COMPARETTI, Andrea
Nacque a Vicinale di Buttrio (Udine) da Francesco, piccolo proprietario terriero, e da Maria Trevisan, probabilmente il 30 ag. 1745 (come afferma il necrologio apparso nel Giornale dell'italiana letteratura di Padova, che sostenne l'erroneità della data 30 settembre indicata da D. Palmaroli, principale biografo del C.; altri, meno verosimilmente, hanno collocato la, nascita nell'agosto 1746). Il C. fu secondogenito tra numerosi fratelli e sorelle; il maggiore, Bernardo, e il quintogenito, Pietro, saranno anch'essi naturalisti. Questa circostanza fu probabilmente un riflesso sia dell'ambiente agricolo d'origine sia, soprattutto, degli interessi agronomici del padre, partecipe del movimento di razionalizzazione agricola vivo nel Veneto del tardo '700: anche nel C. gli interessi botanici, zoologici ed entomologici, posti accanto a quelli medico e fisico, rimandano allo stesso contesto. Tra gli undici ed i tredici anni il C. seguì a Pordenone il corso detto allora di "grammatica", avendo come precettore l'abate Manenti, che gli dette una solida formazione umanistica. Dopo un anno di interruzione degli studi, causato da disturbi dovuti all'eccessiva applicazione, un anno trascorso nella casa paterna e dedicato a intense letture, il C. riprese gli studi regolari a Venezia coi gesuiti, e fu particolarmente vicino al padre R. Panigai, matematico e fisico, che lo segnalò al Boscovich; questi lo seguirà personalmente per un periodo e successivamente avrà con lui un'attiva corrispondenza (una lettera di Boscovich al C. è a Livorno, Bibl. Labronica, Autogr. Bastogi, 16, 2068). I gesuiti cercarono anche di attrarlo nel loro Ordine, ma preferì gli studi di medicina, e terminati i corsi secondari con due tesi di fisica (De aëre, sono et luce) e di teologia, il C. andò a Padova accompagnato da commendatizie dei gesuiti per vari docenti, tra cui il Morgagni: a questo e al docente di fisica, il Colombo, egli apparirà come uno degli allievi più assidui e dotati (il Morgagni l'indicò ai riformatori dello Studio di Padova come una sicura promessa accademica, insieme ad A. Scarpa).
La solidità della preparazione fisico-matematica avuta dai gesuiti e poi a Padova è un dato essenziale per la fisionomia del C. ricercatore, molti dei cui lavori, inquadrabili in un ambito che può dirsi prospetticamente biofisico, possono essere giudicati come una ripresa, con un apparato matematico-fisico evoluto, della tematica iatromeccanica riferibile a G. A. Borelli e M. Malpighi, introdotta a Padova nel primo '700 da Guglielmini e Poleni. Naturalmente nel C. questa tematica risulta depurata da apriorismi dottrinali, grazie soprattutto alla lezione del Morgagni, ed arricchita dagli apporti del Settecento. La sintesi di questi elementi è un orientamento di ricerca spiccatamente originale per problematica e metodo, che guadagnò poi al C. apprezzamenti da personalità come Spallanzani, Bonnet, Volta, Cuvier.
Dopo la laurea, conseguita verso il 1778, il C. visse quattro anni a Venezia esercitando la medicina e compiendo ricerche sul duplice binario dell'anatomia umana e della fisica sperimentale (particolarmente dell'ottica). Effettuò un gran numero di autopsie in stretto rapporto con le sue esperienze mediche, dalle quali desunse le otto storie cliniche che sono a base del suo primo libro: Occursus medici de vaga aegritudine infirmitatis nervorum (Venetiis 1780).
L'opera, che col trattato di V. Chiarugi è una delle espressioni più innovative della neurologia italiana del periodo (considera casi di degenerazioni funzionali con manifestazioni comportamentali: la vaga aegritudo del C. è ciò che l'onomastica medica tradizionale designava come ipocondria o isteria), ha impostazione nettamente organicistica, secondo i moduli dell'epoca, e più che per la sua psicologia interessa per le analisi anatomo-fisiologiche (origine del nervo intercostale, struttura dei gangli e del plesso nervoso); ma il C. ammette con franchezza l'impossibilità, nella situazione contemporanea della scienza, di saldare in un unico quadro esplicativo patogenetico il livello organico a quello psicologico-comportamentale.
