ANDAMANE (A. T., 93-94)
Isole del Golfo del Bengala, a 120 miglia circa dal Capo Negrais in Birmania, il punto del continente ad esse più vicino.
Storia della esplorazione. - Marco Polo fa cenno brevemente delle Andamane, sotto il nome di "Angaman" e degli abitatori antropofagi dalle teste di cane. È probabile che il Polo sia passato in vista delle isole senza approdarvi, navigando fra Sumatra e l'isola di Ceylon, nel 1292. La riputata ferocia degli indigeni ne teneva lontane le navi. Anche Niccolò de' Conti costeggiò le isole verso il 1440, recandosi da Sumatra a Tenasserim (Birmania), e Cesare Federici (1569) intravide solo alcuni abitatori avvicinatisi alla nave con le loro barche.
Nei tempi moderni, lo studio geografico delle Andamane è stato fatto da ufficiali dei varî governi inglesi dell'India, allo scopo di stabilirvi un penitenziario e di metter fine agli atti sanguinosi di pirateria commessi dagl'indigeni. Così, i lavori topografici eseguiti dal Colebrooke e dal Blair nel 1788-89, prepararono l'installazione della prima colonia penale (abbandonata nel 1796), e la missione diretta da F. Mouat precedette il secondo impianto nel 1857-58. I risultati geografici e statistici di tali missioni sono esposti in relazioni ufficiali pubblicate dal governo delle Indie.
Le isole principali formano una lunga linea stendentesi da N. a S. fra 10°30′ e 13°30′ di latitudine N. Le maggiori (Andaman settentrionale, Andaman centrale, Andaman meridionale) giacciono molto vicine l'una all'altra, e formano la Grande Andaman: più a S. è l'isola detta Piccola Andaman: vi sono inoltre circa 200 isolotti, costituenti l'arcipelago Ritchie, ad E. dell'allineamento principale. L'area totale è di kmq. 6495. La maggiore larghezza, nella Grande Andaman, che si stende in lunghezza per 320 km., supera di poco i 40 km.
Geologicamente, l'arcipelago forma la continuazione del ripiegamento terziario dei monti dell'Arakan, nella Birmania; si tratta, in massima parte, di terreni eocenici; ma non mancano piccole aree di sedimenti più antichi, con grandi masse di serpentino e alcune plaghe calcari probabilmente mioceniche. Ad est del gruppo, nel Golfo di Martaban, sono gl'isolotti vulcanici di Narcondam e Barren Island. Scogli corallini orlano tutte le coste. Il rilievo culmina a 728 m.; le alture maggiori sono in genere più vicine alla costa orientale, e scendono da questo lato anche più ripide, onde la costa è molto frastagliata ed ha lunghe e strette insenature che si addentrano nell'isola per molti chilometri. Paludi di mangrovie fasciano tutta la costa, eccettuati i luoghi più esposti. Il clima può essere descritto come intermedio fra quello delle parti dell'India battute da monsoni tropicali, e ìl clima equatoriale delle Indie Orientali. La temperatura varia solo di pochi gradi da una stagione all'altra, ed ha una media annuale di 29°4. Le precipitazioni sono ovunque abbondanti, con una media annua approssimativa di 3 metri, a Port Blair di 4, 10 metri. La pioggia raggiunge la massima abbondanza fra giugno e settembre, durante i monsoni di sud-ovest, ma anche il restante dell'anno è tutt'altro che asciutto. Molti dei pericolosi cicloni, dei quali è un'eco nel Milione, così frequenti nel Golfo di Martaban, pare provengmo dalle isole Andamane. Se si eccettuano i dintorni di Port Blair (Andaman meridionale) e altri pochi luoghi ove gli alberi sono stati abbattuti, le isole sono coperte, dal mare fino alle cime dei monti, da una fitta foresta sempreverde, che fornisce molto legname di valore. Più conosciuto di tutti il padauk, o legno rosso di Andaman (Pterocarpus dalbergioides). I soli grandi mammiferi sono: un porco selvatico (Sus andamonensis Blyth) e una specie di zibetto (Paradoscurus tytlerii Tytler). La popolazione, secondo il censimento del 1921, era di 17.814 abitanti (15.551 maschi e 2263 femmine). Fin dal 1858, queste isole sono state usate dal governo dell'India come penitenziario per i condannati o a vita o ad un lungo periodo, pratica che si sta abbandonando, per incoraggiare invece l'immigrazione degl'Indiani, che già costituiscono il nucleo principale della popolazione libera. I prigionieri (1925) sono circa 8.000; gl'indigeni soltanto 786 (414 maschi e 372 femmine). La noce di cocco (Cocos nucifera) e l'albero della gomma (Hevea brasiliensis) vi crescono bene, e vi possono pure essere coltivate le piante da fibra, come la canapa di Manilla (Musa textilis). Lavori importanti di bonifica sono in corso. Nel 1925 vi erano 9263 bovini e 2820 capre. Il grosso della popolazione (13.300 ab. nel 1925) è concentrato a Port Blair e nei suoi dintorni: buon porto naturale sulla costa est dell'Andaman meridionale, collegato mediante radiografia con la Birmania, mentre un vapore settimanale mantiene le comunicazioni con Rangoon, Calcutta e Madras. Altri luoghi di ancoraggio sicuri sono Port Cornwallis (Andaman settentrionale) e Stewart Sound, quest'ultimo situato in posizione conveniente per l'industria forestale.
