CONTARINI, Andrea
Nacque a Venezia nei primissimi anni del '300 dal patrizio Nicolò, appartenente al ramo di S. Paternian. Dei suoi quattro fratelli maschi, Tommaso, Marino, Almorò e Stefano, quest'ultimo è ricordato per essersi distinto quale valoroso governatore di galea nelle guerre contro i Genovesi.
Scarsa è la documentazione relativa alla biografia giovanile del C. e sicuramente connotato dalle tinte dell'agiografia l'unico episodio di rilievo registrato con evidenza dalle fonti. Ai "buoni costumi dell'età adulta", egli pare fosse pervenuto dopo un periodo - così si narrava - di giovanili irruenze che l'avevano visto, tra l'altro, frequentatore impenitente di monasteri femminili. Ma una notte, durante un segreto convegno, subitaneo sopravvenne il pentimento e un crocefisso miracolosamente annuì al suo improvviso abbandono dei chiostro violato. Alla conversione fece quindi seguito il sogno rivelatore: Cristo, predicendogli il dogado e imperitura fama, gli promise il suo aiuto nel superare le durissime prove che la città avrebbe dovuto sopportare, le più aspre dalla fondazione. L'esistenza di una versione laica della vicenda, ove la predizione della gloria dogale collegata a gravi sventure per la patria avviene ad opera di un arabo incontrato durante un viaggio in Siria, conferma ulteriormente la creazione a posteriori di entrambe le leggende; suggerisce peraltro indirettamente la possibilità, comune alla carriera di molti patrizi veneziani del tempo, che l'impegno pubblico dei C. fosse stato preceduto per alcuni anni dalla pratica di svariate attività mercantili.
Frammentarie anche le più antiche notizie relative alle cariche ricoperte dal C. all'inizio della sua attività politica e non tutte a lui riferibili con certezza, data la provata esistenza coeva di altri omonimi, fra cui un Andrea Contarini anch'egli di Nicolò ma del ramo di S. Agostin ed abitante ai SS. Apostoli. Il nome di Andrea Contarini appare così, senza possibilità di collegarlo con una datazione specifica all'interno della prima metà del sec. XIV, fra quelli di vari podestà di Pirano e di Parenzo; ancora nulla più che il suo nome, spesso nemmeno accompagnato dal patronimico, è associato nei rari registri dell'epoca del Segretario alle voci documentanti le nomine a Consigli, uffici e reggimenti, al titolo di conte di Spalato assegnato il 14 marzo 1350 e all'incarico di giudice dei procurator, ricoperto dal 19 gennaio dell'anno seguente.
Di più sicura attribuzione, invece, la carica di consigliere ducale rivestita a partire dal 1° ag. 1351 (ad essa il C. sarà ancora chiamato fra la fine del 1358 e i primi mesi del '59 e di nuovo nel 1360) e preludente a quella altissima di procuratore di S. Marco de citra, a cui venne eletto il 3 giugno 1352.
Più generose d'informazioni sono d'ora in poi le fonti, ad iniziare dalle numerose testimonianze - ancorché prevalentemente cronachistiche - della partecipazione del C. al processo contro il doge Marin Faliero che ebbe luogo, svelata la congiura, fra il 15 e il 17 apr. 1355. Per tanto eccezionale avvenimento il Consiglio dei dieci deliberò di aggregarsi una zonta di venti autorevoli nobili, scelti fra i più saggi e prudenti, alla cui presenza e con la cui partecipazione riunirsi. Fra di essi il C., pur senza diritto di voto, seguì in tutte le loro fasi i non facili lavori del tribunale, assistette alle sue tormentate deliberazioni, alle sentenze (il 17 aprile fu emanata quella di condanna alla decapitazione per il doge traditore) ottenendo infine, alla pari degli altri consiglieri, la facoltà di portar armi a propria difesa. Con altri due savi dovette infine esaminare le richieste di ricompensa avanzate da Vendrame "pellizer", uno dei principali rivelatori della congiura.