Gli Occursus ebbero accoglienza nettamente positiva in Italia e all'estero, inducendo il Senato veneto a conferire al C., nel 1782, la cattedra di "Trattati teorico-pratici" a Padova, costituente un intermediario storico tra la lettura medievale di medicina teorica e la successiva patologia medica. In quegli stessi anni egli seguì lo sviluppo europeo della fisica sperimentale, anche attraverso il Boscovich, e impostò un ampio programma di ricerca in ottica fisica e fisiologica; queste ricerche, sfociate in un'opera sistematica che rimarrà inedita, ebbero divulgazione parziale in una serie di scritti parte pubblicati in quegli anni, parte molto posteriormente. Rientrano in quest'ambito sia due saggi nei milanesi Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti (Lettera... al celebre ab. Boscovich sulle nuove scoperte di ottica, VII[1784], pp. 25-35; Nuove considerazioni sulla teoria dell'arco celeste, XI [1788], pp. 197-216), sia due opere più ampie, le Observationes opticae de luce inflexa et coloribus (Patavii 1787)e le più tarde Observationes dioptricae et anatomicae comparatae de coloribus apparentibus visu et oculo (ibid. 1798).
Interessano, in questi scritti, la padronanza della letteratura ottica, dai medievali a Grimaldi e Newton fino ai contemporanei, e lo scrupolo osservativo e la refrattarietà del C. a sintesi interpretative troppo generali e svincolate dai dati; egli stesso chiarisce il suo scopo nel senso, che non intende proporre ipotesi o sistemi, ma "confirmare, extendere, comparare et apponere" dati accuratamente accertati. A quest'intento corrisponde, nelle due serie di Observationes, la ripartizione del materiale e lo stesso schema argomentativo, che distingue le "osservazioni" dalle "considerazioni" interpretative. Dei due volumi, il primo studia essenzialmente varie manifestazioni d'un unico meccanismo, la diffrazione, non in senso matematico ma qualitativo; il secondo tenta un'applicazione dell'ottica alla fisiologia ed alla patologia della vista, impostando uno studio differenziale delle proprietà ottiche delle varie parti dell'occhio, più raffinato, almeno in linea di principio, delle indagini precedenti.
Questi contributi ebbero buona accoglienza (Eulero apprezzò il De luce inflexa in una lettera al C.), ma sia gli impegni professionali sia le ricerche medico-biologiche limitarono progressivamente la sua attività nel settore. Nel 1787 i riformatori dello Studio di Padova, morto il Dalla Bona, docente di clinica, conferirono al C. anche questa cattedra, avente sede nell'ospedale della città, ed inoltre, essendo in corso dal 1778 ilavori per un nuovo ospedale (inaugurato nel 1798), gli richiesero un piano di riorganizzazione sia della didattica clinica sia dell'intero assetto ospedaliero. Il peso complessivo di questi incarichi si può cogliere solo ricordando che nell'organizzazione sanitaria dell'epoca, a Padova e altrove, il cattedratico di clinica aveva funzione più che didattica; il suo ruolo si avvicinava alla direzione sanitaria nel senso odierno, implicando così compiti di supervisione ed organizzativi. A ciò va aggiunto il fatto che lo stesso C., nelle sue proposte di riforma, tese a portare sotto il controllo del clinico anche la funzione amministrativa, non per riflesso corporativo, ma per un senso profondo dell'interrelazione tra aspetti medici e logistici, igienici, architettonici e di clima psicologico: nel concreto questo dovette tradursi in una tale vastità di compiti da rendere veramente sorprendenti mole e qualità dei lavori che egli continuò a produrre. Le proposte del C., sostanzialmente accolte, furono formulate nel Saggio della scuola clinica nello Spedale di Padova (Padova 1793), senz'altro uno dei documenti salienti del processo di razionalizzazione delle strutture sanitarie nel secondo '700, scritto in risposta ad un quesito della Società di medicina di Parigi circa il miglior modo d'insegnamento della medicina pratica; ad esso va associato, come resoconto dell'assetto edilizio-organizzativo del nuovo ospedale, ormai funzionante, il Riscontro clinico nelnuovo Spedale. Regolamenti medico-pratici (Padova 1799).
Si tratta di due testi importanti, e mai pienamente utilizzati, per la storia ospedaliera di fine Settecento, non tanto nel generale aspetto ideologico quanto per le concezioni organizzative e per l'importanza che vi assumono i nessi ospedale-territorio, circa i quali il C. presenta importanti dati demografici e di statistica sanitaria. Come in tutte le sue opere (e questo va considerato come uno dei fattori che hanno limitato la risonanza storica del suo lavoro rispetto ad altri autori non più significativi) la chiarezza analitica e la ricchezza di dati sono però inficiate sul piano dell'efficacia da una generale disorganicità nella ripartizione del materiale, che porta a ripetizioni e sovrapposizioni. I due testi, e particolarmente il Saggio, interessano anche in senso storiografico per la ricostruzione delle vicende della scuola clinica padovana, cui rivendicano una priorità italiana e, quindi, europea.
