ALCIATO (Alciati), Andrea
Nacque pare a Milano (ma c'è chi dice ad Alzate) l'8 maggio 1492, da Ambrogio Alciati e da Margherita Landriani, ed ebbe propriamente il nome Giovanni Andrea. Il padre, mercante facoltoso, vien detto anche, in una fònte, "decurione"; si parla pure di un incarico da lui rivestito di ambasciatore milanese presso la Repubblica di Venezia. La famiglia, che dall'originaria Alzate nel Comasco si era ormai da tempo trapiantata a Milano, non apparteneva alla nobiltà feudale; faceva bensì parte di quel gruppo di influenti famiglie - per lo più arricchitesi con l'attività commerciale - che dividevano con la nobiltà di sangue l'effettiva direzione dello stato. Nobile d'antica grande casata era invece la madre, che morì solo pochi anni prima dell'unico figlio, rimasto celibe. Il padre dovette, al contrario, scomparire assai presto.
Sotto la guida principalmente di Aulo Giano Parrasio (1504-1506?) e frequentando anche le lezioni di Giovanni Lascaris e di Demetrio Calcondila, l'A. compì nella città natale studi di eccezionale valore formativo, che lo misero giovanissimo nel pieno possesso dei classici latini e greci e di una raffinata tecnica filologica. Forse già nel 1507 passò a Pavia per intraprendervi gli studi giuridici alla scuola di Giason del Maino. A Pavia ebbe anche per maestri Filippo Decio e, scarsamente stimato, Paolo Pico da Montepico. Venne quindi, probabilmente non prima dell'autunno 1511, a Bologna, dove ascoltò Carlo Ruini. A Bologna era ancora nel 1514. Consegui la laurea in diritto civile e canonico il 18 marzo 1516 a Ferrara, senza peraltro aver mai studiato nell'università estense. Dottore, l'A. si dedicò alla professione di avvocato, che gli valse, secondo alcuni, un ammissione assai precoce al collegio dei giureconsulti (1517). Della professione legale esercitata negli anni giovanili resta il ricordo (Parerga, VIII, 22) della partecipazione, con argomentazioni di schietto sapore razionalistico, a un processo di streghe.
Al periodo precedente la laurea risale una serie già imponente di ricerche antiquarie, filologiche, storiche e giuridiche dell'Alciato. Nel 1508 è già formato il nucleo fondamentale della raccolta, con commento filologico e storico, delle epigrafi milanesi: Monumentorum veterumque inscriptionum, quae cum Mediolani tum in euis agro adhuc extant collectanea, libri duo, che, oltre a rappresentare un punto di riferimento obbligato nella storia dell'erudizione milanese e lombarda, ha un posto importante nella storia dell'epigrafia latina, di cui l'A. può esser considerato uno dei propulsori. Nella prefazione, sola parte edita del lavoro, egli mostra una chiara consapevolezza metodologica, riconnettendo la raccolta epigrafica a precise esperienze ed esigenze del suo lavoro di storico, che in quegli anni si concreta in una storia di Milano dalle origini, interrotta a Valentiniano, che sarà pubblicata postuma (Rerum Patriae libri IV, Mediolani 1625). Nell'estate del 1515 a Strasburgo, vedono la luce i primi opuscoli giuridici dell'A.: le Annotationes in tres posteriores libros Codicis Iustiniani, con dedica al compagno di studi bolognesi Filippo Sauli, vescovo di Brugnato, datate Bologna, 5 gennaio 1514; e l'Opusculum quo graecee dictiones fere ubique in Digestis restituuntur, dedicato all'amico lacopo Visconti, datato Milano, il 3 settembre dello stesso anno. Per l'emendazione e per il commento di testi del Codice giustinianeo dalla scienza giuridica fino allora scarsamente presi in considerazione, l'A. si avvale nelle Annotationes, oltre che degli storici del basso impero, della Notitia dignitatum e di un Graecits legum interpres, entrambi antichissimi manoscritti. Tanto nelle Annotationes che nell'altro lavoro, in cui affronta il problema di riparare ai guasti prodotti dalla tradizione medievale nei testi giuridici romani, per rimetterli in circolazione nella loro piena integrità, l'A. applica la lezione degli umanisti italiani, specialmente del Poliziano, e del Budé. Nella storia della scienza giuridica questi primi opuscoli alciatei, dopo l'opera svolta dagli umanisti su un piano strettamente filologico, e benché da tale opera ancora decisamente non si distinguano, segnano tuttavia l'inizio di una nuova epoca, nella quale studiosi di formazione giuridica e umanistica lavoreranno a un tempo alla ricostruzione storica del diritto e all'elaborazione di una nuova dogmatica meglio aderente ai testi romani.
Nel 1517 Alessandro Minuziano pubblica a Milano, aggiunte a un'edizione di Tacito, delle Annotationes dell'A., precedute da una lettera dedicatoria a Galeazzo Visconti, che sarà anche da sola, e col titolo di Encomium historiae, più volte ristampata, e nella quale si accenna ad una rivalutazione di Tacito nei confronti di Livio. Nel 1518, sempre ad opera del Minuziano, appare una raccolta di opere di varia mole (frutto di un lavoro inconiinciato già sui banchi della scuola) destinata a dare all'A. fama europea. Tale raccolta comprende anzitutto i sei libri dei Paradoxa iuris civilis, dedicati ad Antonio Du Prat, che in oltre cento capitoli brevi e chiari, scritti in buon latino, offrono soluzioni originali per parecchi dei più dibattuti problemi d'interpretazione; vengono poi, di seguito, i quattro libri delle Dispunctiones, dedicati a Giovanni Selva, anch'essi divisi in brevi eleganti capitoli, dedicati alla restituzione dei testi greci omessi nel Corpus iuris civilis e alla proposta di nuove lezioni per taluni testi latini. Dei due libri di Praetermissa, dedicati a lacopo Minut, solo il primo è nuovo, e contiene una lista di termini dei quali si rettifica il significato von l'aiuto di una scelta erudizione; l'altro è l'Opusculum, già pubblicato, con la restituzione di passi greci nel Digesto. Già pubblicate sono anche le Annotationes ai tre ultimi libri del Codice, che sono riprodotte nella raccolta con qualche modicaficazione. Nuovo invece è il compiuto trattato giuridico De eo quod interest, dedicato a G. B. Appiani, e nuovo il breve scritto che chiude la raccolta, la Declamatio, dedicata a lacopo Minut, in cui è presentato un modello di disputa legale esemplato sul latino di Seneca. Il volume ebbe subito una grande diffusione. Nel 1523 se ne stampa a Basilea una seconda edizione rivista dall'autore, che verrà riprodotta a Lione nello stesso 1523 e nel 1529, e a Venezia nel 1525; mentre nel 1531 apparirà a Basilea la terza edizione, seguita poi da molte altre ristampe, soprattutto lionesi.
