DELLA ROBBIA, Andrea
Nacque a Firenze il 20 ott. 1435, quartogenito di Marco di Simone lanaiolo, e di una monna Antonia (1413-14 maggio 1444).
Da tempo i Della Robbia avevano rag unto una certa reputazione nel settore tessile e Marco di Simone (1385-17 dic. 1448), i atricolatosi nel 1427 all'arte della lana, era in quegli anni "compagno" nella "bottega d'arte di lana" di Agnolo di ser Martino; con i genitori, Simone di Marco (1343-1435/38) e Margherita (1362-1433/42), ed i fratelli, ser Giovanni, notaio (1394-1446/51) e Luca, scultore (cfr. ad vocem), divideva una comoda casa di via S. Egidio, presa in affitto intorno al 1405. Poco dopo la nascita del D., Marco e Luca si trasferirono per qualche anno in un'altra casa del medesimo rione di S. Pier Maggiore, e il 31 ag. 1446 acquistarono un'ampia abitazione in via Guelfa più adatta alle accresciute esigenze familiari di Marco e produttive di Luca; la casa infatti per quasi un secolo ospiterà i Della Robbia e la loro bottega di "invetriati" (per Marco di Simone, cfr. Marquand, 194 e 1922; Mather, 1918; Pope-Hennessy, 1980). Degli otto figli di Marco ricordiamo inoltre Simone (1438-7 giugno 1521), immatricolatosi nel 1465 (17 agosto) all'arte dei maestri di pietra e legname, dove svolse mansioni per conto di Luca (1466-67, '81, '84) - che nel 1471 lo nominò suo erede universale (15 febbraio) e procuratore (2 settembre) - ricoprendovi nel 1474, '78 e '80 la carica di console. A differenza del D. Simone non usufruì degli insegnamenti artistici di Luca e infatti poco dopo la morte dello zio dovette cedere al fratello la propria parte della casa di via Guelfa (14 nov. 1482 e 2 luglio 1485) che pare comprendesse per via ereditaria anche la stessa bottega, ottenendo la facoltà di abitarvi solo per altri due anni. Sull'attività di Simone - in precedenza immatricolato (1463) all'arte della seta e "calzaiolo" con bottega presso Orsarimichele (1473) - sappiamo solo che nel 1497, e forse già nel 1487, era in società coi "fornaciai" Matteo e Marco di Paolo da Terra Rossa, pagati in quell'anno per aver fornito materiali utilizzati nella costruzione del portico dell'ospedale di S. Paolo (per Simone di Marco cfr. Passerini, ms. sec. XIX; Marquand, 1914, 1922 e 1928; Mather, 1919 e 1920/b; Pope-Hermessy, 1980; per la discendenza di Simone di Marco cfr.: Baldinucci, - Milanesi, 1681-1728, Passerini, ms. sec. XIX, 1878; Marquand, 1922); da lui discendono gli attuali marchesi Viviani della Robbia.Il D. apprese l'arte della scultura e le segrete tecniche della plastica in terracotta invetriata direttamente dallo zio paterno Luca, che per la morte precoce (1448) di Marco fu per il D., col quale abiterà tutta la vita, come un padre adottivo. In considerazione di questa convivenza e delle necessità economiche della numerosa famiglia - il D. era il maschio più anziano di sei fratelli - possiamo ritenere tale formazione artistica particolarmente precoce e operosa, ed è quindi plausibile che nel 1445, quando (21 agosto) il D. recava allo scultore Maso di Bartolomeo un prestito di Luca per pagare un vetturale venuto da Urbino (Pope-Hennessy, 1980), le sue mansioni nella bottega robbiána non fossero solo quelle di un semplice garzone di fiducia. Intorno alla metà del decennio il D. era infatti già in grado di assumere lavori in proprio di una certa importanza, e sappiamo che il 25 sett. 1455 il mercante d'arte Bartolomeo Serragli gli commissioriò una Madonna destinata forse alla villa fiesolana di Giovanni di Cosimo de' Medici (doc. in Corti-Hartt. 1962, p. 164), opera difficilmente rintracciabile.
Durante la sua attività giovanile il D. dovette per lo più attenersi, per esigenze di mercato e forse esplicite richieste dei committenti, ai moduli ormai codificati dei rilievi devozionali di Luca: prima "calcandone" alcuni modelli di serie, come la Madonna "tipo Impruneta", poi traducendone più liberamente spunti plastici o disegni, come nella Madonna dell'Umiltà di Princeton (University Art Muscum), versione "in controparte", carattere questo che distingueAe Madonne del D., sempre col Bambino alla loro destra, da quelle di Luca, che lo hanno invece a sinistra (per analoghe, coeve composizioni di Luca, come la Madonna "tipo Rovezzano", cfr. Gentilini, 1983/a). Buona parte delle opere del D. anteriori al 1455/60 risultano quindi di ardua e controversa identificazione e in sostanza possiamo considerarle come prodotti della bottega di Luca Della Robbia.
Nel 1458 (16 dicembre) il D. si immatricolò, con la qualifica di "intagliatore", all'arte dei maestri di pietra e legname acquistando così una piena autonomia operativa, ma non sospese la sua collaborazione con Luca che anzi nel decennio successivo risulterà particolarmente intensa e vivace.
Oltre ad intervenire nei lavori più impegnativi condotti da Luca - come forse, a Firenze, la volta della cappella del cardinale di Portogallo in S. Miniato (1461-62), la decorazione della cappella Pazzi in S. Croce (1445-75 c.: Janson, 1973), e quella delle due edicole in S. Maria a Impruneta (1445-68) - è probabile che il D. realizzasse molti incarichi affidati all'anziano maestro il quale in alcuni casi sembra avervi preso parte solo a livello progettuale: come il Sepolcro Fillastre di Saint-Omer (1463-69: du Teil, 1912), la Pala Sassetti oggi alla Misericordia di Firenze (1466 c.: Gentilini, 1981), gli stemmi Pazzi (ora in pal. Serristori) e le Virtù della villa Pazzi a Montughi (1460-70 c.; Temperanza e Giustizia, Parigi, Museo di Cluny; Prudenza, New York, Metrop. Mu s.; Fede, già Parigi, coll. Heilbronner), gli stemmi Della Stufa e quello dell'arte della seta in Orsanmichele (1465-70 c.: Pope-Hennessy, 1980), il Presepe e l'Adorazione dei magi di Volterra (1474 c.: Valentiner, 1926; Gentilini, 1980; per tutte queste opere si veda la voce Luca). E il contributo di Andrea si rivelerà determinante proprio per l'elaborazione e la diffusione di nuove e più complesse tipologie fittili.
Così, in pratica, intorno al 1470 il D. aveva ormai assunto la gestione della florida bottega di via Guelfa, come sembra ammettere lo stesso Luca, che dopo aver avanzato consistenti rivendicazioni economiche (Catasto, 1470; cfr. Marquand, 1922), negò al nipote ogni eredità testamentaria (19 febbr. 1471), giudicandolo fin troppo favorito da quegli insegnamenti attraverso i quali poteva esercitare in proprio e come "maestro" un'arte ch'era stata il frutto del suo "ingegno" traendone facili onori ed ingenti guadagni.
Fra le molte "robbiane" realizzate durante il settimo decennio, quella che meglio anticipa i caratteri tipologici e stilistici della successiva attività del D. è il Trittico della Pieve di Ss.Fiora e Lucilla, a Santa Fiora al Monte Amiata, da ritenere una delle sue prime opere sostanzialmente autonome.
Raffigura l'Incoronazione della Vergine, S. Francesco stimmatizzato e S. Gerolamo penitente e, nella predella, l'Annunciazione, il Presepe e l'Adorazione dei magi. In confronto agli invetriati di Luca, ha una struttura assai più complessa e ornata, composizioni più narrative e affollate rese con un modellato pittorico, e figure di una maggiore enfasi sentimentale; rivela così un'attenzione ad esperienze figurative estranee al maestro, cioè l'attività estrema di Donatello e le prime opere dei coetanei del D., Antonio Rossellino e Verrocchio, e già matura quell'inedita vivace sintesi tra valori plastici e pittorici che qualificherà la successiva produzione robbiana.
Commissionato intorno al 1464 dai conti Attendolo Sforza di Cotignola - forse da Guido - signori di Santa Fiora (Mazzolai, 1965), che si confermeranno assidui committenti del D., il Trittico di Santa Fiora inaugura, prima ancora delle pale della Verna, il caratteristico e celebrato impiego delle tavole invetriate del D. in quelle località montane, umide e gelide, "dove niuna pittura ne' anche pochissimi anni si sarebbe conservata" (Vasari [1568], II, p. 179), e costituisce una precoce, significativa testimonianza della loro diffusione nelle chiese e nei monasteri legati all'Osservanza bernardiniana (cfr. Salmi, 1969; Pope-Hermessy, 1979; Gentilini, 1983/b).
I toni già fortemente devoti dell'arte di Luca, in cui la serena semplicità formale ed il luminoso candore delle superfici sembrano evocare purezze mistiche e splendori trascendenti, acquistarono infatti nel D. ancor più esplicite e documentabili implicazioni francescane, portandolo a sviluppare, in iconografie prevalentemente mariane, un linguaggio essenziale e - per quanto sensibile ai mutamenti del clima artistico - volutamente uniforme, "casto ed umile" come quello dei predicatori minoriti e di pari efficacia popolare, che ce lo qualifica come uno dei maggiori interpreti della spiritualità francescana (Bracaloni, 1924).
