ANDRÁSSY [pron. òndrāsci], Gyula (Giulio), conte di Csik Szent-Király e Kraszna-Horka
1. - Uomo politico ungherese, nato a Kassa (Kaschau, oggi Košice) il 3 marzo 1823 dal conte Carlo A. e da Adelaide Szapáry. Fin da giovane ebbe simpatia per il movimento nazionale magiaro, contrario al regime di Metternich. Nel 1847 fu eletto dal Comitato di Zemplin nella Camera bassa della dieta ungherese. Nel 1848, dopo che l'imperatore Ferdinando I ebbe consentito alla formazione di un ministero ungherese, fu nominato alto commissario del Comitato di Zemplin e partecipò poi, come tale e come maggiore degli Honved, alla lotta nazionale contro la Corona. Nella primavera del 1849 il governo di Kossuth lo mandò in missione a Costantinopoli, dove arrivò, però, soltanto quando la rivoluzione magiara stava per essere schiacciata: il governo ottomano non gli riconobbe veste diplomatica ufficiale. Alla fine di novembre dovette lasciare la Turchia e si rifugiò a Londra. Il 15 aprile 1851 fu condannato in contumacia a morte e alla confisca dei beni, per alto tradimento, dal tribunale militare di Pest, e il 22 settembre fu impiccato in effigie. Nel 1856 sposò a Parigi la sua compatriota contessa Caterina Kendeffy. Tanto la sua famiglia quanto quella della moglie, valendosi delle loro aderenze nell'aristocrazia e nella corte, si adoperarono per ottenergli la grazia, che fu concessa da Francesco Giuseppe il 27 giugno 1857: nel settembre seguente rimpatriò.
Nel periodo dal 1859 al 1867, l'A. partecipò all'agitazione del Deák per il ristabilimento della costituzione del 1848, che Francesco Giuseppe non aveva voluto giurare, ma tenne sempre un'attitudine deferente e leale verso la Corona. Nel 1860, rinominato dal governo alto commissario nel Comitato di Zemplin, declinò l'ufficio, ma motivò il rifiuto col desiderio di lavorare liberamente come deputato nella prossima dieta e non con ragioni di principio, ciò che dispiacque al Kossuth. Nel marzo 1861 fu rieletto all'unanimità dal Comitato di Zemplin nella dieta ungherese, dove militò col Deák nella parte più moderata e conciliante. Aiutato dall'intercessione dell'imperatrice Elisabetta presso Francesco Giuseppe, l'A. ebbe la parte principale nelle trattative che condussero al compromesso austro-ungarico del 1867. Dopo che l'imperatore ebbe ristabilito la costituzione e creato un ministero responsabile ungherese (febbraio 1867), A. fu nominato presidente del consiglio ed occupò tale carica fino al novembre 1871. In tale periodo le sue azioni più importanti furono:1) lo stabilimento della supremazia dei Magiari in Ungheria; 2) la lotta contro i varî tentativi di introdurre in Austria un federalismo, che avrebbe compromesso la supremazia dei Tedeschi e quindi minacciato quella dei Magiari in Ungheria, lotta che terminò col suo completo successo dopo la caduta del gabinetto Hohenwart; 3) il suo intervento presso il Beust per impedire che la monarchia austro-ungarica, in seguito ad un accordo con Napoleone III, uscisse dalla neutralità durante la guerra franco-tedesca del 1870-71. In tutto ciò egli agiva d'accordo con Bismarck.
Dopo la caduta del Beust (7 novembre 1871), egli fu chiamato a succedergli, ma soltanto come presidente del ministero comune e ministro degli Esteri della Monarchia e non in qualità di cancelliere. Tale nomina corrispondeva alle sue preoccupazioni patriottiche, poiché l'esperienza gli aveva insegnato che gl'interessi magiari non erano al sicuro se non v'era a Vienna chi, investito delle più alte funzioni, ne prendesse cura.
