ANGIULLI, Andrea
Nacque a Castellana, in provincia di Bari, il 12 febbr. 1837, di famiglia agiata. Studiò a Molfetta e a Bari; intorno al 1857, e forse prima, andò a Napoli, ove seguì i corsi universitari di scienze naturali e di filosofia. Subì allora, sembra, l'influenza dell'ontologismo giobertiano. Tenne, prima del '60, i contatti fra i gruppi rivoluzionari di Napoli e quelli di Bari, anche se non risulta avere avuto parte attiva neo avvenimenti del '60. Nel '61 gli fu offerto un insegnamento nel liceo di Bari, che non accettò. Rimase a Napoli dove, il 29 ott. 1860, era stato nominato professore di filosofia Bertrando Spaventa, a cui si rivolse. Fu lo Spaventa che si adoperò nel '62 presso il fratello Silvio per ottenergli una borsa di perfezionamento in Germania; in questo paese, prevalentemente a Berlino, dimorò circa tre anni. Dei contatti che vi ebbe si hanno indicazioni incerte; può dirsi che vi si recò hegeliano per venirne via nel '65, orientato verso la filosofia positiva. Da Berlino, il 15 dic. '62, scriveva a Spaventa di una certa diffusa reazione contro la filosofia; più frequentate delle altre le lezioni del Trendelenburg (possiamo ricordare che l'A. usò poi, nell'insegnamento liceale, gli Elementa logicae Aristotelicae di questo filosofo) perché più concrete; ma dovunque viva l'illusione "di rovesciare il colossale monumento dell'idealismo assoluto". Di qui l'A. traeva la speranza che l'Italia avrebbe potuto riprendere "un dì il primato della filosofia in Europa", e ciò "per mezzo della libera speculazione", di cui lo Spaventa era così degno maestro. In Germania, tuttavia, venne in diretto contatto con gli svolgimenti in senso "umanistico" della sinistra hegeliana, e con la più generale reazione allo hegelismo. Nel 1868, ma alludendo evidentemente a esperienze personali, notava che "la più ampia sala dell'università di Berlino, dove un giorno Hegel raccoglieva una gioventù entusiasta di speculazione, la vedi ora riempirsi da una gioventù avida di scienza positiva fin da una ora prima che la maschia figura di Du Bois-Reymond non venga in un corso di antropologia a negare con una parola netta, schietta, robusta la metafisica cosmologica o psicologica". In Feuerbach, e nel suo "materialismo" vedeva "la conseguenza e la confutazione dell'eghelianismo", una specie di "dialettica della dialettica egheliana" (La filosofia e la ricerca positiva, pp. 12, 81).
Entrato in contatto con la filosofia positiva l'A., recatosi in Germania per approfondire il suo hegelismo, ne partì nel '65 per andare a Parigi e a Londra ad attingere alle fonti le teorie positivistiche di Comte e di Mill. Ritornato dopo qualche tempo in patria, fu nominato al liceo di Catania, ma non lo raggiunse a causa di un'epidemia di colera; venne allora destinato, prima come reggente e poi come titolare, alla cattedra di filosofia del liceo Vittorio Emanuele di Napoli. Qui pubblicò, probabilmente nel 1868 (data del frontespizio interno; la data della copertina èinvece il 1869), in forma di volumetto un saggio, destinato in origine a una rivista, La filosofia e la ricerca positiva. Quistioni di filosofia contemporanea.
L'autore intende mettere a fuoco la crisi dell'idealismo hegeliano, le sue ragioni inteme, lo sviluppo del positivismo come risposta alle questioni lasciate aperte dallo hegelismo e i suoi possibili orientamenti futuri. Secondo l'A. il gran fatto nuovo del mondo moderno è la rivoluzione scientifica con tutte le sue conseguenze pratiche; progresso materiale teriale e intellettuale si condizionano a vicenda, anzi "i progressi materiali sono condizioni di ulteriori progressi intellettuali e morali; e così si stabilisce sui due centri della scienza e dell'industria quella rivoluzione viva, che costituisce l'idea complessa dei progresso sociale". È la scienza che raccoglie il risultato positivo delle "rivoluzioni religiose o filosofiche o politiche", in una sorta di ritmo dialettico; secondo l'A., attraverso la crisi dell'hegelismo si èavuta "la fondazione di un nuovo concetto della filosofia", che è appunto la filosofia positiva. Tuttavia se la sua polemica contro l'ontologismo giobertiano è assai aspra, altrettanto franco è il riconoscimento dell'importanza di Hegel e dell'insegnamento di Spaventa, "il quale ravvivando le tradizioni della filosofia italiana del Risorgimento, e ponendo con severità di metodo il problema della critica e della teorica della conoscenza, batte le due vie maestre che possono generare una nuova coscienza filosofica nella nostra gioventù" (La filosofia e la ricerca positiva, pp. 94 s.).
