DEI, Andrea
Non si possiedono, allo stato attuale delle nostre conoscenze, notizie sicure su questo personaggio, ritenuto autore di una cronaca trecentesca in volgare, che narra i fatti accaduti in Siena fra il 1186 ed il 1329, proseguita in un secondo tempo, per gli anni sino al 1351, da un Angelo di Tura detto il Grasso: la Cronica Sanese edita, sotto il titolo latino di Chronicon Senense, dal filologo ed erudito senese Uberto Benvoglienti nel volume XV dei Rerum Italicarum Scriptores (Mediolani 1729, coll. 11-128), insieme con una continuazione costituita dalle Cronache (1352-1381) di Donato di Neri e del figlio di questo, Neri (ibid., coll. 135-294).
Il Benvoglienti, che si basava per la sua edizione sul testo fornito da un codice di mano del secolo XVI già conosciuto da un altro illustre filologo senese, Celso Cittadini, il quale lo cita nel suo Trattato della vera origine, e del processo e nome della nostra lingua (Venezia 1601, pp. a2 s.) come uno dei più antichi esempi di opere in buon volgare, attribuì al D. la paternità della Cronica fondandosi probabilmente su una nota storica in prima persona, che appare inserita nella narrazione della carestia del 1329: "E io Andrea Dei comperai due stara di farina, cento soldi: per lo qual caro lo populo minuto di Siena si levò a furore nel Campo" (Cronica, ediz. cit., col. 85 B). Sempre secondo il Benvoglienti (Prefazione alle Croniche Sanesi, ibid., p. 6; ma cfr. Biblioteca comunale di Siena, cod. G. V. 3, f. 77r), l'autore della Cronica sarebbe appartenuto ad una famiglia Dei, nobile ma non identificabile con l'omonima famiglia Dei, affermatasi solo in epoca posteriore fra le più in vista della città. Le fonti ricordano infatti un Mino Dei, che nel 1363 fece parte della magistratura dei Paschi.
Il Muratori invece, interpretando il termine "Dei" non come cognome, ma - latinamente - come patronimico, ritenne di dover concludere che l'Andrea "Senensis historicus" era figlio di un Taddeo "quem brevitatis ergo Deo vulgus appellabat"; che era fiorito nella prima metà del Trecento; e che solo con estrema difficoltà se ne sarebbero potuti delineare i contorni biografici (L. A. Muratori, In Chronicon Senense Andreae Dei praefatio, ediz. cit., p. 4). Più tardi il De Angelis avanzò due proposte: identificare l'autore della Cronica Sanese o con un Andrea Dei, che fu provveditore alla Biccherna nel 1383; o, accettando la tesi muratoriana, con il figlio di quel Deo Tolomei che occupò il castello di Manzano e fu inquisitore tra i frati minori. In tale quadro interpretativo fu anche segnalata l'esistenza di documenti senesi del sec. XIV relativi ad un Andrea Ugurgieri, figlio di Deo di Ugo di Ruggerotto e fratello di Guccio e di Guerra, che il 6 sett. 1335 acquistò un palazzo da un Pepo del fu Deo, cavaliere (Lisini, p. XVI, nota 2). Tuttavia, allo stato attuale degli studi appare non impossibile o difficile, ma inutile, cercare di identificare l'autore della Cronica Sanese.
Tutta presa dall'assillo di voler meglio precisare la personalità e l'opera del D., la critica non si era infatti posta il problema pregiudiziale della autenticità del testo pubblicato dal Benvoglienti; e persistette in questo indirizzo sino a quando il Lisini e lo Iacometti non iniziarono, nel secondo ventennio del nostro secolo, il lavoro di revisione filologica del corpus delle cronache senesi del Trecento, in vista di una loro pubblicazione nella seconda edizione dei Rerum Italicarum Scriptores. Solo allora, "sottoposto a più scrupoloso esame", il testo edito dal Benvoglienti apparve ai due studiosi "così sospetto, da ritenersi apocrifo e fattura del sec. XVII", come afferma il Lisini nella premessa, alla sua edizione (p. XIII).
