DE LIONE (De Leone, Di Lione), Andrea
Nato a Napoli nel 1610, svolse il suo apprendistato presso il pittore tardomanierista Belisario Corenzio, questi gli insegnò la tecnica della decorazione ad affresco, che nel secondo decennio trovava proprio nel Corenzio uno dei più importanti esecutori per i cicli del palazzo reale a Napoli, ai quali il D. in varie riprese partecipò con scene ancora non bene identificate (Pacelli, 1984). Successivamente, affascinato dai modi stilistici di Aniello Falcone, passò alla sua bottega qualificandosi tra i suoi migliori seguaci. Secondo il De Dominici (1743), fu proprio in quel periodo che il D. "fu molto studioso del disegno e massimamente del nudo" consolidando la sua formazione inizialmente naturalistica.
Il passaggio intorno al 1635 a Napoli di Giov. Benedetto Castiglione detto il Grechetto ebbe su di lui un influsso determinante, riscontrabile nei suoi dipinti per circa un ventennio. Molto ben inserito nell'ambiente artistico del tempo, eseguì alcune opere commissionate ad una serie di artisti napoletani e romani dal viceré F. R. Nuñez de Guzman, duca di Medina de las Torres, che le ordinò per conto del re di Spagna tra il 1637 e il 1644. L'esigua conoscenza dell'attività del D. è senz'altro legata ai problemi in buona parte insoluti della committenza napoletana nel XVII secolo.
Tra i più probabili rappresentanti della committenza sono da ricordare sia il potente banchiere fiammingo Gaspare Roomer, se non altro per la scena decorata ad affresco nella sua villa, ora villa Bisignano a Barra presso Napoli (Novelli Radice, 1976), sia Cesare Firrao, principe di Tarsia, con il quale il D. entrò in contatto per la vendita di un album di disegni (Saxl, 1939-40). Inoltre, nell'inventario dei beni di Vincenzo Tuttavilla principe di Minervino, del 1681, si rileva "una testa di Madonna di palmi due e mezzo, e due con cornice indorata intagliata opera di Andrea di Lione" (Ruotolo, 1977), e presso il mecenate siciliano don Antonio Ruffo si nota una Battaglia o il Giosuè (Ruffo, 1916). Infine Francesco Emanuele Pinto, principe di Ischitella, possedeva ben diciassette opere del D., tutte aventi prevalentemente come soggetto animali (Pacelli, 1979), e Gaspare de Haro y Guzman, marchese del Carpio, viceré di Napoli dal 1683 al 1687, possedeva numerosi disegni sia del Falcone sia del D. e probabilmente anche dipinti (Bréjon de Lavergnée, 1984).
Svolse la maggior parte della sua attività a Napoli, ma per spiegare in parte l'influenza classicista che la sua produzione pittorica cominciò a testimoniare, viene ipotizzato da parte di diversi studiosi un viaggio a Roma intorno al 1647, identificando nella "città eterna" la meta dello spostamento che le stesse fonti documentano come avvenuto durante o in seguito alla rivolta di Masaniello: "gli convenne appartarsi in non so qual paese, ove egli avea de' parenti" (De Dominici,, 1743). Al suo ritorno a Napoli dipinse, basandosi su bozzetti di Andrea Vaccaro, otto scene (tuttora esistenti) con Storie della vita di s. Gaetano nella chiesa di S. Paolo Maggiore tra le finestre della navata centrale.
Attualmente nella sua produzione nota pochi sono i punti di riferimento cronologico: la Battaglia contro i Turchi del Museo del Louvre, firmato e datato 1641; il Ritratto di Masaniello di collezione privata napoletana, firmato e datato 1647; il Viaggio di Giacobbe del Prado, documentato nel 1666 e alcuni affreschi eseguiti a partire dal 1660 in diverse chiese di Napoli, fra cui le sei scene con Storie di s. Attanasio nella cappella Galeota nella cattedrale di Napoli; e un ultimo dipinto con Giacobbe in lotta con l'angelo del Prado firmato e datato 1670 (o 1676). La possibile ricostruzione della sua evoluzione stilistica è basata in buona parte su opere firmate che, pur presentando caratteri stilistici originali, si ricollegano di volta in volta ad opere del Falcone e del Castiglione.