Nell'autunno del 1518 l'A., dopo trattative con il Comune di Avignone iniziate l'anno precedente sotto gli auspici di Gian Giacomo Trivulzio - il più autorevole dei suoi numerosi amici e protettori nell'ambiente franco-milanese - inizia nella città papale il primo anno di insegnamento universitario, frutto del quale sono le lezioni sul titolo De verborum obligationibus del Digesto, pubblicate a Lione appena finito l'anno accademico, nel 1519. Nello stesso anno a Milano esce, in una raccolta di vari autori, una sua Repetitio canonistica, forse un corso straordinario tenuto ad Avignone nel medesimo primo anno accademico. Terminato il quale, nell'agosto 1519, l'A. ritorna a Milano. Ad Avignone lo ritroviamo al principio del nuovo anno accademico, in cui commenta il titolo De praesumptionibus delle Decretali (pubblicato nel 1538 a Lione da Jean Nicolas d'Arles) e il titolo De vulgari et pupillari substitutione del Digesto. Nella primavera inoltrata del 1520 cade l'incontro ad Avignone con Bonifacio Amerbach, l'amico e corrispondente d'Erasmo, già allievo dello Zasio a Friburgo, che da Basilea si era mosso, dopo molti contrattempi, per ascoltarlo. Già da alcuni anni il nome dell'A. si era propagato nella cerchia umanistica che faceva capo alla città renana, per opera dell'amico d'infanzia Francesco Calvo, libraio e imprenditore di cultura, in stretta relazione con gli ambienti della Riforma. Lo stesso Calvo, fin dal 1518, aveva portato ad Erasmo un trattatello antimonastico del giovane A., e ora, esplosa la protesta luterana, l'A., la cui adesione a certi ifioni di pensiero riformatore non doveva mai tradursi in azione pratica, ai preoccupava, perché non venisse divulgato, di rientrarne in possesso per mezzo dell'Amerbach. Col titolo Contra vitam monasticam ad Bernardum Mattium epistola, lo scritto sarà pubblicato solo un secolo e mezzo dopo la morte del suo autore, in Olanda nel 1695; sarà messo all'Indice e più volte ristampato. Le argomentazioni dell'A. si svolgono sulla falsariga della letteratura antimonastica degli umanisti, non senza probabile influsso degli scritti erasmiani, ed erasmiana può essere definita la posizione dell'A. in materia religiosa; ma in pubblico egli terrà ad apparire sempre ossequente a Roma, preoccupato di non perderne il favore. Il 17 febbr. 1521, mediante gli uffici del Calvo, allora a Roma, Leone X gli concede, con breve a firma del Sadoleto (anch'egli corrispondente dell'A.), il titolo di conte palatino, con il connesso privilegio di creare dottori. Si sta frattanto svolgendo il terzo anno di insegnamento avignonese (1520-21) durante il quale, oltre al titolo De operis novi nunciatione, l'A. inizia l'esposizione del titolo De verborum significatione del Digesto, cui è legata la più celebre delle sue opere (Lugduni 1530). È inoltre dell'autunno 1520 quell'orazione inaugurale - In laudem iuris dvilis (Opera, IV, Basileae 1582) - che la consuetudine voleva invece fosse tenuta all'inizio dell'insegnamento. Alla fine di febbraio del 1521 l'A. lascia, per la peste, Avignone e rientra a Milano. Sarà di nuovo in Francia per l'inizio del quarto anno accademico, che anch'esso si concluderà anticipatamente, nella primavera del 1522. Quindi, nell'autunno dello stesso anno, una nuova brevissima permanenza nella città francese, abbandonata, dopo esservi appena arrivato, per disaccordi con il Comune che intendeva ridurgli lo stipendio.
L'insegnamento avignonese, che pur implicò, in certa misura, un ridimensionamento dei metodi inaugurati nei Paradoxa, e quindi un riaccostamento ai metodi tradizionali dei commentatori sempre in auge nella scuola, fece dell'A. uno dei maestri di diritto più in vista d'Europa: un pubblico numeroso, che raggiunge i settecento uditori, lo ascolta. Oltre allo Zasio, al Cantiuncula (Claudio Chansonnette) e ad Erasmo, anche il Budé entra a far parte del numero dei suoi corrispondenti.
