CARDOINI, Andrea
Nato a Ginevra presumibilmente dopo il 1590, da Camillo di Cesare, proveniva da una nobile famiglia napoletana, i baroni di Parete, ascritta al "seggio" di Nido, esulata in Svizzera per causa di religione ai tempi dell'emigrazione di Galeazzo Caracciolo.
Suo nonno, il cavaliere Cesare, sospettato di aderire alle idee della Riforma protestante perché seguace del circolo valdesiano, era stato incarcerato nel 1552. Riuscito a fuggire da Napoli insieme con il figlio Camillo e con altri membri della sua famiglia (composta prevalentemente di alti ufficiali dell'esercito imperiale, come il colonnello Mario e il capitano Alessandro), riparò nel 1567 a Ginevra, dove si aggregò alla Chiesa italiana e ottenne il diritto di cittadinanza (1572).
Il C. venne educato nella fede riformata e nella morale ginevrina. Ma, nel secondo decennio del sec. XVII, cominciò a odiare "la propria casa", caduta nel "baratro dell'infelicità" quando - fuggendo per la religione dal paese avito - aveva perduto nello stesso tempo "la grazia divina e quella del prencipe". Appena avuto "conoscimento" subito "sdegnò l'empietà" calvinista e appena avuto "potere" pensò di esulare in Italia. Dovrebbe collocarsi in questo periodo la stesura del Discorso d'uno giovene della città di Genevra fatto per indebolire la città di Genevra d'huomini et di vettovaglie per astringerla a chiamar il loro prencipe qual è il vescovo di ditta città (Napoli, Biblioteca nazionale, ms. X.E.50, cc. 316-325, anonimo, ma attribuibile al Cardoini). Mentre un ramo della casata restò a Ginevra, integrandosi definitivamente nella vita cittadina (nel 1736 ospitò Pietro Giannone), il C., rinnegata la scelta confessionale della famiglia decise di "ritrovarsi" in seno al cattolicesimo romano. Trasferitosi a Napoli nel 1619 circa e reintegrato, come convertito, "ne' beni perduti" da suo nonno, ebbe assegnata una pensione da Filippo III di Spagna, cui dedicherà un compendio della sua Storia di Ginevra.
Di questa Storia abbiamo due versioni. La prima, divisa in 41 capitoli, è intitolata Relatione di Ginevra,nella quale compendiosamente si ragiona dello stato di quella città. Il manoscritto, firmato dal C., "cavaliere napoletano nato a Genevra", fu poi dedicato "all'invittissimo e potentissimo" Filippo IV di Spagna. La seconda versione è un abrégé della precedente e si intitola Historia compendiosa di Geneva,nella quale si dà relatione delle cose di quella città. Il testo, indirizzato "all'invittissimo prencipe" Filippo III re di Spagna, sembra essere stato divulgato prima dell'editio princeps. Ambedue trattano della storia ginevrina "particolarmente" dal 1535, anno in cui "fu introdotto il calvinismo e mutato il governo", fino al 1621.
La Relatione di Ginevra si trova in vari codici: Napoli, Biblioteca nazionale, ms. X.F.1 (che è l'autografo migliore e porta un copioso apparato documentario); X.F.2 (più ridotto del precedente); X.F.3 (col titolo variato in Breve trattato de l'antico e presente stato di Ginevra); X.F.4 (con la data del 1619); X.E.50, cc. 328-430; IX.B.31; I.F.44 (traduzione spagnola: Historia de Ginebra); Ginevra, Bibliothèque publique et universitaire, suppl. 28; Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, ms. Pal. 6259 (10); Bibl. Apost. Vaticana, Urb. lat. 1700, cc. 1-109; Parigi, Bibliothèque nation., ms. It. 10091; Edimburgo, Advocates' Library, 29.5.1. (un esemplare si trova nella biblioteca privata di Francesco Ruffini a Torino). Degli ampi excerpta sono stati pubblicati in Mémorial des cinquante premières années de la Société d'histoire et archéologie de Genève,1838-1888, Genève 1889, pp. 78-109 e in Archiv für schweizerische Geschichte, VI (1900), pp. 267-298. La Historia compendiosa si conserva manoscritta a Venezia, Bibl. naz. Marciana, ms. It., cl. VII, 920 (7906). È stata pubblicata, a cura di I. Cervelli, in Annali dell'Università degli studi dell'Aquila, II (1968), pp. 70-89.
Il pamphlet del C., sia nella prima sia nella seconda redazione, si inserisce interamente nel filone della letteratura controversistica anticalvinista inaugurata da H. H. Bolsec, Histoire de la vie,moeurs,actes,doctrine,constance et mort de Jean Calvin, Lyon 1577, in violenta polemica con l'apologia di T. de Béze, Discours contenant en bref l'histoire de la vie et mort de maistre Jean Calvin, [Genève] 1565 (per una messa a punto della questione vedi A. Dufour, Histoire politique et psychologie historique, Genève 1966, pp. 91, 97-99).