In una lettera indirizzata a Mantova all'architetto Luca Fancelli il 28 giugno 1471, il D. affermava di, aver eseguito da oltre otto mesi una "testa" commissionatagli per Federico Gonzaga, opera che, qualora non fosse stata ritirata entro breve tempo, egli avrebbe venduto ad altri (doc. in Bertolotti, 1889).
L'opera non è stata identificata: il soggetto e la tecnica non vengono specificati; è plausibile fosse, piuttosto che un ritratto, un busto storico o sacro, dei quali conosciamo numerosi esempi invetriati (Pope-Hennessy, 1979).
Alcune "teste" realizzate dal D. intorno al 1470 sono di notevole bellezza ed intensità: sia clipeate, come il Giovanetto di Berlino Est (Bode Museum), il Condottiero (Giosuè?) di Pesaro (Museo dell'Ateneo) e la Giovane gentildonna, forse una Medici, del Bargello, sia a tutto tondo, come il celebre ritratto di Fanciullo sempre del Bargello col quale probabilmente faceva coppia il delicato ritratto di Bambina nella collezione Guicciardini di Firenze (Ragghianti-Collobi, 1949).
Tra le opere del settimo decennio si ricordano inoltre: per l'impegno statuario l'Annunciazione del Los Angeles County Museum (1465 c.), già in palazzo Bardi Tempi (Valentiner, 1948), il Tobiolo e l'angelo della Biblioteca Roncioniana di Prato (1465-70 c.), e la cosiddetta Madonna degli Angeli di Trapani, ora in S. Maria del Gesù ma commissionata da Giacomo Staiti verso il 1475 per la chiesetta francescana di S. Maria la Greca; fra i numerosi rilievi raffiguranti la Madonna col Bambino quello di S. Gaetano a Firenze, modellato come pezzo unico e con ghirlanda dipinta in piano (1465-70 c.), e una tipologia di serie detta la Madonna del cuscino replicata con varianti per tutto il secolo, della quale l'esemplare più antico (1475 c.) è forse quello che si conserva nel Museo nazionale di Palermo; fra i rilievi raffiguranti l'Adorazione del Bambino, un modello diffusissimo col Dio Padre tra cherubini, allusivo all'Incarnazione, dei cui innumerevoli esemplari si segnalano per essere tra i primi (1470-75) quello di Oxford (Ashmolean Museum, n. 11), Genova (S. Maria della Consolazione), di San Martino alla Palma (poi sul mercato londinese: Burlington Magazine, CIII [1961], p. 539) e di Palermo (S. Niccolò in Gurgo), quest'ultimo successivamente replicato "a calco" (Gentilini, 1983/a). Per Santa Fiora il D. realizzò anche, intorno al 1470, due ciborietti (Ss. Fiora e Lucilla; uno oggi alla Madonna della Neve), i più antichi interamente invetriati prodotti nella bottega robbiana. Di poco successiva all'ottobre 1471 è l'importante decorazione della volta della cappella Martini (o dei Fiorentini) nella chiesa francescana osservante dei Ss. Giobbe e Bernardino a Venezia (Pope-Hennessy, 1980), con cinque medaglioni entro ghirlande raffiguranti gli Evangelisti e l'Eterno tra cherubini su un fondo di mattonelle policrome a cubetti illusionistici analogo a quello adottato da Luca nella cappella del cardinale di Portogallo.
Per quanto sostanzialmente impegnato da tale intensa produzione in terracotta invetriata, il D. era già in grado di scolpire con notevole perizia sia in legno sia in marmo - come testimonia Benedetto Dei, ricordandolo "scultor di tutto" ([1470], p. 72) e più tardi il Vasari secondo il quale il D. "lavorò di marmo benissimo" ([1568], 113 p. 179) - attività peraltro documentate solo intorno al 1490.
Del 1475 (5 marzo) è il più antico documento che si riferisca direttamente ad un'opera del D. identificabile con sicurezza: lo stanziamento per una Madonna col Bambino destinata a rimpiazzare una immagine malridotta nella sala dell'udienza dell'arte dei maestri di pietra e legname. Il rilievo, detto la Madonna degli architetti, racchiuso in una nicchia di cherubini con cornice a ghirlanda di fiori bianchi, si trova oggi nel Museo del Bargello (Gentilini, 1983/a).
Sempre del 1475 era un "rilievo col Divin Pellegrino, probabilmente di Andrea", registrato nell'Inventario dell'omonima Compagnia il cui oratorio in S. Maria Novella sembra possedesse anche una "Madonna in tabernacolo di Luca" (Wackernagel, 1938, p. 54): il primo è forse da identificare con un medaglione in pietra di una collezione privata fiorentina (Middeldorf, 1978). Inoltre intorno al 1475 o poco dopo il D. realizzò per l'altare della cappella di S. Bartolomeo in S. Croce, sede della Confraternita della Capanna, una tavola con funzioni di tabernacolo raffigurante S. Francesco stimmatizzato e Tobioloel'angelo che ancora vi si conserva (Becherucci, 1983); e per il portale di S.Michele Arcangelo a Faenza una lunetta col santo eponimo, oggi al Metropolitan Museum di New York (Raggio, 1961). Questa piccola chiesa, la cui ristrutturazione si concludeva nel 1475 a spese di Niccolò Ragnoli, è ornata da un cornicione in cotto con motivi a palmette, anch'esso riferibile al D., che fu replicato nell'adiacente casa Ragnoli (Archi-Piccinini, 1973); mentre per le volte del duomo di quella città, ricostruito da Giuliano da Maiano, la bottega robbiana eseguì tre stemmi invetriati del vescovo Manfredi (1474-77).
Verso la metà dell'ottavo decennio le implicazioni francescane del D. ebbero modo di manifestarsi in tre episodi - presumibilmente collegati - che costituiranno un esempio pressoché normativo per l'adozione di opere robbiane nelle chiese dell'Osservanza. La famiglia di Pier Paolo Ugurgieri, vicario provinciale di questo Ordine e fondatore, nel luglio 1474, della nuova basilica dell'Osservanza a Siena, centro della religiosità bernardiniana, commissionò al D. per la propria cappella della nuova chiesa una grande pala con l'Incoronazione della Vergine - allusiva anche all'Assunta - quattro santi e una devota (forse Agnese Ugurgieri), che può essere considerata uno dei capolavori dell'arte robbiana; e ad essa poco dopo si aggiunsero due statue raffiguranti l'Annunciazione poste ai lati dell'altar maggiore, e, nella volta (1485 c.), due medaglioni con S. Bonaventura e S. Ludovico di Tolosa (Cornice, 1984).
Intanto per la basilica di S. Maria degli Angeli ad Assisi, ulteriore fulcro della devozione minorita, il D. eseguiva un trittico analogo a quello di Santa Fiora - forse per incarico di Anastasia Attendolo Sforza, figlia di Buoso conte di Santa Fiora e moglie del signore di Perugia Braccio (II) Baglioni le cui insegne compaiono nella predella - ed una statua di S. Francesco che sarà tra le più divulgate immagini del santo.
E negli stessi anni il D. iniziò la celebre serie di pale invetriate (sette) che, secondo un coerente programma iconografico ligio all'Osservanza, portato a termine verso il 1495, arredano il monastero della Verna, vero cuore del culto francescano, la cui riedificazione, gestita dall'arte della lana e forse diretta da Giuliano da Maiano, si era conclusa intorno al 1472 (Pope-Hennessy, 1979; Domestici, 1985-86; Le robbiane...,1986).
Significative tra le opere databili verso il 1480: la Madonna e santi nella cappella della Rocca di Gradara, in quel tempo possesso del signore di Pesaro Costanzo Sforza, anch'egli devoto all'Osservanza; la sua replica con qualche variante nell'oratorio pratese di S.Lodovico, ornato anche da una hinetta sul portale col santo eponimo, due statue raffiguranti S. Giuliano e S. Ansano (?)e lo stemma dei patroni, i Bocchineri; il medaglione del Museo della collegiata di Empoli, in origine nella volta della cappella di S. Sebastiano, con un bonario Eterno benedicente tra cherubini (Paolucci, 1985).
L'unico documento alverniate a noi noto in cui compaia il nome del D. testimonia la presenza dello scultore al monastero il 6 ag. 1481, forse per il montaggio della Crocifissione della cappella delle Stimmate, commissionata da Tommaso degli Alessandri ed inaugurata, sembra, il 16 agosto successivo, anniversario della fondazione di quell'edificio (Pierotti, 1913).
Questa grande ancona centinata, di 6 m di altezza, composta da 720 pezzi - raffigura Cristo crocifisso tra angeli, con ai piedi la Madonna, s. Giovanni, s. Francesco e s. Girolamo - è l'opera più imponente e tra le più apprezzate e rappresentative del Della Robbia. Per quanto impaginata con l'abituale scansione e simmetria, di una semplice evidenza, rivela l'aspirazione ad un realismo più intenso e vivace, e una maggiore ampiezza e articolazione formale: caratteri distintivi della produzione del D. durante il nono decennio, che ne indicano una vicinanza alle coeve esperienze del Botticelli e di Benedetto da Maiano.