Seguì quindi, dal 1356 al 1360, un periodo di intensa attività diplomatica: la nuova guerra con l'Ungheria, che minacciava Venezia nei suoi confini a nord-est e nei possedimenti sulla costa dalmata, impegnò il procuratore in una serie di delicate ambascerie. Nell'agosto 1356 il C. venne inviato con Michele Falier e il cancellier grande Benintendi de Ravagnani sotto le mura di Treviso assediata per formulare proposte di pace e impetrare - invano - al re Ludovico un salvacondotto affinché il provveditore di quella città Giovanni Dollin, giusto allora eletto doge, potesse recarsi ad assumere la carica in Venezia. Sopravvenuta quindi nel novembre una breve tregua, con gli stessi compagni si recò in nuova missione di pace da Ludovico a Zagabria, ove giunse subito dopo l'epifania del 1357. Né migliore fu l'esito anche in questa occasione, nonostante il tenore delle richieste che il cancellier grande Benintendi ebbe a formulare in una famosa, cattivante orazione a lungo ritenuta uscita dalla penna dei Petrarca. Che la volontà di pacificazione fosse ben pressante sul fronte veneziano stanno ad indicare anche gli accenti con cui m Collegio il 10 ag. 1357 - proponente la "parte", fra gli altri, il. C. - fu motivata la necessità di una nuova ambasceria nel Trevigiano, questa volta a Niccolò conte palatino del re d'Ungheria: ad espletarla, con il fedele cancelliere e Marco Giustinian, fu eletto il Contarini.
Più dubbia l'attribuzione al C. (omettendo il Caroldo nel resoconto il consueto epiteto di "procurator") di altra missione alla fine del 1357 alla ribelle città dalmata di Ragusa, ove l'inviato si trattenne, con la carica di provveditore in Schiavonia, per organizzarne la difesa. Il trattato, invero assai svantaggioso, che il 18 febbraio mise fine al conflitto con l'Ungheria, aveva mantenuto alla città lagunare i possessi nel Trevigiano: per assicurarsi l'assenso imperiale in forma di infeudazione di quelle terre, il C. si recò nel gennaio 1359 in nuova delegazione a Carlo IV, pur questa senza frutto. Alla definizione di alcuni incidenti che avevano rischiato di incrinare la recente pace fu, invece, dedicata l'ulteriore missione del 1360 a Ludovico d'Ungheria con il cancelliere Benintendi e Pietro Trevisan, già compagno di un'altra ambasceria svolta a Padova due anni prima per indurre Francesco da Carrara a rifornirsi del sale veneziano a Chioggia, senza ricorrere alle offerte ungheresi.
Le destinazioni e la frequenza incalzante delle ambascerie svolte dal C. nel periodo testé considerato sono indicative della temperle politica dei Comune veneziano in quei difficili anni in cui al pericoloso avversario ungherese iniziavano a saldarsi con alleanze più o meno occulte le crescenti inimicizie dei vicini potentati e la mai sopita conflittualità commerciale con Genova. All'intensa attività diplomatica esterna faceva inoltre riscontro un altrettanto continuativo impegno nei Consigli e nelle svariate commissioni di savi che Maggior Consiglio, Senato e Collegio usavano istituire, con differenti ambiti e procedure, su problemi di particolare emergenza. Fra le molte a cui il C. partecipò, si ricordano quella dell'inizio del 1356 sui problemi dei Trevigiano, il territorio veneziano più esposto agli attacchi nemici, ad organizzare la cui difesa il C. era stato inviato quale provveditore qualche mese prima; quella composta da venticinque savi per la guerra contro l'Ungheria, alla presidenza della quale il C. fu dal Maggior Consiglio chiamato con altri due "capi" il 6 ag. 1357 e della cui ulteriore zonta di venticinque fece parte dal 25 novembre; quella, al ritorno dall'Ungheria nel febbraio 1357, per impostare le trattative con i messi ungheresi giunti a Venezia; quella infine che tra il maggio e il giugno 1358 preluse alle già citate missioni al Carrarese e a Carlo IV.