Da alcuni studiosi la Relatione, di scarsa o nessuna attendibilità come documento sulla prima generazione degli emigrati italiani (B. Ochino, P. M. Vermigli), è stata utilizzata per avere una migliore conoscenza della vita religioso-sociale ginevrina del primo Seicento (Ruffini); oppure, per ricostruire i persistenti margini di autonomia della colonia lucchese all'inizio del secolo XVII (Pascal). In verità nella Relatione sono contenute molte importanti notizie di carattere politico-militare sulla città svizzera dovute a una conoscenza approfondita della letteratura specifica e a una osservazione diretta della realtà (rapporti con gli Stati circonvicini, controversia con la Savoia, organizzazione della difesa cittadina, istituzioni di governo, gerarchia ecclesiastica). Ma, da questo punto di vista, la documentazione raccolta non pare aggiungere nulla di particolarmente notevole alle altre informazioni contemporanee a nostra disposizione (cfr. L. Marini, La libertà politica di Ginevra agli inizi del Seicento, in Ginevra e l'Italia, Firenze 1959, pp. 413-50). Il significato più profondo dello scritto del C. sta invece nel fatto di essere - nella descrizione degli "essecrandi abusi della religione" e nei giudizi intorno alle "cose attinenti al politico" - riassuntivo della intera produzione controversistica cattolica antiriformata del Cinquecento, fortemente amplificata nella visione religiosa di un "convertito" di immaginazione barocca.
La descrizione cardoiniana della vita di Ginevra è infatti un prodotto dell'immaginazione controriformistica, un vero e proprio falso storico rigidamente funzionale alla costruzione di un mito negativo. Non si tratta dunque di una analisi concreta di una determinata società fatta al fine di una migliore intelligenza della realtà, ma di una costruzione mentale autogiustificante ed autoesaltante ad uso propagandistico. Anche se l'autore mistifica la propria decisione di produrre un testo scritto come il risultato di una esigenza di conoscenza: "Accade per lo più che huomini segnalati, ancorché professori et intendenti de cose di stato, ne faccino varii e poco certi discorsi. Questo ha mosso me a scrivere la Relatione presente". In questo contesto controriformistico, che resta il massimo referente ideologico, non pare che sia accettabile la proposta di considerare lo scritto del C. (se si escludono le parti più strettamente politico-militari) metodologicamente assimilabile ai "freddi" dispacci degli ambasciatori veneziani del Cinquecento (Cervelli).
La descrizione della città di Ginevra poggia su tre ordini di fatti che sono la introiezione del rapporto cattolico "Riforma-sovversione" e la ritrascrizione del mito negativo bolsechiano: l'introduzione della Riforma protestante ha "mutato il governo" legittimo, ha "alterate le leggi" tradizionali, ha "variati i costumi" della vita cristiana. La lettura politica della costruzione religiosa di Calvino (racchiusa nella formula: le novità introdotte "con artificio" sono funzionali al "mantenimento suo", anzi sono la variante sacra degli interessi profani) non è demistificante. Cioè non coglie, come apparentemente potrebbe sembrare, le radici materiali dei valori spirituali, ma trasferisce semplicemente le proprie inibizioni sul piano della spiegazione storica. Situato interamente dentro l'interpretazione controriformistica del mondo, il C. riduce infatti tutte le motivazioni dell'agire umano indipendente dall'autorità politico-religiosa costituita all'ambizione personale, alla volontà di potenza politica, alla sopraffazione ideologica dei capi "sediziosi". I quali, concependo la religione esclusivamente come "instrumentum regni", alterano scientemente gli animi dei popoli, inducendo un comportamento antisociale che permetta la escalation al potere. Era dunque necessario che Calvino distogliesse le genti di Ginevra dalla "obedienza alla chiesa universale". Senza questo passaggio ("con la novità sottrarsi all'autorità") non gli sarebbe stato possibile "disunir gli animi de' popoli dalla divotione dei legitimi prencipi" di Savoia e impossessarsi del potere politico cittadino. Dalla fabbrica, dell'immaginazione antilibertina del C. (che identifica il libertinismo nella Riforma protestante) esce così, ed è strettamente funzionale al compimento del suo specimen ideale della sovversione, il ritratto di Calvino e degli altri capi religiosi ginevrini.