Sempre per La Verna, per l'altar maggiore di S.Maria degli Angeli, il D. realizzò una tavola con l'Assunta che dona la cintola a s. Tommaso e tre santi in adorazione,soggetto caro al culto francescano e in seguito più volte replicato dai Della Robbia. La predella reca lo stemma di Domenico Bartoli, il cui patronato sulla chiesa inferiore fu garantito nel capitolo del 1486, ma ragioni stilistiche suggeriscono un'esecuzione di qualche anno precedente.
Il 6 genn. 1465 il D. si era sposato con Giovanna, detta Nanna o Nannina, di Piero ' di ser Lorenzo Paoli (1449-1522/ 1525), ricevendone una cospicua, dote che egli col testamento del 1522 le restituirà insieme all'usufrutto di alcuni poderi presso San Giorgio a Ruballa e di una camera nella porzione della casa di via Guelfa assegnata al figlio Girolamo Dòrnenico, a quel tempo stabilitosi in Francia. Dal loro matrimonio nacquero dodici figli, dei quali almeno cinque collaboreranno col padre proseguendone l'attività (cfr. le voci Marco Giovanni, Giovanni Antonio, Luca Bartolomeo, Francesco Iacopo e Girolamo Domenico; e inoltre Baldinucci, 1681; Passerini, ms. sec. XIX; Milanesi, 1878; Marquand, 1920, 1922 e 1928; Gentilini, 1983; Museo...,1984).
Degli anni Ottanta sono altre significative opere che confermano la diffusione robbiana nella Toscana inferiore, nell'Umbria, e nel Meridione aragonese: l'altare ad uso di nicchia per un'immagine venerata col Dio Padre ed angeli in adorazione di S. Maria a Fontecastello, ora nel Museo civico di Montepulciano, eseguito a spese di quel Comune poco prima del dicembre 1484; la bellissima pala con la Trinità fra i ss. Donato e Bernardo già sull'altar maggiore dell'omonima Congregazione di Arezzo, dal 1811 nel duomo che fu trasportata in diciassette casse fra il settembre 1485 e l'aprile successivo e montata con la diretta assistenza del D. dal 15 al 20 giugno 1486 (doc. nell'Archivio di Stato di Firenze, Compagnie soppresse, t. XXII, n. 5: in Gentilini, 1982-83); il Presepio di S.Chiara a Sansepolcro, ora nella Pinacoteca comunale (1485 c.); la sua replica in controparte - con predella e lunetta di diverso soggetto - in S. Maria della Stella a Militello (Catania), commissionata nel 1486 da Antonio Piero Barrese conte di Militello e spedita via mare nel maggio-giugno 1487 (Corti, 1970; Russel Sale, 1980).
Negli stessi anni il D. eseguì altri interessanti lavori per il conte di Santa Fiora Guido Sforza nella pieve dedicata alle ss. Fiora e Lucilla: la nicchia del battistero, col Battesimo di Cristo e mattonelle policrome entro una cornice a ghirlanda (1480-85 c.), il pulpito, formato da tre rilievi raffiguranti l'UltimaCena, la Resurrezione e l'Ascensionedi Cristo (1485-90 c.), opere entrambe rimaneggiate, una monumentale e movimentata pala con la Madonna della Cintola fra santi francescani, databile verso il 1490, ed un piccolo e delicato Crocifisso policromo (1490 c.), forse già nel monastero della Ss. Trinità, assegnato nel 1490 ai francescani riformati (Mazzolai, 1965 c.).
Del ciborio ottagonale a cupoletta di S. Andrea a Palaia, forse il più'impegnativo tra quelli realizzati nella bottega robbiana, rimangono buona parte dei rilievi figurati (Cristo, quattro Virtù, sette santi), eloquente testimonianza dell'eccezionale livello di raffinatezza plastica raggiunto dal D. intorno al 1490.
Ben documentate a partire dai primi anni Ottanta sono - una serie di commissioni dell'Opera del duomo di Firenze che il D. sembra aver affidato in buona parte a collaboratori.
I due angeli per la cattedrale, finiti nel marzO 1482 - un pagamento avvenne tramite il figlio Marco -, sono forse identificabili con quelli inginocchiati del Victoria and Albert Museum di Londra (Pope-Hennessy, 1964/b). Seguirono lavori per la residenza dell'Opera che ancora vi si conservano (Brunetti, 1969-70): due stemmi dell'arte della lana - che soprintendeva ai lavori del duomo - per le volte, uno dei quali già consegnato il 3 marzo 1487 - data del primo pagamento effettuato tramite il figlio Giovanni Antonio che, allora diciottenne, potrebbe aver collaborato alla realizzazione -, e l'altro, sembra, entro la fine del giugno successivo (nel vestibolo e nella sala della deputazione); una lunetta policroma a superficie piana per la porta dell'Udienza raffigurante l'Eternotradue angeli, pagata, tramite un certo Benedetto di Paolo, come in loco il 7 genn. 1488; e quella per la porta opposta (al tempo del magazzino) con la Madonna colBambinotra due angeli, collocata e pagata nel settembre 1489. Inoltre il 24 genn. 1491 il D. ricevette la commissione di un Crocifisso ligneo a braccia mobili per il venerdì santo, terminato entro l'aprile; il 15 maggio 1496 fu pagato per la lunetta della Compagnia di S. Zanobi (S. Zanobi tra due angeli), a quella data già sul portale (oggi al Museo dell'Opera del duomo: Brunetti, 1969-70, p. 284).
Nella lunetta dell'Opera con l'Eterno il D. ripropose con risultati tecnici sorprendenti l'inconsueta "pittura in maiolica" già sperimentata da Luca (cfr. ad vocem), forse in relazione a quei rinnovati interessi musivi del cantiere del duomo - sostenuti da Lorenzo il Magnifico - che, qualche anno dopo, impegneranno con scarsi risultati alcuni celebri pittori e miniatori fiorentini. Il Benedetto di Paolo ricordato nel pagamento del 1488 è forse identificabile con l'omonimo miniatore e poeta (1470-post 1551), fervente savonaroliano più tardi come lo stesso D., e in tal caso potrebbe essere sua parte della stesura pittorica che infatti mostra l'intervento di mani diverse (Gentilini, 1983/b).
Il crocifisso del duomo risulta disperso, ma crocifissi lignei avvicinabili, pur con qualche incertezza, al D. si trovano in S. Martino a Foiano e in S. Maria a Lizzano Pistoiese, chiese che peraltro accolgono significativi invetriati robbiani del primo decennio del Cinquecento, e in S. Pier Forelli a Prato, opera questa particolarmente venerata dai minori riformati.
In questo periodo il D. realizzò anche altre lunette per uffici pubblici fiorentini: la Natività per il nuovo portale del palazzo dell'arte dei giudici e notai (via del Proconsolo), pagata e collocata nel novembre 1489, da identificare forse con quella nella collez. Crawford (Balcarres), e il Cristonelsepolcro per il Monte di pietà (piazza S. Spirito) - istituito dai francescani con la spinta del Savonarola nel 1496 - ora nella collezione della Cassa di risparmio.
Tra il nono e l'ultimo decennio il D. ricevette numerosi importanti incarichi, in buona parte fiorentini, che ne testimoniano il successo anche nel più raffinato ambiente laurenziano e un ruolo non secondario nell'arte di fine Quattrocento.
Per lo spedale degli Innocenti eseguì i dieci celebri medaglioni raffiguranti trovatelli in fasce collocati entro i preesistenti oculi del portico brunelleschiano nell'agosto 1487, che, già assai lodati dal Vasari (1568), diventeranno attraverso il gusto ottocentesco l'emblema dell'intera arte robbiana; e, poco più tardi, la grande lunetta con l'Annunciazione - immagine quasi altrettanto celebre - oggi nel chiostro, ma in origine nella chiesa, come ornamento del nuovo altare a edicola della cappella Del Pugliese che ospitava la pala dipinta da Piero di Cosimo tra il 1489 e il 1493 (Bellosi-Piccini, 1977).
Negli stessi anni (1487-93 c.: datazione gentilmente confermata da F. Dabell grazie a doc. inediti) il D. realizzò un imponente altare marmoreo per incorniciare l'affresco di Parri Spinelli, venerato nel santuario bernardiniano di S. Maria delle Grazie presso Arezzo, forse in'accordo con Benedetto da Maiano, impegnato nella costruzione del portico.
Per quanto il Vasari (1568) lo apprezzasse quale testimonianza delle notevoli capacità scultoree del D., si è recentemente preferito ritenerlo di altro autore, come Leonardo Del Tasso (U. Middeldorf, opinione riportata in Pope-Hennessy, 1979), senza peraltro ragioni convincenti giacché i caratteri tipologici e stilistici dei rilievi sono conformi alla coeva produzione del D. che sembra aver eseguito direttamente almeno le quattro statuette di santi, mentre la lunetta (Madonna col Bambino tra due angeli), il paliotto (Pietà), i due profeti ed i fregi con cherubini potrebbero essere una traduzione di suoi modelli da parte di qualche collaboratore, come forse i figli Giovanni Antonio, a cui è riferibile il festone invetriato, Marco Giovanni e Luca Bartolomeo; al Del Tasso sono eventualmente avvicinabili le raffinate candelabre, di una tipologia in quel tempo estranea alla bottega robbiana.