Le isole Andamane e Nicobare formano una delle provincie minori dell'India Britannica, sotto il governo di un capo commissario, che risiede a Port Blair ed è rappresentato nelle isole Nicobare (v.) da un sottocommissario.
Gli Andamanesi. - Gl'indigeni furono i primi "negroidi" della regione indo-malese ad essere conosciuti, e le antiche notizie arabe, che davan loro l'aspetto di can mastino, furon raccolte da Marco Polo.
Costituiscono uno dei tre gruppi dei cosiddetti Negritos (etimologicamente piccoli Negri), così chiamati per distinguerli dai Negrilli (piccoli Negri dell'Africa). Gli altri due gruppi sarebbero i Semang della penisola Malese e gli Aeta delle Filippine. Sennonché, è probabile che esistano non piccole differenze fra i tre gruppi, non volendosi qui parlare delle differenze fra Negritos e Negrilli.
Il Flower, fondandosi sopra l'esame di una buona serie di cranî, già nel 1879 rilevava la scarsa somiglianza della faccia, soprattutto nella regione interorbitaria, con quella del cranio negro, soffermandosi sulla assenza d'ogni depressione della radice nasale. Sinora non abbiamo nessuno studio condotto sistematicamente sul vivente. Dal materiale fotografico noto si può constatare però come il naso sia discretamente rilevato, mentre il dorso si presenta più rotondeggiante che a spigolo (Sera); il naso è stretto in basso, nella regione delle ali, e non ha l'aspetto negro; gli zigomi sono un poco prominenti e le labbra non sono molto grosse. Ciò del resto è stato confermato dal von Eickstedt, che, recentissimamente, ha visitato e studiato gli Andamanesi, riferendoci in via preliminare, molto brevemente, alcuni risultati della sua indagine.
Le misurazioni del Census of India dànno, per l'indice cefalico orizzontale, una media di 82,30; per l'indice nasale (rapporto fra la larghezza e l'altezza), negli Andamanesi del S., 88,2, per la statura 1,487. Le forme sono piuttosto piene e rotonde nel tipo puro. Il von Eickstedt riferisce che la pelle, nella vecchiaia, non forma rughe evidenti. Lo stesso autore riferisce che il tipo della disposizione del capello è a grano di pepe, come nei Boscimani, e conferma la presenza di un altro carattere boscimanoide, la steatopigia, già sospettata dal Sera. Il von Eickstedt dice che il tipo presso a poco puro si trova ormai solo nella Piccola Andaman, l'isola più meridionale, mentre gli abitatori delle altre Andamane sono inquinati più o meno con sangue birmano o indiano. Probabilmente esisterebbe anche un'inquinazione araba.
Riguardo alle caratteristiche osteologiche, 12 cranî maschili diedero al Flower un indice cefalico orizzontale di 80,5; un indice nasale di 51,1; un indice orbitale (rapporto dell'altezza alla larghezza dell'orbita) di 90; un indice del prognatismo di 101,4: questi tre ultimi indici confermano la distanza degli Andamanesi dai Negri. Le cifre corrispondenti per 12 cranî femminili sono: 82,7; 51,2; 91,5; 102,2.
