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CAPPELLO, Andrea

di Giustiniana Colasanti Migliardi O'Riordan - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)
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CAPPELLO, Andrea

Giustiniana Colasanti Migliardi O'Riordan

Figlio di Domenico di Nicolò di Andrea e di Elisabetta di Marco Malipiero, non deve essere confuso con Andrea di Domenico di Nicolò di Francesco, vissuto in quegli stessi anni e dal Barbaro erroneamente indicato nei suoi Arbori quale provveditore generale in Dalmazia nel 1529 (forse sulla base dell'elezione del primo, proprio per quell'anno, a tale magistratura).

Il C. apparteneva al ramo di S. Maria Materdomini della nobile famiglia veneziana, ed era destinato a ricoprire importanti cariche pubbliche, come già era avvenuto sia per il padre, proprietario di un cospicuo patrimonio, che entrò in Pregadi e fu governatore alle Entrate, sia per Simone, l'unico dei fratelli di cui sono state reperite notizie, che fu anche egli senatore. Ma, oltre che come uomo politico, egli seppe servire la Serenissima anche come uomo d'azione al comando delle milizie veneziane nelle guerre che la Repubblica dovette affrontare agli inizi del '500.

Nato probabilmente nel 1468, dato che il 24 sett. 1486, all'età di diciott'anni, fu presentato dal padre all'Avogaria di Comun per concorrere all'estrazione della Balla d'oro, il C. diede inizio al suo cursus honorum presumibilmente nel 1497, anno in cui, il 14 gennaio, egli venne eletto castellano a Cattaro.

Sulla sua permanenza nella città dalmata, che ancora continuava nel marzo del 1501, l'unica testimonianza reperita è contenuta nella relazione fatta al Collegio nel novembre del 1498 da Francesco Cicogna al ritorno da quella stessa città che egli aveva retto in quei mesi come provveditore. In essa si ricorda che il castello di Cattaro, affidato al C., è mal custodito per scarsezza di soldati e perciò è opportuno che egli non faccia uscire le sue truppe dalla rocca, anche se nel complesso la città è "fortissima et inexpugnabile" e "li Turchi di Castel Nuovo, per non poter far senza la terra di Cattaro, convicinano ben". Questi rapporti di buon vicinato che, da quanto si può dedurre dalle parole del Cicogna, sembrano qui esser ricercati anche dai Turchi, furono in tali anni la costante preoccupazione dei rettori veneziani delle piazzeforti poste sui confini dell'Impero ottomano; essi obbedivano infatti ai principî ispiratori della politica della Serenissima che, pur di salvare la propria economia basata sul commercio col Levante e già duramente provata dai precedenti tentativi di opporsi all'espansionismo della Porta, non esitava a ricercare ad ogni livello intese economico-mercantili proprio con quei Turchi che invece, di lì a poco, traendo a pretesto l'alleanza antimilanese con Luigi XII, l'avrebbero costretta a quella rovinosa guerra che si sarebbe conclusa con la perdita di Modone, Corone e Santa Maura.

Al suo ritorno a Venezia il C. fu uno dei Signori di notte, magistratura alla quale venne eletto nell'agosto del 1501, ma, prima ancora della scadenza del mandato, egli entrò in Quarantia dove ricoprì anche la carica di capo. Nulla si conosce della sua attività negli anni immediatamente successivi, ma, nel settembre del 1510, quando la Repubblica, colpita dalla scomunica, vide, dopo la rovinosa sconfitta d'Agnadello, il proprio territorio invaso dagli eserciti della lega di Cambrai e dovette impegnarsi, oltre che nella ricerca di soluzioni diplomatiche della crisi, anche in una febbrile attività militare, il nome del C. figura tra quelli dei patrizi inviati a difendere Padova, violentemente investita dagli Imperiali. In quei giorni egli maturò quelle doti militari che opportunamente avrebbe messo a profitto già nel maggio dell'anno successivo quando, benché eletto podestà ad Antivari ( 7 ott. 1509), ebbe l'incarico, assieme a Tommaso Moro, Antonio Marcello e Gerolamo Canal, di affiancare con duecento uomini il provveditore di Legnago Carlo Marin nella difesa della città su cui incombeva il pericolo dei Francesi che, anche dopo il ritiro dalla lega del papa, della Spagna e di Napoli, continuavano a minacciare i domini veneziani di Terraferma.

