COSTAGUTI, Andrea
Nacque in Liguria, probabilmente a Chiavari (Genova) (Schede Vesme), ma se ne ignora l'anno di nascita. Le notizie pervenuteci riguardano solo il periodo che va dal 1641 alla morte.
Il C. pretese sempre di appartenere alla nobile stirpe ligure dei marchesi Costaguti che annoverava, tra gli altri, a quei tempi, Vincenzo, figlio del marchese Prospero che nel 1643fu creato cardinale. Di tale parentela il C. sovente si vantò, tuttavia l'origine pretesa gli venne contestata e non fu mai possibile dimostrarne la liceità: il C., comunque, sarebbe potuto appartenere ad una linea naturale della nobile famiglia ligure.
Nulla si sa - per il silenzio delle fonti a noi note - della formazione giovanile né degli studi intrapresi dal C.; ignoriamo pure quando si sia avvicinato all'Ordine dei carmelitani scalzi e abbia deciso di entrarvi abbracciando la vita ecclesiastica, con il nome di Andrea di S. Gregorio. Il C. soggiornò negli Stati sabaudi dal 1641 al 1652, ed in questo decennio giocò le sorti della sua esistenza mettendosi al servizio della reggente duchessa di Savoia Cristina di Francia e legando il suo nome ad alcune opere edilizie che gli valsero la fama di valente architetto. L'incontro determinante con Madama Reale, ed il conseguente ingresso del C. nell'orbita della corte di Torino, avvenne nel 1638, se si può dar credito ad una lettera che il C. indirizzò alla duchessa in data 14 ott. 1657 (Claretta, 1877), nella quale egli ripercorre le principali tappe delle sue intime relazioni con la corte sabauda. In tale anno, dunque, il C. sarebbe stato chiamato a corte dalla duchessa, che gli offrì la sua generosa protezione in cambio di fedeltà e servitù.
Il primo documento ufficiale che attesta l'effettiva presenza del C. a Torino è la patente di nomina a "Consigliere e teologo di S.A.R." del 22 nov. 1641: si trattava di una nomina per lo più formale ed onorifica che non prevedeva alcun impegno particolare, ma che tuttavia permetteva al C. di essere presente nella vita di corte e di percepire uno stipendio. Iniziò pure in questo periodo l'attività del C. quale architetto al servizio di Madama Reale.
Conclusasi la guerra civile che aveva visto opposte le due fazioni dei "madamisti" e dei "principisti", verso il 1642 era iniziato per lo Stato sabaudo un periodo di sonnolento torpore politico. I cantieri, che erano stati chiusi per la guerra, poterono essere riaperti, e la duchessa Cristina, perseguendo una politica edilizia tendente a mutare il volto della capitale, incoraggiò ed autorizzò un indirizzo di vera e propria rinascita edilizia. La trasformazione fu merito precipuo dell'architetto Amedeo di Castellamonte, nominato ingegnere ducale nel 1639e autore delle principali opere edilizie di Torino intorno alla metà del sec. XVII.
Il C. non ricevette mai nomine né incarichi che autorizzassero ufficialmente la sua attività di architetto al servizio di Madama Reale: fu tuttavia assai attivo nell'ambito della rinascita edilizia, ed assecondò la volontà della duchessa nel suo fervore di iniziative per il rinnovamento della cultura artistica di Torino.
La considerazione dell'attività di architetto del C. è stata sempre caratterizzata da giudizi discordanti, dovuti più che altro alla difficoltà dell'attribuzione di alcuni lavori e alla scarsità di documentazione reperibile.
Secondo alcuni, un primo intervento del C. si sarebbe avuto nella costruzione della chiesa di S. Francesco da Paola, iniziata nel 1633; ma, tra tutte, questa è l'attribuzione più incerta e difficile, non essendoci notizie documentarie che attestino la presenza del C. a Torino prima del 1641.
Più facilmente dimostrabile è invece il suo intervento nella costruzione della chiesa di S. Teresa.
Per opera del C., infatti, i carmelitani scalzi residenti a Torino, ancora privi di una loro chiesa, riuscirono a farsi concedere la "Donazione di un sito nella città... per la costruzione della loro chiesa e del loro convento", tramite le patenti del 3 apr. 1642, nelle quali si menzionava il C. quale artefice della chiesa. In quello stesso giorno il C. scrisse una lettera alla duchessa in cui, informandola dello stato dei lavori per la chiesa, le notificava che l'area era stata misurata dal Castellamonte e che era necessaria la sua "sottoscrizione per poter subito mettere i materiali sul sito e cominciare a dar principio". Dal tenore di questa lettera, il Claretta (1877) rilevò come si potesse constatare la grande familiarità del C. con la corte sabauda, familiarità ancora più evidente in un'altra lettera di pochi giorni successiva, nella quale, preoccupato di dover reperire una somma di denaro, suggeriva alla duchessa di concedergli "la facoltà di proporre concessioni e grazie, assicurandola che fra tre o quattro anni si potrebbe condurre a perfezione quella fabbrica".I lavori si protrassero invece per lungo tempo, e il C. non poté seguirli sino al termine: tuttavia le forme ideate dal C. vennero rispettate nelle linee essenziali, che si rifacevano a "schemi collaudati nella pianta a nave unica coperta da volta a botte, ma dilatata spazialmente dall'inserzione di una cupola, con sei cappelle laterali cupolate anch'esse" (Tamburini, 1958).
