe molto favore; gli esempi più significativi sono quelli della Vergine di Rocamador, nella chiesa di San Lorenzo, e della Vergine del Corallo, nella chiesa di San Ildefonso. Un secondo centro importante fu Cordova, la cui produzione pittorica si riallaccia al Gotico italiano, come testimoniano i resti della decorazione della cappella di Villaviciosa nella cattedrale, oggi conservati nel Mus. Arqueológico Provincial.
Anche dopo la Reconquista nel panorama artistico spagnolo sopravvissero, almeno come continuità di gusto estetico, sensibili tracce dell'arte islamica. Lo stile mudéjar andaluso, particolarmente vitale e spontaneo, appare la risultante di almeno tre componenti: la tradizione almohade, gli apporti del mudéjar toledano e l'influenza diretta dell'arte nasride. Le chiese che si ricollegano a questo stile, presentano normalmente una o tre navate coperte con soffitti artesonados, sostenuti da archi a sesto acuto; le facciate sono in pietra e presentano archivolti ogivali e torri a pianta quadrata secondo la tradizione almohade. Durante il regno di Pietro I il Crudele, alla metà del sec. 14°, si diffuse un modello di chiesa parrocchiale con capocroce di stile gotico, i cui esempi più significativi sono San Marcos, Santa Marina e Omnium Sanctorum a Siviglia. In questa stessa epoca, riutilizzando il palazzo al-Mubārak, venne costruito il palazzo mudéjar dell'Alcázar di Siviglia, la cui facciata è datata 1364. A Cordova la fortuna dello stile mudéjar è testimoniata dalle chiese di San Miguel e San Pedro e dalla sinagoga, degli inizi del sec. 14°, che ricorda quella del Transito di Toledo, ma l'opera più importante è certamente la Cappella Reale nella moschea-cattedrale, costruita ai tempi di Enrico II di Trastamard (1366-1379).
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di B. Pavón Maldonado
Con l'arrivo nel 756 di 'Abd al-Raḥmān, principe omayyade emigrato dalla Siria, nella penisola iberica, dopo mezzo secolo dall'insediamento arabo, si costituì l'emirato di Cordova, città destinata a diventare in seguito capitale dell'Andalus. Cordova divenne ben presto una delle città più potenti del bacino mediterraneo e diede vita a un'arte con caratteristiche peculiari, gi'a evidenti nella sua celebre moschea del 785. Quest'arte, che continuò a svilupparsi fino alla fine del dominio musulmano (1492), è stata definita arte ispano-musulmana.
Dopo la disfatta dei Visigoti a Guadalete nel 711, la Hispania romana da essi ereditata fu soggetta a un processo di mutamento determinato dai dominatori arabi. Il rinnovamento delle città e dei borghi, seppur lento, fu incessante; sulle vecchie chiese visigotiche sorsero moschee. Le fortificazioni e i palazzi vennero rinnovati o sostituiti da solide fortezze chiamate alcazabas (termine spagnolo dall'arabo al-qaṣaba 'fortezza-cittadella') e ḥiṣn: le città, si ristrutturarono quindi sul modello della madīna (in arabo 'città', qui inteso come 'cittadella') nordafricana di stampo islamico. L'antica rete stradale, ponti inclusi, della Spagna romana fu in gran parte riutilizzata e costellata da possenti castelli di nuova costruzione, edificati sulle alture e sulle rive dei fiumi. Una simile qualificazione del paesaggio, fondamentalmente di tipo militare, rispondeva alla duplice necessità di sottomettere la popolazione discendente da quella ispano-romana e di facilitare l'avanzata dell'Islam verso le terre del Nord che gli Arabi chiamavano Marca Superior (capitale: Saragozza), per distinguerla dalla Marca Media (capitale: Toledo) e dalla Marca Inferior o terra di A. (capitale: Cordova). La moschea di Cordova, costruita da 'Abd al-Raḥmān I, fu la prima manifestazione dell'arte ispano-musulmana perché in essa si sovrapposero influenze diverse dell'architettura del Basso Impero e di quella visigotica, oltre a influssi definibili meno precisamente provenienti da Bisanzio, dalla Siria e dall'Africa settentrionale. La moschea di Cordova non nacque infatti come frutto o conseguenza di un'azione diretta ed esclusiva dell'architettura islamica d'Oriente, ma al contrario inaugurò un'arte nuova che accrebbe la cultura araba.Secondo quanto narrano le cronache arabe dell'epoca, in un primo tempo i musulmani e i cristiani di Cordova condivisero la vecchia basilica visigota di San Vicente, posta nelle vicinanze del palazzo visigotico utilizzato dai primi emiri; da una delle sue torri infatti il muezzin chiamava i fedeli alla preghiera. La moschea cittadina con il passare del tempo divenne, insieme a quella tunisina di Kairouan, il tempio islamico più importante dell'Occidente.