Come ministro degli Affari esteri, l'A. ha fortemente risentito l'influenza di Bismarck e ha dovuto adattarsi all'azione diplomatica di lui. Avverso alla Russia, non solo perché questa si atteggiava sempre più a rivale della Monarchia nei Balcani, ma anche per il ricordo dell'intervento delle truppe dello zar in Ungheria nel 1849, l'A. non poté evitare l'alleanza dei tre imperatori, perché il cancelliere tedesco temeva che la Monarchia o la Russia, se il contrasto fra di loro si fosse acuito, si avvicinasse alla Francia e la traesse dall'isolamento. Con l'A. l'Austria-Ungheria rinunziò a qualsiasi velleità d'immischiarsi nelle cose tedesche e di riacquistare la posizione perduta in Germania.
Durante la crisi orientale, che cominciò con l'insurrezione della Bosnia-Erzegovina (estate 1875) e finì col trattato di Berlino (1878), l'A. si trovò in posizione assai imbarazzante, perché l'interesse della Monarchia esigeva che egli si opponesse alla penetrazione russa nei Balcani e quello dell'Ungheria che si ostacolasse il libero sviluppo delle nazionalità slave nell'Oriente europeo. Per scongiurare questo doppio pericolo, l'A. prese l'iniziativa di una nota che le grandi potenze europee presentarono alla Sublime Porta il 30 gennaio 1876, chiedendo speciali libertà e garanzie per la Bosnia-Erzegovina. La Turchia finse di accettare tali richieste, ma, al solito, non fece nulla per tradurle in atto. Quando la Russia accentuò la sua azione a favore delle popolazioni cristiane, l'A. dovette a malincuore aver l'aria di secondarla, ma in realtà cercò di frustrarla. Bismarck, allorché si rese conto che non era più possibile impedire l'intervento armato della Russia senza compromettere seriamente i rapporti fra questa e la Germania, si adoperò con grande abilità per mettere d'accordo Pietroburgo e Vienna. Ciò accadde mediante la convenzione segreta del 15 gennaio 1877, con cui la Monarchia s'impegnava a rimanere neutrale in caso di guerra russo-turca.; la Serbia, il Montenegro ed il sangiaccato di Novi-Bazar dovevano formare una zona neutra che le due potenze si obbligavano a rispettare; l'Austria-Ungheria otteneva il diritto di occupare la Bosnia-Erzegovina. Tale occupazione, desiderata da Francesco Giuseppe e dai circoli militari, preconizzata già da Radetzky e da Tegetthoff, era sgradita all'A. che in passato era stato propenso a dare le due provincie turche alla Serbia per gua starla colla Russia e per allontanarla da un'intesa colla Croazia e fu subita da lui a malincuore. Essa fu poi consacrata dall'articolo 25 del trattato di Berlino, che accordava alla Monarchia il diritto di tenere guarnigioni nel sangiaccato di Novi-Bazar.
La politica seguita dall'A. durante la crisi orientale provocò tanto in Austria quanto in Ungheria un vivo malcontento, che fu inasprito dalle difficoltà militari e dalle forti spese dell'occupazione della Bosnia-Erzegovina. Egli si difese coraggiosamente e finì con l'avere l'approvazione dei parlamenti e delle delegazioni. Ma, subito dopo, pur godendo ancora la fiducia e la benevolenza di Francesco Giuseppe e sapendo quanto l'imperatore Guglielmo I e Bismarck tenessero a vederlo alla direzione della politica della Monarchia, manifestò l'intenzione di ritirarsi, intenzione ripetuta con maggior insistenza dopo una grave malattia (polmonite e pleurite) sofferta nel giugno 1879. Probabilmente egli era mosso dall'amarezza che suscitavano in lui i maneggi dei circoli militari, desiderosi di estendere l'azione dell'Austria-Ungheria nei Balcani, e dallo scrupolo di aver dovuto, per sentimento di lealtà verso il sovrano, far cose della cui opportunità la sua coscienza di magiaro dubilava. Prima di lasciare il potere, egli negoziò però con Bismarck il trattato d'alleanza con cui Austria-Ungheria e Germania s'impegnavano reciprocamente a difendersi in caso di attacco della Russia contro una di esse. Tale trattato fu firmato a Vienna il 7 ottobre 1879; l'indomani l'A. cedette il suo posto al Hapmerle, designato da lui stesso all'imperatore.
