Andrea di Jacopo d'Ognabene
Orafo pistoiese, noto dal 1284 e operoso fino al 1320 circa. Già maggiorenne nel 1284 (Gai, 1984, p. 57), nel 1287 doveva essere pagato per un calice da lui "rifatto", insieme al fratello Tallino (notizie dal 1286 al 1305; Gai, 1984, pp. 56-58), commissionato nel 1286 dall'Opera di S. Jacopo di Pistoia (Ciampi, 1810, pp. 57, 128; Gai, 1984, p. 55). Nel febbraio 1293 era presente a un importante atto politico comunale (Gai, 1984, p. 57) e fra il marzo e l'aprile di quell'anno restaurava la tabula argentea con le immagini della Madonna in trono con il Figlio e i dodici apostoli (posta come dossale sull'altare della cappella di S. Jacopo nel duomo di Pistoia e commissionata nel 1287), allora danneggiata per un furto. I documenti di questo restauro, noti fin dal 1810 (Ciampi, 1810, pp. 130-131), riprodotti parzialmente da Beani (1885, pp. 51-52), sono stati di recente ripubblicati con più corretti criteri filologici (Rauty, 1981, p. 41; Gai, 1984, p. 204 nr. 55). Nel 1314 A. risultava avere stimato un calice dell'Opera di S. Giovanni Evangelista di Pistoia (Gai, 1984, p. 57) e nello stesso anno restaurava due figure di apostoli della già ricordata tabula argentea danneggiate da un nuovo furto (Ciampi, 1810, p. 134; Gai, 1984, p. 205 nr. 64). Nel dicembre del 1316 ultimava, firmandolo "Andreas Jacobi Ognabenis", il paliotto frontale in lamina argentea sbalzata, dorata e ornata di smalti traslucidi, per l'altare di S. Jacopo, con Storie di Cristo e dell'apostolo Giacomo Maggiore. Probabilmente verso il 1317 l'orafo eseguiva un calice in argento dorato decorato con smalti, commissionato dalla Confraternita di S. Giovanni Battista per la chiesa di S. Maria Maddalena degli Umiliati di Pistoia, firmato "Andreas de Pistorio" e attualmente nel Mus. Civ. di Pistoia, di recente identificato (Gai, 1988). Dopo il 1316, tuttavia, mancano ulteriori notizie documentarie locali, forse per un probabile trasferimento dell'artista in Lucchesia, dove tuttora si trovano opere attribuite alla sua tarda maturità. Delle opere documentate di A. restano le parti dell'antica tabula argentea che egli restaurò nel 1293 e nel 1314, incluse nell'attuale dossale argenteo dell'altare di S. Jacopo nel duomo di Pistoia (sec. 14°; Gai, 1984, pp. 63-66, 71). È opera certa anche il citato paliotto frontale per il medesimo altare (1316), per il quale tuttavia unico documento è la lunga iscrizione che vi si trova, autografa, con data e nome dell'artista. È anche documentato dalla sola iscrizione il già menzionato calice degli Umiliati (ca. 1317).
Il calice 'rifatto' dall'orafo con il fratello Tallino (1286-1287) è stato identificato con il calice detto 'di s. Atto', in argento interamente dorato e filigrane, ora nel Mus. Capitolare di Pistoia (Gai, 1984, p. 67), già noto alla critica e in precedenza attribuito all'orafo senese Pace di Valentino (Hueck, 1982, p. 266). In effetti il calice costituisce un importante indizio per ricostruire la formazione di A., legato alla cultura orafa senese intorno al 1270 e forse discepolo di Pace di Valentino.Il percorso artistico dell'orafo pistoiese conta opere di elevata qualità, che si distaccano nettamente dal livello medio della produzione corrente. Dopo il probabile apprendistato a Siena, ambiente dove allora rifluivano i modi dell'oreficeria monumentale oltramontana degli inizi del sec. 13° e dove era presente il nuovo linguaggio gotico di Nicola Pisano, la prima attività di A. è caratterizzata da uno stile ancora aulico e solenne. Nell'attribuito calice 'di s. Atto' egli impiega ancora la filigrana come principale elemento decorativo e rimane, nella tabula argentea con la Madonna e gli apostoli per l'altare di S. Jacopo ora a lui assegnata (Gai, 1984, pp. 55, 58-71), entro l'ambito del classicismo nicolesco - ma anche di derivazione renano-mosana - che tuttavia si stempera, dopo l'inizio del sec. 14°, in un più addolcito e maturo stile gotico. Eloquenza narrativa, sicuro linguaggio plastico, inserti a smalto sui fondi, caratterizzano le cinque placchette della Cintola del duomo di Pisa, ora nel Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana (Ragghianti, 1960, p. 66), databili all'ultimo decennio del 13° secolo. Le placchette pisane, così come l'apostolo rifatto nel primo restauro della tabula argentea dell'altare di S. Jacopo di Pistoia, paiono segnare il chiudersi del primo tempo della stagione artistica di A.; l'attività dei primi venti anni circa del Trecento risulta caratterizzata da un più insistito goticismo, legato alla coeva pittura e oreficeria senese (per la messa a punto della tecnica dello smalto traslucido), ma anche ai modelli offerti da Giovanni Pisano. Ne sono indizio i due apostoli della ricordata tabula argentea, restaurati nel 1314, e ne è prova il paliotto frontale dell'altare di S. Jacopo (1316), con figure larghe e morbide animate dai sensuosi partiti decorativi del panneggio e con grandi smalti traslucidi, realizzati con tecnica superba e originalità grafica e cromatica. Di grande qualità si rivelano anche gli smalti del calice degli Umiliati, probabilmente eseguito subito dopo il paliotto.
Le opere della tarda maturità, caratterizzate dal ritorno al solo sbalzo e dall'assenza di smalti, sono tutte ubicate nella diocesi lucchese e mostrano un rapido evolversi del linguaggio gotico verso forme sempre più corsive, dove l'ispirazione cede il posto al mestiere, pur sempre sicuro. Inizia la serie la monumentale croce di Convalle (temporaneamente a Lucca, Mus. e Pinacoteca Naz. di Palazzo Mansi; Ragghianti, 1966, pp. 307-308), databile alla fine del 1317, cui seguono la croce di Lucchio (Calderoni Masetti, 1984) e la croce di S. Maria Albiano (Gai, 1988), già accostata, sia pure con qualche incertezza, da Calderoni Masetti (1986), alle due precedenti e databile verso il 1320.
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