ANDREA del Castagno
Pittore, nacque nel 1423 da un Bartolommeo pecoraio o a Castagno sotto la Falterona donde prese il soprannome o a Corella sopra Dicomano come proverebbe qualche nuovo documento. La tradizione vorrebbe che messer Bernardetto de' Medici proprietario di quei luoghi, nel vedere quel ragazzo ritrarre uomini e animali, lo conducesse a Firenze e lo ponesse a imparare la pittura in bottega di uno fra i principali pittori, forse Paolo Uccello. Influì sensibilmente sul suo sviluppo anche lo studio di Masaccio; ma con l'affermarsi della sua personalità artistica le tendenze di A. si trovarono in antitesi con quelle di questo sommo maestro del colore e della luce, contrapponendovi le ricerche degli effetti plastici e dei più arditi scorci mediante la precisione del contorno, il vigore del chiaroscuro, la rigorosa prospettiva lineare, la solidità e nitidezza del colore rilevato da effetti di cangiantismo, ispirandosi pel carattere e pel senso drammatico a Donatello. Riaffermato il potere di Cosimo de' Medici, Andrea ebbe l'incombenza di dipingere all'esterno del Palazzo del podestà le sembianze dei ribelli impiccati in effigie quali traditori della patria, ciò che se gli valse l'appellativo di Andreino degl'Impiccati gli procurò anche il modo di farsi conoscere. Di questo primo periodo non rimane che una rude Crocifissione nel chiostro di S. Maria degli Angioli, di forme ancora indecise mentre l'altra proveniente dal monastero di S. Giuliano, oggi nel Cenacolo di S. Apollonia, mostra già, oltre mirabili progressi formali, l'affermarsi di uno stile più definito. Ancora giovanissimo, A. si trasferì a Venezia e vi dipinse la volta dell'abside della cappella di S. Tarasio presso S. Zaccaria, figurandovi Dio Padre con sei santi e tra i fregi mezze figure e putti. Vi si legge l'iscrizione Andreas de Florentia et Franciscus de Faventia MCCCCXLII M. Augusti. Il carattere generale dell'opera è quello della giovinezza di A. ancora abbastanza ligio tecnicamente a Masaccio; ma talune figure mostrano un fondamento stilistico gotico e sono probabilmente quelle del compagno. Altra opera di A. a Venezia fu evidentemente il cartone per la Morte della Vergine eseguito in musaico nella cappella dei Mascoli in S. Marco, rifacendo parzialmente la composizione di Michele Giambono; ma altri l'attribuisce al Mantegna. Così pure da un suo più tardo cartone sembra procedere il S. Teodoro in mosaico sulla porta della chiesina a questo dedicata dietro S. Marco. Tornato a Firenze nel 1444, A. esegue il cartone della Deposizione per la vetrata d'uno degli occhi della cupola del duomo. Il 30 maggio dell'anno seguente s'iscrive all'Arte dei medici e speziali. Nel 1449 dipinge per S. Miniato tra le torri una Madonna in Gloria tra S. Miniato e S. Giuliano, unica sua tavola d'altare pervenutaci, e conservata nella Pinacoteca di Berlino. Dal 1450 al 1452 lavora a fresco nella cappella maggiore di S. Egidio alcune storie della Madonna con molti ritratti, opera sua massima, purtroppo distrutta nel rifacimento della chiesa. Nel 1455 dipinge a fresco nella cappe? la di Orlando de' Medici all'Annunziata un S. Lazzaro tra Marta e Maddalena perduto anch'esso; mentre nella stessa chiesa si conservano difficilmente visibili dietro più recenti tavole, due altri mirabili affreschi, un S. Girolamo cui appare la santissima Trinità e un S. Giuliano benedetto da Cristo. Nel 1456 in duomo conduce di chiaroscuro l'effige equestre di Nicola da Tolentino. Del 1457 era la sua ultima opera, oggi perduta, un Cenacolo nel refettorio di S. Maria Nuova.
