DONA (Donati, Donato), Andrea
Nacque a Venezia, probabilmente nel 1395, da Bartolomeo di Maffio, del ramo a Cannaregio, e da una non meglio precisata Chiara.
Il padre fu personaggio di. grande levatura: ricopri numerose cariche importanti, fece sposare tutti e tre i figli (Alvise, Francesco e il D.) e forni loro una compiuta educazione umanistica, che per l'ultimo di costoro si concluse con il dottorato.
Sulla giovinezza del D. sappiamo che, estratta la balla d'oro, entrò in Maggior Consiglio nel 1413, e l'anno seguente sposò Maria Canal di Guido di Giacomo (da questo matrimonio, e da quello successivamente contratto, nel '32, con Camilla Foscari del doge Francesco, ebbe numerosi figli: quattro femmine e cinque maschi). Nel '17 fu l'ultimo capitano della guardia dell'Istria, ossia comandante delle galere alle quali spettava la difesa delle coste della penisola istriana, e della stessa città di Venezia, contro le incursioni dei pirati. Nel '22 il suo nome compare tra i capi delle Quarantie, quindi nel 1424 fu inviato per due anni bailo a Trebisonda, antica sede imperiale sul Mar Nero, col compito di tutelare gli interessi dei mercanti veneziani, che in qualche misura dovevano coincidere con quelli della propria famiglia, la quale dal commercio col Levante tradizionalmente derivava la maggior parte delle sue ricchezze.
A riprova dello stretto legame con cui il D. seppe coniugare servizio pubblico e private ragioni economiche, alcuni anni più tardi (1429) lo troviamo duca a Tessalonica, o Salonicco, da poco pervenuta sotto il dominio dei Veneziani. Dunque ancora nell'area egea, o comunque orientale, ma per poco stavolta, e con esito infelice: il 13 marzo 1430, infatti, un grosso contingente di Turchi si presentò davanti alla città, intimando la resa al D. ed al collega Paolo Contarini. Di fronte al violento attacco turco, che in breve fece capitolare la città, i due rettori veneziani si salvarono scappando. E fu appunto questa fuga ingloriosa che valse loro, al rientro in patria, l'imprigionamento ed il processo, ad opera degli avogadori di Comun. Il D. comunque seppe discolparsi e riacquistare la fiducia dei concittadini; al punto che l'anno seguente (1431) fu inviato a Legnago come provveditore in campo nella guerra contro i Viscontei. Ma neppure stavolta la fortuna fu dalla sua parte: il 21 giugno, infatti, la flotta sul Po venne sconfitta da quella milanese, comandata da Ambrogio Spinola, che risultò meglio organizzata ed in grado di manovrare col favore della corrente; tutto il dispositivo militare della Repubblica ne risultò travolto ed il D. fu nuovamente costretto a fuggire. A Venezia l'attendeva ancora una volta il carcere ed un processo, il cui esito riusci però a suo favore. Il prestigio del D. non venne affatto scosso dalla vicenda, se l'anno successivo, come si è detto, egli sposava la figlia del doge, Camilla Foscari, già vedova di Alvise Muazzo di Nicolò e di Pietro Bernardo di Francesco. Alcuni mesi più tardi egli poteva così intraprendere quella che si sarebbe rivelata la sua più lunga, complessa, importante missione, e che a detta del Queller avrebbe costituito una tappa significativa nell'ambito dell'evoluzione dell'intero sistema diplomatico veneziano, contribuendo a trasformare l'incarico di ambasciatore da temporaneo, quale era stato sino allora, a permanente.
Presente ad Urbino il 23 febbr. 1433, dove in rappresentanza del doge e del Comune veneziano accolse sotto la protezione della Serenissima il conte Guidantonio di Montefeltro, il D. prosegui poi per Roma, precedendo l'arrivo dell'imperatore Sigismondo, che colà si recava con largo seguito per essere formalmente incoronato da Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer.
Compito del D. era di cercare un accomodamento alle divergenze che ancora dividevano la Repubblica e l'Impero, incarico che egli assolse brillantemente, trasformando con sapiente regia la cerimonia dell'incoronazione, avvenuta nella basilica di S. Giovanni in Laterano il 31 maggio, in una sorta di celebrazione dell'alleanza tra Sigismondo ed Eugenio, la cui autorità era allora gravemente minacciata dal concilio di Basilea. Fatti abilmente convenire a Roma numerosi principi italiani, il D. seppe porsi come garante della nuova realtà politica, che venne ufficialmente sanzionata alcuni giorni più tardi, il 4 giugno, con la stipulazione di una tregua quinquennale tra Venezia e l'Impero, realizzata con la mediazione personale del pontefice. In realtà era stato proprio il D. l'artefice di questa sorta di patto a tre: investito dal Senato di amplissimi poteri, riusci in brevissimo tempo a conquistarsi a tal punto la fiducia di Eugenio e di Sigismondo, che alcune fonti (tra le quali il Priuli) collocano in questa circostanza il conferimento al D. dei titoli di cavaliere e conte palatino, con Nriserimento nello stemma di quelle rose che, da allora, avrebbero contraddistinto questo ramo della famiglia; tuttavia è più probabile, come si dirà più avanti, che l'avvenimento si sia verificato l'anno successivo, quando cioè Sigismondo aveva già ottenuto 110.000 ducati d'oro promessigli dal D., quale contributo della Repubblica (sia pure sotto forma di prestito) che gli consentisse di recarsi a Basilea ad imporre sul concilio l'autorità papale.