Perciò non sembra del tutto sicuro, come parve al Gentile, che Bertrando Spaventa alludesse all'A. quando, nella celebre lettera a Camillo De Meis, Paolottisino, positivismo, razionalismo, uscita proprio nel '68 nella Rivista bolognese, ironizzò amaramente sui "giovani positivi", che facevan gli hegeliani a Napoli e i positivisti a Firenze al seguito del Villari, anche dall'A. lodato ed esaltato. Proprio a Firenze, anzi, all'Istituto di studi superiori, l'A. aveva ottenuto il diploma di abilitazione all'insegnamento. Comunque è certo che, mentre il Fiorentino attaccava aspramente l'A. per il suo libro, non minore scandalo suscitava il suo insegnamento liceale, che si rifaceva a Comte e a Darwin, e che veniva accusato di seminare l'ateismo fra i giovani. Invitato ad attenersi a un insegnamento più elementare - era preside del liceo il sacerdote I. Amicarelli - l'A. non soddisfece ugualmente i suoi censori, sì che nel 1871 fu proposto il suo trasferimento al liceo Principe Umberto, sempre in Napoli. Egli reagì dichiarando che, piuttosto che accettare un trasferimento che era una punizione, si sarebbe dimesso. La cosa ebbe un'eco al Parlamento, dove l'on. G. Toscanelli accusò l'A. di propagandare l'ateismo, accusa da cui lo difese l'on. G. Lazzaro. Il ministro Correnti risolse la questione offrendo all'A. l'incarico d'insegnare antropologia e pedagogia a Bologna, dove rimase fino al 1876, quando fu nominato professore ordinario di pedagogia all'università di Napoli (ma l'università di Bologna lo nominò suo professore emerito nel 1887, celebrando l'ottavo centenario della fondazione).
Lo scritto programmatico su La filosofia positiva e la pedagogia (Napoli 1872; e già nella Rivista critica, I, pp. 257-68) è la sua prolusione bolognese; nel 1873 esce, pure a Napoli, un opuscolo di Questioni di filosofia contemporanea. Più importante il volumetto La pedagogia, lo stato e la famiglia (Napoli 1876, 2 ediz. 1882; ediz. tedesca a cura del dr. Göring), ove in base ai principi della filosofia positiva si fanno vedere l'importanza e la funzione di una pedagogia scientifica.
Parafrasando Littré, l'A. insiste sulla tesi che "sul campo dell'educazione si accoglie la lotta suprema della civiltà". L'adeguazione di una nuova civiltà alla situazione e alle richieste del progresso, qual è stato determinato dal sapere scientifico, non può avvenire che per il tramite dell'educazione; d'altra parte "il segreto dei problema educativo consiste nel cogliere in mezzo al progresso della storia i principi che costituiscono l'evoluzione della cultura, e applicarli nella vita di un popolo per l'attuazione di più alti svolgimenti". Di qui la necessità di una consapevolezza chiara dei nessi dell'individuo con la società, con le condizioni ambientali, col processo di sviluppo m cui si mserisce, con l'organizzazione della collettività di cui fa parte ("questa più larga sfera della pedagogia, che si confonde con la politica"). Di qui l'asserzione molto netta dell'A.: "Fatte quindi le concessioni indispensabili per comprendere le conclusioni e l'intimo circolo delle attività umane nell'organismo collettivo e individuale noi continueremo a portare scritto nella nostra bandiera: meglio sapere per meglio volere e meglio potere" (La pedagogia, lo stato e la famiglia, p. 116).
Nel 1871 aveva sposato Mary Romano, figlia dell'on. Giuseppe Romano e nipote del ben noto Liborio Romano; e da lei ebbe quattro figli. L'attività pratica e la scuola parvero assorbirlo, né fu abbondante in questo periodo la sua produzione di studioso. Nel giugno del 1871 prese a pubblicare, insieme al Giordano-Zocchi, allo SchiattareUa, al Miraglia, a Luigi Barbéra e ad altri, la Rivista critica di scienze lettere e arti (direttore figura il professor Francesco Trinchera nipote), che ebbe brevissima vita, ma in cui comparvero i suoi attacchi a Carlo Cantoni per il suo manuale di filosofia, ove trovava una indebita intrusione di dogmatismo teologico e metafisico, così come alla Psicologia come scienza positiva di R. Ardigò (uscita nel '70), alla quale, ugualmente, rimproverava una sorta di tradimento del positivismo attraverso la concessione - analoga a quella di Spencer - di essenze, cause prime, inconoscibili e così via. "La natura propria delle cose, la loro essenza, non è altro che la loro fenomenalità".
Il periodo napoletano, dal 1876 alla morte, fu il suo momento più brillante, soprattutto come insegnante e uomo di azione. Oltre la cattedra di pedagogia, tenne temporaneamente quella di etica alla morte di P. E. Tulelli e, nell'84, alla morte del Fiorentino, fu incaricato per circa due anni della filosofia teoretica. È il tempo in cui, da un lato, per integrare le sue cognizioni scientifiche, fa studi di matematica superiore con l'aiuto di Rubino Nicodemi, professore alla Scuola di applicazione per gl'ingegneri, e dall'altro insegna etica e pedagogia alla scuola normale froebeliana fondata a Napoli nell'istituto della Schwabe, istituto di cui sarà presidente quando verrà eretto in ente morale. Del metodo froebeliano si interessò allora non poco, in conferenze a Napoli e a Bari; presiedette più volte le conferenze pedagogiche; fu tra i presidenti onorari del primo congresso di antropologia criminale (Roma 1885); collaborò alla compilazione dei programmi e regolamenti dell'istruzione elementare; fu membro del consiglio comunale di Napoli.