Dalla fine del 1522 all'autunno del 1527 l'A. professa l'avvocatura a Milano e nel frattempo lavora a numerose opere giuridiche e letterarie, che incominceranno a vedere la luce alla fine del decennio. A Milano, dove nel 1523 rifiuta la carica di vicario di provvisione, l'A. vive gli anni calamitosi intorno alla battaglia di Pavia, disturbato nel lavoro e con perdite dolorose negli averi e negli affetti. Nell'autunno del 1527 ritorna ad Avignone, accontentandosi di condizioni inferiori rispetto al passato, e vi rimane per circa due anni accademici, fino alla primavera del 1529, allorché con l'offerta di un maggiore stipendio e di altri benefici la città di Bourges riesce ad assicurarsi il suo insegnamento in quella università. Con una splendida accoglienza si apre il periodo in cui la fama dell'A. e l'efficacia del suo insegnamento toccheranno l'apice. Prima di incominciare le lezioni egli dovette sottostare ad una pubblica disputa che troviamo nel De quinque pedum praescriptione (Lugduni 1529), stampato insieme con il De magistratibus, dvilibusque et militaribus officiis, dissertazione premessa alla pubblicazione della Notitia dignitatum. Il 23 apr. 1529 inizia i suoi corsi, non senza - com'egli stesso racconta - provocare reazioni nell'uditorio per il metodo tradizionale scolastico che inattesamente pare voglia adottare. Egli torna pertanto immediatamente al metodo umanistico, in virtù del quale è così vivo l'interesse intorno al suo nome. A Bourges convengono ad ascoltarlo da ogni parte d'Europa uomini destinati a formare le classi dirigenti delle rispettive nazioni: giuristi, politici, ecclesiastici, letterati, poeti. Basti ricordare, tra i primi, Wigle van Aytta van Zwichem (Viglio Zuichemo) e François Connan, tra gli ultimi Joannes Secundus (Jan Nicolai Everaerts), l'autore dei Basia. Francesco I, che assiste alle lezioni del maestro italiano (A.A. ora tiuncula cum Christianissimus Gallorum rex Franciscus Valesius lectioni suae adesset habita, in Opera, IV, Basileae 1582), gli accorda la sua protezione e si adopera per il miglioramento del suo trattamento finanziario. Erasmo accredita nelle sue lettere e in nuove edizioni degli Adagia l'eccellenza dell'umanista e del giurista. Le richieste di consulti si fanno più frequenti.
Il periodo di Bourges coincide con la pubblicazione di numerose opere. Anzitutto dei De verborum significatione libri quatuor, premessi al sistematico commento delle duecentoquarantasei leggi che compongono il titolo omonimo del Digesto (D. 50.16). L'opera attesissima, dedicata a Francesco de Tournon, arcivescovo di Bourges, fu stampata da Sebastiano Grifo, a Lione, nel 1530. Il trattato in quattro libri, che precede il commentario, era stato composto nelle vacanze estive del 1528. Il commentario, incominciato nel 1520-21, era già compiuto, almeno in una prima redazione, nel 1522; steso in forma chiara ed elegante, esso rivela una armonica convergenza tra le ragioni della filologia e quelle della giurisprudenza. Il trattato, per suo conto, è una esposizione organica, di grande valore teorico-pratico, dei principi e delle regole dell'interpretazione, con un libro, il terzo, dedicato specialmente ai problemi dell'interpretazione dei contratti e dei testamenti. Nello stesso anno di questo che è il capolavoro vedono anche la luce i Commentarii ad rescripta principum (Lugduni 1530), che comprendono la materia delle lezioni sul Codice giustinianeo nel primo intero anno accademico trascorso a Bourges (1529-30), nonché i commenti ad altri due titoli (De Summa Trinitate et fide catholica; De sacrosanctis ecclesiis), "privatim composita" al tempo in cui meditava un sistematico commento "in universum iuris corpus". Del 1529 è una importante prefazione alla terza edizione (Basileae 1531) dei Paradoxa. Allo stesso anno risale la composizione della dedica a Francesco I del De singulari certamine seu duelli tractatus, opera destinata ad una grande diffusione, che all'insaputa dell'autore sarà pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1541. Sempre nel 1529 era apparsa a Basilea, per i tipi del Froben, sotto il mentito nome di Aurelio Albuzio (persona reale, suo allievo dei primi anni avignonesi) l'A.A...in Stellam et Longovallium...defensio, con cui l'A. reagiva alle critiche di Pierre de L'Étoile, professore a Orléans, di Jean Longueval, avvocato a Parigi, e di Francesco Ripa, già suo collega ad Avignone. L'opuscolo provocò, nello stesso anno, l'Antapologia adversus Aurelii Albucii defensionem pro A.A., di Nicola Duchemin, stampato a Parigi con una prefazione di Giovanni Calvino, uno dei tanti illustri uditori dell'A, a Bourges. Nel 1530, senza la sua approvazione, vien stampato a Hagenau un altro opuscolo, scritto nell'intervallo milanese tra i due periodi avignonesi: il Libellus de ponderibus et mensuris, in cui è il frutto dei suoi studi su pesi, misure, monete degli antichi, non senza taluni accenni polemici nei confronti del Budé, che gli avevano sconsigliagliato una già progettata pubblicazione a Basilea. Inline, nel 1531, appare la prima difettosa edizione, a cura dell'augustano Steyner, degli Embiemata, dedicati a Corrado Peutinger. Di quest'opera, cui toccherà la straordinaria ventura d'oltre centosettanta edizioni, comprese traduzioni in italiano, francese, tedesco, spagnolo, inglese, l'A. parlava nelle sue lettere fin dal 1523. Si tratta di una raccolta di soggetti allegorici e di simboli - riprodotti mediante incisione spesso da artisti rinomati - dei quali è dato in alcuni versi latini il significato, che si traduce per lo più in un insegnamento morale. Il genere, di origine medievale, preesisteva all'A., ma questi lo nutri di spirito classico e gli diede forma compiuta e popolare, avviandolo a un enorme successo nel '500 e nel '600. Nel comporre gli "emblemi" l'A., che aveva certamente presenti gli Adagia erasmiani, sostituì al meraviglioso e al grottesco della tradizione cristiana medievale, i soggetti della mitologia, della storia e della favolistica classica, non trascurando riferimenti e allusioni, anche di carattere personale, al presente. La prima edizione dell'opera conteneva centoquattro emblemi; centoquindici quella parigina del 1534, stampata dal Wechel, che l'A. intese sostituire all'edizione malsicura di Augsburg, già varie volte reimpressa. Tra le molteplici che si susseguirono presso editori d'ogni parte d'Europa vanno ricordate, per l'ulteriore storia del testo, l'edizione aldina del 1546,che è più precisamente la prima edizione di ottantasei nuovi emblemi, quella del 1551 lionese del Roville e Bonhomme, comprendente duecentoundici emblemi, e quella patavina del 1621, che ne comprende duecentododici e in cui sono riprodotti i diversi estesi commenti che si erano venuti sviluppando intorno all'opera, principale tra essi quello del francese Claude Mignault. L'A. (che fu perfino scambiato per l'autore delle figure: "ornamentista" è definito laconicamente in U. Thieme-F. Becker, Aligemeines Lexikon der bildenden Kiinstler, I, Leipzig 1907, p. 238) si rivela negli Embiemata elegante versificatore latino, ricco d'ogni risorsa lessicale ed erudita, ma non certamente poeta; e non è poeta nemmeno nelle traduzioni e nelle imitazioni dal greco pubblicate fra i Selecta epigrammata graeca (Basileae, Bebel, 1529). Analogo discorso va fatto per gli editi e inediti epigrammi latini - per lo più componimenti d'occasione -, nonché per la traduzione in latino delle Nuvole di Aristofane (che risale già al 1518) e per la commedia d'imitazione aristofanesca Philargyrus (1523), entrambi lavori inediti. Nell'ultimo l'A. vuol dimostrare che un accordo amichevole è sempre meglio di un processo e che i peggiori nemici degli eredi sono gli avvocati e gli ecclesiastici.