Negli ultimi anni della sua vita partecipò alla cosa pubblica soltanto come membro della Camera dei magnati e delle delegazioni. In un discorso pronunziato nel 1881, dopo la visita di re Umberto a Vienna, si espresse apertamente a favore dell'amicizia fra l'Italia e l'Austria-Ungheria. Dopo una lunga e dolorosa malattia morì il 18 febbraio 1890 a Volosca, dove si era recato nella speranza che quel clima mite gli giovasse.
Se in Ungheria l'A. è riuscito ad assicurare ai Magiari quel predominio a cui avevano aspirato da quando il paese era stato liberato dall'invasione turca, sul terreno della politica estera la sua azione è stata meno felice, poiché egli ha molto contribuito a mettere la Monarchia sotto quell'influenza tedesca, che l'ha condotta all'ultima guerra e allo sfacelo.
Bibl.: E. Wertheimer, Graf Julius A., Stoccarda 110-13, opera fondamentale, sebbene d'intonazione apologetica; E. Débidour, Histoire diplomatique de l'Europe depuis le congrès de Vienne jusqu'au congrès de Berlin, Parigi 1891, II; id., Histoire diplomatique de l'Europe depuis le congrès de Berlin jusqu'à nos jours, Parigi 1919, I; E. Driault, La question d'Orient, Parigi 1921; Die grosse Politik der europäischen Kabinette, Berlino 1927; II; A. F. Přibram, Die politischen Geheimverträge Österreich-Ungarns, Vienna 1920.
2. - Statista ungherese secondogenito del conte Giulio Andrássy seniore e della contessa Caterina Kendeffy, nacque a Töketerebes il 30 giugno 1860. Scelta la carriera diplomatica, fu addetto alle ambasciate di Berlino e di Costantinopoli. Per lunghi anni fu membro del parlamento ungherese, come rappresentante di quel partito che rimase fedele alle tradizioni di suo padre e di Francesco Deák, che tuttavia, per ragioni costituzionali e nazionali, abbandonò nel 1904. Nel 1906 fu nominato ministro dell'interno nel gabinetto Wekerle, formato con la coalizione dei differenti partiti dell'opposizione. Non essendosi però accolto il suo programma militare a Vienna, egli si dimise nel 1910, per cedere il posto al partito vecchio radicale, risorto sotto il nome di "partito nazionale del lavoro". Nel 1913 l'A. formò il cosiddetto partito costituzionale. Nella politica estera l'A. rimase sempre fedele al concetto della Triplice alleanza, ma d'altra parte tacciò d'inerzia la politica del Ballplatz, caldeggiando l'idea di una più stretta collaborazione con l'Italia e con l'Inghilterra. Così soltanto egli sperava scongiurare il conflitto mondiale, che vedeva appressarsi. Scoppiata la guerra, cercò di convincere la diplomazia austriaca d'iniziare trattative con l'Italia, sulla base del § 7 del trattato della Triplice alleanza. Ma questo suo pensiero non fu compreso che troppo tardi, cioè quando l'intervento dell'Italia era già diventato un fatto inevitabile. Nella politica interna, l'A. lottò contro il governo di Kálmán Tisza in favore del diritto elettorale più esteso e in favore di riforme democratiche. Nominato ministro degli Affari esteri (25 ottobre 1918), fu l'iniziatore di una pace separata con l'Italia e dell'armistizio conchiuso col maresciallo Diaz a Padova. Dopo la rivoluzione di ottobre, si ritirò a vita privata, e durante il comunismo andò all'estero, dove rimase fino all'autunno del 1919. Nella primavera del 1921 l'A. diventò capo del partito cristiano-nazionale, ma a causa delle sue idee legittimistiche si mantenne ostile al governo. Nell'ottobre 1921 egli era al seguito di re Carlo quando questo tentò di riconquistare il trono d'Ungheria. Dopo lo scacco dell'inane tentativo, l'A. divenne fiero avversario e capo dell'opposizione alla politica di Bethlen. Egli è noto anche come scrittore; l'opera sua principale tratta in tre volumi delle cause della libertà costituzionale dello stato ungherese. Il conte A. morì in un sanatorio ungherese l'11 giugno 1929.