Certamente l'attività in marmo del D. non fu limitata a questo episodio e forse è possibile attribuirgli anche il sepolcro di Sigismondo Della Stufa già nella cappella maggiore (ed ora, rimaneggiato, nella controfacciata) della chiesa di Monte Senario (Casalini, 1973), stilisticamente databile sulla fine del primo decennio del Cinquecento.
Del 3 nov. 1489 è la commissione al D. della lunetta nel portale del duomo di Prato, raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Stefano e Lorenzo,opera da consegnarsi entro il marzo successivo, ma collocata solo nell'aprile 1496: databile intorno al 1490, reca l'anno dell'allogagione. Nel documento relativo si alludeva all'eventualità di realizzarla con un'invetriatura policroma, poi non adottata ma assai frequente nella successiva produzione robbiana.
E sempre per Prato il D. eseguì la decorazione invetriata della basilica di S. Maria delle Carceri, una delle più significative architetture dello scorcio del secolo edificata per volere di Lorenzo il Magnifico da Giuliano da Sangallo: quattro medaglioni con gli Evangelisti per i pennacchi della cupola, pagati al D. dal maggio 1491, trasportati nel giugno e montati da "Andrea e fratelli" - forse da intendersi come "e figli", cioè Marco Giovanni, Giovanni Antonio e Luca Bartolomeo - nell'agosto; il fregio interno della trabeazione, con festorii, candelabre e stemmi di Prato entro ghirlande, pagato dall'ottobre 1491 e già in loco nell'aprile 1492; e lo stemma per l'oculo del timpano esterno.
Negli Evangelisti di Prato il D. raggiunse il suo momento di maggiore complessità formale, avvicinandosi, nei modi scavati, vibranti e tormentati, alla pittura di Filippino Lippi che avrà un ruolo notevole per la formazione dei figli, soprattutto di Giovanni Antonio. Tale sorprendente vivacità ha suggerito anche una loro attribuzione, peraltro infondata, ad Andrea Sansovino (Seymour, 1966).
Gli stessi toni, pur con qualche cedimento dovuto ad interventi di collaboratori, si ritrovano in altre opere di questi primi anni Novanta, come l'imponente Ascensione di Cristo della Verna (Domestici, 1985-86) e le due lunette raffiguranti la Madonna della cintola e la Resurrezione di Cristo,ora nel portico dell'Accademia fiorentina, in origine in S. Chiara - ristrutturata dal Sangallo intorno al 1493 a spese di Iacopo Bongianni - dove ornavano gli altari con l'Adorazione dei pastori di Lorenzo di Credi ed il Compianto del Perugino (1495) ora agli Uffizi e a Pitti.
Difficilmente rintracciabili sono i fregi di cherubini e serafini della cappella della Compagnia di S. Frediano nella chiesa omonima a Firenze, pagati al D. e al figlio Luca Bartolomeo, dall'aprile 1494 al settembre 1502, e già compiuti nell'aprile di quell'anno; decorazione cui successivamente (1517-19) il D. aggiungerà altri invetriati (frammenti forse al Louvre).
Significativi sono anche alcuni lavori dei D. e bottega per Napoli, favoriti dagli intensi scambi diplomatici e culturali fra Lorenzo il Magnifico e Alfonso II d'Aragona (doc. in Pane, 1975 e '77; Donatone, 1980); e soprattutto le numerose teste clipeate - almeno diciotto - raffiguranti secondo antiche testimonianze eroi di casa d'Aragona entro cornici a ghirlanda; giunte a Napoli nel 1492, ornavano fra gli archi e sulle porte la "sala grande" della. superba reggia di Poggioreale appena costruita coi consigli di Giuliano da Maiano e dello stesso Lorenzo.
Uno di questi medaglioni, forse il solo superstite ed assai danneggiato, è oggi al Museo di Capodimonte, ed un secondo sembra identificabile con l'Antonino del Museo civico di Torino, pur con qualche perplessità per la diversa tipologia della cornice ed il soggetto.
È plausibile che il D. avesse eseguito per Poggioreale anche alcuni pavimenti invetriati e che fossero robbiane le molte mattonelle richieste a Firenze nel 1485 da Giuliano da Maiano tramite il fratello Benedetto, probabilmente per Castel Capuano dove infatti si trovavano pavimenti definiti "a la usanza fiorentina" che in parte verranno reimpiegati nel 1496 per i rifacimenti di Castel Nuovo (nella camera di Giovanna d'Aragona e forse nell'oratorio).
Inoltre a Napoli nella chiesa di Monte Oliveto la cappella Tolosa - edificata tra il 1492 e il '95 - ha nellacupoletta quattro medaglioni robbiani con gli Evangelisti, databili intorno al 1495 e forse dello stesso D., ed è possibile che nel decennio precedente gli fossero commissionati rilievi simili anche per la cappella Piccolomini, concepita come una replica della fiorentina cappella del cardinale di Portogallo, con sculture di Antonio Rossellino e Benedetto da Maiano.
Per la cappella di S. Fina nella collegiata di San Gimignano, opera di Giuliano da Maiano (1466-68) con altare marmoreo di Benedetto (1475), la bottega del D. aveva già prodotto (1475 c.) un raffinato pavimento in maiolica ad ambrogette esagonali con motivi di ispirazione tessile (alcuni resti nella sagrestia e nel Museo d'arte sacra), e per la cappella di S. Bartolo in S. Agostino, sempre a San Gimignano, anch'essa disegnata da Giuliano e con altare scolpito da Benedetto tra il 1492 e il '94, realizzerà un complesso pavimento con mazzi di fiori e di frutta e balza a cornucopie (attualmente presso l'Opificio delle pietre dure di Firenze), pagato al D. ed al figlio Luca Bartolomeo, come già inloco, il 16 ag. 1500 (doc. in Castaldi, 1921).
Questo tipo di interventi decorativi robbiani . fu assai apprezzato in varie corti d'Italia (per altri esempi degli stessi anni, vedi Ballardini, 1929; Gennari, 1957).
Il D. tra i vari impieghi della terracotta invetriata già sperimentati da Luca, oltre alla produzione di ambrogette (altre più antiche testimonianze a Santa Fiora, collegiata e Madonna della Neve; Empoli, Compagnia di S. Lorenzo, già nell'omonima cappella della collegiata; La Verna, cappella delle Stimmate e Museo: databili tutte intorno al 1480), intensificò notevolmente quella di stemmi, assai numerosi fin dal settimo decennio (vedi la voce Della Robbia, Luca). Ne abbiamo esempi in ogni palazzo pretorio della Toscana, realizzati sia nella consueta tipologia a targa lapidea sia in quella tipicamente robbiana con ghirlanda e tabella epigrafica o cartiglio, spesso retto da angeli.
Tra gli stemmi di altra destinazione e maggiore impegno ricordiamo: quello di Rodolfo Gonzaga nel palazzo delle Macine a Luzzara (Reggio E.), costruito dal Fancelli nel 1481 (Palvarini, 1987); di Francesco Sassetti in S. Trinita (1485-90 c.); quello Bardi di Vernio in palazzo Bardi "alle Grazie" - pagato ad Andrea il 2 ott. 1490 (doc. in Ginori Lisci, 1972, p. 613); quello del podestà Gabriele Ginori già sulla torre del palazzo comunale di Mantova ed ora nel Museo di palazzo ducale (Berselli, 1971); i quattro stemmi del capitolo di S. Maria del Fiore per la pieve di Signa (soltanto uno ancora in loco; due, ma non è certo se della stessa serie, sono al Bargello) pagati, insieme ad uno stemma del Popolo per S. Michele a Lomena, fra il 30 giugno 1498 e il 6 apr. 1503.
La produzione di tipo "non figurativo" della bottega robbiana comprendeva anche svariati arredi in maiolica mutuati dalla scultura in marmo o in legno, come tabernacoli, lavabi, fonti battesimali, per lo più istoriati, nicchie, cornici, mensole, specchiere; ed inoltre orcioli, vasi da farmacia e altre stoviglie (v. ad voces Giovanni Antonio e Francesco Iacopo) ed in particolare varie tipologie di vasi decorativi di gusto classicistico, invetriati ad imitazione di lapislazzuli, porfido o marmo con coperchio a forma di frutta e fiori (Cora, 1959 e 1973), utilizzati sia per tabernacoli sacri che in modo autonomo, forse come doni nuziali e da parto, allusivi alla "dovizia" della casa, significato da attribuire anche ad una più limitata produzione di cestini con frutta rigogliose e di singoli pomi (esempi nella collezione Contini Bonacossi a Pitti e altrove).
Tra i numerosi tabernacoli, per lo più con funzione di ciborio, della bottega del D. si segnalano, oltre ai due autografi di Santa Fiora già ricordati, quello nel duomo di Sansepolcro, anch'esso forse autografo, e quello nel duomo di Barga arricchito da angeli cerifori ed altre figure, riferibile a Giovanni Antonio (1495 c.: Gentilini, 1983/b); e i due, più modesti, di S. Elisabetta in Capitolo, ora al Bargello (1500 c.), di una tipologia più volte replicata.
Lo straordinario impulso produttivo dato dal D. alla bottega di via Guelfa si registra soprattutto negli innumerevoli rilievi destinati alla devozione privata raffiguranti la Madonna (a mezza figura) col Bambino o l'Adorazione, immagini quasi sempre arricchite da cherubini ed angeli e incorniciate da tralci o ghirlande di frutta e fiori (Gentilini, 1983/a).