Nel convento di S. Teresa il C. visse la maggior parte del tempo che egli trascorse a Torino; ed infatti quasi tutte le lettere da lui indirizzate alla duchessa furono scritte proprio da questo convento, in cui visse perennemente coinvolto in aspre contese con i suoi confratelli.
Nel 1643 ad esempio, trovandosi il C. a Parigi, forse per qualche missione affidatagli dalla duchessa, scrisse una lettera con la quale chiedeva insistentemente di allontanare da Torino e dal convento di S. Teresa due frati, i padri Ilario e Maurizio, da lui accusati quali suoi persecutori accaniti e quali denigratori dell'onore stesso di Madama Reale. Ed ancora il 4 genn. 1644, di ritorno a Torino, supplicava la duchessa di intervenire.
Dal 1645 al 1650 circa il C. collaborò all'edificazione di alcune importanti opere e le lettere indirizzate alla duchessa di Savoia in questo periodo recano infatti continui riferimenti a suoi interventi quale architetto adibito a seguire le principali opere architettoniche volute dalla sovrana. In alcune lettere del 1647 ad esempio, il C. menziona i lavori intrapresi sotto la sua direzione al castello di Moncalieri e al Valentino: dovette trattarsi in entrambi i casi di interventi marginali, di lavori di restauro o di abbellimento, e comunque di difficile individuazione attuale, data l'impossibilità di reperire progetti o disegni preparatori. Ma l'opera che maggiormente valse al C. la fama di esperto architetto e per la quale è ancor oggi ricordato, è la Vigna di Madama Reale, maestosa villa fatta erigere da Cristina sulle pendici della collina torinese tra il 1648 e il 1653 (nota anche come villa Abegg.).
L'incisione che appare nel libro del conte Filippo d'Agliè, Le delitie... della Vigna di... Christina di Francia (pubblicato post. a Torino nel 1672), ci aiuta a ricostruire idealmente l'immagine di quella che fu la residenza preferita dalla duchessa, e che divenne famosa per i suoi giardini, le scalee e gli scenografici fondali. La documentazione nota non ci soccorre compiutamente per ricostruire il progetto e le varie fasi di costruzione della villa. Tuttavia che il C. sia stato l'ideatore e l'architetto di questo edificio può essere dimostrato da alcune lettere inviate dal C. alla duchessa e citate sia dal Claretta (1877) sia dal Marini (1921) quali prove dell'intervento del C. alla Vigna di Madama Reale. L'edificio era di forma quadrata con tre piani di abitazione, e vi lavorarono i migliori artisti dell'epoca.
Nel 1652, ultimati i lavori alla Vigna, ebbe termine l'attività del C. quale architetto al servizio di Madama Reale, ed iniziò invece per il carmelitano un periodo assai oscuro e tormentato.
Già, si è fatto notare come egli fosse particolarmente assillato dalla preoccupazione di far allontanare alcuni frati suoi confratelli dal convento di S. Teresa, per il continuo timore di congiure o minacce ordite alle sue spalle. Ma soprattutto il C. fu per tutta la vita tormentato dall'ambizione di ottenere un vescovato. Non riuscì in questo intento, nonostante i molteplici tentativi di influenzare a suo favore tutti coloro che lo avrebbero potuto aiutare, principalmente la duchessa di Savoia, alla quale ad un certo punto lasciò supporre che il cardinale V. Costaguti, suo presunto parente e legato ad Urbino, si fosse recato appositamente a Roma per raccomandare la sua causa presso la Santa Sede.
