ANDANIA ('Ανδανία, Andania)
Antica città greca, posta al confine settentrionale della Messenia con l'Arcadia, di cui si sono ritrovati tratti d'una bella duplice cinta a mura poligonali con torrette presso all'odierno villaggio di Hellénikó, sotto le pendici meridionali del monte Hellēnitza. La sua ottima posizione geografica, dominante tutta la pianura messenica circostante, pure rimanendo occultata a ogni sguardo, la fece scegliere a residenza dei suoi dominatori pre-dorici, dei mitici re Lelegi discendenti da Policaone e dalla sua sposa Messene; dopo le guerre messeniche, a cui inviò un notevole contributo di guerrieri fra cui l'eroe Aristomene, fu completamente distrutta, e non fu ricostruita né ritrovò la primitiva importanza, benché abbia continuato a sussistere molto tardi.
A otto stadî dalla città, in un boschetto di cipressi chiamato Karnasion, venivano celebrati dei famosi misteri, di origine vetustissima, in onore di Apollo Carneo, di Ermete Crioforo, di Demetra e di Core; sulla leggendaria origine dei misteri, sui magistrati incaricati di dirigerli e di sorvegliarli (i cosiddetti ἱεροί a cui presiedeva un corpo di 10 membri), come pure sulla costituzione democratica della città di Andania, abbiamo notizie esaurienti sia da parte del periegeta Pausania, sia da un'importantissima iscrizione, appartenente al 91 a. C., murata attualmente nella chiesetta del villaggio di Costantini. I misteri, che un leggendario Kaukon avrebbe trasportati da Eleusi, hanno evidente relazione coi misteri eleusini, nonché coi misteri cabirici di Tebe; discesi a grande decadenza dopo le guerre messeniche, furono riportati al primitivo splendore da Epaminonda; l'iscrizione di Costantini ci informa che, oltre alle cerimonie puramente religiose, v'era luogo in essi anche a divertimenti civili e a spettacoli teatrali.
Bibl.: Kern, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 216 segg.; iscriz.: W. Dittenberger, Sylloge, 3ª ed., II, Lipsia 1900, 736; G. Pasquali, in Atti Acc. Torino, 1912-13, p. 388 segg.; Zienen, in Hermes, LX (1925), p. 338 segg.