Ebbe così inizio per il D. un periodo di frequenti, e talora frenetici, viaggi tra Roma, la sua città e Basilea. Rimpatriato il 21 giugno '33, riusci a convincere la Signoria dell'opportunità di avallare sino in fondo gli impegni assunti con Sigismondo, il 3 agosto "fu preso in Pregadi di mandargli li detti d. 10.000, i quali portò il detto Andrea Donà" (Sanuto), ed ancora si deliberò l'elezione di dodici tra i più prestigiosi patrizi, per accompagnare l'imperatore nel suo viaggio attraverso le terre del dominio veneziano. Ancora, il 3 settembre il D. era nominato ambasciatore al concilio, dove seppe efficacemente sostenere l'azione di Sigismondo. Le posizioni dei vescovi risultavano però ancora lontane da quelle del pontefice, e la persona più idonea a far proseguire le trattative fu ritenuta lo stesso D., che ormai pareva rappresentare la concorde volontà della Repubblica, dell'imperatore e del papa. Cosi, il 14 novembre, in una lettera indirizzata al doge, l'assemblea dei padri approvava l'azione diplomatica veneziana ed annunciava di aver incaricato il D. di recarsi a Roma per indurre Eugenio ad un accordo; il documento si chiudeva con l'invito al Senato a voler scusare il proprio ambasciatore se aveva ritenuto opportuno, data l'urgenza della situazione, di accettare l'incarico senza esserne preventivamente autorizzato.
Quattro giorni dopo il D. presentava ai Pregadi diversi capitoli con le richieste dei vescovi, sui quali molto si discusse; quindi fu deciso di sottoporre al papa i risultati del dibattito. Cosi, mentre si inviava a Basilea Federico Contarini, in sostituzione del D., quest'ultimo venne mandato a Roma, dove peraltro rimase pochissimo: otto giorni più tardi, a fine dicembre, ripartiva infatti per Venezia portando con sé l'adesione del pontefice alla linea politica elaborata dalla Repubblica sulla base delle istanze conciliari; poteva quindi passare a Basilea, dove - riferisce il Priuli - "riportò a' Padri ... l'accomodamento et in un istesso tempo tenendo la carica d'ambasciatore del papa, dell'imperatore e della Repubblica, cosa non più successa ad alcuno, levò alla cristianità gl'immediati pericoli di scisma che la soprastavano".
Fu il massimo successo di tutta la carriera politica del D., che in tale circostanza consegui un prestigio di respiro internazionale, come provano diverse lettere e documenti indirizzatigli dal papa e dall'assemblea conciliare, oltre che la stessa nomina a cavaliere e conte palatino conferitagli dall'imperatore, con grande solennità, il 4 febbr. 1434, assieme a numerosi privilegi e distinzioni onorifiche trasmissibili ai discendenti.
Poté quindi ritornare a Venezia e dedicarsi alla famiglia ed ai suoi interessi. Ma nell'agosto, in seguito alla sconfitta riportata ad Imola dalle truppe venetopontificie ad opera di Niccolò Piccinino, fu inviato a Ravenna, in qualità di provveditore, con Francesco Loredan: gli ampi mezzi dei quali i due disponevano consentirono loro di assoldare le truppe di Francesco Sforza e ristabilire la situazione. Dopo essersi nuovamente recato a Basilea (ottobre '34), in dicembre il D. venne eletto savio di Terraferma per il primo semestre del 1435, ed il 31 agosto era a Tyrnau in Ungheria (l'odierna Trnava in Cecoslovacchia) insieme con Girolamo Contarini, per sottoscrivere un patto di alleanza decennale con l'Impero, in funzione antiviscontea: avvenimento, questo, di notevole importanza, in quanto indispensabile presupposto dell'investitura feudale che, due anni più tardi, Sigismondo avrebbe concesso alla Repubblica sui domini padani.