Sotto il nome del D. e di Angelo di Tura detto il Grasso ci sono pervenute, insieme con il "diario" di Donato di Neri e del figlio di questo, Neri, due diverse cronache. La prima (Cronica A), assai ampia e ricca di notizie, ci è stata conservata da un gruppo di tre codici in 4° scritti da una stessa mano del sec. XV, con iniziali in rosso: il ms. A. X. 42 della Biblioteca comunale di Siena, che contiene la narrazione degli avvenimenti dal 1300 sino al 1325; il ms. n° 54 bis della Biblioteca dell'Archivio di Stato di Siena, con il racconto relativo agli anni dal 1326 al 1351; il ms. A. VI. 14 della Biblioteca comunale di Siena, nel quale è la cronaca degli avvenimenti dal 1352 al 1381 ("diario" di Donato di Neri e del figlio di questo, Neri). Del gruppo, stando a quanto affermano scrittori senesi dei secc. XVII e XVIII, faceva parte anche un quarto codice, ora smarrito. Poiché la Cronica A, a differenza delle altre cronache senesi del Trecento, non dice nulla circa la fondazione e i primi tempi della città toscana, ma inizia - come si è visto - dal 1300; e poiché il ms. A. X. 42 della Biblioteca comunale di Siena (il primo del gruppo attuale) reca in oro sul dorso della legatura, che è ancora l'originale, il titolo, adesso solo parzialmente leggibile, "1300-13 // CRONIC / D // TURA GRASSO T. II.", il Lisini ha ritenuto di dover concludere che il codice andato smarrito fosse il primo del gruppo originario e che contenesse la narrazione della storia di Siena anteriormente al sec. XIV, prospettando l'ipotesi che esso sia da identificare nel manoscritto della Biblioteca comunale di Siena ora segnato A. VI. 8. Questo codice, assai simile ai tre ricordati per formato e tipo di scrittura (ma non ha le iniziali in rosso), raccoglie infatti le leggende relative alle origini di Siena ed i racconti favolosi di Tisbo Colonnese, di Buondono Buondoni e di Pietro Callari; fu inoltre certamente in possesso - come gli altri tre, del resto - del Cittadini, del quale conserva glosse marginali, alberi genealogici e schizzi di stemmi di illustri famiglie senesi.
La Cronica A, così come si presenta in questa redazione, non è un'esposizione organica di vicende storiche, ripartita ordinatamente in sezioni - parti o libri, capitoli. Essa appare piuttosto una antologia di notizie, di documenti, di ricordi privati, in genere collegati fra loro da un nesso temporale e dal fatto di essere pertinenti alla storia di Siena della prima metà del sec. XIV. Tratti da fonti - ufficiali e non - più antiche e riuniti insieme secondo un criterio annalistico da un anonimo compilatore del Quattrocento il quale inserì nella sua "mesticanza" anche larghi squarci desunti dalla cronaca di Giovanni Villani e da un libro di ricordi domestici di un calzolaio senese attivo nel sec. XIV - Angelo di Tura detto il Grasso, appunto - e completò la propria opera trascrivendo di seguito il "diario" - nettamente caratterizzato nell'impostazione ideologica e nello stile - dei fatti avvenuti tra il 1352 ed il 1381, "diario" attribuibile ad un Donato di Neri e ad un Neri figlio di quest'ultimo, negozianti di tessuti in Siena nel sec. XIV. La Cronica A non contiene la citata nota storica relativa al 1329 con la citazione in prima persona del nome del D.; contiene invece un appunto di Angelo di Tura, nel quale costui ricorda, raccontando della peste del 1348: "E io Agnolo di Tura, detto Grasso, sotterrai .V. miei figlioli co' le mie mani; e anco furo di quelli che furono sì mal coperti di terra, che li cani ne trainavano, e ne mangiavano di molti corpi per la città" (ediz. cit., p. 555).
La seconda cronaca conosciuta sotto i nomi del D. e di Angelo di Tura detto il Grasso (Cronica B), ci è giunta per il tramite di un unico manoscritto di grande formato, attribuibile alla fine del sec. XVI o agli inizi del sec. XVII. Estremamente sintetica e in alcuni punti lacunosa se confrontata con la Cronica A, si apre con la serie dei consoli di Siena dal 1186 al 1198 (ediz. Benvoglienti, cit., coll. 11-18); prosegue quindi con l'elenco dei podestà dal 1199 al 1350 (ibid., coll. 19-126). In corrispondenza degli anni di Cristo e dei nomi dei consoli e dei podestà sono inserite, a partire dal 1186, secche notazioni storiche relative alle vicende di Siena, notazioni che, da saltuarie quali sono inizialmente, si fanno sempre più frequenti dopo il 1199, sino a diventare pressoché costanti. A partire dal 1251 l'ampiezza di queste note diventa tale, che la lista dei reggitori di Siena con intercalate efemeridi storiche si trasforma in una vera e propria cronaca, svolgentesi secondo una rigida struttura annalistica, nella quale la registrazione annuale dei nomi dei supremi rettori del Comune si riduce a funzione di semplice eponimia. Anch'essa, come la Cronica A, si conclude con il già ricordato "diario" di Donato di Neri e di suo figlio Neri, che l'anonimo compilatore ha copiato ad verbum; ma, a differenza della prima, non riporta brani e notizie desunte dalla cronaca di Giovanni Villani. Stesa in buon volgare senese, contiene sia la ricordata nota storica relativa al 1239, con la citazione in prima persona del D. (ibid., col. 85 B), sia - sotto l'anno 1348 - il ricordo pure in prima persona di Angelo di Tura (ibid., col. 128 B, con qualche variante rispetto alla Cronica A).