Nel 1533 l'A. lascia Bourges, dopo che nel 1531 gli era stata rinnovata per due anni la condotta, con salario portato a 1200 ducati. Non erano mancati contràsti, specie in relazione alla facoltà che l'A. rivendicava, nella sua qualità di conte palatino, di creare dottori in teologia. L'A. aveva dovuto cedere. La sua partenza dalla Francia era stata preceduta da trattative con Venezia, condotte attraverso Pietro Bembo, per l'università di Padova; e con Milano, che aveva alla fine prevalso, per l'università di Pavia. In Lombardia lo richiamavano l'autorità del duca di Milano e la nomina a senatore. Gli anni pavesi (1533-37) furono piuttosto difficili, per l'indisciplina degli studenti, il minor prestigio che era legato a questa sua prima cattedra italiana, e soprattutto le vicende belliche che sconvolsero la Lombardia. Tuttavia egli aveva potuto scorgere, tra i suoi studenti pavesi, alcuni stranieri che avrebbero certamente preso, se egli vi avesse insegnato, la via di altre università. L'afflusso a Pavia era ormai assai ridotto, quando l'A. ricevette l'offerta dei Riformatori di Bologna di leggere in quello Studio, succedendo al celebre Pietro Paolo Parisio. Nell'agosto del 1537 l'accordo è concluso. Ma l'A. rischia di non poter raggiungere la propria sede per l'opposizione del governo milanese che lo considera ancora impegnato a Pavia. Gli riesce di liberarsi solo alla fine dell'anno, a lezioni incominciate, e per tutta la durata dell'insegnamento bolognese, cioè fino al 1541, i magistrati della città emiliana dovranno lottare, financo invocando l'autorità del papa, perché l'A. non sia costretto a ritornare in Lombardia. Ma nel 1541 la volontà imperiale prevale e l'A., che desiderava restare a Bologna, dove non gli erano mancate soddisfazioni come professore e come consulente, è costretto a rioccupare - con maggior stipendio - la cattedra pavese. A Bologna aveva potuto contare tra i suoi amici il Vasari, tra i suoi allievi Antonio Agustin. La guerra sopravvenuta di nuovo nel 1542 e i cattivi rapporti con gli amministratori milanesi, in difetto nel pagamento degli stipendi, gli offrirono però ben presto la giustificazione per accettare la condotta ferrarese offertagli da Ercole II d'Este con un trattamento di 1350 ducati annui. A Ferrara, con il solito grande concorso di scolari, l'A. rimase fino alla fine dell'anno accademico 1545-46,rifiutando ripetute offerte di Cosimo I de' Medici per una cattedra nel riaperto Studio di Pisa e nuove proposte dei padovani. Ma Ercole Il non poté trattenerlo quando l'autorità imperiale si decise a richiamano a Pavia, le cui connesse sorti di città e di Studio il governo milanese intendeva risollevare.
Il 20 marzo 1546 l'A., che nel breve èchiamato chierico, era stato fatto protonotario apostolico e chiamato a Roma per essere consultato sul concilio; ma non pare che si movesse da Ferrara. Più tardi, nel 1548, fornirà invece la sua opinione all'imperatore sulla questione della traslazione del concilio da Trento a Bologna.
A Pavia l'A. iniziò le lezioni il 15 nov. 1546, ma, tormentato dalla gotta, menoe mata era anche l'efficacia del suo insegnamento, che spesso dovette interrompere, per di più disturbato da gazzarre studentesche. Restava la fama, grandissima. Il futuro Filippo II, passando per Pavia, non mancò di usargli particolari riguardi. Amico ebbe l'A., negli ultimi suoi anni, Girolamo Cardano, anch' egli professore nello Studio pavese, che ci ha dato del collega un penetrante ritratto.
Nella notte tra l'11 e il 12 genn. del 1550 l'A. morì in Pavia, lasciando erede il prediletto congiunto Francesco, futuro cardinale. Gli furono rese solenni onoranze. L'orazione funebre fu detta da Alessandro Gnimaldi. Nella chiesa di S. Epifanio, dove fu sepolto, gli fu eretto da Francesco, che dettò anche l'epigrafe, un monumento, trasportato, alla fine del sec. XVIII, sotto i porticI dell'università.
