ANDREA da Pontedera
Più noto sotto il nome di Andrea Pisano (Andres de Pisis si segnò sulla porta del Battistero fiorentino). A. nacque, in quel castello di frontiera della repubblica pisana, nel 1270, se si accoglie per vera la notizia del Vasari, che a sessant'anni avrebbe eseguito le porte del San Giovanni e più che settantenne sarebbe andato a Orvieto. Ma le informazioni del biografo, incerte e contraddittorie tra l'una e l'altra edizione delle Vite, non consentono di seguirlo; dobbiamo perciò limitarci a fissare la morte di A. alla fine del 1349. La prima notizia di lui è del 1330. Il 9 gennaio di quest'anno (stile comune) gli venne affidato dai consoli dell'Arte dei mercanti il lavoro della porta del Battistero di Firenze, e ai 22 dello stesso mese iniziò l'opera, di cui già nell'aprile seguente eran pronte le storie in cera. La porta fu gettata nel 1332 da maestro Leonardo campanaio di Venezia, ma riuscì tanto torta che non fu possibile adoperarla e si affidò l'incarico di raddrizzarla a Piero di Donato, il quale rinunziò all'impresa non bastandogli l'animo di farlo. Andrea si assunse di compiere il lavoro nel termine di due mesi e a tutto rischio dell'Arte per il prezzo di 10 fiorini d'oro. Il 24 luglio del '33 egli prese a fare ventiquattro teste di leoni che dovevano essere finite e dorate per il primo di dicembre del '36; ebbe poi l'incarico d'indorare e accomodare la porta; infine nel '37 tutto il lavoro di finitura e doratura era compiuto, e per metterla a posto il 6 febbraio dell'anno successivo si fece venire da Carrara il marmo per la soglia. Morto Giotto nel gennaio del '37, A. ebbe la direzione dei lavori del campanile, iniziato tre anni prima dal grande artista; e li condusse "un pezzo con affanni"; ma "per un lavorio che mosse vano - Il qual si fece per miglioramento - Il maestèro gli fu tolto di mano". Così il Pucci nel suo Centiloquio. Il lavorio cui allude il banditore della repubblica fiorentina, consistette nel far rientrare la parte da lui costruita per dare alla torre una base, mancandogli, secondo allora si disse, "il ceppo da piè"; espediente che sollevò molte critiche e che, comunque si giudichi, alterò il primitivo disegno di Giotto. Mentre A. dirigeva con questo altri lavori dell'Opera di Santa Reparata (1340), scolpì i compassi della prima zona del campanile in cui, dopo la Creazione dei progenitori e il Peccato, illustrò l'attività umana nelle arti e nelle scienze; enciclopedia figurata della quale si vuole abbia dato Giotto i disegni e alle prime formelle l'opera. Gli "affanni" che afflissero A. si vogliono mettere in relazione non già col lavoro del campanile ma con l'esser stato l'artista ai servigi del duca d'Atene, cacciato come si sa a furia di popolo nel 1343. Ma il Vasari ci narra che ottenne anche dopo uffizî e magistrati nella città, di che però, osserva il Milanesi, non si fa menzione nei Libri pubblici. Nel 1347 fu a Orvieto, capomastro dell'Opera del Duomo, e in quest'ufficio rimase sino al 1349. L'ultimo ricordo indiretto di lui è nei registri dell'Opera con la data del novembre di quest'anno, dove è nominato Nino "di maestro Andrea" non già del quondam. Avuta forse notizia della prossima fine del padre, Nino corse a Firenze e, se è vero quanto narra il Vasari, avvenuta la morte, ne depose la salma nella chiesa di Santa Maria del Fiore. L'epitaffio posto sulla sua tomba, e riferito dal biografo, è di qualche secolo posteriore. Andrea non è da confondersi come fu fatto, con l'Andreuccius famulus nagistri Iohannis ricordato nei registri della Primaziale pisana nel 1304-05: questo, figlio di Simone e di donna Parda da Siena; quello, di ser Ugolino da Pontedera.