Anche in questa occasione però, più che da testimonianze dirette (si conoscono soltanto alcune sue brevi lettere con cui chiedeva viveri, rinforzi e denaro), il suo operato emerge da un dispaccio del provveditore generale Andrea Gritti che, dando notizie alla Signoria dell'andamento delle operazioni, informa di aver ordinato al C. di organizzare apprestamenti difensivi attorno a Legnago, dato che i Francesi erano già tra Melara e Bergantina e incominciavano a lanciare ponti per attraversare il Po.

Ma la guarnigione della città, dopo che le difese esterne furono travolte e fu resa vana anche l'ultima resistenza nella ben munita rocca, il 4 giugno, fu costretta alla resa; il C., assieme agli altri comandanti, fu condotto prigioniero nel castello di Chiaravazo, da dove venne successivamente trasferito ad Arco per essere scambiato, agli inizi del 1512, con il conte Brunoro di Serego.

Anche durante la successiva permanenza ad Antivari, dove si era recato probabilmente appena liberato per assumere la podesteria cui era stato eletto tre anni prima, il C. diede prova delle sue doti di uomo d'azione: nel dispaccio inviato a Venezia il 5 dic. 1512 (importante anche come unica sua diretta testimonianza d'unacerta consistenza) egli narra dettagliatamente di aver tentato, "affrontando li pericoli de la persona mia", di fronteggiare una rivolta armata di popolani contro i maggiorenti del luogo, di esser riuscito a salvare dalla furia popolare alcuni nobili, e, grazie alla sua ulteriore opera di pacificazione delle fazioni, di "haver questa terra conquistata".

Di carattere prevalentemente militare anche gli ulteriori incarichi affidatigli al ritorno a Venezia. Mentre le armate venete con la riconquista delle ultime città di Terraferma, ancora in mano a Spagnoli e Imperiali, concludevano la triennale guerra che aveva visto coalizzati, contro la Francia e Venezia, Leone X, l'Impero e la Spagna, il C., nel maggio del 1516, fu inviato nuovamente a Padova a presidiare la porta Savonarola contro cui si temeva un colpo di mano delle truppe imperiali in ritirata; nell'agosto dell'anno successivo fu incaricato, come castellano, di riattare e difendere la rocca di Brescia, da poco riconquistata al dominio veneziano; il 18 sett. 1519 gli fu affidata la podesteria di Sacile; i brevi dispacci inviati alla Signoria documentano l'ordinaria amministrazione in cui si concretò tale reggimento.

Scarse le notizie sugli ultimi anni della sua vita: soltanto un elenco delle cariche ricoperte. Fu sovragastaldo e, ancora una volta, membro della Quarantia. Il 27 luglio 1529, a coronamento della sua carriera politica, fu eletto provveditore generale in Dalmazia, in sostituzione di quel Giovanni Battista Molin, che due anni prima gli era stato preferito per pochi voti. Ma il C. non ricoprì mai quell'importante carica: tre giorni dopo la sua elezione fu colpito dall'idropisia e il 12 dicembre dello stesso anno morì.

Fonti e Bibl.: Arch. di St. di Venezia, M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii ven., p.249; Ibid., G. A. Cappellari Vivaro, Il Campid. veneto, p. 691; Ibid., Avogaria di Comun,Balla d'oro, reg. 164/111, c. 92v; Ibid., Avog. di Comun,Cronaca matrimoni, reg. 106/1, c. 32r; Ibid., Archivio Notarile,Testamenti,Notaio Arrivabene, b. 36, n. 17; Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci,Lettere di rettori e di altre cariche (Legnago), b. 220, cc. 13-17; Ibid., Segretario alle voci,Misti, reg. 8, cc. 25v, 51v, 85v, 87r; reg. 7, c. 12r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, mss. It., cl.VII, 198 (= 8383): Registro dei reggimenti..., c. 165v; Ibid., mss. It., cl. VII, 517 (= 8896): Consegi…, cc.100r, 259r; 818 (=8897), cc. 101, 285r, 318r; 819 (= 8998), cc. 94r, 223v; M. Sanuto, Diarii, II, IV-V, VIII-X, XII-XV, XXIII, XXIX-XXXI, XLI, XLIV-XLV, LI, Venezia 1879-98, ad Indices; G. Zabarella, Il Pileo..., Padova 1670, pp. 35, 44; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane..., I, Venezia 1824, p. 186.

Vedi anche
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