Un'attenta lettura delle due cronache convinse il Benvoglienti che esse derivavano da un unico archetipo trecentesco ("le nostre cronache dimostrano purtroppo di essere abbreviate da qualche antico Libro": Prefazione, cit., p. 5). Tuttavia non solo motivi di ordine essenzialmente linguistico, come afferma ripetutamente il Lisini (p. XVI e ibid., nota 2; cfr. pp. XX s.), ma anche ragioni obiettive di critica interna ("Nelle Croniche che portano il nome di Agnolo, v'è inserita presso che la maggior parte della Storia di Giovanni Villani": Prefazione, p. 5; "Dai Senesi [l'opera storica del D.] è molto apprezzata non solamente perché molte cose l'A. scrive di sua veduta; ma perché il suo stile è così bello, puro e schietto e veramente toscano, che molti scrittori generalmente lo commendano": Biblioteca comunale di Siena, cod. C. V. 3, f. 77r; ma cfr. Prefazione, p. 5, rr. 30 ss.), indussero l'erudito senese a ritenere che la Cronica B -per quanto più concisa e pervenutaci attraverso una tradizione manoscritta più recente - era in realtà più vicina all'originale che la Cronica A. Fu dunque la Cronica B che egli dette alle stampe per i Rerum Italicarum Scriptores; e poiché essa giunge con le sue efemeridi sino al 1350, inserì nella sua edizione l'ultima parte della Cronica A, quella relativa al 1351, contraddistinguendola con il titolo di "Altra particella d'Istoria cavata dall'altro Esemplare delle Croniche di Agnolo di Tura del Grasso" (ibid., coll. 126 ss.): "Il nostro esemplare, tuttoché accorciato sia, ho stimato doverlo seguire, perché vi si riconosce dalla purità della lingua venire dall'antico, e vi sono cose che nell'altro mancano; alla mancanza di qualche fatto singolare ho stimato bene anco supplire coll'altro nelle note" (ibid., pp. 5 s.).
Per quanto riguarda il problema della paternità della Cronica B, il Benvoglienti negava ad Angelo di Tura di aver avuto parte alcuna nella sua compilazione, riconoscendogli al più il titolo e le funzioni di semplice copista o amanuense, e la possibilità di avere inserito qua e là nel testo originale alcune sue interpolazioni (quale, ad es., la più volte ricordata notizia in prima persona, sotto l'anno 1348). Autore della Cronica B è, secondo il Benvoglienti, il D.; della "continuazione" di essa, dal 1352 al 1381, Neri di Donato (ibid., p. 6). In ciò si discostava dal Cittadini, che nel citato saggio sulle origini della lingua italiana aveva parlato di "Croniche o Annali delle cose di Siena dal MCLXXXVI fino al MCCCXIVIII, scritte da Andrea Dei, e da indi innanzi fino al MCCCLXXXIIII da Agnolo di Tura detto il Grasso" (op. cit., pp. a2 s.; cfr. Lisini, p. XVI, nota 3).
Dalle tesi proposte dall'uno e dall'altro prese le distanze il Muratori, il quale, dopo aver sottolineato il valore probativo delle note storiche in prima persona relative al D. e ad Angelo di Tura inserite nel testo della cronaca, aveva concluso che il D. aveva portato avanti i suoi annali sino ad almeno tutto l'anno 1328, "quo ipse sui mentionem facit", e che quindi l'opera era stata proseguita, "incipiendo nescio quo anno" da Angelo di Tura "usque ad annum 1352" (Muratori, cit., p. 4).