Con il C. a Padova la clinica migliorò nettamente i suoi standards:egli impostò programmi individuali per ogni paziente, con schede in cui, alla storia medica personale, si univano dati sulle terapie praticate, l'alimentazione e le connessioni climatiche dello stato morboso, prefigurando l'analisi chimica delle secrezioni e dell'aria degli ambienti dell'ospedale; propose anche che per l'esercizio della medicina fosse richiesto un triennio di pratica ospedaliera dopo il quadriennio di laurea. A queste posizioni evolute nella prassi clinica corrisponde il maggior pregio degli scritti medici, e particolarmente del più noto, i Riscontri medici delle febbri larvate periodiche perniciose (I-II, Padova 1795), cui vanno aggiunte le brevi Annotazioni dirette ai lettori dei Riscontri..., (ibid. 1795). Vi sono descritti sedici casi clinici, seguiti da una interpretazione mirante ad individuare la "causa prossima" dello stato febbrile. Il C. non introduce sviluppi sostanziali rispetto alla fisiopatologia dell'epoca, ma nei limiti di questa produce analisi tra le più attendibili, fornendo indicazioni terapeutiche giudicate ancora utili dal De Renzi.
Tuttavia, nonostante lo scrupolo e l'ampiezza con cui intese la funzione medica, la vera vocazione del C. fu quella per la ricerca naturalistica, nei settori anatomo-fisiologico e botanico-zoologico. Il primo lavoro in quest'ambito, ed uno dei suoi più noti in Europa, furono le Observationes anatomicae de aure interna comparata (Patavii 1789), presentanti un approccio comparativo quasi del tutto inedito a strutture e funzioni dell'orecchio interno in molte specie.
Il C. situa la "sede" dell'udito nel labirinto membranoso ed impiega finemente strumenti matematico-fisici, giungendo ad affermare (come farà nelle Observationes dioptricae per l'organo della vista) una sostanziale analogia di struttura dell'apparato uditivo attraverso l'intero regno animale. Il tipo d'analisi del C., utilizzante dati macro- e microanatomici per la determinazione degli aspetti strutturali più fini, che interpreta poi come tramiti d'una dinamica d'interscambi, differiva notevolmente da quello più tradizionalmente anatomico di A. Scarpa (che in quegli anni trattò la stessa tematica) ed era inoltre atto ad essere esteso al regno vegetale, cosicché nella sua produzione gli scritti zoologici s'alternano ai botanici.
Alla pubblicazione del De aure, C.Bonnet, notata la sicurezza del C. nell'uso di strumenti fisici e comparativisti, l'invitò per lettera ad allargare le sue indagini alle piante, ciò che egli fece attorno al 1790; anche in questo caso, come per l'ottica, il programma originario d'un completo trattato non fu realizzato (un abbozzo restò inedito), mentre il C. ne pubblicò una importante anticipazione, il Prodromo di fisica vegetabile in due parti (Padova 1791 e 1799), che riscosse l'assenso entusiastico dello Spallanzani; è questione non risolta se il Prodromo contenga anticipazioni rispetto ai risultati più ampi del Senebier, che però certamente lo conobbe tramite lo Spallanzani. Appartengono allo stesso ambito d'interesse tre altri scritti, i Riscontri fisico-botanici ad uso clinico (Padova 1793), esame di alcune specie per ciascuna di sei classi linneane, che delinea un progetto ardito di anatomia vegetale sottile quale tramite interpretativo tra i connotati esterni delle piante e le loro proprietà d'importanza clinica; le Osservazioni sulle proprietà della china del Brasile (nei citati Opuscoli scelti, XVII [1794]) e le Nouvelles recherches sur la structure organique relativement à la cause des mouvements de la sensitive commune (in Mémoires de l'Académie royale de Turin [per gli anni 1790 e 1791], Turin 1793, pp. 209-44).
L'ultima e più originale delle opere naturalistiche del C. è la Dinamica animale degli insetti (Padova 1800), opera che si può designare come un tentativo di estendere al campo entomologico quanto tentato già per gli animali superiori da G. A. Borelli nel De motu animalium (1680-1681).