Tra le tipologie più diffuse create intorno al 1480 e replicate fin oltre il primo decennio del Cinquecento ricordiamo: la Madonna di Bocca di Rio, che prende nome dall'esemplare venerato in quel santuario (in prossimità di Baragazza); la Madonna Foulc, dall'esemplare dell'Adorazione dei gigli - assai Museo di Nîmes, riprodotta anche da moderne manifatture ceramiche - della quale l'esempio più antico è forse quello con stemma Donati-Girolarni (di poco posteriore al 1477) oggi alla National Gallery di Washington. Tra i rilievi modellati dal D. in esemplare unico, notevole è l'Adorazione con quattro angeli del Musée de Cluny a Parigi (1485-90 c.).
Ma anche le stesse pale d'altare prodotte nella bottega robbiana tra il penultimo decennio del Quattrocento e il terzo del nuovo secolo furono, come affermava il Vasari, letteralmente "infinite" ([1568], 11, p. 180).
L'inevitabile ricorso a numerosi collaboratori, tra i quali almeno cinque dei suoi figli, impegnati spesso con tecniche seriali o in opere a più mani, determinò un consistente scadimento del livello qualitativo: opere di evidente incoerenza formale, dove elementi "a calco" si giustappongono a parti modellate da autori di livello diverso, e una produzione talvolta piuttosto monotona. Sembra però che l'iterazione di tipologie tradizionali e codificate, cui si apporteranno solo marginali aggiornamenti iconografici e stilistici, sia da considerare più che un mero espediente produttivo una scelta dettata dalle aspirazioni "devote" dei Della Robbia e sovente dalla stessa committenza. Non mancheranno comunque opere autografe, dell'anziano maestro o dei suoi più validi collaboratori, di una considerevole tenuta e attualità.
Nonostante le accurate ricerche del Marquand (1921, 1922 e 1928; cfr. inoltre Pope-Hennessy, 1979; Gentilini, 1983/b) la personalità artistica dei figli Marco Giovanni, Luca Bartolomeo, Francesco Iacopo e Girolamo Domenico - specialmente negli anni della loro collaborazione col padre - è in pratica ancora ignota, e le poche ipotesi risultano, per la scarsità dei documenti assai congetturali; come insufficiente e controversa è la nostra conoscenza della prima attività dell'altro figlio Giovanni Antonio (cfr. ad voces).Anche la personalità del D. si fa quindi, da questa data, più sfuggente ed assai ardua la definizione di un corpus di opere a lui direttamente ascrivibili e così quella del suo livello di intervento nei lavori affidati alla bottega.
Affidate dal D. a collaboratori sono ad esempio, già nell'ultimo decennio, numerose tavole di destinazione provinciale che raffigurano la Madonna col Bambino e santi secondo uno schema già collaudato intorno al 1480, tra le quali si ricordano quelle: per S. Romolo a Bivigliano, realizzata per l'altar maggiore a spese di Fiora e Francesco di Capo poco prima dell'aprile 1494, forse da Marco Giovanni; per la chiesa dei francescani riformati di Sargiano, poi nel camposanto di Arezzo e ora nel Museo, eseguita probabilmente in occasione della peste del 1495; per S. Francesco a Monte Carlo presso San Giovanni Valdarno, dal 1810 in S. Croce a Firenze (cappella Medici; la lunetta è nel Museo), commissionata dalla compagnia di Castel San Giovanni (1495 c.), con interventi autografi del D. solo nella Madonna col Bambino (Pope-Hennessy, 1979; Gentilini, 1985); per S. Pietro a Valsavignone presso Pieve Santo Stefano (1495-1500c.), forse modellata da Marco Giovanni; per S. Agata a Radicofani (1500c.), eseguita in buona parte da Andrea. Ed anche la Madonna del Soccorso di S. Maria in Gradi ad Arezzo - con gli stemmi di Valerio Carbonati che nel 1489 aveva fondato la cappella che la ospita -, seppur lodata dal Vasari ([1568], II, p. 179) come di "mano" dello stesso D., sembra prevalentemente opera di un collaboratore.
Inoltre in questi anni da non trascurare sono le esperienze "pseudorobbiane" di personalità estranee alla famiglia, come Benedetto da Maiano (Tessari, 1975-76; Chiarelli, 1982; Balogh, 1975), il Verrocchio, il Maestro del S. Giovannino (Gentilini, 1980), e forse Antonio Rossellino, Giuliano da Sangallo (Bardazzi-Castellani, 1981) e Benedetto da Rovezzano, e soprattutto l'opera occasionalmente prestata dai Della Robbia per invetriare e cuocere lavori di altri artisti (Pope-Hennessy, 1974 e 1979; Gentilini, 1983/b e 1984/b).
Uno dei maggiori e più significativi incarichi svolti dal D. sulla fine del secolo fu la decorazione con rilievi invetriati policromi del portico dell'ospedale dei pinzocheri di S. Paolo dei Convalescenti a Firenze (1493-95 c.), edificio la cui ristrutturazione, voluta nel 1451 da Antonino Pierozzi e progettata da Michelozzo, si protrasse fino al 1495 (Pope-Hennessy, 1986).
L'intervento del D. comprende sette medaglioni con santi francescani, due medaglioni con "opere di misericordia" (modellati da due collaboratori diversi, forse i figli Marco Giovanni e Luca Bartolomeo), due mezzi medaglioni col ritratto dello spedalingo Benino Benini, e, sul portale della chiesa, una lunetta ad altorilievo con l'Incontro di s. Francesco e s. Domenico (1494-95 c.) allusiva all'auspicata conciliazione tra i due Ordini mendicanti.
La variegata policromia naturalistica dell'invetriatura, qui in una delle più antiche e articolate formulazioni del D., e la caratterizzazione fisionomica delle figure, più insistita del solito, conferiscono a queste immagini un linguaggio immediato e popolare di notevole efficacia comunicativa, suggerito forse proprio da quei fermenti savonaroliani cui i Della Robbia si dichiareranno così sensibili. Inoltre nei ritratti e nella lunetta l'invetriatura non ricopre le carni, in origine tinteggiate con colori tradizionali, ora perduti, che consentivano effetti di maggiore verismo: soluzione più tardi, frequente nella bottega robbiana e in questi anni adottata dal D. anche nel medaglione in S. Maria del Carmine a Morrocco (Tavernelle) col Ritratto di Niccolò Sernigi, fondatore nel 1460di quella chiesa.
L'invetriatura policroma fu subito particolarmente apprezzata dalla committenza legata ai francescani riformati e il D. durante l'ultimo decennio la utilizzò anche in numerose pale modellate per lo più da collaboratori (Gentilini, 1983/b).
Si ricordano in un'ipotetica successione cronologica: l'Assunta in S. Francesco a Barga, modellata nei primi anni Novanta da almeno due diversi collaboratori, forse i figli Marco Giovanni e Giovanni Antonio; la lunetta (Madonna col Bambino e due santi)di S. Orsola, ora nel portico dell'Accademia a Firenze; il Presepe nel duomo (S. Francesco) a Massa, opera di livello considerevole e probabilmente in parte del figlio Luca Bartolomeo, della quale rimangono solo le figure principali; la Madonna in trono e santi,della cappella di Puccio di Magio, o cappella Maggiore del S. Francesco di Arezzo - dove il Vasari ([1568], II, p. 179), che la giudicò autografa, ricordava anche una dispersa Circoncisione per la famiglia de' Bacci -, attualmente in duomo, opera essa pure a più mani; l'Adorazione dei magi di Londra, con stemmi Albizzi (Victoria and Albert Museum: Pope-Hennessy, 1964/b e 1979), ispirata ad una pala del Perugino e riferibile forse a Luca Bartolomeo; le due pale laterali nella chiesa inferiore della Verna, con stemmi Bartoli e Rucellai, modellate intorno al 1495 da due diversi artisti che potremmo identificare con Giovanni Antonio (Cristo nel sepolcro tra i dolenti)e Luca Bartolomeo (Natività e santi); l'Incoronazione della Vergine in S. Francesco Grande a La Spezia, per la quale non è da escludere un intervento del giovane Francesco Jacopo Della Robbia; il Presepio e santi in S. Francesco a Barga, commissionato intorno al 1500 dalla famiglia Angeli Turignoli, che per la notevole finezza plastica ed articolazione compositiva aggiornata su fatti pittorici (Filippino Lippi) ci suggerisce ancora il nome di Luca Bartolomeo.
Attraverso tali intensi rapporti con l'Osservanza francescana il D. era da tempo sensibile ai fermenti di una religiosità riformata e ben presto subì il fascino della predicazione del Savonarola; sembra plausibile che intorno al 1494, con altri artisti e intellettuali in precedenza legati alla cerchia laurenziana, sia entrato nelle file dei piagnoni. Infatti a partire dall'anno successivo la devozione dei Della Robbia per il Savonarola, nota anche al Vasari (1568), risulta ben documentata, giacché, come si è detto, due dei figli del D. (Marco Giovanni e Francesco Iacopo) entrarono nell'Ordine domenicano, vestiti dallo stesso Savonarola in S. Marco e così due figlie; e quattro di essi nel 1498 parteciparono alla difesa armata del frate. Inoltre il 19 giugno 1498 il D. fu uno dei trecento fiorentini ammoniti dalle autorità per aver testimoniato al papa che il Savonarola, del quale ascoltavano i sermoni, predicava "buona dottrina" e tra i seguaci del frate sospesi per due anni da ogni pubblico ufficio. Le inclinazioni savonaroliane del D. rimarranno comunque ben vive e testimoniate anche da una cospicua committenza domenicana e dagli evidenti rapporti, iconografici e stilistici, delle sue opere cinquecentesche con la pittura devota della cosiddetta scuola di S. Marco.