Nel periodo italiano la produzione dell'Al-dato andò scemando. Continuavano ad essere pubblicate sue opere, ma, a parte le numerose ristampe, si trattava spesso della pubblicazione, a sua insaputa, di lezioni universitarie, come In Digestorum... librum XII... rubric. Si certum petatur commentarius (Lugduni 1537), o addirittura di opere apocrife, come lo Iudiciarii processus compendium, pubblicato per la prima volta a Colonia nel 1536. La cosa senz'altro migliore di quest'epoca - ma frutto di un lavoro incominciato parecchi anni prima - sono i Parerga, collezione di frammenti di erudizione e di critica giuridica, storica, letteraria, opera attesissima, i cui primi tre libri appaiono a Basilea nel 1538 (seguono nello stesso anno altre due edizioni a Lione). Altri sette libri, come i primi dedicati a Otto Truchsess von Waltburg, saranno stampati a Lione nel 1544 dove anche nel 1554, a cura di Francesco Alciato, vedranno la luce, postumi, l'undicesimo e il dodicesimo. Tra il 1543 e il 1547 l'A. aveva seguito e approvato la prima raccolta complessiva delle sue opere, curata a Basilea dall'Isingrin, sotto la diretta sorveglianza di Bonifacio Amerbach, con il quale l'A. non aveva mai cessato d'intrattenere rapporti epistolari. Lo scambio di lettere tra il maestro e l'antico allievo (dal 1522 non s'erano più visti) costituisce la parte maggiore dell'epistolario superstite dell'Aldato. Una delle sue ultime lettere è quella indirizzata a Paolo Giovio, come il fratello Benedetto amico dalla giovinezza, che è pubblicata in capo alle Historiae sui temporis dello storico comense. Anche con Aonio Paleario l'A. era stato, negli ultimi anni, in relazione epistolare.
Tra le opere postume più importanti vanno annoverati l'opuscolo De formula romani Impeni libri duo, pubblicato per la prima volta a Basilea, da Giovanni Oporino, nel 1559, insieme, tra l'altro, con l' "editio princeps" del De Monarchia di Dante; e i Responsa, ordinati in nove libri, da Francesco Alciati e stampati per la prima volta a Lione nel 1561 dal Fradin (migliore edizione quella di Basilea del 1582). L'opuscolo, di carattere politico, oltre che storico-giuridico, era già composto nel 1523. In esso l'A. illustra la "Forma Imperii" augustea e ne ritraccia le vicende e le trasformazioni dalla caduta dell'Impero a Carlo V. È un saggio sulla continuità dell'idea imperiale, in cui tuttavia non mancano decise affermazioni del primato papale.
L'A. meritò senz'altro la fama che fin da giovane s'era guadagnata, prima oltr'Alpe che in Italia, di grande umanista e di principe degli studi giuridici, quella fama che, come s'è visto, bastava da sola a far la fortuna d'una città e d'un ateneo. Già dal 1518 aveva avuto grande successo l'accostamento (fatto dal Cantiuncula in una lettera ad Agrippa) del Budé, dello Zasio e dell'A, in una sorta di triunivirato chiamato a presiedere, in Francia, in Germania, in Italia, alle sorti di una nuova età nello studio della giurisprudenza, quella che andò poi sotto la denominazione di "scuola culta" oggi sufficientemente chiaro che al primo, insigne ifiologo, mancavano, vere e proprie qualità di giurista, mentre il secondo difettava, al contrario, di una organica preparazione filologica (non conosceva, per es., il greco). Solo l'A., profondo e appassionato conoscitore delle due lingue classiche e delle rispettive letterature, oltre che in regola con la rigorosa routine teorica e pratica del giurista, riassumeva in sé armonicamente e in altissimo grado attitudini e preparazioni disparate. E se delle qualità di umanista dell'A. si è finito spesso per parlare soprattutto in funzione della preminente personalità del giurista - rinnovatore del metodo e creatore di nuovi indirizzi nella ricerca storica e in quella dogmatica -, ciò non vuol dire che la produzione del filologo, dello storico, del letterato in prosa e in versi, non sia anche da valutarsi in guisa autonoma, come assai significativa e a livello del migliore Umanesimo europeo. Basti ricordare le annotazioni ai più vari autori greci e latini sparse un po' dovunque nelle sue opere, specie nei Parerga (ma anche a parte, come nel caso del De plautinorum carminum ratione libellus unito al Lexicon quo totus Plautus explicatur, nel Plauto edito, nel 1568 a Basilea presso l'Episcopio), annotazioni che sono state non di rado riconosciute acute e illuminanti e in linea con la più progredita filologia umanistica, diversa da quella già invecchiata di un Beroaldo. Nè si dimentichino, nascoste magari dal prodigioso successo letterario degli Embiemata, le attitudini e gli entusiasmi dell'A. per gli studi storici ("[historia] ...sola... certissima philosophia", nella prefazione alle annotazioni a Tacito).
È comunque la figura del giurista e dello storico del diritto che prevale nella valutazione di una cosi poliedrica - e in ciò squisitamente umanistica - personalità del Rinascimento. Con l'A. - è stato detto assai bene - "gli assunti fondamentali della filologia umanistica vanno a costituire saldamente la struttura di un nuovo indirizzo metodologico nel campo stesso del diritto" (D. Maffei, Gli inizi dell'Umanesimo giuridico, Milano 1956, p. 128).