A. s'iniziò all'arte dell'oreficeria allora assai fiorente in Pisa pel numero degli artefici e per l'eccellenza di alcuni di essi. E della prima educazione rimangono tracce notevoli nelle opere sue. Secondo il Vasari i primi saggi dovrebbero riconoscersi in "alcune figurine di marmo a Santa Maria a Ponte che gli recarono così buon nome, che fu ricercato di lavorare a Firenze per l'Opera di Santa Maria del Fiore". Ma alla chiesetta della Spina soltanto nel 1325 s'iniziarono i lavori per cui ebbe la forma e l'ampiezza che ha di presente, e se alcune testine scolpite nella porta a mezzogiorno serbano l'impronta d'un maestro educato all'arte più raffinata dell'orafo, non sembra tuttavia che esse si possano considerare, ripensando a quella data, lavori giovanili di A. Restato oscuro sino al 1330, l'opera che lo rivelò abilissimo maestro fu la bella porta del San Giovanni, dove in venti pannelli espresse la vita del Battista, e in altri otto le Virtù cardinali e teologali. Opera, questa, mirabile per il sentimento con cui l'artista ha trattato i varî episodi del dramma sacro, per la semplicità e sobrietà delle composizioni, per la grazia e l'eleganza con cui sono modellate alcune figure (si osservi il violinista, e la Salomè danzante nel Banchetto di Erode, e Salomè che presenta alla madre la testa del Battista), per la giustezza e spontaneità dei movimenti (vedi il gruppo dei discepoli che portano al sepolcro l'Apostolo), per la fluidità delle vesti, la fermezza del disegno, l'accurata e perfetta esecuzione. All'educazione dell'orafo egli aggiunse lo studio della scultura pisana. Al miglioramento della sua maniera contribuì largamente l'arte di Giotto; ond'egli è considerato giustamente il più giottesco degli scultori e per merito suo la scultura, attingendo al naturalismo dei fiorentini, si stacca dalla scuola pisana e inizia l'arte moderna. A questo mutamento, al nuovo indirizzo, si vuole abbia contribuito non tanto l'arte innovatrice del grande pittore fiorentino quanto la bella e originale maniera del senese Lorenzo Maitani con le sculture del duomo d'Orvieto. Vide A. prima del '30 quelle sculture? Nessun documento conforta l'ipotesi; onde più nel vero sarebbe chi rilevasse in entrambi la tendenza a "impossessarsi dei valori pittorici", anche se diverso fu il mezzo di conquista e di espressione. Nessun rapporto del resto tra le storie orvietane e le semplici e sintetiche formelle del campanile fiorentino. Qui, oltre le caratteristiche già rilevate nelle storie della porta, si ammirano certe arditezze nei movimenti degli animali che attestano la perizia del maestro e il suo acuto spirito d'osservazione. Le figure, pur nel cambiamento della materia, mantengono quel sano realismo e quel gusto raffinato che sono pregi singolari di A. Gli si attribuisce a Pisa giustamente la bella lunetta sulla porta principale della chiesa di san Martino, raffigurante il santo nell'atto di dare il mantello al povero; a Orvieto nulla oggi possiamo indicare di lui.
Andrea Pisano ebbe due figli, Nino e Tommaso che seguitarono l'arte paterna. (V. tavv. XXXIX a XLII).
Bibl.: L. Ghiberti, Commentarii, ed. Schlosser, Lipsia 1912; C. Guasti, S. Maria del Fiore, Firenze 1887; K. Frey, Le Vite del Vasari mit kritischem Apparate, Monaco 1911; I. B. Supino, Arte pisana, Firenze 1901; A. Venturi, Storia dell'arte it., IV, Milano 1906; A. Schmarsow, A. P., in Festschrift zu Ehren d. kunsth. Inst. in Florenz, Lipsia 1897; id., Italienische Kunst im Zeitalter Dantes, Augusta 1928; R. van Marle, in Art in America, IX (1921), pp. 225-232; W. F. Volbach, in G. Vitzthum e W. F. Volbach, Die Malerei u. Plastik d. Mittelalters in Italien, Lipsia 1924; W. R. Valentiner, Nino Pisano, in Art in America, XV (1927), p. 195 segg.; G. De Francovich, Lorenzo Maitani scultore e i bassorilievi della facciata del duomo di Orvieto, in Boll. d'arte, 1928, pp. 339-372.