CHÉNIER, André
Poeta francese, nato il 20 ottobre 1762 a Galata (Costantinopoli), morto il 25 luglio 1794 a Parigi. Il padre, Louis, commerciante a Costantinopoli, ove tenne anche l'ufficio di console, aveva sposato la levantina Elisabetta Santi-Lomaca, colta e amica delle arti, dalla quale lo Ch. trasse primamente la passione del greco e della poesia. Stabilitosi con la famiglia a Parigi (1765), nel 1782 si avviò alla carriera militare, che abbandonò dopo sei mesi per un breve viaggio in Italia e in Svizzera (1783-1784). Nei tre anni che seguirono poté liberamente abbandonarsi alle sue inclinazioni, nella fervida città, alla brillante vigilia della Rivoluzione: Brunck, l'editore degli Analecta veterum Graecorum, l'ellenista Guys, il pittore David, l'abate Barthélemy, frequentatori della sua casa, alimentavano la sua passione per l'antico, il lirico Lebrun (Lebrun-Pindaro) gli mostrava la via degli ardimenti poetici; Alfieri, conosciuto nell'87, gli apparve come un generoso armato della penna contro la miseria della patria; gli amici, che conoscevano i suoi saggi poetici, lo incitavano. A tratti poi, lasciati i libri, viveva brevi, calde passioni, non senza scendere nell'orgia elegante; cantava l'amore per Camilla (M. me de Bonneuil), ma anche celebrava altre donne. Lo scolaro dei Greci, che aveva cominciato con le Bucoliques, scriveva le Élegies, spesso mondane e parigine.
Alla fine dell'87, per desiderio della famiglia, andò segretario all'ambasciata di Londra, e, con frequenti gite a Parigi, vi rimase fino al '90, solitario e triste, pure osservando gl'Inglesi e la loro poesia, e ammirando il diffuso sentimento della libertà. Presto lo occuparono i grandi fatti della patria, l'avvento della libertà, cui era preparato. Nel Journal de la Societe de 1789 (28 agosto 1790) lanciò l'Avis au peuple français sur ses veritables ennemis, denunziando i pericoli che minacciavano la Francia e la Rivoluzione; la sua passione e la sua speranza di uomo dell'89 disse nell'ode Lejeu de paume, oratoria e pindarica, la prima poesia che consentì a pubblicare. Ormai nella lotta, antigiacobino, costituzionale, non esitò a stampare anche l'Hymne sur l'entrée triomphale des Suisses revolteś de Châteauvieux (15 aprile '92), ironico e veemente, e salutò la morte di Marat nell'ode Å Charlotte Corday. Lontano da Parigi durante i massacri del Settembre, con Malesherbes si offerse poi a difendere il re, stese progetti di difesa, scrisse un Manifeste àtous les citoyens français. Dopo il supplizio di Luigi XVI, lo Ch., molto sofferente, forse anche per fuggire il pericolo che lo minacciava in Parigi, si ritirò a Versailles, ove rimase quasi tutto il '93. Nella pace ritrovata, compose gli ultimi e più delicati versi d'amore per Fanny (M. me Lecoulteux), e riprese il poema dell'Hermès. Alla fine del '93 era di nuovo a Parigi, mentre imperversava il terrore. Il 7 marzo '94 i commissarî incaricati di arrestare la signora Pastoret, nella sua casa a Passy, vi trovarono, col marito e il padre di lei, lo Ch., e lo arrestarono come sospetto di aver favorito la fuga della donna. Nella prigione di Saint-Lazare, mentre i capi di accusa si andavano accumulando contro di lui, egli vibrava i suoi Ïambes contro gli uomini che insanguinavano la Francia. Un passo imprudente del disperato padre dello Ch. forse affrettò il processo: il poeta fu condannato la mattina del 7 termidoro, come partigiano del tiranno, e giustiziato il pomeriggio, due giomi prima della caduta di Robespierre.