Dalla metà dell'ultimo decennio tale religiosità rigorista portò il D. a mortificare ogni compiacimento formale e indugio naturalistico in composizioni immobili e rarefatte, immagini appiattite, rigide, definite più da linee che plasticamente, e figure meste, castigate, dalle fisionomie stereotipe; caratteri che, si è osservato, offrono analogie con la coeva produzione pittorica del Perugino, e sembrano guardare alla scultura d'Oltralpe, apprezzata per la sua intensità devozionale.
Una delle migliori testimonianze di questo momento sono i rilievi di S. Lorenzo a Montevarchi che decoravano la cappella del Latte (lunetta con la Pietà, S. Giovanni Battista e S. Sebastiano entro nicchie, predella con angeli, fregi di cherubini, soffitto a lacunari e drappo: 1495-1500 c.) e la balconata esterna, interamente in maiolica (Ilconte Guido Guerra dona la reliquia del Latte di Maria alle autorità di Montevarchi; Angeli con stemmi di Montevarchi:1500 c.), complessi demoliti all'inizio del Settecento e recentemente ricomposti nell'annesso museo; è perduto invece il fonte battesimale robbiano già nella cappella simmetrica. Altrettanto eloquente è l'affollata pala di S. Bernardino all'Aquila (1495-1500 c.), importante centro dell'Osservanza, commissionata dalla famiglia Vetusti Oliva, in cui si dispongono con rigorosa evidenza ventotto figure a rappresentare la Resurrezione di Cristo tra santi e insieme l'Incoronazione della Vergine (ha inoltre una predella con quattro scene): un'opera che dovette essere ben presente al Perugino ed allo stesso Raffaello giovane.
Tra le altre grandi pale d'altare realizzate dalla bottega robbiana sullo scorcio del secolo ricordiamo: l'Ascensione di Cristo di S. Agostino a Città di Castello, commissionata dalla famiglia Cordoni, oggi al Lotivre assai rimaneggiata (forse ne facevano parte le notevoli formelle col Martirio di s. Caterina del Museo di Cluny) e quella in S. Domenico (ora S. Michele Arcangelo) a Foiano, che si può ritenere modellata da Giovanni Antonio Della Robbia; e, sempre a Foiano, nel coro di S. Francesco, il Cristo e la Vergine che intercedono presso Dio Padre,opera in parte autografa e in parte riferibile ancora a Giovanni Antonio. Tra le immagini della Vergine: la Madonna a figura intera, forse in origine un'Annunziata, detta"della Consolazione", venerata nella chiesetta della Madonna di Vitaleta a San Quirico d'Orcia; la Madonna col Bambino in S. Maria Assunta a Stia, già in un tabernacolo lungo la via di Pratovecchio (Fosso Lungo), versione semplificata di un modello del 1480 c.; ed una tipologia piuttosto diffusa, nota principalmente attraverso i rilievi che si conservano in due tabernacoli fiorentini, il primo (piazza dell'Unità) forse appartenuto ai Cerretani, l'altro (via della Scala) con stemma Medici, sull'angolo del palazzo costruito ai primi del Cinquecento da Bernardo Rucellai; di questa immagine esiste un esemplare nel Museo di Sansepolcro, già in palazzo comunale, databile al 1503 per la presenza dello stemma di Bernardo Manetti che in quell'anno fu capitano e commissario di Borgo Sansepolcro.
Il 5 marzo 1502 D. inviò a Londra una Pietà con le Marie intorno formata da "otto figure grandi, di terracotta parte invetriata e parte dipinta", e una simile "figura di S. Maria Maddalena,mezzana" con relativa "gocciola per posarla", e il 28 giugno 1504 "una figura grande di terra cotta di Nostro Signore per il sepolcro", il cui Cristo inviato nel 1502 era forse stato danneggiato (doc. in Corti, 1970 e 1973): è probabile che questo gruppo, a noi ignoto, avesse una composizione analoga a quella da lui adottata nella pala di S. Lorenzo a Bibbiena (1515 c.), col Cristo sulle ginocchia della madre secondo un'iconografia assai diffusa in ambito savonaroliano e nella tarda produzione robbiana.
Esistono comunque alcune Pietà, ma a quattro figure, riferibili al D. o a stretti collaboratori e databili al primo decennio del Cinquecento: a Moulins nel Musée départemental de l'Allier (invetriatura parziale; rimangono solo la Madonna e il Cristo) e presso privati (vendita Semenzato, Venezia, 25-27 apr. 1975, n. 481, non invetriata), opere forse autografe; a Capugnano, presso Porretta Terme in S. Michele, non invetriata, priva del S. Giovanni; e a Londra nel Victoria and Albert Muscum (in origine in una cappella privata di Siena, col Cristo deposto a terra; invetriatura parziale: Pope-Hennessy, 1964/b), modellata forse dal figlio Luca Bartolomeo.
La Madonna della Cintola dei Ss. Martino e Leonardo a Foiano (con iscritta la data, 12 apr. 1502, e il nome dei committenti Jacopa e Quirico di Bartolomeo) ha una monumentalità greve e figure corpose, paludate in vesti pesanti. Severità formale che assume i toni rudi della scultura tardoantica o di un intaglio tedesco nella Pentecoste oggi in S. Matteo a Memmenano forse di poco precedente e, non si può escludere, modellata in parte da un abile collaboratore (Domestici, 1985-86).
Compassata e maestosa è anche la Madonna col Bambino incoronata da angeli sul portale del duomo di Pistoia, che, con la decorazione a lacunari del relativo imbotte, fu commissionata nel 1504, trasportata nel luglio 1505, e montata e dorata tra il 26 luglio e il 24 agosto dallo stesso D., aiutato da uno dei figli, forse Luca Bartolomeo cui si riferiscono anche alcuni pagamenti, e da un garzone, certo Michele.
Il 26 luglio 1506 Giulio Il concesse al D. un lasciapassare, di tono particolarmente amichevole e premuroso, perché si recasse presso di lui a Roma con "alcune cose ed opere" eseguite su suo incarico (doc. in Marquand, 1922, p. XXV); tali lavori non sono a noi noti, ma abbiamo altre testimonianze di un'intensa attività romana dei Della Robbia durante il secondo decennio del secolo (ad voces Marco Giovanni e Luca Bartolomeo).
Tra il 1507 e il giugno 1508 il D. realizzò per S.Maria della Quercia a Viterbo, importante santuario della Congregazione di S.Marco, le tre lunette dei portali della facciata che si stava costruendo forse su disegno di Giuliano da Sangállo (Madonna col Bambino tra due santi; S. Pietro martire e S. Tommaso d'Aquino, tra angeli).
Alcuni pagamenti avvennero tramite fra' Ambrogio (il figlio Francesco Iacopo che era appunto domenicano in S. Marco), ma questi rilievi sembrano opera sostanzialmente autografa del D., il quale propone qui figure di una imponenza irrigidita e semplificata in moduli geometrici, quasi neoarnolfiani, e in linea con la pittura di fra' Bartolomeo attivo qualche anno dopo per la stessa chiesa.
La sintonia del D. con la scuola di S.Marco è ben esemplificata anche dalla pala già in S. Francesco a Montalcino, ora nel Museo civico, commissionata nel 1507 da Niccolò di Giovanni Posi, e probabilmente eseguita entro quell'anno, dove si conferma uno schema essenziale e tradizionalista (la Madonna col Bambino,su trono rialzato, incoronata da angeli in volo ed affiancata da santi, entro una semplice incorniciatura con cherubini e ghirlande), schema assunto negli anni seguenti come canonico per la produzione corrente della bottega del Della Robbia.
Altre pale d'altare realizzate dal D. durante il primo decennio, ma con più largo intervento di collaboratori, sono: la Madonna e santi in S. Pietro a Radicofani, con stemmi dell'arcivescovo Dino e della famiglia Muta (1507c.); l'Assunta di S. Giovanni a Città di Castello, ora nella Pinacoteca, commissionata dalle tre figlie di Matteo Fucci; la Resurrezione,entro una nicchia coi Ss. Bartolomeo e Bernardo,del Bode Museum di Berlino Est; la Lamentazione nella cattedrale vecchia di Marsiglia.
In questi anni nella bottega del D. si produssero anche interessanti pale policrome con invetriatura parziale, per lo più attribuibili probabilmente al figlio Luca Bartolomeo, divenuto il maggiore e più fedele collaboratore del D., aiutato dal fratello Girolamo Domenico: l'Adorazione dei pastori nella pinacoteca di Città di Castello anch'essa già in S. Giovanni; il tabernacolo coi Ss. Giovanni Evangelista e Iacopo Minore di S. Stefano in Pane; l'Annunciazione utilizzata nel 1830 come tabernacolo di casa Sorbi (borgo S. Iacopo); il Cristo nell'Orto dei Getsemani del Louvre (cfr. Gentilini, 1983); l'Adorazione dei pastori oggi in S. Chiara a Monte San Savino, proveniente dalla Compagnia di S. Maria della Neve (o S. Maria Maggiore), commissionata il 10 nov. 1509 (doc. nell'Archivio di Stato di Firenze, Conventi soppressi, S. Agata di Monte S. Savino, 86, n. 201: in Gentilini, 1982-83); il Noli me tangere del monastero di S. Lucia, nel 1817 collocato in una cappella del chiostrino dei morti di S. Maria Novella.
