ANDREA d'Isernia
Scarsi i ragguagli sicuri sulla sua vita: nelle sue opere e in tutti i documenti che lo riguardano, è ricordato col nome della storica città del Sannio che gli diede i natali, mentre il casato dei Rampini, che da molti gli venne attribuito e che Camillo Salerno, proemiando alle Consuetudines Neapolitanae, conferma "sicut plures referiuntur scripturae eius manuscriptae, in quibus de domo Rampinis se nuncupabat", non ha ricevuto a tutt'oggi il suffragio di alcuna prova. Non meno incerto l'anno della sua nascita. Sembra senz'altro da escludere, messa in rapporto con la cronologia delle opere di Andrea d'Isernia e con altri dati della sua carriera, come diremo tra poco, la data del 1220, che il Savigny accolse sulla fede del Giustiniani: e, per le stesse ragioni, non si può accettare l'opinione del Giannone e del Minieri-Riccio, che l'avrebbero invece collocato verso gli ultimi anni di regno di Carlo I d'Angiò, intorno al 1280. È invece sicuramente documentato che fin dal 1288 era giudice della Magna Regia Curia, e nel 1289 figura come professore di diritto civile nello Studio napoletano. Nel 1294 era nominato luogotenente del gran protonotario, con il suo collega di diritto civile nello stesso Studio Andrea Acconciaioco da Ravello, dietro designazione di Bartolomeo da Capua, ch'era stato nominato poco prima gran protonotario del Regno a vita dal re Carlo II: questa nuova carica presuppone a sua volta la promozione di Andrea d'Isernia a maestro razionale, come infatti egli viene qualificato nel documento di nomina. In qualche documento gli viene pure attribuita la qualifica di avvocato fiscale: ma dev'essere stata una carica anteriore alla nomina a maestro razionale.
Sposò una Berlesca Roccafoglia, dalla quale ebbe figli quam plures, e che, dopo la morte del marito, divenne signora di Civitanova. È degno di ricordo, come prova non solo della grande autorità che Andrea d'Isernia godette, ma anche del suo moderno senso di giustizia, che traspare del resto da tutta la sua opera scientifica, il privilegio ch'egli chiese ed ottenne da re Roberto, di poter dividere liberamente inter liberos i beni feudali che possedeva o per acquisti o per donazioni regie, in deroga alla consuetudine feudale, confermata nelle Costituzioni, che nelle successioni dava la preferenza al primogenito.
Alto fu il prestigio che Andrea d'Isernia godette, come si deduce dalle mansioni pubbliche di fiducia che più volte gli vennero affidate: particolarmente importante la missione diplomatica che svolse accompagnando re Roberto ad Avignone nel 1309 per dirimere antiche controversiegiuridiche sui rapporti tra la Santa Sede e il Regno di Sicilia e concordare con Clemente V un più chiaro indirizzo politico. Non è un caso che l'eccezionale privilegio successorio dianzi rammentato, Andrea lo abbia ottenuto dal re proprio in quell'anno, come riconoscimento dei suoi meriti di giurista e di negoziatore.
L'anno della sua morte nonrisulta da alcun documento sicuro: messe da parte altre congetture, sembra di potere accogliere la data del 1316, confortata da una tradizione degna di fede. Una leggenda, già accreditata dall'autorità di Matteo degli Afflitti e accolta più tardi da insigni storici napoletani, ha attribuito ad Andrea d'Isernia una tragica fine: una sera dell'ott. 1353, egli, uscito da Castelnuovo, sarebbe stato proditoriamente assalito ed ucciso davanti alla Porta Petruccia per mano del feudatario tedesco Corrado De Gottis, che il giurista avrebbe privato con sentenza di un feudo ingiustamente posseduto. Ma, com'è stato facile dimostrare, si tratta di un Andrea d'Isernia figlio di un figlio del nostro giurista, la cui sorte drammatica, per il noto fenomeno di concentrazione storica) è stata attribuita al personaggio più celebre.
Come s'è detto Andrea d'Isernia fu maestro di diritto civile nello Studio napoletano, dove si era formato, dal 1288 all'anno della sua morte: lo Studio, che vantava ormai oltre sessant'anni di vita, era già riuscito a consolidare una tradizione scientifica con caratteri propri e con propri problemi, legati alla particolare situazione politico-giuridica del Regno, e meno proclive, grazie anche al temperamento del giurista meridionale, all'astratto accademismo che in quello stesso torno d'anni dominava nella scuola di Bologna, e ne aveva favorito il decadimento. Aderenza alla pratica (di qui, la predilezione per le quaestiones de facto)e particolare sensibilità ai problemi del diritto pubblico, che l'ordinamento monarchico, fondato sulle basi massicce della legislazione normanno-sveva, poneva in termini assai più complessi degli ordinamenti cittadini delle altre parti d'Italia, erano le caratteristiche peculiari della scienza giuridica napoletana. L'opera scientifica di Andrea d'Isernia, professore di diritto, alto magistrato, consulente giuridico negli affari di stato, rispecchia fedelmente questo indirizzo: e infatti si concentra sulle tre opere alle quali la fama di lui è rimasta legata nei secoli: un vasto commentario In usus feudorum, una Lectura alle Costituzioni federiciane, e la compilazione dei Riti della Magna Curia dei maestri razionali. Sulla cronologia di queste opere, possiamo dire di certo solo questo: l'opera di diritto penale è anteriore alla Lectura, che vi si riferisce più volte, e va collocata negli anni di regno di Carlo II (1289-1309), che è ricordato come vivente. La Lectura appartiene invece al regno di Roberto, posteriore dunque al 1309, ma non di molto, perché nessuna legge di questo re vi è citata, e d'altra parte nel 1316 Andrea chiudeva la sua vita. A questi stessi anni sembra di ascrivere la compilazione dei Riti, che un'antichissima e costante tradizione, risalente a Luca da Penne, di poco posteriore ad A., ha sempre attribuito al nostro giurista. Secondo Luca da Penne, l'opera sarebbe stata intitolata De iure dohanarum: ma nei manoscritti più antichi e accreditati figura invece come Ritus Regiae Curiae officii rationum.