Nove scheletri maschili diedero le lunghezze seguenti per alcune ossa lunghe: omero 281 mm., radio 229, femore 399, tibia 336. L'indice pelvico (rapporto della lunghezza alla larghezza dell'ingresso del piccolo bacino) era in 8 maschi uguale a 101; in 9 femmine a 95,2.
Gl'indigeni offrono un grande interesse anche riguardo alla cultura. Sono ridotti, come si è detto, ad un numero molto esiguo, poiché dal censimento del 1901 risultavano 1882, e si calcola invece che ve ne fossero 5500 nel 1858. Sono designati spesso, nella letteratura etnologica, sotto il nome (derivato dal nome di una tribù: v. Lingue) di Mincopi. L'antichità della loro residenza nella patria attuale è provata dall'esistenza di cumuli di rifiuti, alti fino a m. 2,50, e aventi in alcuni casi conchiglie semi-fossilizzate alla base. L'Andamanese si ciba ancor oggi in modo identico. Un Andamanese appartiene ad una famiglia, questa ad un'orda, e le orde infine sono organizzate in tribù. Vi sono, o meglio vi erano, 12 tribù (separate anche da differenze linguistiche), che, prima dell'arrivo degl'Inglesi, vivevano molto isolate e ignoravano talora l'esistenza l'una dell'altra; ma, con lo scemare della popolazione, si è manifestata una forte tendenza alla fusione di tribù amiche. Si possono raccogliere in tre gruppi: le tribù del N. (eari, Kora, Tabo, Jeru e Kede) e le tribù del S. (Juwoi, Kol, Bojig-yab, Bea, Balawa) nella Grande Andaman; e le cosiddette tribù esterne (gli Önge della Piccola Andaman ed i Järawa, nell'interno dell'Andaman meridionale). Si distinguono anche dal costume: nelle tribù del nord, solo le donne sono tatuate; in quelle del sud, tanto gli uomini quanto le donne; in quelle esterne il tatuaggio non esiste: le donne delle tribù del N. portano una frangia di strisce di scorza, quelle delle tribù del S. un grembiule di foglie, e quelle degli Önge e Järawa un fascio di fibre o addirittura niente, come in genere gli uomini di tutte le isole. Alcune tribù hanno il capo rasato e spesso dipinto; in altre invece buccolotti lunghi intrecciati arrivano fino alle spalle. Pochi altri ornamenti, per lo più fasci di fibre o di foglie e ossa umane, compiono l'abbigliamento. Ogni loro ornamento ha un tipo costante, con uno o più di tre speciali colori e uno o più di undici determinati disegni. Il cibo è dato dai prodotti della caccia e della pesca (in prima linea il porco, poi l'iguana, il gatto selvatico, pesci, testuggini e crostacei), da una grande varietà di frutta, semi e radici selvatiche, e dal miele. Il cibo viene sempre cotto e mangiato caldo, ma, poiché gli Andamanesi non sanno accendere il fuoco, questo è sempre mantenuto e trasportato con cura. L'abitazione tipica è la tettoia inclinata, a paravento. Nei luoghi appositamente scelti essi erigono i loro accampamenti, formati da una quindicina di tali ripari disposti in cerchio. Nel centro vi è uno spazio per la danza, con i quartieri per le coppie da due lati, quelli dei celibi da un lato e quelli delle zitelle dall'altro. Gli abitanti della Piccola Andaman e i Järawa costruiscono però larghe capanne permanenti, di forma circolare, tutt'altro che primitive, ciascuna delle quali alberga un'orda intera. Per radersi e per il tatuaggio usano schegge di quarzo. L'arma principale, per la caccia e la guerra, è l'arco; ve ne sono due forme, una del tutto particolare e ingegnosa (v. arco e freccia). Le frecce hanno ora punte di ferro, ma in passato erano di legno indurito al fuoco, o di osso. Lance e arponi e una specie di accetta si usano solo da una parte degl'isolani. Lo scudo manca. La corda per le reti da pesca è fatta con la scorza interna di alcuni rampicanti, e con strisce di canna intrecciate gli Andamanesi fanno panieri e stuoie. Il loro vasellame consiste in recipienti di argilla seccati prima al sole, e poi cotti. Accanto alle piroghe scavate in tronchi d'albero, esiste anche una forma con