Come il Falcone il D. affronta in diversi momenti il tema della battaglia; spesso i risultati di ambedue gli artisti si confondono al punto che molte battaglie scoperte come opere del D. erano state catalogate sotto il nome del Falcone.
Tra le prime opere dell'artista, la Battaglia tra gli Ebrei e gli Amalechiti firmato e un Assalto di una città con navi che sbarcano soldati siglato, pendants, della coll. Nicolis di Torino, pur mostrando rapporti stilistici con la Battaglia dei Turchi e Cristiani del Falcone datata 1631, presentano uno schema compositivo nuovo: il primo piano è occupato da una mischia di cavalieri in groppa a imponenti cavalli mentre il secondo piano e lo sfondo sono popolati da una ressa di cavalli minuscoli. Tale differenza improvvisa di scala tra gli animali non si ritrova così netta nella sopracitata Battaglia contro i Turchi, datata 1641, acquistata dal Louvre nel 1982, che si potrebbe confrontare con la Lotta fra Davide e Golia di Capodimonte e soprattutto con la Battaglia tra Turchi e Cristiani, monogrammata D. L., nota anche sotto il titolo di S. Giacomo alla battaglia di Clavicus (Milano, Finarte, 25 nov. 1976), la cui impaginazione e impostazione del paesaggio richiamano le realizzazioni del Falcone, di Niccolò de Simone e Micco Spadaro.
L'evoluzione del genere battaglistico si esamina nell'altra Battaglia tra gli Ebrei e gli Amalechiti di Capodimonte, ripresa con qualche variante in una delle due scene di Battaglie nei tondi della coll. Exeter a Burghley House (Percy, 1971), in cui l'artista sviluppa il suo stile nel curare le figure con un disegno più calcato e minuzioso. Tra le prime opere di soggetto religioso, la Conversione di Saul (Roma, Finarte, 16 maggio 1974) mostra come il D. s'impadronisca del soggetto e lo trasformi in mero pretesto per rappresentare la forza dei cavalieri in azione e i movimenti di armature e cavalli impennati. Ancora in questa fase si inseriscono gli affreschi per la cappella di S. Antonio nella chiesa di S. Maria La Nova a Napoli, dove rappresentò tra gli episodi della vita del santo il Miracolo della mula e S. Antonio che guarisce il piede di un fanciullo; ilmodo in cui viene realizzato l'uomo in ginocchio nella prima scena riporta ai disegni con Studiodi nudo maschile del Museo di Capodimonte (nn. inv. 917 e 918).
L'influenza del Castiglione da un certo momento in poi si avverte nella maggiore libertà pittorica e nella preziosità cromatica dell'insieme, che accende con squillanti tocchi di azzurro, rosso e verde i toni dal bruno al rossiccio tipici della tavolozza napoletana. Caratteristica principale e che rimarrà successivamente è l'imitazione in senso classicista delle opere del Castiglione; ad esempio le figure a cavallo non saranno più disposte in profondità ma rappresentate di profilo, la sovrabbondanza di animali e oggetti cederà sempre più il passo ad una rappresentazione meno affastellata disposta in paesaggi più vasti, le figure affolleranno di meno la superficie pittorica, le ricerche di stilizzazione saranno più rifinite. Riferiti al tema dei giochi al circo due dipinti che riflettono maggiormente la fase castiglionesca, ambedue al Prado, sono il Trionfo romano con elefanti e i Gladiatori al circo, il cuidisegno preparatorio è agli Uffizi (coll. Santarelli, n. 6845), che fanno parte della commissione indirizzata agli inizi degli anni '40 dal duca di Medina de las Torres a vari artisti tra cui Viviano Codazzi, Finoglio, Cesare Fracanzano, Micco Spadaro e Falcone.
