CAFFI, Andrea
Figlio di Giovanni e di Emilia Carlini, nacque a Pietroburgo il 1º maggio 1887. Il padre, che si era trasferito da Belluno nella capitale russa, dove lavorava nell'amministrazione dei teatri imperiali, lo avviò agli studi, facendogli frequentare la "scuola riformata" di Pietroburgo. Costituiva questa una palestra a livello europeo per qualità di docenti e come punto d'incontro di allievi provenienti da diversi ceti e paesi: un ambiente nel quale il giovane C. ebbe modo di coltivare i primi interessi filosofici, letterari e storici.
La conoscenza delle condizioni di vita e di lavoro delle categorie più disagiate ed in particolare degli operai delle fabbriche industriali esercitano una grande impressione sul ragazzo che si apre ben presto alle idealità socialiste: nel 1903 lo troviamo già attivo propagandista e organizzatore sotterraneo tra i tipografi. Ciò spiega come gli avvenimenti del 1904 e del 1905 lo vedano impegnato in prima linea nel movimento rivoluzionario, su posizioni radicali, favorevole al programma menscevico di municipalizzazione delle terre e di garanzie democratiche. Vive le giornate dell'autunno-inverno 1905 e subisce personalmente il dramma della repressione nelle prigioni degli zar, dalle quali - dopo la condanna a tre anni - sarà liberato grazie all'intervento dell'ambasciatore italiano (1907).
Come altri protagonisti della prima rivoluzione russa, porterà all'estero l'intenso travaglio intellettuale e politico vissuto in quegli anni.
Si trasferisce a Berlino dove si iscrive a quell'università, frequentando contemporaneamente altre sedi universitarie tedesche: la sua preparazione filosofica si arricchisce nel rigore di uno studio allargato, attraverso le lezioni di Georg Simmel, a più ampi orizzonti sociologici, e attraverso viaggi in altri paesi, al confronto con molteplici esperienze culturali. A Firenze si lega d'amicizia a Giuseppe Prezzolini e a Scipio Slataper e collabora alla Voce. Continua a partecipare attivamente alle iniziative del movimento socialista.
Dopo la laurea troverà nella Parigi di Bergson e di Péguy un ambiente congeniale alla poliedricità dei suoi interessi. Il lungo, e a volte stravagante, girovagare per l'Europa lo rafforza nelle convinzioni internazionaliste: con giovani studiosi di altri paesi formula l'ambizioso progetto di redigere una nuova "enciclopedia", che faccia il punto della situazione culturale.
Lo scoppio della guerra marca fortemente la sua esistenza, come d'altronde avviene per tutta la generazione alla quale appartiene. Il crollo delle idealità internazionaliste nell'ambito del movimento operaio rappresenta un duro richiamo alla realtà. Il C. tende ben presto a identificare nella difesa della democrazia francese, in lotta contro l'imperialismo tedesco, la causa stessa della libertà dei popoli. Così si spiega come egli, anche se intimamente convinto della necessità di pervenire a una pace che non distingua tra "popoli" vincitori e "popoli" vinti, prima si arruoli volontario nell'esercito francese e poi - benché ferito nelle Argonne - risponda alla chiamata alle armi in Italia, andando a combattere sul fronte trentino. Nuovamente ferito, sarà destinato all'ufficio speciale operante in Svizzera per svolgere propaganda tra le nazionalità oppresse dell'Impero asburgico.
Si lega in questo periodo con gli intellettuali italiani che anelano a una ripresa di vita civile e politica libera dai condizionamenti delle rivalità etniche: e con essi pubblicherà nel 1919 la rivista La vita delle Nazioni e La giovane Europa.Deciso avversario di soluzioni basate sulla forza, sarà aspro critico delle decisioni di Versailles (U. Zanotti Bianco-A. Caffi, La pace di Versailles…, Roma 1919).
Inviato dal Corriere della Sera in Russia, si ferma dapprima a Costantinopoli, poi a Odessa, dove decide di rinunziare al suo appena iniziato lavoro giornalistico perché non ha l'animo d'essere semplice osservatore in un paese travolto dalla guerra civile, dalla miseria, dalle distruzioni. Entra a far parte della missione di soccorso Nansen, con la quale giungerà a Mosca nel 1920.Qui incontra suoi vecchi compagni di lotta, alcuni divenuti militanti bolscevichi e quindi tutti presi dall'ardore di costituire un nuovo ordine, altri, menscevichi e libertari, accusati di tradimento e per questo perseguitati dai bolscevichi al potere. Egli è con i secondi (è vicino soprattutto al menscevico Martov) e si adopera in tutti i modi per aiutarli. Valuta il significato dello sforzo di Lenin e dei suoi per dare un assetto nuovo alla Russia, ma non condivide i metodi autoritari messi in atto.
Incaricato di compilare, per i servizi stampa della giovane Internazionale comunista, un bollettino contenente la selezione di articoli di giornali stranieri, cerca di far circolare motivi che suggeriscano elementi di dubbio nei confronti delle scelte del nuovo potere sovietico.