La basilica cristiana, che 'Abd al-Raḥmān I abilitò al culto islamico, non offriva tuttavia uno spazio adeguato a una popolazione costantemente in crescita, perciò l'emiro, dopo aver espropriato ai cristiani la metà del tempio, fece costruire una moschea che venne realizzata nell'arco di un anno. Questa prima moschea era di impianto rettangolare, con undici navate orientate da N a S di cui quella centrale leggermente più ampia; nell'abside meridionale, che fungeva da muro della qibla (la direzione della Mecca), venne scavata una nicchia o miḥrāb verso cui i fedeli dovevano rivolgere lo sguardo. All'interno, le navate presentavano centodieci colonne che sostenevano archi moreschi sovrapposti, geniale struttura ispirata all'acquedotto romano di Los Milagros a Mérida e il cui risultato finale fu una grande sala ipostila di notevole maestosità e monumentale grandezza.
A partire dal 932, anno in cui venne proclamato califfo di Cordova, 'Abd al-Raḥmān III, insieme al figlio al-Ḥakam II promosse diversi ampliamenti nell'edificio che, da allora, seguendo la planimetria delle moschee orientali, ebbe una corte interna (ṣaḥn) circondata su tre lati da un portico (riwāq), una torre per il muezzin ubicata al fondo del cortile (al-ṣawm'a o al-manār), mentre nell'oratorio coperto venne installato un superbo miḥrāb, preceduto da cappelle o qubba, dove prendevano posto il califfo e l'imām, colui che dirige la preghiera rituale. In quest'epoca fu introdotto l'arco lobato che, importato dall'Iraq, venne in seguito alternato al tradizionale arco moresco. Bisanzio diede un contributo a questi interventi inviando un artista specializzato nell'arte del mosaico insieme a q. 320 di tessere vitree, regalo personale dell'imperatore Niceforo Foca al califfo al-Ḥakam II, per ornare di mosaici il nuovo miḥrāb e la cupola della cappella centrale. Le vicende costruttive della moschea ebbero termine con l'ampliamento di Almanzor (al-Manṣūr), primo ministro del califfo al-Hishām II, che fece aggiungere otto nuove navate intorno al 990, cosicché da allora la moschea ne ebbe diciannove.
L'arte ispano-musulmana giunse al suo apogeo con la Grande moschea di Cordova che inaugurò uno schema liturgico al quale si rifecero, pur nella diversità di forme e dimensioni, gli analoghi edifici di culto che rapidamente popolarono l'Andalus. Eccelsero la moschea di Madīnat al-Zahrā', i cui resti sono stati rinvenuti in recenti campagne archeologiche, e quella del Cristo de la Luz, a Toledo, datata 999, costruita in mattoni e pietre e coperta al suo interno con cupole ad archi intrecciati che imitano quelle della moschea cordovana.
