CICERO (Cichero, Cexero, Cesaro), Andrea
Nacque a Genova da Clemente attorno al 1460.
Clemente del fu Giuliano aveva ottenuto, nel 1451, dal bey di Tunisi il diritto esclusivo della pesca del corallo sulle coste di Barberia, per la durata di dieci anni a cominciare dal 10 maggio 1452, contro il pagamento di 6.000 doppie fersie all'anno; egli e i fratelli Giacomo, Giorgio, Simone, associati con Leonardo Lomellini, Nicolò e Luigi Giustiniani, Lazzaro e Arduino Spinola, costituirono le prime "compagnie coralline". Il loro funzionamento ci è noto attraverso un contratto tra appaltatori e corallatori stipulato in casa Cicero il 17 maggio 1468. Due padroni di barche coralline, Giorgio Della Stella e Rolando di Alassio, convenivano con lo zio del C., Giacomo, allora governatore in Genova delle pescherie, la data della partenza da Cervo per Marsacares, la durata della loro permanenza (quattordici mesi) e le di visioni del profitto. I Cicero si arricchirono con questa attività, che entrò in crisi attorno al 1500 a causa delle incursioni corsare, e che venne ripresa attorno al 1520 dai Lomellini.
Di certo, il C. non si occupò mai di questo commercio e, dopo una parentesi alle dipendenze del Banco di S. Giorgio nel 1487, trasferì i capitali accuanulati dal padre nelle attività mercantili e finanziarie delle fiere di cambio internazionali. Egli divenne infatti titolare, insieme con Alessandro Sauli, di un'attivissima ditta con sede in Lione, l'estensione della cui rete di interessi è documentata, oltre che ovviamente a Genova, anche a Parigi, Vienne, Roma, Firenze, Asti, Valenza, a partire dal 1492 fino al 1504, La prima operazione documentata è una procura fatta, appunto nel 1492, dagli Spinola alla ditta del C., mentre ne era procuratore Simone Bracelli.
Probabilmente tra quest'anno e il 1498, mentre Genova era sotto la signoria di Ludovico il Moro, il C. risiedette a Lione, poiché il suo nome, a differenza di quanto avverrà negli anni successivi con notevole frequenza, non compare nelle cariche pubbliche genovesi. Dei resto, il suo atteggiamento politico favorevole alla Francia (ignoriamo se conseguenza o premessa dei suoi personali interessi economici) è chiaramente confermato dal fatto che la sua ditta nel 1499 era in relazione, per parecchie migliaia di lire, con i Fregoso, proprio nel periodo in cui questa famiglia riuscì a indurre Genova a darsi a Luigi XII dopo aver condotto con lui trattative sotto l'aspetto di convenzioni commerciali. Anzi, il 20 Sett. 1499, il C., probabilmente per i meriti economico-politici acquisiti nei confrontì della Francia, venne eletto tra i ventiquattro ambasciatori incaricati di recarsi a Milano per firmare le nuove convenzioni tra la, Repubblica e il re di Francia. La grande ambasceria, che comprendeva, ulcuni rappresentanti delle più nobili e prestigiose famiglie genovesi era a Pavia il 27 settembre; ripartita il 5 ottobre, assistette il giorno successivo a Milano all'ingresso solenne del re di Francia. La dedizione di Genova venne firmata, dopo molte difficoltà, il 16 ottobre.
Dal 1500 il C. intraprende in Genova una carriera politica assai intensa: entrato in quell'anno nel Gran Consiglio tra i mercanti bianchi, nel 1591 è tra gli ufficiali di Balia, incaricati della riforma delle leggi; nel 1501 e nel 1502 fa parte anche dell'ufficio di Misericordia; nel 1503 è di nuovo di Balia, nel 1504 è nell'ufficio Victualium, per gli approvvigionamenti granari alla città. Nel 1505-06, tra i tumulti e le fazioni cittadine, il C. si schierò, come voleva il suo censo, con il popolo grasso filofrancese, insieme antiaristocratico e antipopolare.
In un intermezzo di quiete interna, poiché il re Ferdinando d'Aragona avrebbe dovuto compiere una breve sosta a Genova nel suo viaggio verso Napoli, il C. venne eletto tra i dodici deputati alle accoglienze. Non essendo questi riusciti ad ottenere dalla cassa dello Stato la somma occorrente per le spese, si dovette ricorrere ad un prestito privato, la cui obbligazione venne assunta, anche dietro ipoteca del "diritto" di Spagna, dal C. e da altri banchieri, tra cui Antonio e Pietro Sauli, Giovan Battista Adorno, Cristofoto Spinola e Anfreone Usodimare.
Nel marzo 1507, riaccesisi i fermenti popolari, il governo inviò il C. a Milano per una delicata missione diplomatica presso il governatore francese cardinale d'Amboise, che si diceva avesse preparato un esercito per marciare contro Genova.