bilanciere. L'unico strumento musicale consta di una tavoletta sonora di legno, concava. La cultura materiale appare, così, come una curiosa fusione di elementi molto primitivi (si noti la mancanza del cane e l'ignoranza del modo di ottenere il fuoco) con altri assai meno primitivi, che non sono tutti senz'altro da attribuirsi a contatti con le attuali genti più vicine (i Nicobaresi). Nella vita sociale e spirituale i tratti primitivi prevalgono. È assente, per esempio, fra gli Andamanesi ogni forma di governo, benché ogni orda riconosca un capo. Sono monogami; e mentre, nel matrimonio, c'è tra loro completa libertà sessuale, il divorzio e l'infedeld (punita con l'uccisione dei colpevoli) sono rari. Ragazzi e îanciulle sono sottoposti all'epoca della pubertà a elaborate cerimonie d'iniziazione, che durano per anni. Cerimonie complesse accompagnano pure le esecuzioni capitali. I morti sono sepolti rannicchiati o esposti su una piattaforma fissata sopra un albero; quando siano scarnificati, il teschio e la mandibola vengono decorati con dentalium, dipinti con ocra rossa e portati appesi al collo da parenti o amici del morto. I divertimenti consistono nella danza e nel canto e in molti giuochi sportivi. Gli Andamanesi hanno in complesso scarsa vitalità. I maschi divengono maturi a quindici anni, raggiungono il pieno sviluppo a diciotto e possono vivere fino a 60-65. La donna può avere figli fra i 16 e i 35 anni; ma le famiglie numerose sono rare, e frequenti invece le coppie senza figli. Si stancano presto, specialmente sotto uno sforzo mentale, e la loro memoria è corta, onde non si può generalmente prestar loro fede. Sono anche cattivi guerrieri e attaccano solo se sicuri della vittoria; vanno però eccettuati gli ostili Järawa, i quali considerano quali nemici tutti gli stranieri. Sforzi sono stati fatti per educare gli Andamanesi; ma si è notato che ricadono presto nella loro originale selvatichezza.
Religione. - Nella credenza religiosa degli Andamanesi spicca sopra il comune sfondo animistico la nozione di un essere supremo, chiamato Puluga (Biliku nella regione più settentrionale della Grande Andaman e Öluga nella Piccola Andaman). Puluga risiede nel cielo insieme con sua moglie, suo figlio ch'è il suo ministro, e molte figlie: presso la sua casa stanno il sole (femmina) e la luna (maschio) con i loro figliuoli, che sono le stelle. Puluga è concepito antropomorficamente; il substrato naturistico uranico della sua figura, tuttavia, traspare chiaramente. Il tuono è la sua voce; il vento è il suo alito; egli mangia, beve e dorme, ma dorme nei mesi di siccità, ossia nella stagione asciutta, nella quale raramente il tuono si fa sentire; viceversa, quando sopraggiunge la stagione delle piogge, allora Puluga discende sulla terra per cercarvi certi cibi. Puluga è onnisciente, e conosce perfino "i pensieri dei cuori umani", ma soltanto fin che è giorno. Egli non ama che si bruci la cera delle api, come pure non vuole che si trasgrediscano certi altri suoi precetti. In caso di trasgressione punisce con castighi, che hanno generalmente carattere meteorico (p. es. piogge torrenziali): gli uragani sono un segno della sua collera; quando tuona è Puluga che è indignato e grida per qualche offesa fattagli; il fulmine è un tronco d'albero infiammato scagliato da Puluga contro qualcuno. Adirato una volta perché due donne avevano ucciso un certo insetto e distrutto una certa pianta, Puluga immerse il mondo nelle tenebre, poi mitigò l'oscurità mediante il sole e la luna. Un culto vero e proprio non è tributato a Puluga: egli non riceve preghiere né sacrifizî. A differenza di Puluga, i suoi corrispondenti Biliku ed Öluga sono concepiti come figure femminili; inoltre Biliku è concepito altresì come ragno ed Oluga come lucertola. Biliku suole scagliare tizzoni e conchiglie di madreperla; ha per marito Tarai (o Teria), che è un monsone.