Madīnat al-Zahrā', fondata da 'Abd al-Raḥmān III nel 936, fu una madīna residenziale dei califfi, equivalente a quella di Samarra dei sovrani abbasidi o a quella di Raqqāda dei monarchi aghlabidi di Tunisi. Essa sorse a km. 8 da Cordova e venne chiamata al-Zahrā' in memoria di una favorita del califfo; i palazzi vennero edificati sui pendii del monte della Novia Ŷabel al-Arus ( Jabal al-'Arūs). Per le sue dimensioni - m. 740 da N a S e km. 1,5 da E a O - e la sua ricchezza Madīnat al-Zahrā' fece concorrenza alle città di Costantinopoli e di Baghdad, da dove, secondo i cronisti arabi, arrivarono a Cordova artisti e materiali di lusso. All'esterno il colore dei palazzi era bianco, ma all'interno vi era gran profusione di decorazioni scolpite e intarsiate, in pietra arenaria e in marmo; le colonne erano ancora ispirate all'ordine composito e a quello corinzio dell'architettura romana, mentre sulle modanature abbondavano decorazioni che si rifacevano a modelli visigoti e bizantini.
A Madīnat al-Zahrā' venne introdotta l'arte dei giardini da architetti persiani e iracheni: i palazzi erano preceduti da cortili porticati e da giardini; ampie cisterne comunicavano tra di loro attraverso canali che intersecandosi davano luogo alla tipica pianta quadripartita del giardino islamico che tanto favore ebbe nel mondo arabo, da Samarra al patio dei Leoni dell'Alhambra e ai mudéjares sivigliani del 14° secolo. Architettura, acqua e vegetazione in un disegno armonioso di impeccabile geometria divennero poi componenti basilari della architettura palatina degli arabi di Spagna.
Madīnat al-Zahrā' ospitò il meglio dell'artigianato artistico: tessuti (tirāz), ceramiche, oggetti di bronzo e rame, statuette . di cristallo di rocca, mobili con intarsi d'avorio e legni pregiati furono prodotti nelle botteghe cordovane oppure importati da terre lontane; nel corso di recenti scavi sono stati trovati resti di ceramica a lustro di Samarra. A Cordova si fabbricavano cassettine e cofanetti eburnei di ottima fattura con motivi decorativi simili a quelli del repertorio monumentale: per es. il c.d. 'cofanetto di Zamora', datato 964, e dedicato alla madre del principe 'Abd al-Raḥmān (Madrid, Mus. Arqueológico Nac.) e lo 'scrigno di Pamplona' (Pamplona, Mus. Diocesano), del 1005, nel quale vennero rappresentati animali esotici e scene di corte, contravvenendo alle leggi islamiche che proibivano questo tipo d'arte figurata. Candelabri e acquamanili di bronzo e rame - fra cui si distingue quello noto come 'Leone di Monzón' - presentano sorprendenti somiglianze con oggetti metallici d'epoca fatimide del Cairo. Dalla loro comparsa a Madīnat al-Zahrā', la ceramica a cuerda seca e quella a ingobbio con ritocchi di manganese e copertura vetrificata godettero di grande popolarità in tutto l'Andalus; le principali botteghe di vasai si trovavano a Cordova, Elvira-Granada, Malaga, Paterna e Manises, Toledo e Calatayud.
Con la caduta e il conseguente smembramento ( fitna) del califfato di Cordova nel sec. 11°, le manifestazioni artistiche ispano-musulmane entrarono in una nuova fase in cui i materiali nobili dell'architettura cordovana vennero sostituiti da altri più deperibili come il mattone, lo stucco, il legno e le ceramiche invetriate, ma non diminuì la tendenza alla ricchezza e alla raffinatezza dell'epoca precedente. Quest'arte, che rimase fedele alla planimetria dei palazzi e delle fortezze cordovani, si espresse nelle capitali dei piccoli regni indipendenti o di Taifas: Saragozza, con la Aljafería, palazzo-fortezza fuori delle mura della madīna che evoca i qaṣr omayyadi della Siria; Toledo, dove il re alMa'mūn innalzò stupendi edifici nella cittadella o almudaina al-Hizam, i cui resti marmorei mostravano l'ascendenza cordovana di un'arte che si affermò all'interno di case principesche e di residenze di campagna (almunias) ubicate vicino al fiume Tago. Granada, Almería, Málaga, Siviglia e Badajoz ospitarono artisti cordovani che lavoravano con grande abilità lo stucco e il legno. Delle prime tre città si distinguono le rispettive rocche fortificate, metà palazzi e metà fortezze, costruite sotto la dominazione della dinastia ziride, con sede nella Gharnāṭa araba (Granada) nei cui palazzi dello Albaycín abitarono i re Bādīs e Ḥabūs.