Intorno al 1510 per S. Giovanni dei Fiorentini a Viterbo la bottega robbiana realizzò la lunetta del portale (Madonna col Bambino tra angeli)e un busto in terracotta dipinta raffigurante Giovanni Alamandiano,che aveva gestito la ristrutturazione di quella chiesa, opere ora nel Museo civico. La lunetta, pagata al D. l'11 ott. 1509, ha caratteri a lui assolutamente estranei e più vicini al figlio Marco Giovanni (fra' Mattia) o forse Francesco Iacopo (fra' Ambrogio). Il busto, che sul basamento ligneo reca la data 1510, fu pagato il 7 febbr. 1511: è modellato in modo piuttosto sommario, ma non si può escludere l'autografia dell'anziano maestro la cui attività ritrattistica è attestata anche da un successivo pagamento (1514) - tramite il figlio Francesco Iacopo - di Guido Magalotti, capitano di Castrocaro, per aver eseguito "certe teste di creta". Sembra dunque plausibile l'ipotesi che al D. o alla sua bottega siano da ricondurre anche parte dei molti busti fiorentini in terracotta dipinta del primo Cinquecento dai caratteri stilistici un po' anonimi e spesso foggiati tramite calchi dal vero (Pope-Hennessy, 1986).
Numerose, ed alcune autografe e di notevole interesse, sono inoltre le statue prodotte nella bottega del D. durante il primo decennio del Cinquecento, fra le quali: il S. Sebastiano di S.Francesco a Montalcino, ora nel Museo civico; la Maddalena penitente in S. Iacopo a Borgo a Mozzano, già nell'oratorio della Maddalena presso l'omonimo ponte (Gentilini, 1983); la Vergine Annunziata in S. Pietro a Radicofani; e, tra quelle policrome, invetriate parzialmente: la Madonna col Bambino,seduta, di S. Maria a Lizzano; e quella in S. Michele a Volterra, già nel vicino oratorio; la S. Lucia di S. Maria a Ripa ad Empoli, la cui nicchia, con stemma Dini, è oggi nel Museo della collegiata (Paolucci, 1985); il S. Cristoforo attualmente nel chiostro di S. Lorenzo; i Ss. Benedetto e Romualdo del duomo di Sansepolcro; i Ss. Antonio abate e Stefano al Victoria and Albert Museum di Londra e l'Annunciazione di Norcia (Museo della Castellina), proveniente dalla chiesa dell'Annunziata, fondata nel 1506.
Del 28 apr. 1512 è un pagamento al D. per un grande tabernacolo con angeli reggicortina commissionato da Giovanni di Piero Acciaiuoli, a quella data già nella cappella di famiglia in Ss. Apostoli a Firenze, dove ancora si conserva (Pope-Hennessy, 1979). Per quanto talvolta attribuito a Giovanni Antonio, che al più potrebbe aver modellato i putti sul coronamento, è da considerare opera eseguita sotto la diretta sorveglianza del D. ed almeno in parte autografa. Come nel coevo altare ad uso di tabernacolo oggi nel duomo di Montepulciano (Quattro santi e, nella lunetta, l'Annunciazione), già nel camposanto vecchio, le figure accennano ad una maggiore articolazione spaziale, con qualche cadenza dinamica, rivelando come l'anziano maestro fosse ancora sensibile ai mutamenti del clima artistico.
Sembra del resto che proprio in quegli anni due dei figli del D., Luca Bartolomeo e Girolamo Domenico (ad voces), partecipassero vivacemente ai più moderni fermenti figurativi, in particolare stringendo amicizia con Andrea del Sarto che li ritrasse in due delle Storie di s. Filippo Benizzi affrescate tra l'ottobre 1509 e l'autunno seguente nel chiostrino dei voti della Ss. Annunziata dove, "in un vecchio vestito di rosso, che viene chinato con una mazza in mano" ad assistere al Miracolo delle reliquie del santo,raffigurò anche lo stesso D. (Vasari [1568], V, 1880, p. 13).
Testimoniano tali inattese attenzioni robbiane per la nuova maniera fiorentina alcuni notevoli invetriati collegabili alla bottega del D., ma di attribuzione problematica e qualità discontinua, giacché talvolta realizzati a più mani, e peraltro assai poco indagati (Gentilini, 1983/b): la piccola Resurrezione al Bargello dal convento di S. Bartolomeo a Monte Oliveto, datata 1510 e già nello stile affusolato e mosso di Iacopo Sansovino (Girolamo Domenico Della Robbia?); la pala policroma di S. Mauro a Signa (Madonna col Bambino tra due santi: ilbusto di S. Iacopo,trafugato, si trova ora nei depositi del Bargello), nella fluidità dei panneggi e nell'ampio gestire sensibile all'esempio di Raffaello e della prima attività sartesca, forse realizzata dal figlio Luca Bartolomeo che, con un più modesto collaboratore (Francesco Iacopo Della Robbia?), potrebbe aver eseguito anche la Madonna e santi di S. Maria a Lizzano, con la data 1511, e la Madonna della Misericordia della Liebieghaus di Francoforte (Maek-Gérard, 198 1), in origine in S. Domenico a Gubbio e lì contornata dai quadretti coi Misteri del rosario oggi presso la collegiata di Gualdo Tadino, uno dei quali datato 1513, opere queste in cui le parti migliori dichiarano un analogo aggiornamento stilistico;il S. Francesco stimmatizzato di S.Francesco a Barga, con ulteriori riferimenti sarteschi nel paesaggio, e raffaelleschi nelle figure, che indicano una datazione verso il 1515 (Girolamo Domenico?); la Madonna e santi di S. Iacopo a Gallicano, probabilmente commissionata da Giuliano Cheli nel 1516, dove, entro una cornice di stretta osservanza robbiana realizzata dal D. o con suoi modelli, troviamo figure assai moderne, forse del figlio Girolamo Domenico cui si potrebbe attribuire anche la finissima traduzione plastica della Bella giardiniera di Raffaello, con stemmi Strozzi e Dei Benino, già in palazzo Vieri Canigiani ed ora in deposito presso la Biblioteca nazionale di Firenze; la scenetta nella nicchia del S. Pietro martire in S. Domenico ad Arezzo, con un Martirio del santo identico a quello dipinto nel 1515 da Ridolfo del Ghirlandaio per l'altare del Bigallo di Firenze; e le sorprendenti predelle delle due pale - altrimenti assai tradizionali - in S. Francesco a Bibbiena (1513-20), che dichiarano un'assimilazione profonda e una raffinatissima miniaturizzazione delle maggiori esperienze pittoriche del secondo decennio. Prodotto nella bottega del D. intorno al 1515 è inoltre il S. Giuseppe tra angeli in S. Pietro a Castelnuovo Garfagnana, per il quale si è proposto il nome di Iacopo Sansovino, seppure non è da escludere anche in questo caso quello di Girolamo Domenico Della Robbia; mentre la Madonna e santi inS. Francesco ad Asciano, una delle più mature adesioni al linguaggio cinquecentesco della bottega robbiana, sembra opera di Luca Bartolomeo e già del terzo decennio, eseguita probabilmente in occasione della peste del 1522.
Nel 1513 il D. fu pagato dalla certosa del Galluzzo per un Cristo e un S. Lorenzo, collocati ai primi di luglio all'inizio della salita che conduce al monastero; di questi rilievi si conserva solo il Cristo portacroce,ora nel colloquio (assai danneggiato e per metà rifatto: Chiarelli, 1982), che, per quanto nei modi del D., sembra opera di un collaboratore, forse del figlio Girolamo Domenico menzionato come tramite di alcuni pagamenti. La testa ha infatti un modellato scultoreo, analogo a quello del grande rilievo policromo col Cristo e la Samaritana già nel palazzo pretorio di Pieve Santo Stefano, oggi nella sala consiliare, datato 1511 su due targhe invetriate ad esso collegabili e riferito dalla letteratura locale a Girolamo Domenico. In buona parte autografa del D. appare invece l'imponente pala con l'Assunta tra quattro santi in S. Francesco, sempre a Pieve Santo Stefano, che, come indica un'iscrizione sulla predella, fu fatta fare nel 1514.
In quest'opera, paradigmatica dell'attività estrema del D., figure raffrenate da esuberanti panneggi tornano a disporsi in una composizione immobile e semplificata di sapore arcaico, i colori si stemperano in toni da smalto e la decorazione viene limitata ai più tradizionali motivi robbiani. Così anche nell'altare di S. Maria delle Grazie a Montepulciano (Eterno e santi,di poco successiva al 1514) e nelle due pale (1513-1520) di S. Lorenzo a Bibbiena (Pietà con lamentazione, Natività con adorazione dei pastori), recanti gli stemmi di Leone X e del cardinal Bibbiena, in cui gli aspetti formali più moderni sono relegati alle predelle, riferibili, quelle di Bibbiena, ad un collaboratore di livello eccezionale.
