ANDREA di Onofrio (Andrea Nofri), detto Andrea da Firenze
Nacque nel 1388 a Firenze, ove iniziò la sua attività di scultore. È ricordato per la prima volta in un atto di pagamento del 1419, relativo all'esecuzione di un'insegna scolpita sulla porta dell'alloggio del papa Martino V nel chiostro di S. Maria Novella; l'anno successivo eseguì alcune statue ed ornamenti per la cappella di S. Lorenzo nella chiesa di S. Lucia de' Bardi (o dei Magnoli). Nel 1425 fu chiamato a stimare una delle statue eseguite da Donatello per il campanile di S. Maria del Fiore (probabilmente quella del profeta Geremia). Lavorò poi a Prato, nel chiostro di S. Francesco, e il 27 nov. 1428, a Firenze, garantiva Michelozzo e Donatello - dei quali era aiutante con la qualifica di "lastrajuolo" - di fronte agli inviati dell'Opera del Duomo pratese che sollecitavano il compimento del pulpito esterno. Già alla fine di quell'anno era a Napoli, ove attendeva alla decorazione del sepolcro del re Ladislao di Durazzo (m. 1414), nella chiesa di S. Giovanni a Carbonara, ordinato dalla regina Giovanna II; eseguì poi il sepolcro del conte Ruggero Sanseverino (m. 1433) nella cappella di S. Monica, attigua alla chiesa suddetta. Successivamente si recò nelle Marche e ad Ancona scolpì la tomba del vescovo di Senigallia Simone Vigilante (m. 1428), già in S. Francesco alle Scale e smembrata dal sec. 18º: il Buglioni riferisce che su tale opera era incisa la scritta: "Opus Andreae de Florentia qui etiam sepulchrum regis Ladislai excudit". Nel 1441 e 1442 A. era di nuovo a Firenze, impegnato in lavori - che, però, i documenti non specificano - nella galleria della cupola di S. Maria del Fiore. Un altro documento del 1453 menziona, ancora a Firenze, "Andrea Nofri lastrajuolo"; nel 1459 lo scultore risulta già morto da qualche anno.
Nell'impossibilità di identificare i lavori fiorentini, la figura artistica di A. si desume esclusivamente dalle opere di Napoli e dai resti del sepolcro di Ancona.
L'individuazione delle parti eseguite da A. nel sepolcro di re Ladislao (nel quale la collaborazione di numerosi artefici è così chiaramente avvertibile, per il divario tra la struttura del basamento e quella del fastigio, da aver indotto R. Filangieri di Candida ad avanzare l'ipotesi che il monumento sia stato iniziato, prima del 1428, da un altro scultore fiorentino) può condursi sulla base delle caratteristiche di stile della più omogenea tomba Sanseverino, nella quale A. incise due volte il proprio nome. Quest'opera dimostra non tanto una particolare adesione di A. ai modi di Nanni di Banco (come fu detto da A. Venturi e dal Filangieri) e neanche a quelli di Iacopo della Quercia (come ha invece ritenuto R. Causa, in base alla erronea identificazione di A. di Onofrio con lo scultore A. di Guido, pure detto A. da Firenze); piuttosto rivela la persistenza di motivi formali tardo-gotici, modestamente aggiornati in un tentativo di adeguazione alle inflessioni donatelliane in chiave classicheggiante, proprie della prima attività di Michelozzo: e ciò particolarmente nelle cariatidi, che si ispirano puntualmente a quelle della tomba del card. Brancacci, eseguita a Pisa nel 1427 da Michelozzo e Donatello ed ora nella chiesa di S. Angelo a Nilo a Napoli.
Conseguentemente si potranno ritenere, con maggiore probabilità, di A., nel sepolcro di re Ladislao, quelle sculture nelle quali l'impianto compositivo tardo-gotico tende a slargarsi in una massività già di gusto evidentemente donatelliano: le statue di Ladislao e di Giovanna II d'Angiò, quella della Prudenza e le figurine allegoriche nelle nicchiette del secondo e del terzo ordine del tabernacolo.
Ad A. (che il De Dominici ed altri antichi scrittori napoletani ricordano con il nome di Andrea Ciccione) era tradizionalmente attribuita - tra altri monumenti svariatissimi - la tomba di ser Gianni Caracciolo, nella stessa chiesa di S. Giovanni a Carbonara. Tale attribuzione, contrastante con le ragioni stilistiche sopra enunciate, fu peraltro già contraddetta da R. Filangieri, il quale dimostrò che l'opera venne eseguita non prima del 1441, anno nel quale - come s'è visto - A. era di nuovo a Firenze. Tuttavia il Causa ha giustamente proposto il riferimento ad A. delle statuette dell'Angelo annunciante e dell'Annunciata, site nella parte superiore dei pilastri che reggono il tabernacolo.
Bibl.: B. De Dominici, Le vite dei pittori... napoletani [1742-1745], Napoli 1846, I, pp. 187 ss.; L. Catalani, Discorso sui monumenti patrii, Napoli 1842, p. 21; G. B. Chiarini, Aggiunte a C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli [1692], Napoli 1856, II, pp. 495 ss.; M. Buglioni, Istoria del convento di S. Francesco... d'Ancona, Ancona 1795, p. 50; W. H. Schulz, Denkmäler d. Kunst d. Mittelalters in Unteritalien,I II, Dresden 1860, pp. 85 ss.; G. Milanesi, Lettera a N. F. Faraglia, in N. F. Faraglia, Le memorie degli artisti napoletani pubblicate da B. De Dominici, in Arch. stor. per le prov. napol., VIII(1883), pp. 270 ss.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI, Milano 1908, p. 839; R. Filangieri di Candida, La scultura in Napoli nei primi albori del Rinascimento, in Napoli Nobilissima ,n. s., I (1920), pp. 89 ss.; A. Filangieri di Candida, La chiesa e il convento di S. Giovanni a Carbonara, Napoli 1924, pp. 40 ss., 130 s.; C. Gnudi, Intorno ad A. da Fiesole, in La Critica d'arte, III(1938), pp. 23-39; R. Causa, Contributi alla conoscenza della scultura del '400 a Napoli, in Sculture lignee nella Campania, Catalogo della mostra, Napoli 1950, pp. 105 ss.; G. Marchini, Il Duomo di Prato, Firenze 1957, p. 58; S. Bottari, Per Andrea di Guido da Firenze, in Arte antica e moderna, I(1958), pp. 285-290; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, I, p. 453.