BADOER, Andrea
Nacque da Giovanni verso il 1447, se è vero, come egli stesso afferma in una lettera, che nel febbraio del 1509 aveva sessantadue anni. Era uno di quei patrizi veneziani, allora ancora abbastanza numerosi, che alla carriera politica preferivano i commerci. Il suo nome, prima del 1509, non compare quasi mai negli elenchi dei nobili eletti alle cariche pubbliche. Sappiamo che prima del 1501 era stato consigliere in Candia e Savio alle acque, e che in quell'anno concorse, senza riuscire, all'elezione del provveditore generale in Dalmazia e del provveditore a Sebenico. Nel gennaio del 1509, eletto provveditore sopra le vendite, rifiutò.
Fino a quel tempo egli si era dedicato al grande commercio internazionale, viaggiando e risiedendo a lungo in diversi paesi europei, soprattutto in Inghilterra, e forse anche in Levante, apprendendo a parlare correntemente il francese, il tedesco e l'inglese, e allacciando relazioni con molti influenti personaggi.
Un duro colpo subì nel novembre del 1498, quando una sua nave che veniva da Candia con un carico di vini fu catturata dalle galee corsare del viceré di Sicilia. Si ha notizia dei preparativi per un suo viaggio in Sicilia, allo scopo di recuperare la nave e il suo carico, viaggio che probabilmente attuò, ma senza alcun risultato. Così nell'ottobre del 1503 troviamo una sua supplica alla Signoria, intesa ad ottenere a livello perpetuo per ducati 70, da rinnovare ogni ventinove anni, terre nell'isola di Veglia, a titolo di grazia per poter riparare i danni subiti nella perdita della nave. La grazia fu posta in votazione in Senato diverse volte, finché fu approvata il 7 ag. 1506.
Le circostanze fecero improvvisamente del B. un personaggio politico di primo piano. Appresa a Venezia la conclusione della lega di Cambrai, fu deciso di mandare un ambasciatore in Inghilterra per muovere quel re contro la Francia. Il Consiglio dei Dieci con la Giunta, dopo molti consulti, elesse il 30 genn. 1509 il B., ritenendo che per la sua conoscenza delle lingue e dei paesi fosse il più indicato ad attraversare in incognito i territori nemici. Il B., che era stato eletto a sua insaputa, fu persuaso ad accettare dal doge in persona e partì in gran segreto il 6 febbraio, vestito all'inglese. Cavalcando senza soste, nonostante i suoi sessantadue anni, attraverso la Francia ostile, giunse felicemente in Inghilterra verso il 20 di marzo. Qui il re Enrico VII, già gravemente ammalato, non lo poté ricevere. Il suo successore Enrico VIII, in cui il tradizionale antagonismo verso la Francia era ora acuito dalla preoccupazione per la minaccia d'una egemonia francese, accolse l'ambasciatore veneziano con espressioni d'amicizia, suscitando ottimistiche previsioni. Il B., che era stato autorizzato dal Senato, dopo la rotta di Agnadello, a promettere al re la stipulazione d'una lega e l'aiuto della flotta, purché rompesse guerra con la Francia, ottenne da Enrico VIII un aperto appoggio diplomatico.
Il re non pubblicò la bolla di scomunica contro Venezia ed esercitò pressioni sul papa affinché la revocasse e desistesse dalle ostilità. A Ferdinando d'Aragona e a Massimiliano d'Asburgo fece pure pervenire esortazioni alla pace, insistendo sul fatto che una disfatta della Repubblica avrebbe lasciato campo libero all'egemonia francese, e sollecitando, dietro richiesta del B., Massimiliano, ad accogliere positivamente le proposte di accordo avanzate da Venezia.
Ma poi, smentendo ogni previsione del B., il quale appena il 4 febbraio aveva scritto che il re non avrebbe fatto lega con nessuno senza comprendervi Venezia, l'Inghilterra rinnovò il 23 marzo 1510 tutti gli esistenti accordi col re di Francia.
La notizia provocò grande delusione in Venezia. Al Senato doveva sembrare ormai poco proficua la permanenza in Inghilterra d'un ambasciatore, anche perché il momento più critico sembrava superato per il nuovo orientamento della politica di Giulio II. Inoltre voci critiche nei confronti del B. giungevano per lettere private dai mercanti veneziani residenti a Londra, che lo accusavano di incapacità e inerzia, anche a causa della malferma salute. Sicché i savi del Consiglio proposero al Senato l'11 sett. 1510 di richiamare il B., e che, ove questi non potesse ottenere il salvacondotto, lo si lasciasse in Inghilterra, riducendogli però lo stipendio da 100 a 50 ducati. Fu adottata una proposta di compromesso, avanzata da Marin Sanuto, il diarista, amico del B.: l'oratore rimase in Inghilterra, ma il salario fu ridotto a 70 ducati, che per altro, a causa delle gravi difficoltà finanziarie della Repubblica, gli vennero corrisposti assai irregolarmente, tanto che dovette indebitarsi, e quasi non c'è sua lettera che non accenni allo spinoso argomento.