Erano infatti corse voci, a Napoli, Roma e Parigi, circa un'offerta di dedizione genovese a Ferdinando il Cattolico, e una precedente ambasceria della Repubblica all'Amboise, per confermare la fedeltà di Genova all'alleanza francese, non aveva potuto raggiungere Milano, per l'ostilità del luogotenente francese di Novi e di alcuni aristocratici genovesi ivi esiliati. L'incarico di tranquillizzare l'Amboise fu dunque affidato al C., probabilmente perché in quel periodo egli era titolare a Milano di una ditta commerciale in società con Raffaele de Fornari e Stefano Giustimani, società i cui interessi, curati da Carlo delli Forné, dovevano essere collegati con quelli francesi. Il C. in effetti riuscì a raggiungere Milano, ma ogni tentativo per convincere l'Amboise fu reso vano dalla nuova situazione stabilitasi a Genova: il 10 aprile, eletto doge dai più accesi popolari Paolo da Novi, l'esercito e la flotta francese assalirono Genova, costretta alla resa il 28 aprile.
Il C. non aderì all'esperimento popolare e riprese la carriera pubblica dopo il ritorno dei Francesi. Fece parte del magistrato dei Censori nello stesso 1507 e nel 1509; nel 1510 e nel 1514 fu ufficiale di Balia, nel 1513 e nel 1517 fece parte del magistrato di Virtù. Nell'arco di tutti questi anni, continua ad essere documentata l'attività finanziaria del C., di portata sempre più considerevole.
In un documento del 22 sett. 1502, la ditta di Lione del C. e di Alessandro Sauli incarica Geromino Sauli e Simone Bracelli di rappresentarli presso il Parlamento di Parigi in un processo contro Leonardo Maneli, fiorentino, per un'operazione di cambio di 6 marchi d'oro fatta a Roma. In un altro documento del 20 luglio 1501, il C., insieme con Martino Spinola e Quirico Fieschi, dà procura a Giano Grillo, mercante genovese a Lione, per recuperare beni ed eredità vantati su Giovan Francesco Spinola presso Daniele Scarampo di Asti, anziano podestà di Genova. In altro documento del 18 luglio 1506, Guglielmo Chieti, mercante di Menne, promette di saldare presso la banca dei Sauli a Genova una lettera di cambio di 165 scudi d'oro, da lui sottoscritta a Valenza nel 1502, e pagabile a Lione all'ordine, del C. e di Alessandro Sauli.
Dopo un periodo di stasi - dovuto forse al difficile momento politico attraversato dalla Francia e da Genova, rientrata nell'orbita del signore di Milano, e poi agli impegni del C. nella vita politica - nel 1515, ormai ripresa l'attività militare francese in Italia con Francesco I, il C. si fece organizzatore di un grosso prestito alla Corona. Infatti, in un documento del 23 ott. 1515, Tomaso Boyer, Rodolfo Herault e Loreleto di Meseun, tesorieri generali del re di Francia, promettono di pagare, durante la fiera di Pasqua a Lione, 60.454 scudi al C. e a Melchiorre Negrone, banchieri genovesi, in cambio di un prestito di 50.000 scudi d'oro al tesoriere Filiberto Babon. Anche altri nobili genovesi concorsero, con piccole quote, a questo prestito, che impegnò un largo giro di lettere di cambio su Lione e Milano, passando evidentemente attraverso le banche del Cicero. Pochi mesi prima di concludere questa operazione, il C. aveva compiuto l'ultima ambasceria per la Repubblica. Insieme con Melchiorre Negrone, Marco i Grimaldi, Angelo Doria, Giovanni da Passano, Pantaleone de Fornari, Agostino Maiolo e Giacomo Cattaneo, era stato inviato come oratore a Leone X, sostenitore di Ottaviano Fregoso, allora doge di Genova, per fargli presente la difficile situazione in cui Genova si era venuta a trovare per l'alleanza tra il pontefice e la Francia. Si ignora la data di morte del C., ma essa deve cadere tra il 1520e il 1528.
Infatti, il 7 sett. 1519egli è citato come consenziente a un atto di vendita che la figlia Maria, moglie di Francesco Pinelli Adorno, stipula con tale Gregorio Zaccherotto; ma nel 1528con la riforma del Doria, il suo nome non compare tra gli ascritti alla nobiltà. Lasciò all'unica figlia Maria le sue ricchezze e la splendida villa che si era fatto costruire in Albaro, sulle alture della città.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, ms. 10, cc. 19v, 20, 21, 22, 54, 178, 212, 227, 348, 359; Ibid., ms. 472, c. 135;Ibid., ms. 447, c. 298;Genova, Civica Bibl. Berio. ms. M.R.X., 2, 167: L. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 307;L. Belgrano, Della dediz. dei Genovesi a Luigi XII, in Misc. di storia ital., I(1892), doc. 2;L. Pelissier, Documents pour l'histoire de l'établissèmentde la domination française a Génes, in Atti dellaSoc. ligure di storia patria, XXIV (1892), 2, pp. 459-461;B. Senarega, De rebus GenuensibusCommentaria, in RerItalic. Scrkptores, 2ediz., XXIV, 2, a cura di E. Pandiani, ad Ind.;F. Podestà, La pesca del corallo in Africa, Genova 1897, pp. 18, 19, 21; E. Pandiani, Un anno di storiagenovese (1506-07), in Atti della Soc. ligure distoria patria, XXXVII (1905), pp. 55 n. 3, 185 n. 1, 214 n. 2, 215-216, 521, 525;V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII (1934), pp. 5, 135; D. Gioffrè. Gênes et les foires de chage, Paris 1960, pp. 36 doc. 22, 44, 83, 85, 247, 283, 291, 304, 395.