Scartata l'idea che la nozione di un essere supremo presso gli Andamanesi fosse dovuta ad infiltrazioni di idee cristiane per opera delle missioni, Puluga è stato concepito da A. Lang e W. Schmidt come un prodotto del pensiero logico in cerca di una causa causaritm. Invece A. R. Brown ha negato addirittura a Puluga il carattere di un essere supremo. Ma ogni spiegazione di Puluga deve fondarsi sull'abbondante elemento uranico che traspare da tutta la sua figura. Questo elemento, come anche l'attributo dell'onniscienza (limitata alle ore del giorno) ci costringe a riconoscere in Puluga un essere celeste, che è la personificazione stessa del cielo nei suoi varî aspetti, non escluso quello temporalesco che fa di lui un essere punitore e malefico. Questa spiegazione, mentre non è ìnfirmata dalle concezioni animalesche e femminili di Biliku ed Öluga, è poi confermata, pare, dalla linguistica, se è vero che il nome Puluga sia congiunto con puluke "piovere a torrenti" (Portman), e Öluga con öluge, col senso di "tuono" (R. Temple); al qual proposito ricordiamo anche le ricerche del Trombetti.
Lingue. - Nella Piccola Andaman la lingua Önge (pron. önghe, donde il nome dei "Mincopi" = m-önge-be Önge sono") differisce profondamente dalle lingue parlate nella Grande Andaman. Nella parte più meridionale di questa fu importata una forma dell'Önge, che è il Järawa di Colebrooke. Le rimanenti lingue di cui tratta Portman sono: Bea, Bale, Pučikwar, Juwoi, Kol, Kede, Chariar o Čari.
Temple distingue tre gruppi:
Grande Andaman. - I. Nord (Yerewa): Chariar (Čari), Jeru, Kede, Kora, Tabo Bo. - II. Sud (Bojig-njii): Juwoi, Kol, Bojig-yab (Pučikwar), Balawa, Bea. - Piccolo Andaman. - III Önge, järawa (sud di Grande Andaman).
Il sistema fonetico delle lingue andamanesi è molto arcaico come appare dalla completa assenza dei suoni spiranti, compreso s. Per le corrispondenze fonetiche interne v. A. Trombetti, Elementi di glottologia, Bologna 1923, pp. 409-414, 540 segg., 573 segg. Qui accenneremo ai fatti più notevoli. Frequentissimi sono i casi di Bea e Bale u = i delle altre lingue, p. es. Bea e Bale gud = Juwoi e Kol kit "braccio"; Bea e Bale gumul - Kede e Chariar kimil "stagione delle piogge". Alle esplosive sonore del Bea e del Bale corrispondono spessissimo altrove le sorde in ogni posizione, per es.: Bea golai e Bale golo = Puč. kula "cambiare"; Bea e Bale ğobo - Puč. ecc., čupe "serpente"; Bea dodo - Kede toto "lento"; Bea bodo = Puc. ecc., pute "sole". Però nella serie labiale si ha anche la corrispondenza opposta, cioè Bea e Bale p = b, e questo fatto è in rapporto col trattamento dei gruppi nasali iniziali ng nǧ nd che diedero nel Bea e Bale g ǧ d e altrove k č t, mentre mb diede ovunque p. Frequente è anche la palatalizzazione delle gutturali, p. es.: Bea ketia = Juwoi čote "piccolo"; Bea tegi - Puč. teič (con epentesi di i) "tenere".
Nella morfologia andamanese, la cosa più notevole è la classificazione dei nomi di parti del corpo e di parentela per mezzo di prefissi bisillabi (oppure originariamente bisillabi), di regola con armonia vocalica. Comuni alle due classi di nomi sono aba-, aka-, ara- e oto-, altri si trovano solo con nomi di parti del corpo, come ere-, o con nomi di parentela, come ebe-. Nella seguente tabella diamo le forme dei prefissi in quattro lingue andamanesi:
Grande importanza hanno i prefissi nell'espressione del possesso, che viene indicato nel Bea mediante d- "mio", m- "nostro", ñ "tuo, vostro", l- "suo, loro", aggiungendosi -t al prefisso del nome per indicare il plurale del possessore, p. es. d-aka- "mio", ñ-aka "tuo", aka- o l-aka- "suo", m-aka-t- "nostro", ñ-aka-t- "vostro", aka-t- o l-aka-t- "loro". Notevole è che i prefissi del Juwoi re-, etše-, rem- e en- si mutano nel plurale rispettivamente in ri-, itše-, rim- e in-.