Qualche anno dopo, nel 1363, il C. fu inviato come ambasciatore e provveditore a Candia. La missione non si configurava facile: ai feudatari locali, ribellatisi al dominio veneziano, si era unita gran parte della popolazione e i primi tentativi di conciliazione erano subito falliti. La commissione formulata il 12 settembre al C. e ad altri quattro nobili conteneva un estremo messaggio di pacificazione e un pressante invito alla sottomissione. Ma l'accoglienza e le reazioni sull'isola ai rappresentanti veneziani furono tali da far loro stimare impossibili mediazioni di pace: nonostante le istruzioni contrarie della Signoria, i cinque deliberarono di abbandonare l'isola e di rientrare a Venezia. Tale decisione costò al C., processato davanti al Senato e all'Avogaria di Comun, una sentenza di condanna al pagamento di 200 ducati e all'esclusione per il futuro da ogni carica politica relativa a Candia.
In realtà il susseguirsi delle incombenze dopo la missione cretese attesta una non diminuita presenza del C. nella vita pubblica. Il C. partecipò ancora a nuove commissioni di savi, alla zonta di venti membri al Senato nel gennaio 1365, cui fece seguito la nomina (testimoniata dal solo Segretario alle voci) ad ambasciatore al papa il 23 febbraio, rinnovata il 14 febbraio dell'anno seguente; fu eletto infine nel 1365 (come già in passato nel 1356 e nel 1361) fra i cinque correttori alla promissione ducale, incaricati di aggiornare ad ogni nuovo insediamento dogale il testo del giuramento da sottoporre al neoeletto.
Già in occasione dell'elezione di Lorenzo Celsi, nel 1361, il nome del C. era apparso fra quelli dei concorrenti alla somma dignità della Repubblica; in prossimità della elezione seguita alla morte di Marco Corner (13 genn. 1368) il C. si trovava in una sua proprietà di campagna a Gambarare. Qui lo raggiunsero i sedici nobili incaricati di comunicargli la sua elezione a doge, avvenuta il 20 genn. 1368 "circa sero" e resa pubblica la mattina seguente. A lungo il C. pare tentasse di esimersi dall'assumere la carica, rischiando perfino il bando e la confisca dei beni. Infine il 27, un giovedì, fu condotto attraverso Chioggia a Venezia ove una grande festosità popolare segnò, nell'accoglienza, l'inizio di un travagliato dogado.
Trascolora ulteriormente d'ora in poi nella figura pubblica del duxVenetiarum la fisionomia privata del C., né il linguaggio delle fonti consente sempre di poter cogliere nelle più generali scelte politiche dei dogado l'apporto specifico di chi, pur al vertice dello Stato, era dalla stessa costituzione veneziana circoscritto più ad un ruolo di supremo magistrato che a quello di un sovrano. Ciò vale per il pnmo episodio bellico del nuovo dogado, la ribellione di Trieste del 1368-69 e il vittorioso assedio; per lo scontro con Padova, scoppiato nel 1372 a motivo di insanabili controversie di confine, coinvolgendo nel conflitto contro Venezia il tradizionale nemico ungherese, e conclusosi nel settembre 1373 quando a giurare la pace davanti al doge giunse, accompagnato dal Petrarca, il figlio del Carrarese. Francesco Novello; vale per la guerra (marzo-novembre 1376) con il duca d'Austria.
Al "prudentissimus dux" è ricorrentemente assegnata, nei resoconti di tali avvenimenti, la volontà e il prevalente merito di evitare o comunque por fine alla guerra. È questo un singolare contrappunto encomiastico all'elencazione dei conflitti che numerosi pesarono sul dogado del C., ultimo fra tutti lo scontro radicale con Genova, la guerra di Chioggia. Sono ancora infatti immagini belliche dell'ormai vecchio doge quelle che narrazioni e cronache ci consegnano. Così quando il 22 aprile del 1378 egli investì Vettor Pisani nella basilica di S. Marco dei supremo comando della guerra per mare; o quando, nei concitati provvedimenti seguiti alla caduta di Chioggia in mano genovese il 16 ag. 1379, si trattò di predisporre difese straordinarie al litorale e ai prossimi canali lagunari. Nella drammaticità e singolare gravitàdel frangente in cui la città di Venezia venne a trovarsi nello scorcio del 1379 la presenza, i gesti e le parole del doge paiono riacquistare connotazioni più personali e individualizzate. L'appello diretto al popolo, convocato in chiesa al suono delle campane perché si mobiliti all'estrema difesa, la riconsegna del comando navale a Vettor Pisani, tratto per volontà popolare dalla prigione ove la recente sconfitta di Pola l'aveva consegnato, preludono in tal senso all'assunzione straordinaria da parte del doge della ulteriore carica di capitano generale da Mar. La notte fra il 21 e il 22 dicembre il C., imbarcato sulla prima di trentaquattro galee, esce così di persona dal porto di Venezia incontro al nemico.