Secondo il Lisini, i codici senesi A. X. 42 e A. VI. 14 della Biblioteca comunale, ed il ms. n° 14 bis della Biblioteca dell'Archivio di Stato sono l'originale, su cui scrisse ed a cui lavorò l'anonimo compilatore quattrocentesco della cronaca conosciuta sotto il nome di Angelo di Tura: "stanno a provarlo le intere pagine e spazi di pagine rimasti in bianco per accogliervi altre notizie che di volta in volta fossero capitate... Ed a conferma vi si notano altresì abrasioni e cancellature di ricordi e notizie in precedenza riferiti" (p. XXI). Secondo il Lisini, inoltre, la Cronica A sarebbe l'archetipo - quattrocentesco, dunque, e non trecentesco - da cui sarebbe stata tratta la Cronica B. "Benvoglienti s'ingannò, supponendo che la cronaca da lui pubblicata fosse una vera scrittura del Trecento, poiché viene a mancare ogni prova che ne stia a favore e che ne attesti l'autenticità" (p. XV): "molto probabilmente il testo da lui pubblicato non è altro che un compendio fatto nel sec. XVI della cronaca composta nel sec. XV" (p. XVII), compendio "che tutto fa credere sia opera del Cittadini" (p. XX). Ma le affermazioni del Lisini e le conclusioni da lui raggiunte non appaiono convincenti, perché non sembrano frutto di un attento lavoro di critica testuale e di una rigorosa analisi diplomatica e paleografica.
I due editori dimenticano, ad esempio, il principio secondo cui il manoscritto più recente non rappresenta di necessità una tradizione sospetta o comunque di minore attendibilità; così come hanno dimenticato di confrontare la scrittura del codice contenente la Cronica B con la grafia del Cittadini, che di quella cronaca sarebbe stato l'autore. Hanno tralasciato di studiare il lessico ed i moduli espressivi usati nelle due cronache, cosa che li avrebbe portati ad accertare se esse sono effettivamente due opere diverse, dovute a due autori differenti - come aveva invece concluso il Benvoglienti. Hanno omesso - e questo sembra particolarmente grave - di analizzare il testo da loro edito sia per metterne in luce la parte originale, sia per enuclearne via via le parti desunte da altre fonti. Appare inoltre strano che, una volta scartata come apocrifa la Cronica B (la quale appunto "non si pubblica nella edizione presente": p. XIII), e una volta sottolineato il fatto che della Cronica A "fortunatamente si sono conservati i tre codici originali che la contengono, e che ci fanno conoscere il modo della sua composizione" (p. XX), il Lisini e lo Iacometti abbiano poi preso come esemplare del testo critico da loro approntato non il testo fornito dai codici senesi A. X. 42 della Biblioteca comunale e nº 14 bis della Biblioteca dell'Archivio di Stato, ma un altro, quello dato dal ms. A. XI. 42 della Biblioteca comunale di Siena, "scritto da una mano dei primi decenni del sec. XV" (cfr. p. 255, nota 1), manoscritto di cui non si fa cenno nell'introduzione e del quale non si dà ulteriore descrizione. Sembra ancora più strano, tuttavia, che i due studiosi si siano limitati a trascrivere e a pubblicare il testo fornito da questo codice, senza collazionarlo con quello trasmessoci da quelli che essi affermano essere "i… codici originali..., che fanno conoscere il modo della sua composizione" (p. XX).
Nel vol. XV, 6, della seconda edizione dei Rerum Italicarum Scriptores (Bologna 1939), alle pp. 255-564, sotto il titolo di "Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso detta La Cronaca Maggiore", appare dunque - non è inutile sottolinearlo - un'opera, che è tutt'altra cosa da quella attribuita al D. e pubblicata nel 1729 dal Benvoglienti nella grande collezione di fonti muratoriana. Allo stato attuale delle ricerche non è nessibile indicare i rapporti tra le due cronache.
Il nome del D. conobbe una certa notorietà nella storia letteraria italiana come quello di uno dei primi scrittori in volgare, e la sua lingua fu spesso indicata come esempio di toscano del "buon secolo". La sua cronaca fu largamente utilizzata dagli storici, non solo locali, sino alla prima metà del nostro secolo.
Bibl.: L. De Angelis, Biografie degli scrittori sanesi, Siena 1824, pp. 275 ss.; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1934, p. 584; Cronache senesi, in Rerum Italicarum Script., 2 ed., XV, 6, a cura di A. Lisini - F. Iacometti, Prefazione a Chronica Sanese, pp. XIII-XXII; M. Dorini, D. A., in Enc. Ital., XII, Milano 1937, p. 503; A. Potthast, Bibliotheca historica Medii Aevi..., I, p. 43; Repertorium fontium historiae Medii Aevi…, III, p. 447.