IMPERIALE, Andrea Bartolomeo
Figlio di Domenico di Francesco nacque a Genova in data non nota, da collocare presumibilmente tra il 1370 e il 1380 (poiché già nel 1409 egli godeva di una fama di valente umanista tanto consolidata da essere destinatario di una importante missiva di Francesco Barbaro: cfr. Gabotto), in un anno probabilmente più prossimo al secondo termine, se si considera il fatto che il padre era ancora attivo quale diplomatico nel primo decennio del XV secolo (nel 1403 fu inviato presso Tamerlano e nel 1404 e 1408 condusse missioni a Venezia) e che il figlio Domenico, nato dal matrimonio con Maria di Ottobono De Marini, risulta defunto nel 1482.
A complicare la ricostruzione della biografia dell'I. concorre anche la quasi omonimia esistente con il congiunto Andrea (n. circa 1400 - m. 1465), attivo negli stessi anni anche se sicuramente assai più giovane, appartenente al ramo principale dell'"albergo" Imperiale, al quale la famiglia d'origine dell'I., i Mangiavacca, assai nota fin dal XII secolo, era stata ascritta nel corso del XIV secolo. Tale omonimia ha indotto in errore vari autori, portandoli ad attribuire a un solo personaggio le attività dei due e facendo così estendere la cronologia dell'operato dell'I. verso la seconda metà del XV secolo, periodo nel quale era invece sicuramente ancora vivente e attivo l'omonimo Andrea Imperiale.
Oltre alla lettera del Barbaro, sulla cui precisa datazione pesano tuttavia ancora alcuni dubbi, e a una menzione del Cappellini (non confortata tuttavia da alcun riscontro documentario) che lo vorrebbe attivo già nel 1396, le prime notizie certe sulla vita dell'I. sono legate all'inizio della sua attività pubblica. Nel 1419 è attestato nella documentazione quale membro del Consiglio degli anziani del Comune, carica quadrimestrale che venne nuovamente chiamato a ricoprire nel 1420.
L'inserimento nella principale magistratura collegiale genovese del tempo dovette essere probabilmente connesso alla solida fama che l'I. si era conquistato per la sua competenza in campo giuridico. Già all'epoca egli doveva essere infatti noto come uno dei principali giuristi attivi in Genova, e di tale considerazione è eloquente testimonianza il fatto che in quello stesso periodo fosse stato scelto, insieme con personaggi del calibro di Battista di Goano e Battista di Jacopo, per far parte del collegio di tre iudices et legum doctores incaricati, dietro pagamento di un congruo stipendio annuo, di assistere i membri della potente Maona di Chio nel disbrigo delle loro pratiche legali e amministrative in Genova. I rapporti tra i maonesi e la famiglia dell'I. risalivano d'altra parte indietro nel tempo, in quanto già nel 1393 il padre dell'I., anch'egli legum doctor, era stato incaricato dell'arbitrato di un'importante causa tra la maona, da una parte, e Morruele Cicala e Guirardo Squarciafico, dall'altra.
Il momento nel quale l'I. esercitò questa sua attività pubblica era politicamente assai difficile per il Comune di Genova, stretto nella morsa pressante dell'alleanza tra Alfonso d'Aragona e il duca di Milano Filippo Maria Visconti, sostenuto anche da alcune fazioni di fuorusciti, tanto che nel novembre 1421 il doge Tommaso Fregoso, del cui raffinato circolo di umanisti faceva parte anche l'I., dovette cedere al duca la signoria di Genova e andare in esilio. In questo frangente l'I., sicuramente in conseguenza anche dell'esperienza maturata negli uffici di governo, oltre che per la personale preparazione giuridica, venne scelto, a dispetto di alcune rimostranze che sembra siano state presentate proprio dal congiunto Andrea (anche se il testo di queste non si è conservato), quale guida della delegazione di 24 cittadini, folta di nomi tra i più illustri della scena politica e giuridica genovese del tempo, inviata a Milano nel 1422 dietro suggerimento di F. Bussone conte di Carmagnola per trattare una convenzione che superasse e migliorasse i capitoli di dedizione stipulati al momento della resa di Genova e Savona alle truppe viscontee. In realtà, il progetto del Visconti e dei suoi rappresentanti era quello di aggirare le disposizioni, risultate troppo vincolanti per la volontà del duca, del trattato di dedizione, modellato sui capitoli pattuiti in occasione della sottomissione di Genova alla signoria francese nel 1396. Tuttavia, nonostante il dispiegarsi di una serie di astuzie diplomatiche e cerimoniali e il tentativo strumentale di contrapporre in qualche modo le esigenze di Genova e Savona, Filippo Maria ottenne modifiche assai lievi alle condizioni stabilite dal primo trattato, e la presenza nelle file della delegazione genovese di un nutrito gruppo di agguerriti giuristi, tra cui l'I., potrebbe contribuire a spiegare le ragioni di questo scacco diplomatico inflitto al Visconti.