Tutta questa attività artistica plasmò lentamente la fisionomia delle città che nei secc. 11° e 12° raggiunsero modelli compiuti e definitivi. La sovrapposizione delle culture romana e islamica, la componente militare e la islamizzazione che modificò lentamente ma progressivamente l'habitat ispanomusulmano, furono i fondamenti di uno sviluppo che superò sotto molti aspetti quello dell'Europa occidentale. La città aveva intorno alla zona per le attività commerciali, la moschea principale, i mercati e il quartiere dei setaioli, i bagni o ḥammām per lo svago e la vita di società (bagni califfali della piazza dei Martiri a Cordova e il Bañuelo di Granada) e inoltre depositi, negozi di cereali, ostelli per forestieri e ricoveri per il loro bestiame ('casa del Carbone' a Granada), ospedali o māristān. In periferia si trovavano invece i cimiteri (maqābir), le cappelle di santoni (rábitas) e le qubba (eremo di San Sebastián a Granada). Essendo parte della madīna, anche se isolata e installata sulla vetta del monte, la rocca fortificata divenne la residenza abituale dei sovrani. Man mano che aumentava la popolazione sorsero quartieri periferici, spazi recintati racchiusi nelle mura della madīna dotati di torri e porte inespugnabili, le une e le altre precedute da un antemurale o barbacane. In campo aperto il castello, con il suo albacar o recinto aggiuntivo per accogliere i contadini e le loro mandrie nei momenti di pericolo, equivaleva alle fortezze urbane. Fra città, comuni e castelli vennero costruite numerose torri di guardia (atalayas) per avvistare il nemico.
Le città ispano-musulmane di nuova fondazione, ventitré complessivamente, a volte raggiunsero dimensioni equivalenti per grandezza a quelle costruite sui preesistenti stanziamenti romano-visigoti. Molte di esse mostrano nel nome l'ascendenza islamica: Calatayud, Calatrava, Almería, Madrid, Gibraltar (Gibilterra) e Madīnat al-Zahrā'. Cordova e Toledo erano città di primaria importanza e superavano per estensione i 50 ha; alla fine del sec. 10° la prima aveva novecento bagni e più di cinquecento moschee.
Dopo le dominazioni degli Almoravidi e degli Almohadi - berberi africani che riuscirono a impadronirsi dell'Andalus e a fare di Siviglia la loro capitale, dove fu innalzata una grande moschea con l'annessa 'Giralda', esempio di possenza e monumentalità - il territorio dominato dagli Arabi fino al sec. 15° si ridusse alle attuali province di Almería, Granada, Malaga e parte dell'Andalus occidentale.
Cordova e Siviglia furono conquistate da re Ferdinando III il Santo verso la metà del 13° secolo. Da questa data nel regno di Granada s'impose la dinastia nasride il cui fondatore, Abenalamar (Muḥammad I al-Ghālib bi'llāh), fece della città la sua residenza abituale e suo figlio Muḥammad II fondò sulla collina della Sabīka - ai piedi della Sierra Nevada - la fortezza dell'Alhambra, nucleo preurbano della cittadella omonima. I suoi successori riuscirono poi a fare di quest'ultima una città palatina paragonabile a Madīnat al-Zahrā' e vi rimasero finché i Re Cattolici non li espulsero nel 1492.