La critica recente pone lo Ch. tra i poeti di Luigi XVI, eleganti, epicurei, presi da vivo amore per l'antico; ma anche aperti alle idee moderne, che pensano di cantare in vasti poemi. Pur curioso di ogni poesia più lontana, egli resta sempre francese: commenta Malherbe, è pieno di Racine e rimane perplesso davanti agl'Inglesi, anche se qualche spunto deve a Shakespeare, a Thomson, a Young. Predilige gli elegiaci, Parny, Bertin, e gli anticheggianti come Lebrun-Pindaro. Omaggio ai maestri antichi sono le prime composizioni, continuate anche più tardi, che avrebbe chiamate Bucoliques: brevi poemi che introducono Omero narrante ai giovani pastori (L'aveugle), o rifanno l'arrivo di Odisseo presso i Feaci (Le mendiant); idillî da Callimaco, da Teocrito, da Bione, dall'Antologia, da Virgilio, da Gessner, spesso intessuti di spunti diversi (Le malade, La jeune Tarentine, Oaristys, ecc.). Sono le cose più celebrate dell'autore, e tra la più delicata poesia del neoclassicismo. Le Élégies, con frequenti note derivate dai Greci, appaiono spesso un adattamento di Properzio, Tibullo, Ovidio alla più elegante vita moderna: l'artista, più che l'innamorato, si rivela con l'epicureismo malinconico, l'amore dei campi e dei libri, il culto dell'amicizia, che ha poi teneri accenti nelle Épîtres. Nel poema L'invention, condannata la vana imitazione, raccomanda i soggetti attuali, la scienza e le sue meraviglie; solo, poiché gli antichi avevano costumi e modi più convenienti all'arte, bisogna prendere i loro colori: "Sur des pensers nouveaux faisons des vers antiques". È la sua ultima poetica, forse apparsagli già nell'83, cominciando l'Hermès, cui ancora attendeva nel '93: la più cara speranza dell'autore, il poema lucreziano (il titolo è da Eratostene) che in tre libri doveva cantare l'origine della terra, la formazione degli animali e dell'uomo, la storia della civiltà, secondo la dottrina di Buffon, la visione cosmica ed etica dell'Enciclopedia. Impossibile, dai brani sparsi, immaginare la riuscita di questo e di altri poemi, lavorati per frammenti, su un canovaccio prestabilito. Altri frammenti mostrano l'intenzione di tentare la commedia forse di gusto aristofanesco, la tragedia, la satira. Da questa dispersione lo tolse più d'una volta, da ultimo, la passione di patria, che gl'ispirava i versi A la France e i giambi. Ma le odi per Fanny, il compianto per la Jeune captive, meglio di quel che non facciano poemi abbozzati, attestano la ricca maturità del poeta.
Lo stesso carattere frammentario è anche nelle prose; tolte quelle nate dall'urgente attualità, sono vasti disegni di opere rimaste incompiute: l'Essai sur les causes et les effets de la perfection et de la décadence des lettres et des arts, ov'è qualche coincidenza con l'alfieriano Del principe e delle lettere; Apologie, Histoire du pouvoir royal, che ripetono la sua tolleranza, il suo liberalismo, insieme con la tendenza didattica. Più d'una pagina mostra un prosatore di stile, un moralista prettamente francese, dall'osservazione acuta ed arguta.
Accanto agli ammiratori devoti non sono mancati allo Ch., specialmente in patria, critici riservati o severi: anche questi tuttavia riconoscono che egli con un'affermazione viva e appassionata di poesia ha chiuso in Francia il secolo antipoetico. E così, figlio del suo tempo, accennava all'avvenire, che in lui non a torto ha sentito un precursore.
Manoscritti-Edizioni: J. M. de Hérédia, Le manuscrit des Bucoliques d'A. Ch., innanzi a Les Bucoliques, Parigi 1907; A. Lefranc, Préface alle Luvres inédites d'A. Ch., Parigi 1914. Oltre all'edizione procurata da H. de Latouche, Œuvres complętes d'A. Ch., Parigi 1819 (che rivelò il poeta, fino allora quasi del tutto inedito): Poésies d'A. Ch., édit. crit., di Becq de Fouquières, Parigi 1862 (2ª ediz. rifusa, 1872); Œuvres poḫtiques d'A.de Ch., a cura di G. de Chénier, 3 vol., Parigi 1874; le ediz. citate nell'articolo: Œuvres complętes publiḫes d'apręs les manuscrits, a cura di P. Dimoff (tre voll. finora usciti, 1908, 1910, 1919, comprendenti tutte le poesie). Per le Œuvres en prose, le ediz. di Becq de Fouquières, 1872, di L. Moland, 1879, il vol. cit. del Lefranc; il Commentaire sur Malherbe, in Poésies de Fr. de M. avec un comm. inédit par A. Ch., 1842.
Bibl.: Sainte-Beuve, Vie, poésie et pensée de Joseph Delorme, Portraits littéraires, I e XX; Portraits contemporains, II e V; Lundis, IV; Nouveaux Lundis, III; E. Egger, L'hellénisme en France, 1869; L. Becq de Fouquières, introduzione alle ediz. delle Poésies e delle Oeuvres en prose, Documents nouveaux sur A. Ch., 1875; Lettres critiques sur la vie, les oeuvres, les manuscrits d'A. Ch., 1881; A. France, La vie littéraire, II, 1890; É. Faguet, Dix-huitième siècle, 1890; id., André Chénier, 1902; H. Potez, L'élégie en France avant le romantisme, 1898; L. Bertrand, La fin du classicisme et le retour à l'antique, 1898; F. Brunetière, Études critiques, VI, 1899; P. Glachant, A. Ch. critique et critiqué, 1902; B. Bareilles, Les origines d'A. Ch., in Mercure de France, 1° aprile 1924; G. Albini, A. Ch. e Ugo Foscolo, in Rassegna Nazionale, 1° giugno 1893; V. Grimaldi, Ch. e Parini, in Rassegna nazionale, 1° aprile 1900; T. Tosi, A. Ch. e il classicismo, in Atene e Roma, gennaio-febbraio 1903; O. Tognozzi, V. Alfieri e A. Ch., Pistoia 1906; C. De Courten, A. Ch. et Ugo Foscolo, in Bulletin Italien, genn.-marzo 1918. Ad Andrea Chénier s'intitola un melodramma di L. Illica, musicato ad U. Giordano (1896).