Forse anche in conseguenza di attriti determinatisi in questa occasione, per alcuni anni l'I. non venne più chiamato a far parte di magistrature governative. Questo periodo potrebbe coincidere anche con un volontario ritiro dell'I. nella sua villa nei pressi di Savona, probabilmente consacrato a quegli amati studi di cui a lungo ebbe a scrivere nella corrispondenza intrattenuta con un altro umanista assai coinvolto nella politica del tempo, Pier Candido Decembrio. Tuttavia, la sua profonda competenza giuridica, per cui fu chiamato nel 1426 dall'arcivescovo Pileo De Marini (con il quale condivideva la passione degli studi e intrecciava eleganti scambi epistolari) a giudicare insieme con il principe dei giuristi genovesi del tempo, Bartolomeo Bosco, una delicata causa inerente questioni matrimoniali della casa dei Doria, lo rendeva comunque un elemento troppo prezioso perché l'amministrazione potesse rinunciare a lungo ai suoi servigi. Per quanto le sue frequentazioni potessero infatti renderlo sospetto di simpatie verso i ribelli guidati dall'ex doge Tommaso Fregoso (al quale sia l'arcivescovo sia il Decembrio erano legati da antica amicizia), i suoi forti legami familiari con alcune delle principali famiglie nobili genovesi, ulteriormente confermati dal matrimonio del figlio con Maria Lomellini, ne facevano naturalmente un tramite privilegiato tra gli ambienti del governo e l'élite politico-finanziaria della città.
Nel giugno 1430, significativamente proprio in un momento in cui la nomina a governatore di Bartolomeo della Capra, arcivescovo di Milano, aveva portato a un sensibile miglioramento dei rapporti fra il duca e i suoi sudditi liguri, fu incaricato, come sindicus et procurator degli Anziani e delle altre magistrature genovesi, di redigere con Bartolomeo Bosco i capitoli di quella Convencio Lombardorum che regolò organicamente il commercio tra Genova e la Lombardia, in particolare l'importo e l'esazione dei dazi.
Nel 1431 l'I., sempre con il Bosco, fu inserito per esplicita volontà del duca in una commissione incaricata di trattare i capitoli dell'alleanza antiveneziana da proporre all'imperatore Sigismondo di Lussemburgo in occasione della sua discesa in Italia. Soprattutto, però, secondo la consolidata prassi genovese sull'utilizzazione di giuristi in attività diplomatiche, in questi anni l'I. fu frequentemente impegnato in ambascerie, in particolare proprio a Milano, dove fu inviato nel 1423, nel 1426 e ancora nel 1433, probabilmente anche allo scopo di ribadire alla corte ducale le sempre più frequenti lamentele dell'amministrazione genovese per le ripetute violazioni da parte del Visconti degli accordi di dedizione. Un motivo di contrasto, questo, che non fu certo ultimo tra gli elementi decisivi per orientare le élites governative genovesi verso la decisione di rovesciare il dominio milanese.
Caduta la dominazione viscontea nel dicembre 1435 e ripristinato nella primavera successiva, dopo la breve parentesi del dogato di Isnardo Guarco, il governo di Tommaso Fregoso, l'I. tornò ad alternare l'attività di giurisperito con la partecipazione alla vita politica. L'evidente simpatia personale nei confronti del doge, legata probabilmente alle comuni passioni culturali, non configurò tuttavia l'I. come uomo di partito, e quindi lo troviamo membro del Consiglio degli anziani sia nel 1437 sia nel 1443, quando Tommaso era stato sostituito al potere dal suo avversario Raffaele Adorno (anch'egli, peraltro, affermato giurista e noto per la sua cultura umanistica). Questa equidistanza fra i partiti in lotta è sottolineata anche dalla sua attività di diplomatico: nel 1438 fu ambasciatore presso Renato d'Angiò, pretendente al trono napoletano sostenuto dal Fregoso in funzione antiaragonese, mentre nel 1443 fu inviato dall'Adorno a Firenze nel quadro delle attività della lega stretta tra Genova e il duca di Milano contro i fuorusciti.
