ARDUINO (Ardoino), Andrea
Appartenente a un'antica famiglia messinese, si addottorò in legge ed entrò nell'amministrazione del Regno di Sicilia. La prima sicura notizia sulla sua attività di funzionario risale al 1534: in un dispaccio dei 18 ottobre l'ambasciatore imperiale a Roma, Cifuentes, accenna a una sua relazione sulle decime dei regni di Napoli e di Sicilia. Nel 1535, alla venuta di Ferrante Gonzaga in Sicilia, l'A. ricopriva già l'importante carica di conservatore del Regio Patrimonio, alla quale doveva aggiungere l'anno dopo la nuova, ancor più delicata carica istituita allora da Carlo V, di consultore del viceré.
Nel corso del viceregno del Gonzaga, l'A. fu suo fidato collaboratore, dando prova in varie difficili circostanze di grande abilità nel disbrigo degli affari politici e finanziari.
Già nello stesso 1535, in un dispaccio del 29 ottobre, il Gonzaga si esprimeva sul conto dell'A. in termini assai lusinghieri, assicurando a Carlo V che l'A., incaricato di portare a compimento una difficile operazione finanziaria, " non mancarà usar ogni díligentia..., si corno ha mostrato et mostra usarla in tutte le altre cose che toccano il servitio di S.M. et che da me se li commetteno... ". Sempre nel 1535 con dispaccio del 12 dicembre, il Gonzaga, dovendo andare a corte per riferire sugli affari di Sicilia, comunicava a Carlo V la sua intenzione di farsi accompagnare dall'A., che più tardi, nel 1538, si recava a corte da solo per incarico dello stesso Gonzaga.
Le competenze dell'A. si estendevano a tutti i settori dell'amministrazione siciliana dei cui congegni più segreti fu sempre esperto conoscitore (a lui pare si debba il progetto dì riforma in senso accentratore di tutta l'anuninistrazione del Regno, presentato dal viceré a Carlo V nel 1537). Particolare abilità mostrò però sempre nelle questioni finanziarie, del resto di sua più diretta pertinenza, e si ricorda ad esempio come nel 1539 un ammutinamento di soldati che reclamavano il soldo minacciava di procurare al Gonzaga gravissime, difficoltà, senza il tempestivo intervento dell'A., che, utilizzando anche la sua grande influenza personale, ottenne dai messinesi un prestito di 20.000 ducati. Il Gonzaga usava valersi dell'A. anche in delicati compiti politici e diplomatici: nel 1542 per es. pensava di mandarlo a Stambul a trattare la conclusione di una tregua col Turco.
Nel 1546 il Gonzaga, passato ad altro incarico, lasciò l'A. in una posizione di grande prestigio e autorità, che non pochi guai doveva procurare ai suoi successori. Prezioso collaboratore di quell'autentico uomo di stato che fu il Gonzaga, l'A. si trovò invece in contrasto con gli altri viceré dell'isola, contro i quali fece valere in varie circostanze tutto il peso della sua consumata esperienza amministrativa e delle sue potenti aderenze a corte.
Già nello stesso 1546, inviò a corte un ricorso contro il presidente del Regno, marchese di Licodia, che pure nel 1540, durante un breve periodo di governo dell'isola in assenza del Gonzaga, ne aveva fatto i più grandi elogi a Carlo V, accusandolo di sottrarsi all'obbligo di consultarlo sistematicamente sui più importanti affari di stato.
Ben altri guai procurò al nuovo viceré juan de Vega, il quale arrivò, a quanto pare, a privarlo assai incautamente dell'uffìcio. Il conflitto si risolse con il pieno smacco del Vega: l'A. infatti, come ricordò il Di Castro, " andò alla corte contra di lui: procurò che gli venisse la sindicatione " e alla fine lo costrinse " a demandar licentia ".
Dell'onnipotenza raggiunta dall'A. negli affari del Regno riferisce ampiamente anche il viceré duca di Medinaceli che, nella relazione stesa allo scadere del suo periodo di governo nell'isola (1565), sentì il bisogno di mettere in guardia il suo successore sui gravi pericoli che comportava la convivenza con l'A., presentato come un funzionario abile (" es hombre que sabe serbir si quiere "), ma corrotto ed intrigante. A sentire il Medinaceli I'A. influenzava continuamente e il pagamento il corso della giustizia civile e criminale del Regno e, se il viceré cercava di impedirglielo, reagiva duramente ed ostinatamente, rendendo in pratica inefficiente tanta parte della vita amministrativa dell'isola, col blocco delle pratiche e il boicottaggio di ogni iniziativa.
