BELLANTI, Andrea
Nacque a Siena nella seconda metà del sec. XV e fu membro dell'antica e potente famiglia del Monte dei Nove. Non ebbe tuttavia una parte di rilievo nelle vicende cittadine: si trasferì a Roma probabilmente dopo il 1508, quando la posizione della sua famiglia, a seguito della fallita congiura contro Pandolfo Petrucci, si era fatta in Siena molto precaria. A Roma ebbe presto rapporti di affari con il banchiere senese Agostino Chigi, entrando con lui in società per lo sfruttamento delle miniere di allume di Tolfa. Di questa società il B. era divenuto titolare nel 1513, allorché Leone X rinnovò per dodici anni a lui e ai suoi socì la concessione dello sfruttamento delle miniere. Questa concessione era confermata dal Medici in cambìo di un prestito di 75.000 ducati, e poi di un secondo di 12.000 ducati fattigli dal banco Chigi per coprire le spese dell'incoronazione; inoltre il B. s'impegnava a, pagare alla Camera apostolica un censo annuo di 15.000 ducati:. l'istrumento fu rogato dal notaio della Camera Silvio da Spoleto nel luglio 1513. Nell'agosto di quello stesso anno il pontefice ricorreva ancora a lui per un prestito di 2.000 ducati, prezzo di un grosso diamante vendutogli dal mercante Francesco della Fonte. Il 20 giugno 1514 il B., anche in nome dei soci, stipulò un accordo col mercante lucchese Giovanni Paolo Gigli per la. vendita dell'allume in Inghilterra: egli s'impegnava a consegnare l'allume in Londra a Giovanni Campucci, altro mercante lucchese, e il Gigli s'incaricava della vendita assumendosene i rischi. Nell'anno successivo il B. ottenne, per 20.000ducati d'oro, dalla Camera apostolica l'appalto per cinque anni della dogana delle pecore del patrimonio di San Pietro, quello della dogana di Roma e quello della tesoreria di Perugia. Il 29 maggio del 1520 il B. si aggiudicò nuovamente questo appalto, entrando questa volta nella società anche gli eredi di Agostino Chigi.
Dopo la morte del Chigi, si costituì anche una nuova società per lo sfruttamento delle miniere della Tolfa: vi avevano parte i due figli del Chigi, Alessandro e Lorenzo (poiché minori, venivano rappresentati dalla madre Francesca Andreazza), Sigismondo Chigi, fratello di Agostino, e il B., che partecipava al venticinque per cento. Rogò l'accordo il notaio Lucangelo di Pietro da Sillano. Attraverso il nunzio apostolico in Inghilterra, Pietro Grifo, il B. e i suoi soci ottennero da Enrico VIII di poter vendere nell'isola l'allume, a preferenza di quello proveniente dalla Turchia, che pure era meno caro; in cambio la società romana si impegnava a impiegare soltanto nell'acquisto di merci inglesi il denaro guadagnato nell'isola. La società conseguì in quell'anno ingenti guadagni, producendo le miniere della Tolfa trecentomila cantari di allume che fruttarono un ducato netto a cantaro. Cliente principale della società era l'Inghilterra.
Il B. sin dall'agosto del 1520dovette abbandonare la società, in seguito a gravi dissesti finanziari, determinati, pare, da una controversia giudiziaria con Francesco Tommasi, che era stato uomo di fiducia di Agostino Chigi. L'anno successivo fu posto il sequestro sui beni di lui e su quelli del figlio Bartolomeo. Dopo questa data mancano notizie sul Bellanti.
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