Il successivo quadriennio, assai agitato per la politica genovese a causa del contestato riavvicinamento politico alla Corona d'Aragona, attuato dal doge con il trattato del 1444, e del conseguente rovesciamento del governo degli Adorno a opera di Giano Fregoso, nipote dell'ex doge Tommaso, con il vittorioso colpo di Stato del 1446, non vide una partecipazione diretta agli eventi politici dell'I., dedicatosi principalmente all'attività giuridica. Il nuovo doge si affrettò tuttavia a chiamarlo presso di sé per avvalersi del suo consiglio. All'inizio del 1447, dunque, l'I. fece ancora una volta parte del Consiglio degli anziani, ma il suo contributo principale alla vita politica in quest'occasione è legato agli avvenimenti successivi allo scadere del suo mandato.
Nell'aprile 1447 fu infatti incaricato, insieme con Pietro "de Montenigro", Giacomo Fieschi, Brancaleone Grillo e Gottardo di Sarzana, cancelliere del Comune, di prendere parte alla solenne ambasceria che, sotto la guida del fratello stesso del doge, Ludovico Fregoso, avrebbe dovuto recarsi a Roma per rendere omaggio al neoeletto pontefice Niccolò V (il sarzanese Tommaso Parentucelli, amico personale dei fratelli Fregoso) e quindi a Napoli, dove avrebbe dovuto tentare di raggiungere un accordo con re Alfonso V che risolvesse definitivamente il contenzioso tra Genova e la Corona.
Nonostante i forti contatti dell'I. con la corte romana (il fratello Paolo era stato creato conte palatino e senatore di Roma nel 1440 da Eugenio IV), sembra essere stato proprio quest'ultimo specifico incarico il motivo principale della scelta dell'I. quale membro della delegazione. Questo comportò, fra l'altro, la sospensione del dibattimento di un gran numero di cause di fronte ai tribunali di Genova, come dimostrano le dettagliate istruzioni dettate dal doge e dal governo, le quali prevedono espressamente che l'I. dovesse essere personalmente presente a ogni incontro con il sovrano.
I risultati dell'ambasceria furono controversi: se infatti il pontefice non ebbe difficoltà ad aderire alle richieste di Genova, confermando l'investitura della Corsica al Comune e nominando addirittura Ludovico Fregoso governatore dell'isola in nome della Chiesa, le trattative con il re d'Aragona, mediate dall'uomo di fiducia dei Fregoso a Napoli, Aronne Cibo, ebbero un esito inatteso e sostanzialmente difforme da quanto il doge si era aspettato.
L'insistenza del sovrano per inserire esplicitamente nel testo dell'accordo ufficiale una serie di clausole (che invece il doge avrebbe voluto mantenere segrete, a causa dell'eccessivo coinvolgimento che esse potevano prefigurare per Genova nel quadro della politica mediterranea dell'Aragona e soprattutto del tentativo messo in atto dal re per arrogarsi l'eredità del defunto Filippo Maria Visconti insignorendosi di Milano) rese infatti impossibile la ratifica del trattato da parte del governo genovese e valse addirittura al Cibo il sospetto di tradimento.
Tale sospetto non toccò però evidentemente l'I., che poté riprendere indisturbato la propria attività, fu cooptato nell'ufficio dei Conservatores pacis cum rege Aragonie (magistratura incaricata appunto di gestire le questioni diplomatiche vertenti con la Corona d'Aragona sulla base del trattato del 1444) e, già nel gennaio 1448, fu incaricato, come sindicus et procurator del doge e dell'Officium XX Provvisores, di gestire con ampia discrezionalità la delicatissima trattativa per un'alleanza con la neonata Repubblica Ambrosiana che garantisse gli interessi genovesi sia per quanto concerneva la sovranità sulle terre d'Oltregiogo sia nella materia delle convenzioni commerciali con Milano.