A contatto con la delegazione del Partito socialista italiano, guidata da G. M. Serrati, arrivata a Mosca per partecipare ai lavori del II congresso della III Internazionale (1920), ha modo di illustrare i termini della situazione russa, in gran parte sconosciuta ai più. Accusato di aver fatto pressioni sui rappresentanti italiani perché non aderissero alla Terza Internazionale, viene arrestato: sarà liberato per intervento di Angelica Balabanov. Fa così conoscenza, per la seconda volta, delle carceri russe. La sua critica contro ogni metodo di violenza lo porterà negli anni successivi alla denuncia di una politica che, in nome del socialismo, rifiuta i metodi della tolleranza e della libertà; in particolare condannerà (1935)le persecuzioni messe in atto da Stalin ed i processi contro vecchi militanti rivoluzionari (cfr. Giustizia e Libertà, 1932, n. 2, e 1935, n. 1).
Assunto come segretario nella prima missione ufficiale italiana nel nuovo Stato russo, si adopererà, da un lato, per facilitare il compito dei diplomatici italiani, dall'altro, per favorire l'espatrio di elementi perseguitati dal governo.
Rientra in Italia nel 1923e viene utilizzato dal ministero degli Esteri quale redattore di un notiziario destinato alle rappresentanze all'estero, ufficio che abbandonerà non appena si renderà conto delle reali condizioni in cui è caduta l'Italia dopo l'avvento al potere del fascismo.
Si dedica all'azione giornalistica, collaborando a Quarto Stato di Nenni e Rosselli e a Volontà di Marvasi, nonché alla propaganda spicciola contro l'ormai consolidato regime.
Riparato in Francia, sarà dal 1926 al 1929 a Versailles con la famiglia del principe Gelasio Caetani; farà da insegnante ai figli del fratello di questo, Roffredo, e curerà la rivista letteraria Commerce.Passato a Parigi impartisce lezioni private, esegue traduzioni e lavora presso la tipografia Carozzo, conducendo un'esistenza fisicamente logorante.
A questo periodo risale la sua collaborazione su temi di storia dell'Asia minore e russa all'Enc. Italiana (I, pp. 482, 539; II, pp. 324, 345, 346; III, p. 205; IV, p. 931; VI, p. 329; VII, pp. 284, 300). Nel 1929 aveva curato per l'editore Vallecchi di Firenze un'appendice al volume di P. Orsi, Le chiese basiliane della Calabria, dal titolo Santi e guerrieri di Bisanzio nell'Italia meridionale, e nel 1925 aveva tradotto dal russo in francese il libro di P. Muratov, L'ancienne peinture russe (Roma-Praha).
Dopo il 1930 inizia un periodo più intensamente impegnato sul piano politico, anche se in posizione non isolata ma autonoma rispetto al mondo degli emigrati antifascisti. Egli infatti valuta gli avvenimenti italiani come la conseguenza di una condizione di mutamento e di sgretolamento di precedenti valori. Sotto questo profilo cercherà di liberare i compagni d'esilio da quella che egli considera una visione "provinciale" o meglio "nazionale" del fascismo; "molti irreparabili errori dell'antifascismo (italiano ed europeo) - scriverà in Giustizia e Libertà del 10 ag. 1934 - si spiegano con il ritardo che abbiamo messo a riconoscere il fatto e le esigenze della situazione rivoluzionaria in cui l'Europa si trova fino dal 1918".
Il socialismo a cui egli resta fedele, in polernica con i metodi terroristici praticati da Stalin e con il capitalismo di Stato realizzato nell'Unione sovietica, "non può attuarsi che nella misura in cui l'apparecchio dell'economia viene posto sotto l'effettiva direzione della classe operaia e tutto il funzionamento dei controlli assume forme democratiche". Avverte come siano caduti i motivi della "solidarietà sociale" e della "fede nel progresso" e siano prevalsi invece i miti del "superuomo" e dello "Stato forte".
Il C. rivendica al contrario un pacifismo intransigente nell'avversione assoluta per l'azione guerresca, per l'omicidio organizzato militarmente, per l'assassinio perpetrato mediante sentenze di tribunali, regolari o rivoluzionari, un pacifismo sorgente da un anelito profondo, venato da un messianesimo mistico che non cede mai tuttavia ai miraggi dell'utopia, ma che si fa lucida ricerca di una coerenza tra fini da conseguire e mezzi da impiegare. "La separazione tra fine e mezzo" (con i suoi corollari: "ogni mezzo è buono" o "non si ha libertà di scegliere i mezzi") è un artificio del raziocinio, a cui non corrisponde la concatenazione dei fatti nella vita: lo stato di cose a cui si giunge per via di determinate azioni non è mai il "medesimo", al quale "si sarebbe potuto giungere" con "diverso modo di agire". Non a caso aderisce all'Associazione pacifista degli ex combattenti.
