CODEBÒ, Andrea
Nacque a Modena il 5 maggio 1821, ultimo maschio di una nobile famiglia da cui ereditò il titolo di cavaliere.
Terminati gli studi, appena autonomo, grazie anche al proprio patrimonio, cui però il padre aveva attinto abbondantemente, si recò a Milano. Nella capitale lombarda darà le prime prove del proprio temperamento irrequieto e facile a accendersi. Nel 1848, durante le Cinque giornate, entusiasta si metterà assai in vista e partirà volontario per unirsi ai Piemontesi durante la prima fase della primia guerra d'indipendenza. Si guadagnerà così sul campo le spalline di capitano dei bersaglieri, ma con la disfatta di Custoza e il conseguente armistizio firmato da Salasco (9 agosto), col quale i Piemontesi si ritirarono nuovamente oltre il Ticino, il C., fu costretto a fuggire e riparare a Torino, ove si trovava anche il padre.
Vi sono anzi varie versioni di un pubblico scontro del vecchio conte Codebò col figlio. Davanti al caffè Dilei il primo redarguisce aspramente il secondo: "Vi dico che fate disonore a quella uniforme onorata e siete indegno di portarla" - "Per l'amor di Dio ritiri queste parole o io perdo il lume della ragione". Gli astanti temettero si arrivasse alla sfida e quindi al duello, ma i due finirono per abbracciarsi. Il timore, in ogni modo, non era infondato, ché varie volte il C. raccolse o lanciò sfide e, a un certo punto, fu anche costretto a rinunciare alla divisa, dando le dimissioni dal corpo, prima di venirne cacciato. Si era comportato in modo perlomeno stravagante, strusciando un proprio scarpino di vernice, in segno di sfida, sul volto di un critico, il quale aveva recensito il suo Segretario Morville con accenti derisori e allusioni anche villane. Del resto il dramma era arrivato sulle scene in modo non più tranquillo. Narra Giuseppe Costetti, nostra fonte principale, che l'avvocato Righetti, direttore della Reale Compagnia sarda, avesse restituito al C. il manoscritto del Segretario Morville, con un giudizio negativo circa la rappresentabilità (altrove dice si trattasse dell'Arturo), ricevendone istantaneamente di ritorno una sfida a duello. L'avvocato, piuttosto che rimangiarsi il giudizio, accettò lo scontro e i due si scambiarono i rituali colpi di pistola, per fortuna senza conseguenze. A questo punto Righetti, per vendicarsi con un gesto di magnanimità, decise di allestire l'opera in questione, che venne fischiata e risultò un clamoroso insuccesso di pubblico e, come si è già detto, di critica.
Il C. aveva cominciato la sua carriera teatrale, scrivendo i libretti per tre melodrammi: Il fornaretto (1851), posto in musica dal maestro Gualtiero Sanelli, come il successivo Camoens (1852). Il Riccardo III viene invece rappresentato solo sette anni dopo alla Scala di Milano con le musiche di Giambattista Meiners. Si dedicherà quindi a scadenti imitazioni dei peggiori drammi francesi (Scribe, Bourgeois, D'Emery), come i lavori già citati o Il visconte di Morsenne. Ma il successo giungerà poco più tardi, nel 1855, quando il C. si accorgerà della ridicola falsità di certo romanzesco ciarpame "alla francese".
È l'epoca in cui Alamanno Morelli replica per ventiquattro sere consecutive (un trionfo dati i costumi del tempo) Il vetturale delMoncenisio. Il C. scrive una ironica e assurda parodia e inserisce, in quello che definisce "Scherzo comico in un atto", tutti i più turpi ingredienti dei Drammi francesi, comelo intitola, specificando: "ovvero La bara, il Veleno, il Disonore, la Maschera, la Pazzia e l'eccidio finale". Il luogo dell'azione è un camposanto di sera e la prima battuta: "Così, così... quel cadavere è vendicato!". Velocemente si succedono in scena deliri, duelli, riconoscimenti, suicidi e battute come le seguenti: "Ah! tu sei dunque il figlio del carnefice di mio padre" (cui viene risposto: "Che papà galantuomo!") o: "Non hanno forse un'anima i becchini?". Il lavoro sarà un trionfo, contro tutte le previsioni, e lo testimonia il fatto che per anni verrà dato anche in altre città e spesso sui cartelloni non apparirà nemmeno il nome dell'autore.