Per fortuna di Venezia l'accordo tra Francia e Inghilterra non aveva alcuna consistenza, minato alla base, come rilevava il B. nei suoi dispacci, dalla minaccia d'una egemonia della Francia e dall'alleanza di questa con la Scozia. Continuavano i contatti inglesi col papa e con Ferdinando, e le pressioni su Massimiliano per indurlo ad accordarsi con Venezia. Il B., ben consapevole del vero animo di Enrico VIII e dei reali interessi inglesi, fece quanto era in suo potere per persuadere della necessità di una grande lega generale antifrancese, la cui conclusione poteva preannunciare con certezza già l'11 ag. 1511. Venne infine, nell'ottobre di quell'anno, la "lega santa", cui l'Inghilterra aderì il 17 novembre. Il B., per incarico della Signoria, si adoperò a stimolare il re ad una energica azione militare e a rassicurare gli alleati sulle intenzioni veneziane, messe in dubbio dalla diplomazia fiorentina, che, probabilmente informata dei sondaggi francesi iniziatisi nel marzo 1512 tramite Andrea Gritti, insinuava essere imminente un accordo tra Francia, papa e Venezia.
Nel luglio del 1512 il Senato elesse Francesco Cappello oratore in Inghilterra, per sostituire il B., il quale, stanco della missione prolungatasi oltre il consueto, aveva chiesto di poter rimpatriare. Il Cappello partì in luglio, ma non arrivò in Inghilterra, e il B. dovette rimanervi altri tre anni. Toccò così a lui l'ingrato compito di giustificare il rovesciamento di alleanze operato dalla Repubblica con il patto del 23 marzo 1513.
Egli spiegò ad Enrico VIII che Venezia si era dovuta alleare con la Francia per recuperare le città perdute e conservare la Terraferma, contro le pretese dell'Impero, alle quali aveva acceduto Giulio II col trattato del 19 nov. 1512. Egli si valse di tutta la sua influenza per cercare di convincere il re a desistere dalla guerra contro la Francia. I suoi sforzi furono vani, ed egli poté solo impedire un'aperta rottura tra Venezia e Inghilterra, ormai schierate in campi opposti. Le conseguenze per la Repubblica furono gravi: dovendo i Francesi trascurare l'Italia per respingere l'energica offensiva inglese, le campagne militari del 1513 e del 1514 furono disastrose, e gli imperiali arrivarono nuovamente alle sponde della laguna. Finalmente, venuti meno i motivi del conflitto, fu conclusa il 7 ag. 1514 una nuova alleanza anglo-francese, in favore della quale il B. aveva costantemente fatto opera di convinzione.
La mutata situazione politica consigliò il Senato veneziano ad eleggere nuovi ambasciatori, per sottolineare la particolare cordialità delle relazioni anglovenete. Dal 18 apr. 1515 il B. fu affiancato da Pietro Pasqualigo e Sebastiano Giustinian, e dal 3 maggio dal solo Giustinian, nuovo oratore residente. Il B. aveva ottenuto dal Senato licenza di ritornare al più presto, ma suo malgrado dovette rimandare la partenza di alcuni mesi, non potendo ottenere il necessario salvacondotto a causa dei grossi debiti contratti per sostenere onorevolmente l'ufficio. Soltanto il 19 nov. 1515, soddisfatti in parte i creditori, partì dall'Inghilterra. Poco prima Enrico VIII lo aveva nominato cavaliere, donandogli anche una catena d'oro del valore di 500 ducati, che egli impegnò per pagare i debiti. Il re scrisse alla Signoria una lettera in suo elogio, con espressioni forse non dettate da semplice convenienza, perché nel suo lungo soggiorno, a quanto pare, il B. aveva saputo realmente stabilire amichevoli rapporti, anche sul piano personale, con il re e con i principali personaggi del regno.
Sulla via del ritorno l'oratore si abboccò a Lione col re di Francia, per incarico della Signoria. Giunse a Venezia il 24 apr. 1516, e il 13 maggio fece la relazione al Senato. Il B., divenuto ormai uno dei più autorevoli uomini politici veneziani, fu eletto nel 1516, poco dopo il suo ritorno, senatore ordinario (già nel settembre del 1509 e poi varie volte, mentre si trovava in Inghilterra, era stato eletto nella Giunta del Senato) e, successivamente, nel Consiglio dei Dieci. Prima del 1520 fu governatore delle entrate; nel 1523 uno degli otto oratori inviati in solenne ambasciata a Clemente VII in occasione della sua elevazione al soglio. Era capo del Consiglio dei Dieci quando morì a Venezia il 13 nov. 1525.
Nel 1506 aveva sposato una Malipiero, vedova di Vettor Salomon, e nel 1516 si era risposato con una Ruzzini, vedova di Tommaso Loredan. Era fratello della Scuola dei "battudi" di S. Giovanni Evangelista.
Fonti e Bibl.: Oltre alle sommarie notizie in Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de, patritii veneti, I,p. 74, la sola e molto inesatta biografia di questo personaggio è in Venezia, Biblioteca Correr, Cod. Cicogna 3781, G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio.... I,p. 37 (altra copia, Vienna, Oesterreichische Nationalbibliothek, fondo ex Foscarini, cod. 6093); numerose notizie sitrovano sparse in ciascuno dei primi quaranta volumi dei Diarii di M. Sanuto, Venezia 1879-94, dei quali i voll. VII-XXII, passim,contengono sunti o copie integrali dei dispacci del B. dall'Inghilterra e della Signoria a lui e altre notizie riguardanti la sua ambasciata. Di questi docum. e delle deliberazioni del Senato e del Consiglio dei Dieci riguardanti l'ambasciata del B. sono pubblicati ampi regesti in inglese in Calendar of State Papers and Manuscripts, relating to english affairs existing in the archives and collections of Venice...,Ie II,London 1864-67, passim. Cfr. anche Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere di ambasciatori,b. 14, ff.21-23 bis; P.Bembo, Istoria viniziana,Venezia 1790, II, p. 50;C.Fatta, Il Regno di Enrico VIII d'Inghilterra, Firenze 1938, I, in partic. pp. 115-118, 125.