DANDOLO, Andrea
Appartenente al ramo della famiglia che risiedeva nella parrocchia di S. Moisè, era figlio primogenito di Giovanni, doge dal 1280 al 1289. Acquisì le prime esperienze politiche in seno al Maggior Consiglio nel quale fu eletto per cinque anni consecutivi: al riguardo si deve notare che dal 1264 al 1268 egli viene sempre indicato dalle fonti come figlio di Giovanni - segno, questo, che era appena all'inizio della carriera politica -, mentre negli anni 1268-1269 sembra essere uscito per la prima volta dall'ombra del padre poiché è indicato soltanto con il proprio nome o con il soprannome di Calo (che in seguito diventerà il Calvo).
Per gli anni immediatamente successivi mancano testimonianze sulla sua attività politica. A partire dal 1274, comunque, assunse incarichi sempre più importanti: in quella data divenne uno dei tre castellani di Corone e Modone, incarico già a quei tempi molto elevato nella Romania veneziana. Appare fin da ora evidente che gli interessi del D. si indirizzavano verso l'Egeo, come verrà poi confermato da tutta la sua carriera politica. La nomina nel 1276 a bailo del Negroponte può essere considerata un ulteriore avanzamento nella sua carriera politica, dato che per la prima volta il D. occupava in Levante un'alta carica individuale e dato che, come titolare della stessa, doveva garantire la sicurezza delle vie commerciali. Rientrato in patria, sembra nel 1276, il D. divenne personaggio di spicco della vita politica veneziana: fu infatti nominato subito podestà di Montone, città istriana da poco sottomessa.
Venezia aveva condotto una dura lotta contro le città istriane, che erano sostenute dal conte di Gorizia e dal patriarca di Aquileia e che finirono per sottomettersi al dominio della Serenissima. una dopo l'altra, ma dopo aver a lungo resistito, tanto che la guerra si protrasse per oltre un decennio. Il podestà di una città istriana di recente capitolazione aveva un compito particolarmente delicato perché da un canto doveva cercare di mantenere l'accordo con la Comunità cittadina ed evitare nuove rivolte, dall'altro si trovava ad operare in un territorio di guerra e quindi doveva organizzare le azioni contro il nemico: in questa occasione, perciò, il D. fece le sue prime esperienze militari. Appena lasciata la carica di podestà nel 1278, ricevette l'incarico di rappresentare Venezia in una solenne legazione alla corte di Carlo I d'Angiò.
Nel 1280, anno in cui grazie all'elezione del padre Giovanni a doge di Venezia la sua famiglia raggiungeva il più alto onore pubblico, anche la carriera del D. fece un grande balzo in avanti. Fu eletto duca di Creta, carica che era notevolmente importante nell'amministrazione veneziana, per ricoprire la quale erano richieste- particolari capacità politiche e militari: a questa magistratura infatti spettava il controllo di una zona di massima importanza strategica nell'impero veneziano del Levante. Il D. rientrò a Venezia nel 1281 dopo aver espletato con onore il suo incarico a Creta ed entrò a far parte del Maggior Consiglio, ove rimase anche l'anno successivo. Nel 1283 accettò un nuovo impegnativo incarico in Istria, per il quale poté avvalersi dell'esperienza maturata a Montone. Fu scelto come primo podestà veneziano della città di Pirano di recente sottomissione, dove si trovò ad affrontare una realtà sostanzialmente uguale a quella che aveva fronteggiato a Montone: la guerra, infatti, proseguiva con immutata violenza, anche se si cominciava a cercare un modo per arrivare alla pace.
Nei successivi anni del dogato paterno il D. non sembra aver ricevuto altri compiti di rilievo. Solo durante il dogato di Piero Gradenigo egli tornò a prendere parte di nuovo e stabilmente alla vita politica veneziana. Grazie all'esperienza militare maturata nei precedenti incarichi fu nominato capitano della fanteria nella guerra mossa da Venezia contro Padova nel 1291. Nel 1292, poi, ricevette per la seconda volta la carica di duca di Creta, carica che era diventata ancora più importante dopo che, con la caduta di San Giovanni d'Acri nel 1291, era venuto a mancare a Venezia il punto d'appoggio in Siria. Il suo incarico in Levante si protrasse fino al 1296 in un periodo caratterizzato da un continuo stato di guerra, reso ancora più delicato dallo scoppio del secondo conflitto tra Venezia e Genova.
Secondo una consolidata tradizione il D. sarebbe stato eletto procuratore di S. Marco nel 1293: ma la notizia appare poco probabile poiché in quel periodo egli si trovava certamente a Creta. Rientrato in patria nel 1296, fu posto a capo di una flotta con il grado di ammiraglio nella guerra contro Genova. Con le sue navi si portò fuori dell'Adriatico e all'altezza della Sicilia affrontò i Genovesi e riuscì a respingerli. L'azione, anche se non fu decisiva per la conclusione del conflitto, infuse comunque nuovo coraggio ai politici veneziani.
Forse in seguito a questo successo, forse a motivo della sua notevole esperienza politica e militare, il governo della Serenissima decise di porre il D., ormai più che cinquantenne, al comando della flotta veneziana come capitano generale. 1 Veneziani, ormai pronti a condurre l'attacco finale contro Genova, ed anche i Genovesi cercavano una battaglia risolutiva. All'inizio dell'autunno 1298 una flotta genovese, al comando di Lamba Doria, si affacciò sul mare Adriatico. La violazione delle proprie acque non poteva essere tollerata da Venezia e il D. salpò con le sue navi per attaccare i Genovesi. Le due flotte erano straordinariamente forti e ben equipaggiate: i dati variano considerevolmente nelle fonti, ma sembra certo che la flotta veneziana fosse leggermente superiore, formata da circa novanta navi contro le ottanta genovesi. Queste ultime avevano gettato l'ancora davanti alla piccola isola dalmata di Curzola, e qui sopraggiunse la sera del 7 settembre la flotta veneziana guidata dal Dandolo. Le due parti erano decise a dare battaglia e lo scontro decisivo ebbe inizio al mattino dell'8 settembre. Le fonti che narrano l'episodio non sono concordi, ma sembra certo che la flotta genovese riuscì, grazie ad un'accorta manovra, ad aggirare sul fianco le navi veneziane: il più grande scontro navale tra Venezia e Genova si concluse perciò, con una chiara vittoria dei Genovesi. Migliaia di veneziani persero la vita o vennero condotti prigionieri a Genova; tra gli altri cadde prigioniero anche Marco Polo che proprio nel carcere genovese raccolse le sue memorie di viaggio.
Sulla sorte del D., sfortunato generale dei Veneziani, i racconti si differenziano molto l'uno dall'altro. È probabile che egli sopravvisse ancora qualche giorno dopo la battaglia e che non cadde nello scontro, come alcuni riferiscono. Appare anche poco probabile che, per il dolore della sua prigionia e per la perdita della flotta, egli si suicidasse a bordo di una nave genovese, scagliandosi contro l'albero maestro: la tendenziosità di questa versione appare chiara, in una fonte veneziana, che lo paragona, per questo, a Catone. Il D. dovette cadere prigioniero dei Genovesi e morire pochi giorni dopo la battaglia, di febbre, come dicono alcune fonti, o per le ferite riportate, come riferiscono altre.
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