I sovrani Yūsuf I e Muḥammad V nel sec. 14° popolarono l'Alhambra di ogni tipo di edificio e nel contempo ne rinforzarono le mura originarie con solide torri e porte monumentali, ponendo in evidenza su di esse, quali talismani, una chiave e una mano aperta. Da allora l'Alhambra divenne città, palazzo e fortezza, perfetta sintesi dell'arte ispano-musulmana, fortunatamente preservatasi fino a oggi nonostante la deperibilità dei materiali impiegati. Yūsuf I ordinò di costruire le porte monumentali della Giustizia e delle Armi e il palazzo di Comares con il famoso patio de los Arrayanes o dell'Alberca, che precedeva il salone del trono o salone di Comares. Vicino a esso si ergeva il baño real con la sala de las camas all'ingresso e, a imitazione delle terme romane e dei bagni cordovani, il tepidarium, il calidarium e il frigidarium.
Fra il 1362 e il 1394 Muḥammad V fece costruire lo straordinario palazzo dei Leoni con il giardino e una fontana nel mezzo, sostenuta da dodici leoni, dove convergevano, formando una pianta cruciforme, quattro canali. Intorno al giardino vennero edificate le sale delle Due Sorelle, degli Abencerrajes e della Giustizia, adornate con stucchi e soffitti a stalattiti mozarabici di squisita fattura; in esse si svolgeva la vita pubblica e privata dei re di Granada. Al fine di sopperire all'assenza di raffigurazioni animalistiche e antropomorfe si fece ricorso a brani letterari o poetici che passarono dalla carta agli stucchi e al legno, resi in caratteri arabi sia corsivi sia cufici a formare interminabili iscrizioni in cui sono presenti il nome di Allāh e quello del profeta Maometto, che precedono quelli di Yūsuf I e Muḥammad V. Non si conoscono i nomi degli artisti che innalzarono i palazzi dell'Alhambra, ma sono noti quelli di coloro che crearono gli ispirati poemi delle pareti: Ibn al-Yayyāb e Ibn Zamrak, poeti ufficiali di corte.
L'influenza dell'Alhambra e in generale l'apertura ai cristiani del Nord dell'A. islamizzata a seguito della conquista di Siviglia nel 1248 da parte di re Ferdinando III contribuirono al consolidamento dell'arte mudéjar (termine che vuol dire 'musulmano che vive in terre cristiane'). Dal sec. 12° i mudéjares misero a disposizione dei monarchi cristiani il meglio delle concezioni architettoniche islamiche che furono conservate perché monarchi, arcivescovi e nobiltà castigliana e andalusa, impossessandosi delle popolose madīnat arabe, sentirono il desiderio di abitare nelle ricche dimore dei loro avversari, più confortevoli dei palazzi occidentali in pietra. Palazzi di stile islamico erano i mudéjares di Tordesillas (Valladolid) e dell'Alcázar di Siviglia eretti da re Pietro I il Crudele. Nelle città conquistate le prime chiese sorsero sulle stesse moschee, fatto che provocò in seguito una forte islamizzazione degli edifici cristiani di nuova costruzione. Tra questi si distinguono le chiese di San Román e di Santiago del Arrabal, a Toledo; in Aragona quelle di Daroca e di Santa Maria di Calatayud e, a Siviglia, la chiesa di San Marcos la cui torre è una modesta replica della 'Giralda'.
L'arte ispano-musulmana si esaurì nel sec. 16° con i palazzi mudéjares in cui si affermarono gli stili gotico e rinascimentale: la cappella di San Ildefonso ad Alcalá de Henares (Madrid), il palazzo di Ocaña (Toledo) e la c.d. casa di Pilato a Siviglia. Fino alla loro definitiva espulsione agli inizi del sec. 17°, i mori si mantennero fedeli alla tradizione musulmana dei loro avi, come testimonia la casa del Chapiz a Granada che evoca molto chiaramente l'Alhambra.
Bibliografia
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