Nel moltiplicarsi degli elogi all'ardimento del doge risultano reticenti la maggior parte delle cronache sulle vere motivazioni di tale iniziativa, che era istituzionalmente assai inusitata. Ma qualche più avvertito resoconto (e principalmente, per acutezza di lettura, il Caroldo) permette di cogliere fra le pieghe della narrazione la risolutezza sofferta della decisione di chi, non scorgendo altra via per dirimere lo scontro tra le fazioni politiche e per placare il popolo affamato e atterrito, tumultuante in armi, accetta di prenderne personalmente il comando, esponendo se stesso a garanzia dell'unità nel pericolo e dei salvamento di tutti. Dell'ottantenne doge appare anche talora, in tali più veridiche narrazioni, lo scoraggiamento: il 23 apr. 1380 aveva scritto ai consiglieri a Venezia "ch'el potesse vegnir a repatriare", ma la risposta lo invitava a rimanere con l'armata, che solo la sua presenza poteva trattenere dalla disgregazione.
Riconquistata Chioggia, il C. rientrò il 1°luglio in città con trionfale ingresso: a tale immagine diritorno vittorioso sul Bucintoro è affidato nei teleri della sala dei Maggior Consiglio per il pennello del Veronese il ricordo della sua grandezza civile.
Ma i disagi della vita militare e l'ininterrotto impegno politico congiunti all'età avanzata avevano segnato la resistenza dei doge: il 5 giugno 1382 a Venezia lo colse la morte.
Tenne l'orazione funebre (la prima mai recitata per un doge) il vescovo di Candia Antonio Contarini, figlio di Zaccaria. Gli fu data sepoltura in arca marmorea scolpita nel chiostro dei canonici di S. Stefano, presso la porta della cappella di famiglia. Il suo stemma di pietra fu posto con iscrizione d'elogio sopra il seggio dogale in Maggior Consiglio.
Il giorno stesso della morte il C. aveva dettato il suo testamento a Raffaino de Caresini, notaio e cancellier grande del Comune veneziano nonché autore della nota cronaca in cui tanta parte hanno le vicende del dogado contariniano. Il C. aveva sposato Costanza Morosini, che morì circa due anni prima di lui. Dei suoi figli sono sicuramente attestati Paolo, Bertucci, Antonia, moglie di Tommaso Giustiniani, e Contarina, andata sposa a Maffeo Gradenigo. A quest'ultimo il C., nell'assumere la carica dogale, aveva affidato l'amministrazione del suo patrimonio personale, valutato in occasione del censimento del 1379 in 14.000 ducati. Altri 20.000 gli erano stati accertati in quanto doge; ma gli eventi bellici dovettero avergli procurato notevoli difficoltà: nel settembre 1380 richiese esenzione dalle imposte. Il C. ebbe anche un figlio naturale, di nome Marino.
