CONTARINI, Andrea
Figlio di Antonio detto "dei deo" di Marino di Nicolò, del ramo di S. Felice della famiglia, nacque a Venezia nel 1391. Nel 1421 si sposò con Andriana di Marco di Zuanne Miani, da cui ebbe i figli maschi Antonio. Francesco, Zaccaria, Gentile, Marco e Taddeo.
Nel 1409 il padre - che aveva fatto parte di diverse ambascerie e sarebbe divenuto procuratore di S. Marco - lo presentò all'Avogaria di Comun per iscriverlo alla Balla d'oro. Non ci è nota l'iniziale attività politica del C., ma sembra certo che essa si limitasse all'assunzione di cariche minori nell'ambito delle magistrature. Nel 1439 fu eletto membro del Consiglio dei dieci; nel 1440 entrò nel Consiglio dei pregadi e l'armo seguente fece nuovamente parte del Consiglio dei dieci; nel 1448, 1449 e 1450 fu savio di Terraferma; nel 1450 provveditore alla Camera e consigliere "maior". L'8 genn. 1451 venne eletto savio del Consiglio.
In tale veste dovette affrontare con i colleghi la complessa situazione politica italiana che vedeva la Repubblica contrapposta al duca di Milano. La guerra sembrava inevitabile e ogni trattativa di pace era fallita poiché lo Sforza non aveva voluto acconsentire che Venezia mantenesse le fortezze che aveva costruito lungo l'Adda. Il re di Napoli, con cui Venezia aveva concluso una lega, si offriva come intermediario tra i due contendenti e, a tal fine, nel marzo del 1451 inviava un'ambasceria a Firenze per indurre quella Signoria ad abbandonare lo Sforza e ad aderire alla lega. Gli ambasciatori proseguivano indi sino a Venezia, dove esponevano al Senato il risultato della loro missione. Con una deliberazione dell'8 aprile, proposta dai savi dei Consiglio di cui il C. faceva parte, il Senato veneziano replicava loro che le risposte di Firenze erano troppo evasive e che bisognava chiederle formalmente di abbandonare il duca di Milano. Ma Cosimo de' Medici, che intuiva come il fine di Venezia fosse quello di isolare lo Sforza, non aderì a tale proposta. Così, il 1° giugno 1451, il re di Napoli e Venezia congiuntamente espellevano tutti i fiorentini dai loro territori: Tale decisione, che ebbe tra i suoi sostenitori il C., venne presa in Senato a stretta maggioranza e incontrando notevoli difficoltà, poiché a molti appariva come un passo decisivo verso quella spaccatura definitiva tra gli Stati italiani che avrebbe condotto alla guerra.
Nel giugno del 1451 il C. venne eletto avogadore di Comun; nel 1454 e 1455 fu, della Quarantia "de additione"; nel 1454 consigliere "maior"; nel 1456 consigliere dei Dieci. Nello stesso anno fece parte della zonta eletta dal Consiglio dei dieci per giudicare Iacopo Foscari, figlio del doge, accusato di aver intrattenuto corrispondenza con il duca di Milano, dal suo confino alla Canea. Dal 1456 al 1459 fu ripetutamente savio del Consiglio. In tale veste nel luglio del 1458 proponeva con i colleghi di rinviare ad un momento più opportuno l'ambasceria solenne a Ferrante d'Aragona, che era succeduto al padre sul trono di Napoli. Quando poi, il 12 agosto successivo la "parte" veniva riproposta, il C. con il collega lacopo Loredan vi aderiva, ma l'opposizione degli altri savi, volta a rinviare l'elezione degli ambasciatori, risultava vincente.
Nell'ottobre del 1458 giungeva a Venezia la notizia che il papa aveva comunicato agli oratori di tutte le potenze la sua intenzione di convocare una Dieta a Mantova o a Udine per muovere guerra ai Turchi. La scelta di quest'ultima città avrebbe irrimediabilmente compromesso la Repubblica di fronte al Turco, con il rischio assai grave di perdere alcuni dei suoi possedimenti d'Oriente. È in tale occasione che possiamo individuare, seppur approssimativamente, le posizioni politiche del C., che appaiono inclinare verso quella parte del patriziato più decisa ad assumere un atteggiamento intransigente nei confronti del pontefice, anche se mitigate dal proprio temperamento personale più duttile e sfumato, volto ad accogliere, quando il momento contingente lo avesse consigliato, anche le tesi degli avversari.