Questo interessantissimo sistema di prefissi dev'essere estremamente antico, poiché ha esatta corrispondenza nelle lingue Bantu dell'Africa; e si può dire che tutti i prefissi andamanesi hanno corrispondenti prefissi in lingue africane. La connessione è tanto più stretta, ìn quanto i prefissi vengono anche usati davanti agli aggettivi e ai verbi con riferimento ad un nome tipico spesso sottinteso; p. es. da beringa "buono" (in generale) il Bea forma a-beringa "buono" (detto di una persona, prefisso ab- proprio delle persone), un-beringa "buono" rispetto alla mano, ig-beringa "buono di occhio, di vista acuta" (ig- è il prefisso del nome "occhio"), ig-lodapi "portare in mano", ar-yoboli "portare in testa", ecc. Ciò si spiega come effetto di una preesistente congruenza di tipo africano.
Anche il verbo presenta notevoli concordanze col verbo bantu-sudanese. Apparentemente le forme dei pronomi personali variano secondo i tempi del verbo e secondo che la frase è positiva o negativa, p. es. Bea do mami-ke "io dormo, dormirò", da mami-re "io dormii, dormiva", dona mami-nga yaba l-eda-re "io non dormivo". Naturalmente non si tratta di "pronomi coniugati", come hanno supposto taluni, bensì di pronomi uniti a particelle temporali. Invece di da mami-re possiamo scrivere d-a-mami-re, forma perfettamente corrispondente a un bantu (n)d-a-boni-re "io vidi", cfr. Cafro (n)d-a-bona "io vidi". I suffissi temporali, come -ke per il presente-futuro e imperativo, -ka per l'imperfetto, -re per il perfetto e participio perfetto, hanno estesissime corrispondenze, che qui non possono essere indicate.
La collocazione delle parole è rigorosamente inversa, B-A; soltanto l'aggettivo si pospone al nome perché ha origine predicativa. Si hanno composti come reg-dama "(di) porco carne", ma più spesso si aggiunge il possessivo: "(di) porco sua carne". Come conseguenza della collocazione B-A è da considerare l'uso abbondante delle composizioni, molte delle quali hanno in comune l'elemento -l-, p. es. Bea -l-en (Kol ecc. -an) "in" -l-at "a", -l-eb "per".
Dato il carattere così arcaico dell'andamanese (che si rivela anche nel sistema binario dei numerali) e considerata la questione antropologica così importante dell'origine dei Pigmei, acquista sommo interesse il problema delle affinità linguistiche, tanto più che l'andamanese è l'unico linguaggio dei Pigmei ritenuto da alcuni "isolato". Come è noto, i Pigmei in generale non possiedono linguaggi loro proprî, distinti da quelli delle popolazioni di alta statura fra cui essi vivono. Fra i Pigmei o Pigmoidi africani soltanto i Boscimani hanno idiomi loro proprî, i quali però, per consenso di competenti (compreso il padre W. Schmidt), non sono isolati. L'andamanese, invece, fu ritenuto isolato da F. Müller e dal padre Schmidt. Bisogna però intendersi sul concetto dell'isolamento. Le lingue che vengono considerate come isolate, lungi dal non avere connessioni con altre, ne hanno in grande copia, ma in molte direzioni, il che si spiega con separazioni avvenute in epoche remotissime, quando non erano ancora individuati i grandi gruppi linguistici primarî. Questo è anche il caso dell'andamanese. Già abbiamo accennato a notevolissime corrispondenze africane, ma ancora più strette sono quelle con le lingue dei Negri dell'Oceania, onde il Trombetti stabilì fin dal 1905 un gruppo Andamanese-Papua-Australiano, confermato poi da R. Gatti. Ancor prima nel 1890, Schnorr von Carolsfeld aveva identificato 36 vocaboli andamanesi con corrispondenti australiani.
Gli abitanti delle isole Andamane provengono certamente dalle vicine coste dell'Indocina, donde in epoca antichissima scesero nella Penisola di Malacca i Semang, che sono Pigmei al pari degli Andamanesi. Il Semang, come il Sakai e Jakun, appartiene ora al sotto-gruppo Mon-Khmer del Munda-polinesiaco, ma serba non pochi elementi di un fondo primitivo diverso, e in esso si trovano notevoli concordanze con l'andamanese, come dimostrarono Skeat e Blagden in Pagan Races of the Malay Peninsula, Londra 1906, e A. Trombetti, in Elementi di glottologia, pp. 64-66. Si deve pertanto ritenere la connessione linguistica Andamanese-Semang assai più stretta in origine di quel che appaia ora, dopo che il Semang ha subito l'influenza di altri linguaggi.