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II, cc. 27 s.; Ibid., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 19, Novella, cc. 45v, 78, 94v, 98 s., 112v; Ibid., Collegio, Notatorio, reg. 1, cc. 13 s., 29; Ibid., Collegio, Secreti, reg. 1354-1366, cc. 16v, 20v, 21v, 24rv, 26, 30rv; reg. 1363-1366, cc. 20rv, 2rv, 22; Ibid., Senato, Deliberazioni miste, reg. 26, cc. 92, 99; reg. 27, cc. 27v, 42v, 53v, 57v, 62, 68 s.;reg. 28, cc. 55, 74v-76, 82v, 90, 95 s.; reg. 29, cc. 26v, 76v; reg. 30, cc. 34, III; reg. 31, cc. 47, 127v; reg. 32, c. 9; Ibid., Sindicati, reg. 1, c. 99; Ibid., Avogaria di Comun, Raspe, reg. 3643, c. 54rv (condanna per il ritorno dall'ambasc. a Candia); Ibid., Secreta, Lettere antiche dei rettori, b. 1, n. 148 (dispaccio di un Andrea Contarini rettore a Castelfranco, d'incerta attribuzione, s. d., ma 1356-1361, 22 ottobre); Ibid., Miscellanea, atti diplomatici e privati, bb. 19-24 (documenti pubblici del dogado del C.); Ibid., Pacta, reg. 5, passim da c. 158; reg. 6, passim (altri atti pubblici); Ibid.. Misc. ducali e a tti diplomatici, b. 13, fasc. A (ducali del C. a Domenico Michiel capitano generale in Istria, 1368-1369); fasc. B (a vari, 1367-1382); Ibid., Giudici dipetizion, frammenti antichi, b. 8 (altre ducali, in copia cart. coeva, 1370-71); Ibid., Commemoriali, reg. IV, c. 146 (notazione relativa ad Andrea Contarini da SS. Apostoli); reg. VI, cc. 94, 100; reg. VII, c. 403; reg. VIII, cc. 133, 180; Ibid., Notarile, Testamenti, b. 483 (notaio Raffaino de Caresini), protocollo, cc. 55v-56, n. 1155 (testamento del C.; alle cc. 51rv, n. 111, quello della moglie Costanza); Ibid., Procuratori di S. Marco, Commissarie miste, b. 120 (commissaria del C.; quella di Costanza in b. 169); Ibid., Corporazioni religiose soppresse, S. Michele di Murano, b. 13; Ibid., Archivio proprio G. Contarini, b. 7, reg. "Vita Andreae Contarini ducis venetorum..."; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. Lat., cl. X, 314 (= 3592): Promissio Andreae Contareni... 1367; Ibid., Mss. Lat., cl. X, 305 (= 3235): Copia litterae dominationis Venetiarum serenissimo domino A. Contareni duci in Clugia anno 1380 (autografa di M. Sanuto da "autenticha littera... in manu domini Bartholomei Gradonico"); Ibid., Mss. Lat., cl. XI, 14 (= 3823): Dominici Michaeli litterae ad dominum Venetiarum annis 1368-1369 (copiario dei dispacci "ex tabulario Procuratorum S. Marci"); Ibid., Mss. Lat., cl. XIV, 48 (= 4237), cc. 202, 203 (ducali del C., 1381); Ibid., Mss. Lat., cl. XIV, 257 (= 4050): Nicolai Barbi parricii veneti oratio in laudem..., cc. 650v; Ibid., Mss. It., cl. VII, 128a (= 8639): G. Caroldo, Cronaca..., cc. 237v, 252, 266v, 268, 270v, 274v, 275, 278, 280 s., 282v, 285, 288, 301, 302v, 311v, 313, 325v, 329v, 353v, 359v, 368v, 372v, 373v, 394, 417, 421, 426v, 429, 444, 449, 450, 451 s.;Ibid., Mss. It., cl. VII, 519 (= 8438):N. Trevisan, Cronaca..., cc. 109, 111, 112, 115v, 119v, 136v, 140v, 147, 148v; Ibid., Mss. It., cl. VII, 169 (= 8186): P. Gradenigo, Ambasciatori veneti, cc. 71, 165rv, 166, 174v, 186v, 305, 326v, 342, 351v; Ibid., Mss. It., cl. XI, 324 (= 7135): J. Morelli, Indice dei codici manoscritti di casa Contarini a S. Trovaso, c. 88; Venezia, Biblioteca del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna, 3871: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, cc. 159 s.; Ibid., Cod. Cicogna, 3276/IX: Sovvenzione al doge A. C. ...; Ibid., Cod. Cicogna, 2755: A. Contarini, Oraz. funebre per il doge A. C., 1382; Ibid., Cod. Cicogna, 3281, II-21: Estratto della causa... per lo scudo del doge A. C....; Ibid., Cod. Cicogna, 2326: M. Contarini Della famiglia de cha' Contarini..., cc. 2v, 76 ss., 110v, 115v, 116, 118, 141, 143; Ibid., Codd. Prov. diverse, 745, c/VII; Ibid., Codd. Cicogna, 3426/12; 347, 5/III-2; 1882/IV; 2470; 3478/V-1; 3476/X-1 (ducali del C.); Ibid., Codd. Provenienze diverse, 675 c/V (1), c. 81 ss.; 675 c/VI (5) (copie di ducali); M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum..., in Rer. Ital. 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