Queste opere rappresentano in maniera compiuta i principali centri d'interesse del pensiero di Andrea d'Isernia, in stretta aderenza con la nuova situazione politicogiuridica che si era venuta delineando nel Regno con la dominazione angioina: la personalità del nostro giurista non si potrebbe correttamente valutare, distaccandola da queste basi, che costituiscono la fonte d'ispirazione dell'opera sua. E proprio sul terreno del diritto penale, profonde innovazioni si erano verificate in quest'epoca nuova, gravemente alterando le strutture dell'ordinamento normanno-svevo, e proprio in quelli che potevano essere considerati come i gangli vitali del sistema: alludiamo ai nuovi rapporti tra i feudatari e il potere regio che la dinastia francese aveva instaurato, in parte sotto la pressione di una difficile situazione politica, in parte perché maggiormente aderente alle tradizioni che si portavano d'oltr'Alpe. Il commentario di Andrea d'Isernia rappresenta uno sforzo massiccio di sistemazione e di adeguamento dei nuovi principi nelle antiche strutture dell'ordinamento normanno-svevo, che nelle Costituzioni federiciane trovava una consacrazione normativa che gli stessi re angioini s'erano ben guardati dall'intaccare, e anzi avevano presupposta. Di qui, assolto questo alto compito scientifico, il nuovo orientamento del pensiero di Andrea d'Isernia verso il codice federiciano, che egli glossa pedissequamente nella sua Lectura, a integrazione della glossa ordinaria che pochi decenni prima ne aveva fatta Marino da Caramanico, utilizzando con grande equilibrio la propria esperienza che la meditazione sulla materia feudale gli aveva fruttato. Chiude, infine, la sua attività di scienziato con la grande opera sull'ordinamento finanziario del Regno, guidata da un alto senso di legalità e condotta con uno spirito critico modemo, che fecero dei Riti una guida per secoli della giurisprudenza della corte dei maestri razionali.
Vogliamo infine ricordare alcune opere minori che gli vengono attribuite, ma che nulla aggiungono alla fama del nostro giurista. Si tratta di alcuni Singularia che troviamo pubblicati in una delle tante raccolte cinquecentesche di Singularia doctorum; di un commento Super titulum de statutis et consuetudinibus contra libertatem Ecclesiae, che sembra composto sotto il regno di Carlo II; e di frammentarie glosse a titoli del Digesto e del Codice. Gli si attribuiscono anche, ma non ci sono pervenuti, un De ordine iudiciorum libellus, un trattatello De iure protomiseos e uno scritto Super Auth. Habita, Cod., ne filius pro patre.
Bibl.: I documenti riguardanti la vita e le cariche pubbliche di Andrea d'Isernia sono pubblicati in appendice alla monografia, vecchia d'anni ma tutt'oggi valida e non superata come ricostruzione complessiva, di L. Palumbo, Andrea d'Isernia. Studio storico-giuridico, Napoli 1886. Cfr. anche: A. Prologo, Due grandi giureconsulti del sec: XIII: Andrea De Barulo e Andrea d'Isernia, Trani 1914;G. M. Monti, L'età angioina, in Storia dell'Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 19 ss., passim; Id., Nuovi studi angioini, Trani 1937, passim; F. Calasso, Origine italiana della formula "rex in regno suo est imperator", in Riv. stor. d. dir. ital., III (1930). pp. 213-259; Id., I glossatori e la teoria della sovranità, 3 ed., Milano 1957, v. Indice. Della letter. più antica cfr.: G. Orsiglia, Istoria dello Studio di Napoli, Napoli 1753, I, p.170;B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et regno Neapolis ab Orbe condito ad annum usque 1646 floruerunt, Neapolis 1780, I, p.33; L. Giustiniani, Memorie istor. degli scrittori legali del Regno di Napoli, Napoli 1787, II, p163; G. V. Ciarlante, Memorie histor. del Sannio ...., Campobasso 1823, I, p.33; C. Minieri Riccio, Memorie stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 20; Id., Notizie storiche tratte da 62 Registri Angioini dell'Archivio di Stato di Napoli, Napoli 1877. Notizie criticamente controllate su i mss. e le edizioni delle opere, in B. Capasso, Sulla storia esterna delle Costituzioni del Regno di Sicilia promulgate da Federico II, in Atti dell'Accademia Pontaniana, IX,1869, p. 79 ss. dell'estr.; G. M. Monti, Sul testo dei "Riti della Magna Curia" dei Maestri razionali e su A. d'I., in Ann. del Seminario giuridico-econ. d. R. Università di Bari, III(1929), 1, pp. 65-101. Poche glosse e frammenti del Codice e del Digesto sono state pubblicate nel vol. Iuris interpretes saec. XIII, a cura di E. M. Meijers, Napoli 1924, p. 229, ss.