Bibl.: Il Census of India del 1901 (vol. III) contiene una buona trattazione generale. Vi sono poi i censimenti posteriori, i rapporti amministrativi annuali ed estratti dei Records del governo indiano (Home Departement, XXV e LXXVII). Vedi inoltre, C. B. Kloss, In the Andamans and Nicobars, Londra 1903; G. H. Tipper, in Mem. Geol. Surv. India, XXXV (1911); E. R. Gee, in Rec. Geol. Surv. India, LIX (1926); S. Kurz, Report on the Vegetation of the Andamans, Calcutta, 1868 e 1890. Per l'antropologia fisica: W. H. Flower, On the osteology and affinity of the natives of the Andaman Islands, in Journ. anthrop. Instit., 1879; E. v. Eickstedt, Die Negritos der Andamanen, in Anthrop. Anzeiger, 1928, fasc. 3. Per l'etnologia: A. R. Brown, The Andaman Islanders: a study in social Anthropology, Cambridge 1922.
Religione: R. C. Temple, Andamans, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, I, p. 467 segg.; A. R. Brown, The Religion of the Andaman Islanders, in Folklore, XX (1909), p. 257 segg.; The Andaman Islands, Cambridge 1916; A. Lang, Puluga, in Man, 1910, n. 30; W. Schmidt, Puluga, in Man, 1910; id., Die religiösen Verhältnisse der Andamanesen-Pygmäen, in Anthropos, XVI-XVII (1921-22), pp. 978-1005; R. Pettazzoni, Dio: Formazione e sviluppo del Monoteismo nella storia delle religioni, I: L'essere celeste, Roma 1922, pp. 92-101.
Lingue: Una prima raccolta di vocaboli Jarawa diede Colebrooke nel IV volume delle Asiatic Researches (1807) col titolo di Specimen of the Andaman Language, scritto prima del 1794. A grande distanza di tempo seguì Tickell, Vocabulary of Andamanese words, in Journ. of the Asiatic Soc. of Bengal, XXXIII (1864), indi Röpstorff, A short list of Andamanese Test Words, in Proceedings of the As. Soc. of Bengal, 1870, e Vocabulary of dialects spoken in the Nicobar and Andaman Isles, Fort Blair 1874; 2ª ed., Calcutta 1875. I primi lavori attendibili sono quelli di E. H. Man e del colonnello R. C. Temple. Insieme essi pubblicarono nel 1877 The Lord's Prayer translated into the South Andaman Language. Del Man abbiamo un articolo: The Andaman Islands, in Journal of the Anthropological Institute, VII (1878); id., On the Andamanese and Nicobarese Objects, ivi, XI (1882); id., On the Aboriginal Inhabitants of the Andaman Islands, ivi, XII (1883). Da carte di Man e di Temple compose J. Ellis un Report on Researches into the South Andaman Language, pubblicato in Transactions of the Philological Society, Londra 1882-84, che fu anche ripubblicato a parte, insieme con l'ultimo lavoro del Man, sotto il titolo On the Aboriginal Inhabitants of the Andaman Islands, by E. H. Man, with Report... by A. J. Ellis, Londra 1885. Nel 1887 M. V. Portman pubblicò in Londra un Manual of the Andamanese Languages contenente vocabolarî e dialoghi in Bea, Bale, Pučikwar, Juwoi, e Kol con note grammaticali e analisi delle parole del Bea. Di tutte le lingue andamanesi si occupa A. R. Brown, Notes on the Languages of the Andaman Islands, in Anthropos, IX (1914). Un ampio Dictionary of the South Andamanese Language di E. H. Man è pubblicato nello Indian Antiquity di Bombay, 1919-1922, con supplemento. Lo schizzo del Bea che F. Müller diede nel IV volume del suo Grundriss è fondato su materiali non precisi e insufficienti. Resta poi il vivo desiderio di un lavoro comparativo che abbracci tutti gli idiomi andamanesi, così importanti per il loro carattere arcaico.
Carte: Cartes intern. du Monde au millionième, e Survey of India, 1 : 1.000.000, fogli 86, 87 e 88. Carte alla scala di 2 pollici per un miglio sono state pubblicate dal Survey of India per alcuni distretti.