Rimane incerta l'inclusione nel gruppo attribuito al D. dei Soldati romani con corni del Museo di Malaga. Il tema del Viaggio di Giacobbe conobbe particolare fortuna nell'arte del D.: ben tre versioni vengono a lui attribuite: la prima del Prado, inventariata nel catalogo del palazzo reale di Madrid redatto dal Mazo nel 1666, sebbene di derivazione castiglionesca e poussiniana, mostra nelle pose dei personaggi, negli alberi minuziosamente descritti caratteri tipici del D. e a questa è da avvicinare l'opera con Pastori e i loro greggi di Capodimonte, in cui assistiamo ad un progressivo rischiararsi dei colori ed a una maggiore apertura spaziale. La seconda versione del Viaggio di Giacobbe del Kunsthistorisches Museum di Vienna, siglata, è identica al dipinto con lo stesso soggetto del Castiglione in coll. privata newyorkese datato 1633: ciò ha fatto ritenere quest'ultimo il prototipo su cui il D. si basò per le sue diverse interpretazioni, l'ultima delle quali è il Viaggio di Giacobbe presente a Londra in coll. Del Banco, che si differenzia dalle altre per la presenza di figure poussiniane e per una maggiore attenzione al dato naturalistico (Newcome, 1978). Da ricordare infine un disegno con Giacobbe che guida le greggi di Labano (vendita Christie's del 20 marzo 1973) che, pure con alcune differenze compositive, svolge lo stesso tema biblico pastorale nel tratteggio duro e angoloso tipico del D. disegnatore (Newcome, 1978).
Universalmente riconosciutogli è il Tobia che seppellisce i morti della coll. Czernin, oggi al Metropolitan Museum di New York, al quale corrispondono due disegni del D., uno conservato al Victoria and Albert Museum di Londra (D 1072-1900) e l'altro a Berlino al Kupferstichkabinett (Kd Z24121), dove lo stile grafico si caratterizza per il contorno netto con angoli ben rifiniti, per le linee che spiccano dalle figure e le ombre rese col tratteggio di segni paralleli.
Nel dipinto i personaggi sono in stretto rapporto con le architetture e i dettagli degli oggetti possono essere paragonati, con la piena luce che li circonda, alla natura morta situata in primo piano nella scena di Baccanale della coll. Matthiesen a Londra, opera di ispirazione poussiniana. Infatti anche nella Rebecca al pozzo della coll. Sewell di Londra il D. fu attratto dalle creazioni poussinesche del Castiglione, che fu sempre interessato alle sontuose esposizioni di natura morta. Ne ritroviamo una importante nel dipinto con i Venditori ambulanti del Mauritshui dell'Aia attribuitogli dal Rosenberg (1968), in cui le figure disposte a fregio mostrano un vigoroso modellato con soluzioni realistiche nell'indagine ritrattistica molto simili a quelle del famoso Ritratto di Masaniello dipinto nel 1647.
Intorno alla metà del sesto decennio si tende a collocare il dipinto firmato con Venere e Adone in un paesaggio della coll. Lanfranchi di New York: qui l'interpretazione in senso classico del soggetto ha fatto ritenere probabile una conoscenza da parte del D. di modelli tizianeschi avvenuta grazie ad incisioni durante la permanenza a Roma (La pittura napoletana..., 1982). Infine, tra le recenti scoperte, il Cristo e l'adultera firmato e datato 1667, manifesta la fase tarda dell'artista: il modellato è più debole e contrasta con il vigoroso linguaggio plastico delle opere precedenti. La tensione drammatica delle opere del quarto decennio cede il passo ad un tono più rilassato e idealizzato (Bréjon de Lavergnée, 1984, p. 676).
Il D. morì a Napoli nel 1685.
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