Nel 1881 fondò la Rassegna critica di opere filosofiche, scientifiche e letterarie, che visse fino alla sua morte (tentarono di continuarla, nel '90, G. A. Colozza ed Errico de Marinis), con compiti di informazione bibliografica (meritò le lodi dello Spencer e del Sully), ma senza che la personalità dell'A. vi si manifestasse. Nel 1886 uscì a Napoli il lavoro di maggior respiro, La filosofia e la scuola. Appunti, che è la raccolta "di una serie di conferenze" - di qui il termine "appunti" - "tenute in due anni successivi, nell'università di Napoli, sul concetto della filosofia positiva o scientifica, e su la sua importanza morale ed educativa".
L'A. vi esamina in particolare la funzione della metafisica: "Il dichiarare - osserva - soltanto inaccessibile l'oggetto della vecchia metafisica, come fa l'agnosticismo, è un conservarlo per metà, in una forma assurda, contraddittoria". Bisogna eliminarlo, anche se resta il problema, ossia "la ricerca di ciò che sorpassa la sfera immediata della percezione, e costituisce la ragione esplicativa delle cose. Laonde se non vuol farsi una semplice questione di parole, si dovrà dire che la ricerca metafisica sia parte integrante della scienza e della filosofia". Il sapere umano, infatti, è "essenzialmente progressivo" come la realtà intorno a cui si travaglia, che è in evoluzione; le "formazioni ideali e ipotetiche" che si incontrano in ogni scienza mostrano la validità della metafisica, ma solo in quanto è la stessa ricerca positiva e progressiva (La filosofia e la scuola, p. 123).
Più chiaro era l'A. nel disegnare e nel difendere i compiti dell'educazione e della scuola del nuovo Stato italiano, individuando in un ideale laico la formazione che ai cittadini doveva dare una società modernamente strutturata. La sua costante polemica anticlericale si unisce a una candida fede nelle possibilità dell'educazione quando sia fondata su una filosofia scientifica, ossia su un'adeguata visione biologica, psicologica, sociologica e storica.
Il 7 dicembre 1889, mentre presiedeva a Roma una seduta della Società pedagogica italiana, l'A. fu colpito dal male che lo spense il 2 genn. 1890, assistito dal suo allievo G. A. Colozza, che, oltre a farsene biografo e continuatore, dette anche notizia dei manoscritti e abbozzi lasciati, fra cui quelli di una Scienza dell'educazione, in cui, al dire del Colozza, "nel rifare la storia delle leggi pedagogiche", l'A. ricostruiva "la storia del progresso della biologia, della psicologia e dell'etica". Si trattava, tuttavia, di stesure ancora inorganiche e l'idea di una pubblicazione venne abbandonata.
Il suo insegnamento, cui si collega quello di Pietro Siciliani, che gli succedette forse con maggior eco sulla cattedra bolognese, fu difeso da G. A. Colozza, ma la sua concezione filosofica, brillantemente criticata e demolita da Giovanni Gentile su La Critica del 20 marzo 1909, subì le sorti del positivismo italiano e cadde presto in dimenticanza.
Bibl.: A. Espinas, La Philosophie expérimentale en Italie. Origines-Etar actuel, Paris 1880, pp. 82-88; F. Alterocca, Sulla vita e sulle opere di A. A., Milano 1890; G. A. Colozza, A. A., in Diz. illustrato di Pedagogia, Milano 1891, I, pp. 31-40; G. M. Ferrari, Il Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli, all'esposizione universale di Parigi del 1900, La cattedra di filosofia, Napoli 1900, pp. CXXXVI-CXLVI; F. Orestano, A. A., Roma 1907 (con bibl.); G. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850; III. I Positivisti. V. A. A., in La Critica, VII (1909), pp. 97-120 (e ne Le origini della filosofia contemporanea in Italia, II, Messina 1921, pp. 123-53); G. B. Gerini, Gliscrittori pedagogici italiani del sec. XIX, Torino 1910, pp. 110-122; P. Giuffrida, Il fallimento della pedagogia scientifica, Città di Castello 1920, pp. 75-95; S. Caramella, Studi sul positivismo pedagogico, Firenze 1922, pp 32-36; G. Calò, L'antesignano del positivismo pedagogico: A. A., in Dottrine e opere nella storia dell'educazione, Lanciano 1932, pp. 205-211; G. Flores D'Arcais, Studi sul positivismo pedagogico italiano, Padova 1953, passim; E. Liguori, A. A., Milano 1953; U. Spirito e F. Valentinil, Il pensiero Pedagogico del positivismo, Firenze 1956, passim.