Come il suo predecessore storico, il C. non tratta solo le modalità meccaniche dello spostamento d'un animale rispetto all'ambiente, ma considera l'intera dinamica interna (dunque la fisiologia) di cui quella esterna non è che il risultato. Estende l'analisi a tutti gli apparati coinvolti nella propulsione, come quello respiratorio, il vaso pulsante identificato con l'organo cardiaco, i muscoli, l'anatomia e la meccanica degli apparati boccali, per passare poi ad organi direttamente propulsivi come zampe, ali e ad altri connessi con l'orientamento e la riproduzione. L'opera manifesta un lavoro osservativo raffinato ed esteso a gruppi di specie per ciascuno di numerosi ordini, e lo stesso Cuvier dichiarò di trovarvi "tesori di fatti" nuovi; come per gli altri scritti del C., però, la sovrabbondanza e minuzia delle considerazioni, aggravata dall'assenza di illustrazioni adeguate, ne limitarono il pieno apprezzamento: è quindi un problema storico aperto quello della sua collocazione entro l'evoluzione dell'entomologia tra i due secoli e della delineazione dell'area effettiva del suoi contributi.
I mutamenti politici indotti anche in Italia dalle guerre seguite alla Rivoluzione, col crollo della Serenissima, non ebbero riflessi sul C., estraneo anche ai coinvolgimenti ideologici d'una parte significativa della comunità scientifica italiana. Cattolico osservante, si mosse in un ambito specialistico sul terreno professionale come su quello culturale, e la sua attività a Padova non subì turbamento dalle vicende del 1797.
Il suo prestigio nell'ambiente scientifico fu elevato; lo Spallanzani sottopose alcuni dei propri risultati al suo giudizio, e nel 1796 gli fu offerta la cattedra, di clinica a Pavia, che rifiutò per restare nel Veneto. Membro di varie accademie, la sua vita fu essenzialmente finalizzata al lavoro scientifico, ed è difficile reperire tracce d'una sua presenza pubblica distinta dal ruolo culturale; l'ex allievo Palmaroli riferisce del grande successo delle sue lezioni. Pubblicata la Dinamica, il C.proseguì le sue ricerche su più binari: tra gli inediti, oltre ai trattati di ottica e di fisiologia vegetale, si trovano citati una Meccanica animale, un Trattato chirurgico sulle lussazioni ed uno scritto sulle "malattie fisiche dipendenti dal morale", riferibile probabilmente alle discussioni contemporanee nell'ambiente francese degli ideologi; la storia successiva di questi scritti, che alla morte del C. rimasero in possesso del fratello Pietro con altri inediti e con l'importante carteggio, resta in gran parte da indagare.
Lo stato di salute del C., mai ottimo, subì un cedimento improvviso ad opera di quelle stesse febbri cui aveva dedicato la sua maggiore opera medica. Come per la nascita, anche per la morte le date fornite dal Palmaroli e dal Giornale padovano divergono: il primo la pose a Padova il 22 genn. 1802, mentre il secondo l'anticipò d'un mese, al 22 dic. 1801.
Fonti e Bibl.: Pavia, Bibl. univers., Autografi, 7: tre lettere degli anni 1795-1801; lettere del C. si trovano anche tra l'altro, a Bassano del Grappa, Bibl. civica, Epistolario Gamba, nn. 723 s., 1780-87; Alcune lettere al professore A. C., Udine 1834; Lettere di illustri scienziati al dott. A. C., Portogruaro 1885. Cfr. inoltre: Lettere del sig. M. C. al celebre sig. M. G., Padova 1790 (sulle Observ. de aure del C.); Archiv für die Botanik (Leipzig), 1797, pp. 1 ss.; A. Volta, Epistolario (ediz. naz.), III, p. 119; D. Palmaroli, Saggio sopra la vita letteraria di A. C., Venezia 1802; Notizie intorno A. C., in Giornale dell'ital. letter. (Padova), I (1802), pp. 290-98 (cfr. anche pp. 27-43); L. de Lenguatiis [Linguazza], Vitae quorumdam illustrium virorum R. Academiae Patavinae, Patavii 1823, sub nomine;M. G. Levi, Ricordi intorno agli incliti medici, chirurghi e farmacisti, che praticarono loro arte in Venezia dopo il 1740, Venezia 1835, pp. 21-29; F. M. Colle, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1841, pp. 68, 176; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, V, Napoli 1848, pp. 150 s., 164 s., 256 s., 264, 428, 660, 726 s., 762 s., 928; F. Di Manzano, Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani, Udine 1887, p. 65; P. A. Saccardo, La botanica in Italia, Venezia 1905, I, p. 54; II, p. 34; F. Pellegrini, La clinica medica padovana attraverso i secoli, Verona 1939, pp. 145-147, 153 s.; G. Ongaro, Il contributo del S. Collegio dei filosofi e medici di Padova alla vaiuolizzazione nel dominio veneto, in Atti e mem. della Acc. di storia dell'arte sanitaria. s. 2, XXIX (1964), pp. 115-121; A. Goidanich, in Redia, LVII (1975), pp. 245-248; Enc. Ital., X, p. 1001.