Il 23 dic. 1652 il C. partì da Torino per trascorrere un periodo di vacanza nella natia Chiavari. Egli contava di rientrare nella capitale sabauda all'inizio di febbraio, ma la bufera si addensava sul suo capo. Il nunzio pontificio presso la corte di Savoia, mons. Alessandro Crescenzi, il 25 dicembre denunciò alla segreteria di Stato vaticana la condotta scandalosa del C., i cui "delitti" erano diretti "contro tutti li voti essentiali della Religione, cioè di proprietà continua, di disonestà e si tiene c'habbia anche figli ecc., di contumacia espressa contro li superiori e l'obedienza, di falsificatione di lettere, e sottoscrittoni di Madama in quantità, e d'altre forfanterie", e ne chiese l'arresto prima che tornasse in Piemonte. Imprigionato nelle carceri dell'Inquisizione di Genova, il C. fu poi, il 1° aprile, trasportato a Roma, in seguito alle pressioni del Crescenzi, il quale temeva che un intervento della duchessa Cristina riuscisse ad ottenerne la liberazione.
Processato dal tribunale romano dell'Inquisizione il C. rimase relegato in carcere nel convento di Sassoferrato sino al 27 luglio 1655 e non appena ebbe riacquistata la libertà si rivolse nuovamente alla duchessa di Savoia per offrire i suoi servigi e per implorare di non essere dimenticato. Intendeva forse prepararsi la strada per far ritorno in Piemonte, ma questa possibilità gli fu preclusa, ed i suoi contatti con la corte furono da allora soltanto epistolari.
Dell'ultimo periodo della vita del C. poco si sa, e le sue uniche tracce sono quelle lasciate nelle lettere spedite alla duchessa di Savoia sino al 1663, anno della morte di Cristina, e poi al duca Carlo Emanuele II. Proprio nel 1663, trovandosi il C. a Faenza, ardì supplicare la duchessa di volerlo raccomandare alla corte di Roma, affinché si cancellasse quella cattiva immagine che si continuava ad avere di lui.
Alcuni anni dopo, in una lettera dell'11 febbr. 1669 indirizzata al duca di Savoia, si ha notizia di una seconda incarcerazione del C.: egli informava infatti Carlo Emanuele II che i suoi nemici lo avevano a tal punto perseguitato, da farlo condurre di nuovo in carcere, e questa volta per un periodo di ben sei anni. Stando alle parole del C., in questo caso i suoi non meglio identificati nemici lo avrebbero accusato di fronte al papa Alessandro VII di connivenza con i Francesi ai danni del principe Mario Chigi, fratello del pontefice, avendo egli rivelato segreti relativi alle fortificazioni pontificie.
Il C. finì confinato nel convento di Concesa, nelle vicinanze di Milano, dove si spense nel 1670.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Arch. di Corte, Lettere particolari. C mazzo 107, 1640-1669 (per le lettere alla reggente); Ibid., Sez. Camerale, Parenti Controllo Finanze, regg. 1641 in 42, ff. 116, 133; 1642, ff. 125, 207r; 1642 in 43, f. 100; 1643 in 44, f. 167; 1644 in 45, ff. 108, 135; 1646 in 47, ff. 42, 209; 1648, f. 137; 1649, ff. 11, 53, 247, 258; 1650, f. 177; 1651, f. 146; 1651, f. 178; 1652. f. 90; Ibid., Sezione Camerale, Art. 179, mazzo 12 (conti d. Vigna di Madama Reale); Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Savoia, 71, ff. 303-304r; 72, ff. 8, 43, 98; Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 369-71; L. Cibrario, Storia di Torino, Torino 1846, pp. 48-51, 586; G. Vico, Il reale castello del Valentino, Torino 1858, pp. 97, 129-32; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia, Torino 1869, II, pp. 540, 550, 556; Id., Notizie artist. sul regno di Carlo Emanuele II, in Atti della Soc. di archeologia e belle arti per la prov. di Torino, 1875, p. 64; Id., Storia del regno di Carlo Emanuele II, Genova 1877, II, pp. 522-44; C. Boggio, Atti d. Soc. d. ingegneri e architetti, Torino 1908, XLII, p. 70; G. Chevalley Gli archit., l'architettura delle ville piemontesi del sec. XVIII, Torino 1912, p. 28; R. A. Marini, La Vigna di Madama Reale, Torino 1921, pp. 9 s., 41-51; L. Tamburini, Le chiese di Torino, Torino 1958, pp. 82, 122. 140, 155-59; C. Brayda-L. Coli-D. Sesia, Ingegneri e architetti delSei e Settecento in Piemonte, Torino 1963, p. 102; N. Carboneri, Archit., in Mostra del barocco piemontese (catal.), Torino 1963, I, pp. 26 s.; A. Pedrini, Ville dei sec. XVII e XVIII in Piemonte, Torino 1965, pp. 146, 152 (per l'individuazione di un probabile ritratto del C. nel dipinto che appare sul catino del presbiterio della chiesa di S. Francesco da Paola); N. Carboneri, L'architettura del Boetto, Fossano 1966, pp. 21, 26; E. Gribaudi Rossi, Ville e vigne della collina torinese, Torino 1975, p. 502.