Al Medinaceli non pare comunque che toccassero fastidi del tipo di quelli procurati dall'A. al suo predecessore e al suo successore. Anche il marchese di Pescara infatti ebbe a dolersi dei suoi contrasti con l'A., che al solito lo mise in cattiva luce a corte, d'accordo questa volta con il nuovo conservatore del Patrimonio (l'A. era passato alla carica di protettore del Regio patrimonio, e come tale compare già in un documento del 1550), Pedro Velazquez, il quale si recò appositamente a Madrid.
Tali manovre dell'A. avevano sempre successo, venendo ad inquadrarsi perfettamente nel sistema di governo della monarchia spagnola instaurato da Filippo II, il quale, com'è noto, governava i suoi stati con una difficile politica di limitazioni e di controlli reciproci, tendente ad equilibrare e controbilanciare potere centrale e poteri locali.
Le iniziative dell'A. ebbero sempre la migliore accoglienza a corte, che non gli lesinò mai i riconoscimenti: nel 1552 gli fu donato l'edificio dove aveva sede la dogana di Messina, e nel 1568, con la prammatica del 6 novembre che introduceva anche in Sicilia, con la famosa riforma dei tribunali, moderne strutture burocratiche (sistema di governo consiliare), l'A. fu innalzato all'altissima carica a vita di presidente del Tribunale del Real Patrimonio, la suprema magistratura finanziaria del Regno, con uno stipendio di iooo scudi l'anno.
L'A. doveva avere, come tutti gli alti funzionari del tempo, una solidissima posizione sociale: nel 1542 s'imparentò con la famiglia Gioieni, sposando la figlia del marchese di Castiglione. Né gli mancarono i consueti legami con la terra, se fu, come pare, signore di Soreto (o Sorito), feudo del quale non si è riusciti a trovare precisa notizia. La data di morte dell'A. non è nota, ma dovette cadere negli anni compresi tra il 1571 (in tale anno corrispondeva ancora con la corte di Madrid) e il 1574 (il 15 febbraio di tale anno A. Gisulfo assunse la carica di presidente del. Tribunale del Real Patrimonio).
Ebbe discreta cultura umanistica e fu amico di C. M. Arezzo, la cui corografia della Sicilia, stando a quanto dichiara lo stesso Arezzo in una lettera dedicatoria preposta al suo De situ Insulae Siciliae, fu composta anche per esortazione dell'Arduino.
Fonti e Bibl.: Regni Siciliae Pragmaticarum sanctionum, a cura di R. Raimondetta, II, Panorami 1576, p. 3; Advertencias que el duque de Medinaceli dejó à D. Garcia de Toledo sobre el gobierno del reino de Secilia. De Messina à 3 de enero de 1565, in Collección de documentos inéditos Para la historia de Espafia, a cura del marqués de Pidal e di M. Salvà, XXVIII, Madrid 1856, pp. 312 s., 319 S.; Calendar of letters, despatches and State Papers relating to the negotiations between EngIand and Spain..., a cura di p. de Gayangos, V, I, Henry VIII, 1534-I538, London 1886, p. 288; Registri di lettere di Ferrante Gonzaga, a cura di E. Costa, Parma 1889, pp. 11, 24; A. Saitta, Avvertimenti di don Scipio Di Castro a Marco Antonio Colonna quando andò viceré di Sicilia, Roma 1950, pp. 45, 48, 50; Catálogo XIX del Archivo de Simancas. Papeles de Estado. Sicilia, a cura di R. Magdaleno, Valladolid 1951, pp. 16, 21, 30, 39, 43; G. Galluppi, Nobiliario della città di Messina, Napoli 1877, p. 27; G. E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré luogotenenti e presidenti del regno di Sicilia, Palermo 1880, p. 1001; G. Capasso, Il governo di Don Ferrante Gonzaga in Sicilia dal 1535 al 1543, in Arch. stor. siciliano, n. s., XXX (1905), p. 453; XXXI (1906), pp. 17, 35, 59, 75, 99, 416.