Una strana leggenda propagata dal Vasari offuscò lungamente la reputazione di A. macchiandola di un orribile delitto. Dal suo più anziano compagno di lavoro in S. Egidio, Domenico Veneziano, egli avrebbe imparato il segreto della pittura a olio; poi per rimanerne l'unico possessore, l'avrebbe ucciso, confessando in punto di morte tale assassinio. Ma, oltre al fatto che le opere di Domenico e di A. non rivelano la conoscenza della tecnica oleare, ogni dubbio è tolto dalla circostanza dimostrata da recenti documenti, che Domenico morì quattro anni dopo il suo rivale, il quale passò di vita il 19 luglio 1457 e fu sepolto nella SS. Annunziata.
In compenso di tante opere perdute ne rimangono altre tipiche del periodo mediano, anche se non convalidate da documenti e date. Nel refettorio di S. Apollonia si vede frescata l'Ultima cena con sopra la Crocifissione, la Deposizione nel sepolcro e la Resurrezione. Questi dipintì si possono attribuire a un periodo anteriore di poco al 1450 e fanno conoscere la maniera più caratteristica e più monumentale di A. per energia di modellato e di lumeggiatura, per robustezza di colorito, per drammaticità di composizione, per profondità prospettica. Nella zona superiore molto guasta appare evidente una relazione formale e cromatica con l'arte di Piero della Francesca, maggiore di 6 0 7 anni all'A. Trasportata da un'altra parte del convento vi si trova anche una grandiosa Pietà prototipo di quelle di Giovanni Bellini. In questo locale, istituito a Museo di A., è esposta anche una solenne serie di effigie di uomini illustri e di antiche eroine, che altre volte ornavano un salone d'una villa Carducci poi Pandolfini a Legnaia, ove rimangono ancora vestigia della splendida decorazione prospettica che le inquadrava. Poche altre tavolette dànno all'estero una pallida idea di questo grande artista; da ricordare uno stupendo ritratto nella collezione Morgan in New York, e un palvese con dipintovi David nella collezione Widener a Philadelphia.
Tra gli scolari di A. citati dal Vasari, oltre Piero del Pollaiolo, è da menzionare Giovanni di Francesco del Cervelliera da Rovezzano morto nel 1459, che dipinse la lunetta sopra la porta della Chiesa degl'Innocenti, un trittico nella raccolta Carrand al Bargello, un Crocifisso a S. Andrea a Brozzi, ecc. Anche Paolo di Stefano Badaloni, detto Schiavo, umile seguace di Masolino, si modificò alquanto sullo stile di A. come si vede in affreschi a S. Miniato al Monte e in S. Maria della Quercia a Monticelli. Ma l'influenza di A. va molto oltre la sua bottega poiché si può dire che domini tutta la pittura fiorentina del '400, avendola distolta dall'indirizzo coloristico e luministico tracciato da Masaccio e indotta ad esprimere la forma mediante la precisione del tratto incisivo e del modellato chiaroscurale, trattando il colore come prezioso ornamento e non come valore essenziale. Quindi Alessio Baldovinetti, Antonio del Pollaiolo, il Botticelli, il Ghirlandaio, tutti stilisticamente suoi discendenti, portarono alla massima perfezione la scienza del disegno, ma rimasero coloritori e non coloristi. La permanenza poi nel Veneto di A., se non lasciò palesi frutti immediati sulla ritardataria arte veneziana gotico-bizantina, ebbe pronta efficacia sullo sviluppo delle scuole a contatto con Padova, più aperte alle tendenze moderniste, e specialmente sulla formazione del Mantegna. (V. tavv. XXXV a XXXVIII).
Bibl.: W. Waldschmidt, A. del Castagno, Berlino 1900; E. Schaeffer, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, Lipsia 1912 (con la bibl. precedente); G. Fiocco, L'arte di Andrea Mantegna, Bologna 1927; R. van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, X, Aia 1928; G. Poggi, Della data di nascita di A. d. C., in Rivista d'arte, 1929, pp. 43-63. Su Giovanni di Francesco, v. P. Toesca, Il pittore del trittico Carrand: Giovanni di Francesco, in Rass. d'arte, p. i segg.; R. Longhi, Ricerche su Giovanni di Francesco, in Pinacotheca, 1928, pp. 34-48. Su Paolo Schiavo, R. v. Offner, Italian Paintings at Yale Univ., Newhaven 1927; M. Salmi, Gli affr. nella collegiata di Castiglione Olona, in Dedalo, IX (1928-29), p. 3 segg.