La posizione dei grammatici che, non alimentata da alcuna problematica giuridica, si era irrigidita in una antistorica polemica contro la giurisprudenza medievale, viene decisamente superata dall'A., che pur muove da solide e convinte premesse filologiche. Ma in lui è ben vivo, anche, un finissimo senso giuridico, e si è stabilito saldamente, fin dal tempo della scuola, quell'equilibrio tra ragione giuridica e ragione storico-filologica che contras segnerà d'ora in poi le più valide e interessanti figure della giurisprudenza in Italia e soprattutto fuori d'Italia. Convinto del valore positivo e costruttivo, nonostante la cattiva latinità, dell'esperienza giuridica medievale; preoccupato di non liquidare, insieme con i difetti linguistici, una buona sostanza scientifica, l'A. in più di una occasione fornisce aperto riconoscimento al valore dell'opera, originale e insostituibile, dei glossatori e dei commentatori. Egli accetta, in definitiva, la parte sostanziale della tradizione bartolistica, che risponde alle genuine necessità di una scienza del diritto vigente, di un diritto che si adegui costantemente alla realtà. Conscio dell'impossibilità pratica di vagheggiate restaurazioni del puro diritto romano, l'A. si era anche reso chiaramente conto della distinzione tra interpretazione ed elaborazione dogmatica del diritto, da una parte, e sua conoscenza storica. Questa, non che valere per sé stessa, potrà egregiamente servire a quelle, e in più casi l'A. ne darà la prova. Tuttavia la ricostruzione storica del diritto romano non può sostituirsi alla funzione creativa, cosi saldamente affermata, della giurisprudenza medievale e alla concezione evolutiva dell'interpretazione che ad essa è propria.
La tradizione scolastica dominante nelle scuole, specie in quelle italiane, non è però accettata in blocco dall'Alciato. Essa viene anzi sensibilmente rinnovata dall'interno, mediante uno snellimento e una nuova articolazione del metodo d'insegnamento, che devono condurre, tra l'altro, ad una più ampia conoscenza delle diverse parti del Corpus iunis civilis da parte degli studenti durante i loro corsi di studio. Lettura diretta dei testi, per l'addietro spesso dimenticati a favore dei commenti; loro restituzione filologica, dove è necessario; indipendenza di giudizio anche rispetto agli interpreti più famosi; limitazione del numero degli autori medievali utilizzati; eliminazione delle troppe citazioni, ovvero loro trasferimento ai margini dei commenti; infine lezioni in buon latino umanistico: tali sono i caposaldi del nuovo metodo, che si affermerà in misura e con rapidità diverse a seconda del terreno più o meno pronto a riceverlo. Il successo sarà immediato e clamoroso in Francia, paese già maturo per ragioni storico-politiche, sociali e culturali, a una riforma degli studi di diritto romano, del resto già da tempo condotti secondo quel "mos gallicus" che anticipava taluni postulati della "scuola culta" e che con essa poi si identifica fino alle estreme conseguenze della totale storicizzazione del diritto romano. Cuiacio, Duareno, Donello, si moveranno sulla via aperta dall'Alciato. In Italia, invece, la resistenza dello scolasticismo, imperante nella maggior parte delle università, sarà tenace. Pure, lentamente e con risultati meno appariscenti, anche in Italia il metodo alciateo, come osservò il Brugi, si fece strada. Nella terra del "mos italicus" è l'A. dell'equilibrio tra ifiologia e diritto, l'A. pratico insigne - come mostra l'imponente collezione dei suoi consigli - a trovar credito, ammiratori, seguaci. In Francia è invece l'A. fondatore della scuola storica del diritto romano che viene in primo piano. Questo aspetto della personalità scientifica alciatea non è meno importante dell'altro, ed èforse quello più conosciuto e studiato. La preparazione storico-filologica consentì all'A. di disegnare per la prima volta organicamente la storia di molti istituti del diritto pubblico e privato romano, enucleando dalla codificazione post-classica gli stadi della precedente evoluzione. Con l'A. prende il via, a questo scopo, la ricerca interpolazionistica che porterà alla piena rivelazione del diritto classico. Alla ricostruzione storica concorre la vastissima erudizione greco-latina, che non è costituita soltanto dal pur enorme patrimonio di testi storici e letterari già pubblicati o conosciuti, ma anche da materiali per la prima volta portati in luce mediante un'indefessa esplorazione di fonti manoscritte (l'A. dovette possederne una collezione assai ricca). Ci si limita a ricordare che l'A. fu il primo a utilizzare (1514) e il primo a pubblicare (1529) un manoscritto della Notitia dignitatum, della quale aveva prontamente afferrato l'importanza per la storia del diritto pubblico romano. Infine l'A. occupa anche, com'è ovvio, una posizione di grandissimo rilievo nella storia della critica dei testi giuridici romani, particolarmente del Digesto, per aver saputo riassumere e dare impulso organico e contributi numerosi e originali all'opera già iniziata dai filologi umanisti.
Come uomo l'A. fu accusato di eccessiva avidità di denaro, di avarizia, di incostanza, di smodata ambizione. Certamente fu un abilissimo negoziatore in occasione dei suoi frequenti passaggi da un'università all'altra e seppe farsi accrescere gli stipendi, vantando, vere o no che fossero, le maggiori offerte ricevute da altri. Fece certamente pagare cari iricercatissimi suoi consigli. Ed ebbe sicuramente altissima la coscienza del proprio valore. Fu sempre assai cauto nel prendere pubblicamente posizione, attento a non nuocere ai propri interessi. In ciò non fu diverso da moltissimi uomini eminenti del suo tempo in Italia. Pare assodato che vivesse modestamente e che fosse un parsimonioso amministratore dei molti beni ereditati e accumulati.