Altra importante innovazione del C. sarà una forma di teatro, che egli chiamò di rivista, ma che oggi sarebbe forse meglio definire, all'americana, "musical". Di questo genere ricordiamo Una mascherata di pagliacci, che venne data in varie città, grazie anche a una battuta che fece epoca ("Perché i pagliacci sono così prepotenti? - Perché i prepotenti sono tutti pagliacci!") e soprattutto Il Diavolo rosso, scritta quando Garibaldi era appena entrato a Napoli e rappresentata nel settembre del 1861. Si trattava di "un insieme di prosa, musica, canto, ballo e luce di bengala", come scrisse il Costetti, messo in scena da Cesare Marchi al Balbo, un teatro diurno di Torino. La corda del patriottismo era allora evidentemente facile da far vibrare e riusciva anche a paralizzare quella del ridicolo. Si pensi che vi comparve l'ombra di Cavour, morto da poco, interpretata da un generico, con un lenzuolo addosso e una corona d'alloro in testa, e tale apparizione, leggiamo, "suscitò dolorosi e teneri ricordi". Su questi successi visse la fama del C. il quale scrisse molte altre cose di tale genere, ma sempre traendone pochi guadagni, tanto da morire in povertà.
Verso i cinquanta anni fu colto da un oscuro male che si andrà sempre aggravando, i cui sintomi furono vertigini, mancamenti e dolori acuti al petto. Trasferitosi nella amata Milano, più volte verrà raccolto per via dai passanti. Gli amici gli trovarono allora una stanza al Fatebenefratelli, da dove usciva, per recarsi a teatro o a un ballo, ogni volta che si sentiva meglio. Da una di quelle scappate tornò più morto che vivo e non superò la crisi. Era un giorno imprecisato dell'inverno 1868.
Opere: Il fornaretto (libretto in tre atti), Milano 1851 e 1853; La figlia del proscritto (melodramma in quattro parti per il carnevale del 1852), Torino 1851 e Milano 1852; Camoens (dramma lirico in tre atti), Torino 1852; Idrammi francesi,ovvero La bara,il veleno,il disonore,la maschera,la pazzia e l'eccidio finale (scherzo comico), Milano 1858; Un avventuriere, ibid. 1858; Le nebbie del matrimonio più Una mascherata di pagliacci, ibid. 1858; Riccardo III (melodramma in tre atti), 1859; Il Diavolo rosso, 1860; I sogni diFlick e Flock (allegoria in un atto e un prologo), ibid. 1864; L'emancipazione delle donne,ovvero Il regno di Bradamante (follia in un atto) più la farsa Miss Ella,ovvero Lord Ello, ibid. 1865.
Bibl.: C. Dejob, Etudes sur la tragedie, Paris s.d., p. 281; C. Trevisani, Delle condiz. della letteratura drammatica nell'ultimo ventennio, Firenze 1867, p. 178; G. Costetti, Confessioni di un attore drammatico, Bologna 1883, pp. 223-233; Id., La Compagnia reale sarda e il teatro italiano dal 1821 al 1855, Milano 1893, pp. 104, 189-190; Id., Il teatro ital. nel 1800 (con un elenco degli autori e delle loro opere), Rocca San Casciano 1901, p. 289-292; G. Mazzoni, Autori e attori drammatici, in La vita italiana nel Risorgimento (1849-1861), Firenze 1911, p. 25; I. Sanesi, La commedia, II, Milano 1911, p. 483; L. Miragoli, Il melodramma italiano nell'Ottocento, Roma 1924, p. 164; M. Apollonio, Storia del teatro italiano, IV, Firenze 1950, p. 173; F. Doglio, Teatro e Risorgimento, Bologna 1961, p. 38; F. Regli, Diz. biogr. dei più celebri poeti ed artisti, Torino 1860, pp. 133 s.; Enc. d. Spettacolo, III, col. 1023.