Il punto di partenza è certamente lo schema di Bolsec: "Homme entre tous autres, qui furent onc au monde, ambitieux, arrogant, cruel, maling, vindicatif et sur tout ignorant". Ma il C., che sembra essere più obbiettivo (Calvino era "d'acutissimo ingenio, di vasti pensieri e dotato di eloquenza mirabile"), tende a privilegiare la diabolicità dell'ingegno messo al servizio della conquista del potere politico ("divenuto huomo diabolico gran cose si arrogava"), cui corrisponde, il satanismo del fisico ("fu di corpo e di aspetto quasi difforme") e la mala morte ("vero inimico d'Iddio et degli huomini, fra quali visse e morì come venenoso Dracone"). Il ritratto di Calvino viene così a configurarsi come un modello di interpretazione universale dell'eretico come uomo "ambizioso" e "sedizioso". Le origini del suo dissenso si enucleano nel meccanismo psicologico seguente: il futuro eresiarca, cattivo ecclesiastico, timoroso di essere punito dall'autorità del proprio paese per le "scelleratezze commesse" (che sono ovviamente di ordine sessuale: "adulteri") è "necessitato partire" dalla comunità originaria; rimasto pieno di "mal talento" verso l'autorità legittima, agisce nel mondo (in cui è esule permanente) solo per "desiderio di vendetta" e per "bramosia di potere"; la immediata adesione alle idee luterane, scoperte in Germania, è comprensione politica della possibilità di farne un uso tutto pratico: rendersi "celebre al mondo"; il distacco dall'iniziale luteranesimo e produzione di "sottilissime stravaganze" per preparare quelle invenzioni che gli sarebbero servite per "acquistar credito" presso altri popoli; la scelta del luogo della emissione della "infectione" (una specie di stazione dell'iniquità) avviene sulla base di questa considerazione: dove già "ardono sedizioni" contro l'autorità, là è "ottima e dispostissima occasione" per piantare i "fondamenti" delle proprie "machine" e imporsi alle masse. La costruzione politico-religiosa calviniana diventa così, per il C., la realizzazione del "veneno" che l'eretico tiene "nascosto nel cuore" e il ferreo ordine sociale instaurato dall'alleanza dello Stato con la Chiesa non è che la necessaria apparenza per "ricoprire l'empietà et i brutti fini degli habitatori di essa". Paradossalmente dunque, il C. propone il pensiero e l'azione di Calvino come modello esemplare di conquista e di mantenimento del potere.
La "nuova" Ginevra - secondo un modello della letteratura cattolica - è il regno dell'"assoluta libertà" e il "rifugio dell'iniquità", Gli esuli di tutta Europa vi si sono rifugiati, "come a porto sicuro" non per professare in, buona fede le idee religiose che non era loro possibile confessare in patria, ma per "fuggir l'ira de' prencipi offesi" dalla propria àpostasia e sia pena dei misfatti commessi". La scelta di Ginevra ("città in preda all'empietà et al male") è, dunque semplicemente una volontà di libertinaggio di "huomini mal affetti et contaminati di conscientia" oppure "disperati per disaventure et infelicità". Infatti chi è giunto "all'impietà dell'atheismo" non può sopportare i "pesi della cattolica religione".
Degli anni napoletani del C. non abbiamo notizie di rilievo, né conosciamo la data della morte, che dovrebbe comunque essere collocata intorno al 1650. Sappiamo tuttavia che si provò, dopo aver portato a termine la sua Relazione di Ginevra, nella controversia religiosa col protestantesimo contrapponendo, agli italiani riformati, una apologia della propria scelta cattolica. La prima fu indirizzata il 13 ag. 1622 a un pastore e teologo calvinista di origine lucchese (Napoli, Biblioteca nazionale, ms. V.H. 348, cc. 35-73: Responsum apologeticum ad Benedictum Turrettinum Genevaeprofessorem ac ministrum). La seconda fu mandata colla data del 6 ott. 1622 al ramo della famiglia restata fedele alla Chiesa riformata (Ibid., cc. 1-33: Responsum apologeticumad Camillum Cardoinum eius parentemGenevae).
Bibl.: J. Senebier, Histoire littér. de Genève, II, Genève 1786, p. 181; A. Marsand, I manoscritti italiani della Regia Biblioteca parigina, I, Parigi 1835, p. 392; T. Gar., I codici storici della collezione Foscarini..., in Arch. storico ital., V (1843), pp. 382 s.; Tabulae codicum manuscriptorum... inBibl. palatina Vindobonensi asservatorum, IV, Vindobonae 1870, p. 291; V. Ceresole, La Républ. de Venise et les Suisses, Venise 1890, pp. 61 s.; P. Giannone, Vita scritta da lui medes., a cura di F. Nicolini, Napoli 1905, pp. 362 s.; F. Nicolini, Gli scritti e la fort. di P. Giannone, Bari 1913, pp. 18 s.; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, in Riv. stor. ital., XL (1933), pp. 422 s., 441; B. Croce, Vite di avventure,di fede e di passione, Bari 1936, pp. 239, 278, 280; F. Ruffini, Studi sui riformatoriital., Torino 1955, p. 431; M. M. Rossi, G. G. Burlamacchi e la storia costituz. del Settecento, in Ginevra e l'Italia, Firenze 1959, p. 542; B. Nicolini, Ideali e passioni nell'Italia relig. del Cinquecento, Bologna 1962, p. 92; I. Cervelli, Nota introduttiva a Historia compendiosa, cit., pp. 65-69; Nouvelle biogr. génerale, VIII, Paris 1854, coll. 700 s.