Iconografia: Uno dei più attendibili ritratti dell'A. è quello conservato nella "Collezione Gioviana" (n. 207) presso la Galleria Palatina di Firenze (Palazzo Pitti). Si tratta di una copia, eseguita, non prima del 1557, da Cristoforo dell'Altissimo, per conto di Cosimo I de' Medici, del ritratto allora esistente nel "Museo" di Paolo Giovio. Ma anche quest'ultimo era una copia; e precisamente del ritratto posseduto da Ercole Il d'Este, databile probabilmente non prima dell'autunno 1542, epoca in cui l'A. arriva a Ferrara, sicuramente non dopo l'11 genn. 1544,data a cui risale una lettera del Giovio al duca di Ferrara, contenente la richiesta di una copia del ritratto per il "Museo i (P. lovii, Epistularum pars prior, a cura di G.G. Ferrero, Roma 1956, n. 177). Altro importante ritratto del sec. XVI è a Vienna, Gemaldegalerie; cfr. F. Kenner, Die Portrdtsammlung des Erzherzogs Ferdinand von Tirol, in Yahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses, XVII (1897), p. x88, tav. XXVIII, fig. 41. Altri dipinti a Wolfenbuttel, Herzog August Bibliothek; Versailles, Musée, n. 2876; Basilea, Kunstmuseum, mv. n. 983.
Una statua dell'A., di ignoto autore, sorge sul monumento sepolcrale erettogli da Francesco Alciad, oggi sotto i portici dell'università di Pavia. Tra le numerosissime incisioni si vedano la tav. 23 in Illustrium iureconsultorum imagines... ad vivam effigiem expressae, ex Musaeo Marci Mantuae Benavidii, Romae 1566; l'incisione di Cornelio Cort, su cui cfr. J.CJ. Bierens de Haan, L'oeuvre gravé de C. Con...(1533-1578), La Haye 1948, p. 187, n. 203; Quella su disegno di Tobia Stimmer in N. Reusner, Icones sive imagines vivae literis clarorum virorum, Basileae 1589; quella compresa fra le Illustrissimorum... teorum icones di C. Pernet, Romae 1625, ecc.
Opere: Raccolte complessive: dopo l'edizione apparsa ancora vivente l'A. (Basileae, Isingrin, 1547; frontespizi datati anche 1548, 1549, 1550, 1551), se ne hanno altre cinque: Basileae, - Isingrin, 1557-58; Lugduni, Fradin, 1560, curata da Pardoux Du Prat; Basileae, Guarin, 1571; Basileae, Guarin, 1582 (la migliore); Francofurti, Zetzner, 1616-17.
Manca una bibliografia delle opere dell'Alciato. Ne possono fare provvisoriamente le veci: il Catalogue général des livres imprimés de la Bibliothéque Nationale, II, Paris 1899, coll. 13-20; il Generai Catalogue of Printed Books del British Museum, II, London 1931, coll. 838-845; e il Gesamtkatalog der Preussischen Bibliotheken, II, Berlin 1932, coll. 938-954 che comprende ben 174 numeri. A Parigi, poi, nella Biblioteca dell'Institut de France, sotto il n. 3819, esiste il Catalogue dressé Par P.A. Viard des oeuvres d'Andri Alciat contenues dans les principales Bibliothéques d'Europe, un manoscritto compilato sulle notizie fornite da centotrentatré biblioteche sulle opere edite e inedite dell'A. possedute a tutto il 1925.
Gli Emblemata possiedono una bibliografia non ancora superata nell'opera di H. Green, Andrea Alciati and his Books of Emblems. A Biographical and Bibliographical Study, London 1872. Lo stesso Green aveva dedicato in precedenza due volumi a riproduzioni litografiche delle principali edizioni degli Emblemi: Emblema tum fontes quatuor etc., London-Manchester 1870; ed Emblematum flumen abundans etc., ibid. 1871.
Lettere: I frammenti di quello che dovette essere un epistolario vastissimo sono stati pubblicati da O. L. Barni, Le lettere di A. A. giureconsulto, Firenze 1953. Osservazioni e supplementi alla pubblicazione del Barni si trovano in R. Abbondanza, A proposito dell'epistolario dell'Alciato, in Annali di storia del diritto, I (1957), pp. 467-500. Indispensabile la consultazione delle lettere dell'A. e all'A, pubblicate in Amerbachkorrespondenz, a cura di A. Hartmann, II-V, Basel 1943-58.
Manoscritti e inediti: Manoscritti dell'A, o riguardanti l'A. si trovano in Italia, principalmente a Roma (Biblioteche Vaticana e Angelica), Bolovia (Biblioteca universitaria), Pavia (Biblioteca universitaria) e Milano (Biblioteche Braidense, Trivulziana, Ambrosiana); all'estero, principalmente a Madrid (Biblioteca Nacional e Biblioteca de Palacio); Avignone (Archives Départementales); Parigi (Bibliothècaue Nationale); Oxford (Bodleian Library); Wolfenbüttel (Herzog August Bibliothek); Basilea (Universitätsbibliothek); Monaco di Baviera (Bayerische Staatsbibliothek e Universitätsbibliothek); Vienna (Oesterreichische Nationalbibliothek); Dresda (Sichsische Landesbibliothek); ecc. L'inedito principale è rappresentato dalla raccolta delle epigrafi milanesi, i cui principali manoscritti, autografi rispettivamente in tutto e in parte, sono conservati a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Cod. Trotti 353, e a Dresda, Sichsische Landesbibliothek, Ms. F 82b. Quanto sulla collezione epigrafica dell'A, scrive Th. Mommsen in Corpus Inscriptionum Latinarum, V, 2, Berlin 1877, pp. 568-569, 624-627 e passim, e sulla sua scia ripetono il Bianchi e il Viard, non è senza necessità di revisione.
Altro inedito importante è il Ms. C 65 della Bibì. Trivulziana, in cui si contengono il Philargyrus con le annotazioni di Aurelio Albuzio e la traduzione delle Nuvole di Aristofane con il commento di Gualtiero Corbetta.