Il C. avverte inoltre che occorre guardare con occhio diverso alla gioventù impaziente degli anni Venti e Trenta. Nell'itinerario di tanti di essi condizionati a essere fascisti vede i segni di un cedimento che è nei fatti dell'epoca e non nelle scelte individuali, e spiega così l'apparente immedesimazione della nuova generazione con il fascismo. Il C. è il primo - e a lungo solitario - osservatore, sia pure da lontano. della realtà italiana, che ritenga possibile individuare nella gioventù fascista elementi di differenziazione dal cinismo dei capi. In questo senso cerca di penetrare nello stesso dibattito sul corporativismo. Sono sottili distinzioni, che non trovano all'inizio consensi negli ambienti antifascisti degli esuli: sembrano anzi sforzi di comprensione immotivati e politicamente non concludenti. Sarà però lo stesso Carlo Rosselli, al quale il C. si avvicina nell'esperienza di Giustizia e Libertà, a intendere il significato di un discorso che tende alla separazione tra la linea ufficiale del regime e i fermenti in esso affioranti, e di cui l'espressione più evidente saranno gli articoli del C. del 1934 Posizione di difesa e posizione di attacco, i quali troveranno eco negli stessi orientamenti di Rosselli. Il C. richiama l'attenzione sul "senso della vastità della crisi del mondo democratico occidentale" indirizzando "i fuoriusciti a studiare quel che di sincero e di autentico può esserci nella giovane letteratura e polemica dei 'fascisti di sinistra', partiti in guerra contro un mondo che non conoscono e per un mondo che dicono essere quello fascista ma che è in realtà il mito della loro incompleta maturità" (Garosci, 1953, p. 248).
La visione del C. però è evidentemente metapolitica e ciò spiega come egli ben presto viene a trovarsi sulle stesse posizioni di Nicola Chiaromonte, Mario Levi e Renzo Giua, distinte da quelle rosselliane, essendo queste ultime più direttamente collegate all'impegno militante diretto, e, per necessità organizzative, meno disposte ad approfondire i temi della ricerca di nuove idealità. Si spiega così il distacco dei "novatori dissidenti" (Garosci, 1945, II, p. 97) da "Giustizia e Libertà". Vi è dissenso nel modo di opporsi al fascismo, perché il C. non condivide né la linea tradizionale della "concentrazione" né l'attività, sia pure intensa, di ristretti nuclei che fanno capo a "Giustizia e Libertà" e sottolinea la necessità di un maggior contatto con la gioventù italiana, come egli cerca di fare (si guardi ai legami da lui mantenuti con Alberto Moravia).
La polizia italiana segue in questi anni, attraverso le informazioni dei consolati, gli spostamenti del C. e nel giugno 1935 dispone per il suo arresto nel caso di tentativo di ingresso nel territorio nazionale.
Dopo la rottura con Rosselli, il C. si trasferisce nella Francia meridionale, dove conduce una vita randagia, a stretto contatto con anarchici italiani (specie a La Seyère-sur-Mer). Nel 1940 si stabilisce a Tolosa, riprende i collegamenti con i filoni del movimento socialista e con i maggiori esponenti del partito operanti in Francia: durante l'occupazione tedesca dà vita, insieme con altri profughi italiani e spagnoli e con elementi francesi, a gruppi di resistenza, e a seguito di questa attività clandestina viene arrestato (1941). All'interno dell'organizzazione socialista italiana sostiene una adesione condizionata alla politica degli alleati, onde preservare una autonoma linea socialista. Dopo la liberazione della Francia preferisce restare a Tolosa, trasferendosi a Parigi solo nel 1948.
L'amicizia di Albert Camus gli apre la via per un lavoro, quale lettore, presso l'editore Gallimard ma, contrariamente alle speranze dello scrittore francese, ciò non lo induce ad abbandonare il suo modo di vivere in una volontaria povertà, dedito alle amicizie, agli studi, al confronto delle idee.
Il C. morì a Parigi il 22luglio 1955.
è sepolto nel cimitero del Père-Lachaise.
Venivano pubblicati postumi a cura di Gino Bianco il volume Socialismo libertario (Milano 1964) e la raccolta degli Scritti politici (Firenze 1970). Nicola Chiaromonte aveva anche curato l'edizione della Critica della violenza (Milano 1966).
Fonti e Bibl.: G. Bianco, Chiaromonte-C., lettere ed altro, in Settanta, III(1972), 23, pp. 38-46; A. Garosci, La vita di Carlo Rosselli, Firenze 1945, I, pp. 84, 264; II, pp. 70 ss., 78 ss., 92, 100; Id., Storia dei fuorusciti, Bari 1953, pp. 112, 128 ss., 207, 247 ss.; G. Prezzolini, Uno strano tipo, in IlTempo (quotidiano), 15 agosto 1950; Id., Iltempo della Voce, Milano 1959, p. 565; N. Tucci, Men of learning…, in The New Yorker, 1959, n. 12; A. Spaini, Personaggi socratici, in Il Messaggero, 5 settembre 1959, Ch. F. Delzell, I nemici di Mussolini, Torino 1961, ad Indicem;L. Valiani, Un italiano tra i bolscevichi, in L'Espresso, 11apr. 1971; L. Abel, A. C., in Settanta, II(1971), 10-11, pp. 70-78.