DA LEZZE, Andrea
Primogenito del procuratore Giovanni di Andrea e di Marietta Priuli di Gerolamo, nacque a Venezia il 9 apr. 1577. La sua lunga esistenza fu assorbita quasi interamente da.ll'attività politica: due volte savio agli Ordini tra il settembre 1602 e il marzo 1604, ricoprì magistrature poco rappresentative finché, nel 1623, divenne depositario del Banco-giro per il trimestre marzo-giugno, quindi provveditore sopra i Danari (24 giugno 1623-23 giugno 1624) e membro del Consiglio dei dieci, dal dicembre di quell'anno al 30 sett. 1624. Non aveva ancora sostenuto alcun reggimento fuori di Venezia, che per solito costituiva requisito indispensabile per aspirare a tale nomina, ma il difetto venne emendato dal prestigio paterno, che proprio in quegli anni giungeva all'apice, con l'elezione a procuratore ed una triplice candidatura al dogato. Il rettorato in Terraferma arrivò, comunque, l'anno seguente: dall'aprile 1625 al settembre 1626, il D. fu capitano a Brescia.
Si rese conto ben presto che la pur cronica indisciplina di quelle milizie aveva assunto forme intollerabili di prevaricazione nei confronti della popolazione, ma riuscì a riportare la quiete in città "con il castigo fruttuosamente applicato ad alcuni pochi retenti". Ben maggiori attenzioni richiese l'incarico, affidatogli dal Senato con ducale 29 apr. 1625, di provvedere alla fabbricazione di 10.000 moschetti, 1.500 archibugi a ruota per la cavalleria di Candia, e 500 corazze. Si trasferì a Gardone e visitò fabbriche di armi un tempo fiorenti per lavoro ed operai, ma attualmente "in grandissima miseria, per non dire disperatione; onde molti si eran resi fuggitivi per Milano, et Genova, a fucine, che di nuovo in quelle parti si fabricavano". La commessa si rivelò preziosa per la ripresa della produzione: "gli rese veramente lo spirito", e il D. poté accertarsi della perfetta esecuzione delle armi, ed in particolare delle corazze, collaudate "a colpo di moschetto".
Tornato a Venezia, fece parte ancora del Consiglio dei dieci (1° ott. 1626-30 sett. 1627) e, subito dopo, fu depositario in Zecca. La permanenza in patria durò poco: dal 26 nov. 1628 al 12 nov. 1630 venne chiamato a ricoprire l'importante carica di provveditore generale a Palmanova.
Se la nomina a comandante della principale fortezza veneziana in Terraferma si poneva come logica continuazione della precedente esperienza bresciana, il momento in cui essa venne a cadere si presentava irto di difficoltà ed angustie, sia per le preoccupazioni militari e politiche derivanti dalla posizione assunta dalla Repubblica in occasione della guerra di successione mantovana, sia per le conseguenze economiche e sociali della carestia del 1628-29 e della peste che seguì.
Più dei preparativi militari, che di tanto in tanto gli Imperiali parevano allestire a Gorizia o a Gradisca, la mancanza di denaro e di vettovaglie costituì l'assillo principale del D.: sin dall'inizio dell'incarico, infatti, egli informava il Senato che i soldati "hora convengono mangiar il pane un terzo minore dell'ordinario". Ancora peggiore la situazione al di fuori della cinta murata. Nel febbraio 1629 nella gastaldia di Cividale, sottoposta alla sua giurisdizione, si moriva di fame: a San Leonardo, per "il mancamento di pane, doppo aver mangiati tutti gl'animali, anco quei da servitio, le herbe, et le radici ..., hora molti s'allimentano con herba felcie secca ... ; et altri ... mangiano la pura terra, che causa, che s'enfiano, la testa in particolare, et in 3 0 0 4 giorni convengono miseramente morire". Con qualche misurato aiuto giunto da Venezia si arrivò al nuovo raccolto e, con esso, comparve la paura della peste. Il D. dovette porre mano ad un fitto carteggio con gli ufficiali sanitari di Gorizia, che avevano bloccato i commerci con i sudditi veneti: per tranquillizzarli, assicurò che, se mai qualche decesso c'era stato, a Venezia, questo era dovuto alle nefaste ben note conseguenze del "mai francese". Contemporaneamente., però, faceva allestire un piccolo lazzarètto e cercava di limitare al massimo i contatti con Venezia. Non giunse peraltro ad ostacolare i traffici, "per quel rispetto che ogni buon cittadino deve havere verso la propria patria, et la Città dominante".