Bibl.: L'opera principale sull'A. è ancora quella di P. É. Viard, André Alciat. 1492-1550, Paris 1926, su cui vedi la recensione di E. Landsberg in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, Rom. Abt., XLVIII (1928), pp. 624-628. Ma degli scritti precedenti meritano ancora d'essere consultati almeno i seguenti: F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 22-27; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, pp. 354-371; B. Podestà, A. A. lettore nello Studio di Bologna negli anni 1537-41, in Arch. giuridico, III (1869), pp. 347-355,480-488; IV (1869), pp. 199-208; XI (1873), pp. 84-92; V. Cian, Lettere inedite di A. A. a Pietro Bembo. L'A. e Paolo Giovio, in Arch. stor. lombardo, XVII (1890), pp. 811-865; C. Giardini, Nuove indagini sulla vita e le condotte di A. A. In app.: Epistole inedite tratte dagli autografi di Basilea,in Arch. stor. lombardo,s. 3, XIX (1903), pp. 294-346; E. Costa, A. A. allo Studio di Bologna,in Atti e Mem. d. Deput. di st. patria per l'Emilia e la Romagna, s. 3, XXI (1903), pp. 318-342; Id., A. A. e Bonifacio Amerbach, in Arch. stor. italiano, s. 5,XXXVI (1905), pp. 100-135; F. Lo Parco, Aula Giano Parrasio e A. A., in Arch. stor. lombardo, s. 4, XIII (1907), pp. 160-197; E. v. Modller, Andreas Alciat (1492-1550). Ein Beitrag zur Entstehungsgeschichte der modernen Jurisprudenz, Breslau 1907; D. Bianchi, Vita di A. A., in Bollett. d. Soc. pavese di storia patria, XII (1912), pp. 133-214; Id., L'opera letteraria e storica di A. A.,in Arch. stor. lombardo, s. 4, XIX (1915), pp. 1-130; B. Brugi, Per la storia della giurisprudenza e delle Università italiane, I, Saggi, Torino 1915 (ristampa 1921); II, Nuovi saggi, Torino 1921; G. Mercati, Su Francesco Calvo da Menaggio..., in Notizie varie di antica letteratura medica e di bibliografia, Roma 1917, pp. 47-71; P. Del Giudice, Fonti: legislazione e scienza giuridica dal sec. XVI ai giorni nostri, Milano 1923; P. F. Girard, A. et la "Notitia dignitatum", in Studi in onore di S. Perozzi, Palermo 1925, pp. 59-87. Posteriormente all'opera del Viard vanno ricordati: H. De Giacomi, Andreas Alciatui, Basilea 1934 (per l'appendice di ritratti); A. Visconti, Sul "De formula romani imperii" di A. A. in un ms. braidense, in Per il XIV centenario della codificazione giustinianea, Pavia 1934, pp. 275-292. Durante e dopo la preparazione dell'epistolario, O. L. Barni ha pubblicato una serie di articoli e di note sull'A.: Il problema del matrimonio di A. A., in Arch. giuridico, CXXX (1943), pp. 61-75; Note di storia della giurisprudenza. Le lettere di A. A. durante il suo insegnamento a Ferrara, in Rendic. d. Ist. lombardo. di scienze e lettere, classe di lettere e scienze morali e storiche, LXXVIII (1944-45), pp. 26-40; La biblioteca di A. A. attraverso il suo epistolario, in Scritti in onore di C. Ferrini, I, Milano 1947, pp. 56-76; A. A. giureconsulto milanese e le idee della Riforma protestante, in Riv. di storia del diritto ital., XXI (1948), pp. 161-209; L'"Epistolaire" d'André Alciat, in Rev. historique de droit français et étranger, s. 4, XXIX (1951), pp. 300-305; "Bellum iustum" e "bellum iniustum" nel pensiero del giureconsulto A. A., in Mélanges Augustin Renaudet, Genève 1952, pp. 219-234; Avvenimenti e personaggi in una inedita commedia di A. A. giureconsulto e umanista milanese, in Studi storici in memoria di Mos:. A. Mercati, Milano 1956, pp. 27-39; Aspetti del problema religioso in una commedia ined. di A. A.(1523), in Bibl. d'Humanisme et Renaissance, XVIII (1956), pp. 362-383; L'attività consulente dei giureconsulti in un'opinione di A. A., in Studi in onore di C. Castiglioni, Milano 1957, pp. 31-46; Notizie del giurista e umanista A. A. su manoscritti non glossati delle Pandette, in Bibi. d'Humanisme ci Renaissance, XX (1958), pp. 25-35; La situazione politico-giuridica milanese nella formazione di A. A., in Bibl. d'Humanisme et Renaissance, XXII (1960), pp. 7-33. Di P. Vaccari vanno ricordati: Un capitolo della fortuna di A. A., in Rend. d. Ist. lombardo di scienze e lettere, classe di lettere, LXXXII (1949), pp. 149 ss.; I consulti dell'Alciato, ibid., LXXXIV (1951), pp. 84-92; A. A. e la "plenitudo potestatis" del principe, in Riv. di storia del diritto ital., XXIV (1951), pp. 161-169; "De consolatione". Gli ultimi anni pavesi di A. A., in Scritti storici, Pavia 1954, pp. 119-124; A. A., in Nova Historia, VIII (1956), fasc. 1-111, pp. 5-22. Assai importante lo studio di C. Dionisotti, Notizie di Alessandro Minuziano, in Miscell. G. Mercati, IV, Città del Vaticano 1946, pp. 327-372. Infine: R. Abbondanza, La giurisprudenza medievale nel giudizio dell'umanista Francesco Florido Sabino, in Il Mulino, III (1953),pp. 640-662; Id., Tentativi medicei di chiamare l'A. allo Studio di Pisa (1542-47), in Annali di storia del diritto, II (1958), pp. 361-403; Id., La laurea di A. A., in It. medioev. e uman., III (1960); D. Maffei, Gli inizi dell'umanesimo giuridico, Milano 1956, passim; G. Kisch, Erasmus und die Jurisprudenz seiner Zeit, Basel 1960, pp. 304-316 e passim.