Dopo questa nomina sono state individuate nella documentazione attestazioni certe dell'attività di giureconsulto dell'I., spesso in associazione con un altro giurista e diplomatico, Andrea de Benigassio, fino al febbraio 1449, data dopo la quale non sono stati reperiti riferimenti alla sua persona. Si potrebbe anche ipotizzare che la morte dell'I. sia intervenuta negli anni immediatamente successivi.
L'umanista Antonio Cassarino dedicò all'I. la sua traduzione in latino di un opuscolo dei Moralia di Plutarco (Resta).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Libri iurium, III, c. 21r; Archivio segreto, 537, cc. 81v (9 febbr. 1447), 92v (18 febbr. 1447), 111 (1° apr. 1447), 141v (31 ag. 1447), 187v (23 genn. 1448), 250v-251r (24 luglio 1448); 1784, c. 196r (9 apr. 1438); 1789, c. 131; 2707a, docc. 8 (15 luglio 1423), 102-103 (29 marzo 1447), 121-122 (31 genn. 1448), 123 (1° febbr. 1448); 3031, doc. 98 (27 apr. 1439); 3036, doc. 173 (17 luglio 1447); 3037, docc. 52 (8 luglio 1448), 136 (13 febbr. 1449); Genova, Arch. stor. del Comune, Mss., 105.E.6: Genealogiae Genuenses, IV, s.v. Imperiale; Ibid., Biblioteca Franzoniana, Mss. Urbani, 126-129 (sec. XVII): F. Federici, Alberi genealogici delle famiglie di Genova, II, c. 260r; Ibid., Biblioteca civica Berio, m.r. IX.5.4 (sec. XVII): G. Giscardi, Origine e fasti delle famiglie nobili di Genova, III, p. 1105; G.F. Senarega, Consilia egregii domini Bartholomei de Bosco, famosissimi iuris consulti Genuensis, Loano 1620, nn. 262, 416; J. Dumont, Corps universel diplomatique du droit des gens, Amsterdam 1726, II, docc. CIV s.; J.C. Lünig, Codex Italiae diplomaticus, III, Leipzig 1732, docc. LIV s.; L. Osio, Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, III, Milano 1872, doc. XXV; Carteggio di Pileo de Marini, arcivescovo di Genova (1400-1429), a cura di D. Puncuh, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XI (1971), 1, pp. 42, 224 s., 272-274; A. Rovere, Documenti della Maona di Chio (secc. XIV-XVI), ibid., XIX (1972), 2, p. 332; S.P. Karpov, Regesty dokumentov Fonda Diversorum Filze Sekretnogo Archiva Genui, otnocjaščiesja k istorii Pričernomor'ja (Regesti dei documenti del Fondo Diversorum Filze dell'Archivio segreto di Genova relativi alla storia della regione pontica), in Pričernomor'e v srednie veka (La regione pontica nel Medioevo), III, Moskva 1998, pp. 28, 43, 45 s.; G. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, Genova 1824-53, II, pp. 128 s.; R. Sabbadini, Biografia documentata di Giovanni Aurispa, Noto 1891, pp. 35, 138; F. Gabotto, Nuovo contributo alla storia dell'umanesimo ligure, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXIV (1892), pp. 15-17, 290, 311-318; H. Sieveking, Relazione sopra i "Libri iurium" di Genova, in Giorn. stor. e letterario della Liguria, VIII (1907), p. 423; G. Resta, Antonio Cassarino e le sue traduzioni di Plutarco e Platone, in Italia medioevale e umanistica, II (1959), pp. 230 s., 249; G.D. Oltrona Visconti, Economia e politica nella "deditio" di Genova a Filippo Maria Visconti (1422), in Arch. stor. lombardo, s. 10, VII (1982-83), pp. 66-69, 72, 75-78; Id., A.B. I. e i suoi rapporti con Milano e i Visconti, in La Storia dei Genovesi, IV (1984), pp. 41-54; G. Olgiati, L'alleanza fallita. Il trattato del 7 nov. 1447 tra Alfonso d'Aragona e Giano Campofregoso, ibid., X (1990), p. 324; Id., Diplomatici ed ambasciatori della Repubblica nel Quattrocento, ibid., XI (1991), p. 356; A. Cappellini, Diz. biogr. di genovesi illustri e notabili, Genova 1941, p. 146.