Nel decennio che seguì fu due volte del Consiglio dei dieci (1° ott. 1631-30 sett. 1632; 1° ott. 1635-30 sett. 1636), due volte inquisitore di Stato (2 marzo-19 ag. 1637; 2 ott. 1640-28 apr. 1641), e consigliere di Venezia per il sestiere di Cannaregio, dal 1° ott. 1636 al 30 sett. 1637, e dal 1° giugno 1639 al 31 maggio 1640. Dall'8 sett. 1641 al 22 marzo 1643 tenne la podestaria di Padova.
Rispetto al precedente fu un reggimento relativamente tranquillo: le sue preoccupazioni più gravose derivarono dalle malversazioni del Monte di pietà, la cui originaria funzione era stata stravolta dalle ingerenze della nobiltà e del clero locali; e dalla lotta, tanto assillante quanto vana, contro l'endemico malanno dei malviventi e degli assassini, che infestavano il territorio.
Di nuovo a Venezia, ricoprì per ben sei volte, tra il 1643 e il, 1650, la carica di savio del Consiglio, mentre morivano tutti i suoi familiari. i fratelli, i nipoti. Glirimasero due pronipoti in tenera età, Matteo e Priamo, "da me tenuti - così ricorderà nel testamento - come amatissimi figlioli propri, non - havendo si può - dire riconosciuto altro padre che me". Oltre ai beni famigliari, lasciò ad essi il palazzo alla Misericordia e la villa a San Biagio, nel Trevisano, realizzati dal Longhena. Istituì anche una primogenitura nel nome Andrea, che da allora verrà assunto da tutti i discendenti.
Morì a Venezia, più che ottuagenario, il 15 febbr. 1661.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Nascite, reg. 55, c. 135r; lettere del D. rettore a Brescia, Palmanova e Padova, Ibid., Collegio III (Secreta). Dispacci Bressa e Bressan, filze 26, 27; Capi del Cons. dei dieci. Lett. di rettori e altre cariche, bb. 28, nn. 263-269, 271-273, 275-278, 280-281, 283-297; 29, nn. 1-5, 8-13, 19-20, 29-31; Collegio III (Secreta). Dispacci Provv. generale a Palma, filze 24, 25; Collegio III (Secreta). Dispacci Padova e Padovan, filze 38, 39, 40; Capi del Cons. dei dieci. Lett. di rettori e altre cariche, b. 91, nn. 46-89, 91-96, 98-109. La relazione di Brescia, Ibid., Collegio V (Secreta). Relaz. b. 37. Per le altre cariche politiche, vedi ad annos, Ibid., Segr. alle voci. Elez. Magg. Cons.; regg. 12-14, 16-18; Segr. alle voci. Elez. Pregadi, regg. 7, 9, 11-17; Cons. dei dieci. Miscell. codici, regg. 61-62. Il testamento, dettato il 2 ott. 1658, a Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. 665 c/XVII; un'iscriz. celebrativa fatta apporre dai monaci nella chiesa di S. Giustina, a Padova, Ibid., Mss. Gradenigo-Dolfin 131, c. 170v; una lettera di raccomandazione ad Alvise Contarini, a Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 1209 (= 8854), c. 137r; A. Vestali, Panegirico in lode dell'Ill.mo ed Ecc.mo Sig. A. d. L..., Brescia 1626; Calendar of State papers... relating to English affairs, existing in the archives... of Venice..., a cura di A. B. Hinds. London 1921, XXIII, pp. 3213 344-345; F. Capretti, Mezzo secolo di vita vissuta a Brescia nel Seicento, Brescia 1934, pp. 321, 325, 332-333; A. da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 465, 473; P. Damiani, Storia di Palmanova, Udine 1969, pp. 78, 82, 159, 168, 201; E. Bassi, Palazzi di Venezia, Venezia 1976, pp. 282-85.