I rapporti della bottega del D. con Leone X sono testimoniati anche da uno stemma del pontefice (Mostra Mercato int. antiquariato [catal.], Firenze 1961 e 1967) stilisticamente collegabile ai lavori di Bibbiena.
Si segnalano altre pale riferibili all'attività estrema del D., opere spesso di livello assai modesto, d'incerta autografia e ardua datazione: Madonna col Bambino e santi a Radicofani, S. Pietro; Pelago, S. Maria del Carmine a Fossi; Siviglia, cattedrale; eremo di Camaldoli, cappella di S. Bernardo degli Uberti, coi ritratti dei committenti, difficilmente identificabili; La Verna, chiesa Maggiore, dall'ospizio di S. Onofrio in Vallesanta; Montepulciano, Museo civico, dalla cappella delle Carceri; Pietà,Firenze, Museo di S.Marco, da una cappellina viaria presso il castello di Legri; Crocifissione e santi,Fiesole, S. Maria Primerana, presumibilmente, per l'analoga iscrizione, anch'essa in origine in una cappella viaria.
Efficace espressione dei rapporti del D. con la cultura artistica di S. Marco è il Presepe in S. Maria Maddalena a Pian del Mugnone, monastero prediletto da fra' Bartolomeo il quale affrescò l'Annunciazione sopra la nicchia che lo ospita, "fatto per mano di Andrea", e collocato il 22 sett. 1515 (doc. in Marquand, 1922, p. 259).
Era composto da cinque figure in terracotta dipinta delle quali si sono persi il bue e l'asino, che successivamente furono arricchite da "altre figure pregevoli", forse anch'esse del D. o della sua bottega (Milanesi, 1878, p. 180), identificate con qualche incertezza nei tre busti di Re magi oggi a Oxford (Ashmolean Museum). Il documento del 1515 e le tre statue ancora in loco, di un pacato e nobile naturalismo assai tipico del D., sembrano testimoniare che l'ottuagenario niaestro, in caso di commissioni significative, partecipava ancora concretamente alla produzione della bottega robbiana.
Di altri presepi realizzati in questi anni dal D. o dai più stretti collaboratori, come il figlio Luca Bartolomeo, rimangono singole figure, per lo più del Bambino o della Madonna in adorazione, due delle quali, policrome con invetriatura parziale, a New York (Metropolitan Muscum, figura mezzana, collezione Thaw, al naturale) già attribuite a Giovanni Domenico Della Robbia (Marquand, 1920).
Gli ultimi documenti sull'attività artistica del D. riguardano alcune opere oggi disperse che egli per l'età potrebbe aver affidato a collaboratori: a Firenze i lavori per la cappella della Compagnia di S. Frediano nella chiesa omonima (una Resurrezione pagata tra il settembre 1517 e quello dell'anno successivo, e una serie di cherubini collocati nell'architrave dell'altare nel maggio 1519), e l'"arme" di Guido Magalotti di Castrocaro (pagata nel 1522). A incerta anche l'autografia del tabernacolo nel Museo della collegiata di Empoli, in origine all'esterno del palazzo pretorio, con una grossolana Madonna col Bambino a figura intera, commissionato poco dopo il 16 giugno 198 (Paolucci, 1985).
Di questi anni è anche il tabernacolo col S. Antonio abate per l'omonima chiesa di Castiglion Fiorentino, ora nella collegiata; ed altre fra le molte statue riferibili all'attività estrema della bottega del D. sono: i Ss. Francesco e Domenico nella cappella Castellani a S. Croce, in origine in S. Lucia di Camporeggi; e quelle che costituiscono gruppi raffiguranti l'Annunciazione a Montepulciano, in S. Maria delle Grazie (policrome; 1515 c.) e al Museo civico (dall'oratorio della Misericordia), e al Musée Jacquemart-André di Parigi (Gavoty, 1975).
Sembra che intorno al 1520 il D. fosse in qualche modo implicato nella decorazione e nell'arredo del celebre palazzo fiorentino dei Bartolini Salimbeni appena edificato da Baccio d'Agnolo (doc. in Ginori Lisci. 1972, p. 178, n. 9): probabilmente una statuetta da fontana, come peraltro si producevano anche nella sua stessa bottega (esemplari invetriati a New York, coll. Hoyt; Parigi, coll. Gavet; Berlino, Staatliche Museen e altrove).
Non si può escludere quindi che il D. fosse ancora operoso nei primi anni Venti, giacché il 14 sett. 1522, dettando nella sagrestia di S. Marco il proprio testamento, si dichiarava in pieno possesso delle proprie facoltà mentali e fisiche.
Lasciate alcune rendite alla moglie Nannina e alla figlia Maria e denari e altre cose alle figlie Caterina e Margherita, suore in S. Lucia, istituì eredi di ogni suo bene i figli Giovanni Antonio, Luca Bartolomeo e Girolamo Domenico preoccupandosi di dividere in parti uguali l'abitazione di via Guelfa che egli aveva ingrandito con altri fabbricati (1494 c.) e terreni (1492). L'adattamento dell'"anticucina" - dove si trovavano il forno e i truogoli per le invetriature - che pur facendo parte dell'edificio assegnato a Giovanni Antonio veniva sacrificata a favore di Girolamo Domenico per ricavarvi un passaggio all'orto risultò insoddisfacente e il 18 febbr. 1523 il D., ora "corpore languens", aggiunse al testamento un codicillo col quale la lasciava "integra" a Giovanni Antonio concedendo a Girolamo Domenico un'altra stanzetta. Ma sembra che anche questa soluzione non venisse apprezzata, e il 12 giugno dell'anno seguente il D. preferì revocare il proprio testamento.
Il D. morì a Firenze il 4 ag. 1525; per sua espressa volontà le esequie si tennero in S. Marco e fu sepolto, il giorno successivo, nella tomba di famiglia in S. Pier Maggiore.
Nell'arte dei maestri di pietra e legname il D. aveva ricoperto varie volte le cariche di consigliere (tra il 1469 e il 1524), sindaco (tra il 1473 e il 1524) e tesoriere (1504). Nel 1472 il suo nome compare nei registri della Compagnia di S. Luca, o confraternita dei pittori, dove, in qualità di camarlingo, iscrisse il Botticelli e ancora nel 1482. Inoltre il 25 genn. 1504 fece parte, con Benedetto Buglioni ed altri scultori, della commissione incaricata di scegliere l'ubicazione del David di Michelangelo.
Oltre ai rapporti con numerosi artisti fiorentini - scultori, pittori e architetti - deducibili da considerazioni stilistiche, dalla committenza e dalle vicende biografiche, tra i quali particolarmente stretti dovettero essere quelli con fra' Bartolomeo e gli altri della cosiddetta scuola di S. Marco, è documentata l'amicizia del D. con Giuliano da Maiano, il Francione e il Monciatto, scelti come giudici nella divisione della casa di via Guelfa (13 nov. 1482: Pope-Hennessy, 1980) e con Andrea del Sarto. Al Vasari "fanciullo", l'anziano maestro ricordò con orgoglio "d'essersi trovato a portar Donato alla sepoltura" (Vasari [1568], II, 1878, p. 181).
L'alta considerazione in cui il D. fu tenuto dai contemporanei risuona nelle parole di Pomponio Gaurico (1504), che usò per lui il topos classico "Naturani existimes ipsani fecisse que huius manus effinxit". Lodato, anche come scultore in marmo, dal Vasari, in particolare nella seconda edizione delle Vite (1568), e dal Baldinucci, che gli dedicò una biografia autonoma (1681-1728), il D. poté godere di una straordinaria fortuna nel secondo Ottocento (Rio, 1841; Perkins, 1864; Reymond, 1897) sia per la religiosità e il gradevole naturalismo delle sue immagini, sia per le componenti tecniche e "industriali" di una così consistente e raffinata produzione ceramica, fortuna culminata nella ponderosa e fondamentale monografia del Marquand (1922). Ma la reazione novecentesca al gusto "preraffaellita" ha poi preferito negare quasi ogni valore artistico all'attività del D. (cfr. Pope-Hennessy, 1964, Seymour, 1966) e solo da pochi anni si è cercato di riabilitarne la figura con nuove indagini storiche (Pope-Hennessy, 1979).
Fonti e Bibl.: Il fondamentale catalogo ragionato di A. Marquand (1922), Cui si rimanda per i documenti qui ricordati senza ulteriori indicazioni e per una più ampia bibliografia anteriore al 1920 c., è integrato e in più parti corretto dal contributo di J. Pope-Hennessy (1979). Ma cfr. anche: Firenze, Bibl. nazion. Baldovinetti 70: Maso di Bartolomeo, Libro di ricordi [1449-1456], c. 51r; B. Dei, Memorie notate [1470], a cura di C. Romby, Firenze 1976, p. 72; Leonardo da Vinci, Trattato della pittura (1492 c.), a cura di J. P. Richter, London 1939, 1, P-93; P. Gaurico, De Scuiptura [1504], a cura di A. Chastel-R. Klein, Genève-Paris 1969, pp. 24 1, 245 ss., 249; G. Vasari, Le vite... [1568], a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 179 ss., 184; V, ibid. 1880, p. 13; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno ... [1681-1728], a cura di F. Ranalli, I, Firenze 1845, pp. 456, 555-559; II, ibid. 1846, p. 76; A. F. 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