CARIELLO, Andrea
Nato a Padula (Salerno) il 1º dic. 1807, da un modesto artigiano, manifestò presto spiccate tendenze artistiche, tanto che a quindici anni fu inviato a Napoli a studiare presso un non identificato scultore in legno. Passò poi alla scuola di glittica di F. Rega nell'istituto di belle arti, e si distinse subito come incisore di pietre dure e medaglista. La stessa medaglia che, al compimento degli studi, dedicò al re Francesco I, ritratto di profilo nel recto, lo rivela efficace e misurato. Sta di fatto che, poco dopo, divenuto re delle Due Sicilie Ferdinando II, a seguito del successo ottenuto da un ritratto in avorio del nuovo sovrano, il C., probabilmente nel 1831, fu chiamato come incisore alla zecca.
Di questo primo periodo si ricordano medaglie come quella per il ritorno del re dal viaggio in Austria e in Francia del 1836 e, dello stesso anno, quella per il completamento della basilica di S. Francesco di Paola a Napoli, che reca nel recto i profili di Ferdinando I, Francesco I e Ferdinando II, l'altra per la nascita del futuro re Francesco II, con la raffigurazione della Ninfa Partenope che incorona il neonato, e ancora le medaglie di benemerenza del 1846 e del 1847, caratterizzate tutte da classica compostezza. Questa distingue anche l'opera di scultore che il C. contemporaneamente compì e che, se trova la sua espressione più felice nel busto in marmo di Ferdinando II per la reggia di Caserta, scade talvolta in un freddo accademismo, come nel caso del Ritratto della regina madre presentato alla Mostra di belle arti di Napoli del 1839. Ma in scultura il C. fu essenzialmente un ornatista, e per questa sua qualità venne impegnato nel 1837, insieme con C. De Rosa, C. Beccalli, G. Aveta e G. De Crescenzo, nella decorazione a stucco delle volte delle sale del palazzo reale di Napoli, rinnovate dall'architetto G. Genovese dopo l'incendio del 1837.
Questi stucchi furono in parte manomessi dall'intervento effettuato dopo il 1860 da I. Perricci e R. Casanova, ma di essi restano integri quelli particolarmente eleganti della volta della sala del trono, là dove sembra che spetti al C. e al De Rosa la larga fascia che corre sulla linea d'imposta: in essa le slanciate figure simboliche delle Quattordici province del Regno sono intervallate da festoni e fregi di sapore classico che incorniciano imprese araldiche e che agli spigoli si arricchiscono di sfingi e di altri motivi del repertorio egizio.
Con lo stesso De Rosa e con gli altri artisti che attesero ai lavori di rinnovamento della reggia napoletana, il C. passò nel 1843 a Caserta, dove il Genovese venne allora incaricato di sistemare la grandiosa sala del trono del palazzo reale, rimasta disadorna, come tutte le altre dell'ala occidentale del primo piano, alla interruzione dei lavori nel 1798. Il C. ebbe parte nell'esecuzione degli stucchi dorati che decorano la volta e le pareti e, più che negli ornati e nei trofei, la sua mano è da riconoscere in parte dei medaglioni con i Ritratti dei re di Napoli che si susseguono nel fregio della trabeazione sulle quattro pareti.
Nel 1847, bandito finalmente il concorso per la cattedra di glittica nell'istituto di belle arti, rimasto a lungo vacante dopo la morte di F. Rega, il C. vi partecipò insieme con L. Arnaud e con G. Carelli, che con lui erano stati i migliori allievi del maestro, e venne classificato al secondo posto dopo l'Arnaud. Né maggiore fortuna ebbe in occasione della scelta del professore della scuola di intaglio in acciaio e in legno, allora istituita accanto a quella dell'incisione in rame, in quanto per l'insegnamento di quell'arte, non propriamente sua, gli fu preferito Tommaso Aloysio Juvara, peraltro provetto incisore in rame. Tuttavia egli rifiutò l'incarico di direttore della zecca di Londra offertogli da C. Moore, per rimanere a Napoli, e lì continuò un'intensa attività di medaglista e di incisore di pietre dure, cui affiancò sempre quella di scultore.