Ancora savio di Terraferma per il primo semestre del '36, a fine settembre fu inviato a Lucca presso Francesco Sforza, per spingerlo contro i Milanesi, e presso costui, divenuto capitano generale dell'esercito veneziano, il D. si trattenne sino al novembre del '37, seguendolo in Lombardia nella veste ufficiale di ambasciatore. Al ritorno in patria fu subito eletto savio del Consiglio e fece parte della Quarantia per il secondo semestre del 1438; ricopriva appunto tale carica, quando venne nominato podestà di Padova, il 21 sett. 1438. La sua presenza nella città euganea è documentata sino al febbraio dell'anno seguente. In seguito il D. dovette recarsi presso il Gattamelata, in qualità di provveditore: la Repubblica era infatti nuovamente in guerra con Milano. A fine marzo del '39 il Piccinino valicò l'Adige presso Legnago "a dispetto - riferisce Cristoforo da Soldo - de nove millia cavalli e forsi sei millia fanti che haveva Gatta mellata..., li quali mai non fecero contrasto alchuno alli inimici nel passare per difetto de uno messer Andrea Donato, Provisor in campo, el qual non voleva". In effetti la responsabilità della sconfitta, che consenti alle truppe viscontee di invadere il Veronese e il Vicentino, venne addossata alla "fuga turpissima" del D., il quale fu posto sotto accusa dagli avogadori di Comun. Senonché un efficace intervento del doge suo suocero, il 17 marzo, valse non solo ad evitargli il carcere, ma anche a rendergli la fiducia dei concittadini. Il 14 giugno il D. fu eletto tra gli otto ambasciatori che dovevano incontrare lo Sforza proprio a Padova, dove il D. era stato reintegrato nella carica di rettore: erano noti, infatti, i buoni rapporti che intercorrevano tra i due, e questo spiega come analogo incarico sia stato rinnovato al D. nel marzo e poi ancora nell'aprile del 1440.
Dopo essere stato savio del Consiglio e di Terraferma nel '40, '41 e '42, podestà e provveditore a Verona per pochi mesi nel '41, avogador di Comun nel '42, il D. ebbe modo di manifestare ancora una volta la sua abilità ed esperienza quando fu inviato presso il sultano d'Egitto Abu-Said Jachmach, per ottenere la riconferma degli antichi privilegi di cui godevano le navi della Repubblica. La missione, svoltasi tra l'1° ed il 29 ott. 1442, si concluse con un pieno successo, dal momento che il sultano accondiscese a tutte le richieste del D., il quale, tra le pieghe delle pubbliche incombenze, trovò anche modo di ottenere agevolazioni per niente trascurabili a due sue grosse navi che commerciavano con Damietta e Beirut.
Tornato in patria il 21 genn. '43, nel marzo fu ambasciatore a Genova, che si era sottratta al dominio dei Milanesi, per mediare la pace fra i Liguri e Filippo Maria Visconti; in settembre venne eletto avogador di Comun, e nel 1443 e '44 entrò a far parte del Consiglio dei dieci. Nella primavera del '45 si recò ancora a Roma, per illustrare al pontefice gli estremi dell'accordo intervenuto tra la Repubblica ed il patriarca di Aquileia, dopo di che, il 23 aprile, fu nominato duca a Candia. Si trovava appunto nell'isola allorché, il 5 apr. 1447, il Consiglio dei dieci decideva di farlo rimpatriare: le istruzioni consegnate al sopracomito Benedetto Da Lezze prevedevano ch'egli imbarcasse sulla sua galera il D. senza spiegargli i motivi dell'arresto e, una volta giunti a Venezia, lo consegnasse all'autorità. L'interrogatorio, che fu accompagnato dalla tortura, ebbe inizio il 28 maggio: l'accusa era di aver ricevuto 900 ducati dallo Sforza, in cambio dell'impegno a fargli ottenere uno Stato. Non si sa se e che cosa il D. abbia confessato; certo l'emanazione della sentenza vide i consiglieri divisi tra più soluzioni. Infine, dopo tre giorni di dibattito, il 5 giugno fu condannato ad un anno di carcere, all'allontanamento da ogni ufficio e al pagamento di una multa di 1.800 ducati.
La pena venne scontata in tutte le sue parti, dopo di che il D. lasciò Venezia per rifugiarsi presso la Curia pontificia, dove poteva contare su importanti amicizie. Ed infatti il papa Niccolò V il 10 luglio 1450 gli conferi il titolo di senatore di Roma, e in tale veste il D. procedette, il 5 febbr. 1 51, alla conferma degli statuti dell'arte della lana. A Roma incontrò anche, nel 1452, l'imperatore Federico III, che invano aveva cercato di intercedere in suo favore presso il Senato della Repubblica e che gli fu prodigo di lodi.