Il 30 ottobre il C. e i colleghi Paolo Bemardo e Cristoforo Moro formulavano una proposta di netta chiusura alle richieste del pontefice. A prevalere era però quella avanzata da Paolo Morosini e Lorenzo Moro, la quale, pur lasciando apertamente capire la non disponibilità della Repubblica ad accettare la sede di Udine, conteneva maggiori aperture verso Roma. Nel novembre successivo i savi del Consiglio proponevano unanimemente di inviare un'ambasceria al pontefice. Questi comunicava alla Repubblica di aver scelto come sede Mantova, ma la pregava di manifestare all'imperatore la sua intenzione di aderire alla Dieta e alla guerra. Il C. e il collega Paolo Morosini sembravano inclinare verso l'accoglimento della richiesta pontificia, dubitando che, ricusando l'imperatore di recarsi a Mantova, potesse ripresentarsi l'idea della Dieta ad Udine. Altri savi erano però propensi a rispondere evasivamente al pontefice, temendo che un simile impegno avrebbe compromesso la Repubblica di fronte al Turco. Senonché, a fugare le esitazioni, interveniva improvvisamente la decisione del pontefice, che l'8 genn. 1459 annunciava pubblicamente di aver scelto la sede di Mantova, chiedendo contemporaneamente agli Stati italiani di manifestare apertamente la loro adesione. Ma già il 18 dic. 1458 il Senato, su proposta del C. e di alcuni suoi colleghi, aveva deliberato di scrivere ai propri oratori in Roma di manifestare al pontefice l'augurio della Repubblica per la buona riuscita dell'impresa, ma nel contempo la posizione assai critica in cui essa sarebbe venuta a trovarsi di fronte al Turco qualora avesse manifestato apertamente la propria adesione alla Dieta. L'8 febbraio, infine, il C. e gli altri savi proponevano fosse scritto al pontefice che Venezia si sarebbe impegnata nell'impresa solamente dopo che tutti gli altri Stati italiani avessero inviato i loro rappresentanti a Mantova.
Nel 1459 il C. venne eletto podestà di Padova, ma iniziava l'incarico solamente nel novembre di quell'anno concludendolo nel febbraio del 1461. Durante la sua permanenza in città, sovrintese, insieme al collega, ai lavori di cinta delle mura lungo il tratto che conduceva da porta Busenello a Santa Giustina. Fece fronte al contrabbando, soprattutto quello della lana che preoccupava il Consiglio cittadino, tanto da indurlo a chiedere a Venezia una sua più energica repressione, facendo istanza che fosse concesso agli ufficiali dell'arte della lana di inquisire direttamente nel territorio per impedire le frodi. Nel maggio del 1460 il Consiglio della città deliberava in merito alle spese esagerate sostenute dalle donne, affinché "ad honestatem et condecentiam reducantur".
Il 6 apr. 1463 il C. fu eletto procuratore di S. Marco de supra in concorrenza con Alvise Foscarini di Antonio. Nel 1468 fece parte dell'ambasceria incaricata di scortare l'ìmperatore Federico III, di passaggio per le terre della Repubblica per recarsi a Roma, dalle porte della città di Padova sino al palazzo vescovile. Con i colleghi Nicolò Soranzo, Francesco Zane e Nicolò Marcello lo accompagnò sino a Ferrara. Nello stesso anno, esercitando le incombenze di procuratore secondo "il solito della sua diligenza", come annotava il Priuli, furono ritrovate nella chiesa di S. Marco "molte gioie e reliquie".
Morì a Venezia il 12 genn. 1471 lasciando come unico erede il figlio Taddeo. Il suo corpo venne sepolto nell'arca di famiglia posta in S. Stefano, in una cappella del chiostro, sulla quale il nipote Gentile nel 1545 avrebbe posto un'incisione che lo ricordava insieme agli altri membri della famiglia ivi sepolti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Cronaca matrimoni, reg. 107/2, c. 56v; Ibid., Segretario alle voci, Misti, reg. 4, cc. 30r, 93r, 99v, 105r, 110r, 112r, 113r, 115r, 117r, 120r, 122v, 125r, 140r, 142r, 144r; reg. 6, c. 87v;Ibid., Misti, Proposte, reg. 14, c. 66r; Ibid., Senato, Deliberazioni segrete, reg. 20, cc. 153v, 154v, 169v, 171v, 172r, 175v, Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Ital., cl. VII, 405 (= 7734): Libro dei matrimoni, c. 30; Ibid., Mss. It., cl. VII, 546 (= 7499): Libro dei procuratori di S. Marco, c. 47; Ibid., Mss. It., cl. VII, 198 (= 8383): Reggimenti della Repubblica veneta, secc. XV-XVII, c. 1v;Ibid., Mss. It., cl. VII, 794 (= 8503): G. Dolfin, Cronaza di Venezia dall'origine della città fino all'anno 1458, cc. 443v, 444r; Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna, 254: Libro de' parenti de D. T. Contarini, cc. non num.; Ibid., Cod. Cicogna, 2326, cc. 78, 79; Ibid., Cod. Cicogna, 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, cc. 160v, 161r; I libri commemoriali della Rep. di Venezia. Regesti, IV, a cura di R. Predelli, Venezia 1896, pp. 290 s.; Anonimo Veronese, Cronaca 1446-1488, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, p. 258; A. Gloria, Dei podestà e capitani di Padova dal 1405 al 1509..., Padova 1860, p. 26; L. Rossi, Venezia e il re di Napoli, Firenze e Francesco Sforza, in Nuovo Arch. Ven., n.s., X (1905), 2, pp. 341 ss.;G. B. Picotti, La Dieta di Mantova e la pol. dei Veneziani, Venezia 1912, ad Ind.