Mentre per quest'ultima, oltre al Monumento a mons. Rosini in marmo, nella cattedrale di Pozzuoli, andato perduto per il recente incendio della chiesa (se ne conserva il bozzetto in gesso), si possono menzionare piccoli bronzi, quali Due amori che litigano per un cuore, Pastore che suona la piva, Piccolo satiro, e terrecotte, come Bacco che scherza con un fanciullo, per la sua attività principale di medaglista e di incisore in pietre dure sono da citare diverse opere di notevole interesse. A parte alcune monete del Regno delle Due Sicilie in bronzo, in argento e in oro (cfr. Pannuti, 1963), bisogna ricordare la medaglia per la venuta del pontefice Pio IX a Napoli, realizzata in collaborazione con l'Arnaud nell'anno 1849, quelle numerose di benemerenza del decennio successivo, e quindi le medaglie coniate dopo l'Unità d'Italia, tra le quali quella di Carlo Felice di Savoia, presentata alla Esposizione di Parigi del 1867 e la medaglia del Consorzio agrario di Caserta. A queste si affiancano le pietre dure incise, nelle quali il C. diede il meglio di sé, per l'eleganza delle figurazioni sempre di sapore classico e per la finezza dell'esecuzione. Grande successo ebbe il cammeo con i ritratti di Ferdinando II e di Maria Teresa, e non meno ammirati furono quelli con il ritratto del Principe di Belmonte, la piccola corniola con il Ritratto della moglie e le pietre sulle quali raffigurò personaggi della storia antica o della mitologia, come il cammeo con Alcibiade, acquistato da Costantino Nigra, l'altro con Venere e Amore e l'ametista con La Baccante, dei quali, come del resto degli altri, si ignora l'ubicazione attuale.
Non si sa, inoltre, dove si conservi il capolavoro del C., IlRedentore che spezza il pane eucaristico, inciso su un grosso topazio montato in oro, del quale tuttavia è riprodotta la fotografia nell'Illustrazioneitaliana del 16 nov. 1902 (p. 422). La gemma, che pesava kg 1,591 e misurava cm 18,2 di altezza, 14,4 di larghezza e 7,2 di spessore, fu ricavata da una pietra di straordinaria grandezza, che alcuni vogliono portata a Napoli da re Carlo di Borbone, altri più verosimilmente inviata in dono dal Brasile da un suddito fedelissimo a Francesco I. Sta di fatto che questi la fece dividere in due. Su uno dei due pezzi G. Gnaccarino abbozzò la figura del Redentorebenedicente (Napoli, Museo di S. Martino), l'altro fu assegnato al C., il quale, in otto anni di intensa fatica, realizzò l'opera, riscuotendo il plauso incondizionato di una commissione di esperti appositamente nominata.
Nell'anno 1870 il governo italiano decise di assegnare la gemma all'artista, in luogo del compenso non ricevuto. Essa poi passò agli eredi, che ne curarono la presentazione in importanti mostre d'arte, tra le quali quelle tenute a Milano e a Chicago all'inizio del secolo. Quindi nel 1902 fu annunziato a stampa che la grande gemma sarebbe stata offerta da un comitato napoletano a Leone XIII per il venticinquennale del pontificato. Ma la cosa non dovette aver seguito. Poco dopo il 1914, infatti, fu pubblicato da R. La Tagliata un opuscolo con la storia della gemma (Notizie del gran topazio inciso dal prof. A. C., …, senza data ma certamente di quel momento), che egli, divenutone intanto proprietario, metteva in vendita. Da allora si perdono le notizie della gemma.
Ma quando avvenivano i fatti ricordati il C. era scomparso da tempo: sera spento a Napoli nel 1870, poco dopo la conclusione della controversia per il compenso dell'opera compiuta.
Alla caduta del regime borbonico, che nonostante le prestazioni per la corte dovette, e a ragione a quanto sembra, sospettarlo di sentimenti liberali, l'artista aveva ottenuto finalmente un giusto riconoscimento. Con decreto di Garibaldi era stato nominato direttore del gabinetto di incisione della zecca e professore di incisione nell'istituto tecnico, attività che svolse con impegno fino alla fine.
Bibl.: C. T. Dalbono, Intorno a una Mostra di Belle Arti fatta in Napoli nel 1839, in Salvator Rosa, I(1839), 37, appendice; Emporio pittoresco, I(1873), p. 262; A. Rotunno, Il centenario d'un illustre incisore, in Vita d'arte, II(1908), pp. 22-25; E. Ricciardi, Medaglie del Regno delle Due Sicilie 1735-1861, Napoli 1930, pp. 60, 64, 71, 86-88, 95-99; F. De Filippis, La Reggia di Napoli, Napoli 1942, pp. 55, 60; C. Lorenzetti, L'Accad. di Belle Arti di Napoli, Firenze 1952, pp. 97, 194; G. Bovi, La monetazione napoletana nel 1859e negli anni seguenti, in Arch. stor. per le prov. napoletane, LXXIX (1961), p. 310; M.Pannuti, Le monete auree borboniche napol. del XIX sec., in Boll. del Circolo numismatico napoletano, XLVIII(1963), pp. 93 ss.; M. Causa Picone-A. M. Bonucci, Catal. della Mostra di oggetti d'arte e di docc. storici scelti dalle raccolte dei depositi del Museo di S. Martino, Napoli 1964, pp. 65 s.; G. Chierici, La Reggia di Caserta, Roma 1969, p. 100; F. Acton-M. Pannuti, La monetazione napoletana da Carlo a Francesco II…, Napoli 1975, pp. 13 s.;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 590 s.