Non sappiamo fino a quando il D. sia rimasto presso la corte pontificia: certamente vi si trovava ancora il 31 maggio 1 56, allorché il Consiglio dei dieci riprese l'esame del suo caso, nel cui dispositivo di condanna non era tuttavia previsto alcun bando. Il 1° nov. '57 il D. era ormai a Venezia, dal momento che fu lui ad annunciare al nuovo doge Pasquale Malipiero l'avvenuto decesso del suocero Francesco Foscari, costretto all'abdicazione qualche giorno prima.
Nient'altro si sa dei suoi ultimi anni, che possiamo immaginare dedicati prevalentemente all'amministrazione del patrimonio ed agli studi (la sua cultura fu molto apprezzata dal Piccolomini e dal Bracciolini). Nel testamento, dettato il 14 marzo 1466, lasciò la dote alla moglie Camilla e le proprietà fondiarie ai figli Alvise e Antonio, gli unici che dal matrimonio avevano avuto discendenti maschi. Morì probabilmente di li a non molto, e fu sepolto nella chiesa veneziana di S. Maria dei Servi, accanto al padre.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta 19: M. Barbaro-A.M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, pp. 333 s.; Ibid., Indici, 86ter, 1: G. Giorno, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, I, sub voce Canal Maria e Foscari Camilla; per il testamento, Ibid., Cancelleria inferiore, b. 175/3, c. 24t; Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Codd. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti…, I, cc. 252r-253r; Ibid., Mss. Gradenigo 161, c. 231 r (si tratta del privilegio concesso al D. dall'imperatore, nel 1434). In particolare, per la carriera politica cfr. Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Misti, reg. 4, cc. 57v, 78v, 96r, 98v, 103r, 152r; reg. 5, c. 41r; reg. 13, cc. 133r, 148v, 151v; reg. 14, c. n. n., sub 4 dic. 1434; Ibid., Senato. Deliberazioni miste reg. 60, passim; Ibid., Consiglio dei dieci. Misti, reg. 12, cc. 136v, 140r, 153v, 155v, 158v, 161v, 163r; sul processo, Ibid., reg. 13, cc. 63v, 64v-65r, 70v, 71v-72v, 94r. Altre notizie sulla sua vita, in Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Codd. Cicogna 3526: G. P. Gasperi, Catalogo della Biblioteca veneta…, p. 40; Ibid., Mss. Donà dalle Rose 96: De Andrea Donato equite Bartholomei Divi MarciProcuratoris filio, cc. n.n. (l'autore è con ogni probabilità Flaminio Corner). Cfr. inoltre: M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum..., in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 1008, 1017, 1033 s., 1036, 1038, 1043 s., 1047 s., 1050, 1063, 1075, 1077, 1091 s., 1094, 1107, 1165; Cristoforo da Soldo, Cronaca, in Rer. It. Script., 2 ediz., XXI, 3, a cura di G. Brizzolara, p. 31; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum…, in Degl'istorici delle cose veneziane, I, 2, Venezia 1718, pp. 527, 593, 595, 664; I diplomi arabi del R. Archivio fiorentino, a cura di M. Amari, Firenze 1863, pp. 347 ss.; I Libri commemor. della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, pp. 169, 177, 181, 187, 195, 201, 252, 258, 275; Diplomatarium Venetum-Levantinum..., a cura di G. M. Thomas, in Monum. stor. pubblicati dallaR. Deput. veneta di storia patria, s. 1, Documenti, IX, 2, Venetiis 1899, pp. 353, 357, 359 s., 362-365; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 106 ad annum 1450, a cura di G. Zonta-G. Brotto, Patavii 1922, pp. 281-284; G. Palazzi, Fasti ducales..., Venetiis 1696, pp. 154 s.; G. Degli Agostini, Notizie istorico-criticheintorno la vita e le opere degli scrittori viniziani..., I, Venezia 1752, pp. 474, 492; F. Corner, Cretasacra sive de episcopis utriusque ritus Graeci et Latini..., II, Venetiis 1755, pp. 379 ss.; Id., Opuscula quatuor quibus illustrantur gesta ... AndreaeDonati equitis..., Venetiis 1758; A. Vendettini, Serie cronol. de' senatori di Roma..., Roma 1778, p. 89; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, p. 57; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, p. 299; G. Eroli, Erasmo Gattamelata da Narni. Suoi monumenti e sua famiglia, Roma 1876, p. 292; G. B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, in Miscell. di storia veneta edita per curadella R. Deput. di storia patria, s. 3, IV (1912), p. 303; D. E. Queller, The office of ambassador in the Middle Ages, Princeton 1967, pp. 78 s.; J. C. Davis, Una famiglia veneziana e la conservazionedella ricchezza. I Donà dal '500 al '900, Roma 1980, pp. 33, 35 ss., 126.