DORIA, Andrea
Nacque a Oneglia il 30 novembre 1466. Mortigli assai presto i genitori - Ceva, consignore di Oneglia, e Caracosa Doria dei signori di Dolceacqua - a 19 anni si recò a Roma presso Domenico D., capitano della guardia di Innocenzo VIII; e là s'iniziava alla vita militare, che continuava, morto Innocenzo, alla corte ducale di Urbino, passando poi al servizio di Ferdinando I di Napoli e di suo figlio Alfonso II, finché il regno non fu occupato dai Francesi di Carlo VIII. Dopo un viaggio in Terrasanta, si mise al soldo di Giovanni della Rovere, genero del duca d'Urbino e governatore di Roma, difendendogli validamente il castello di Rocca Guglielma, assediato da Consalvo di Cordova nel 1498; e quando Cesare Borgia attaccò Senigallia e il castello del defunto Giovanni Della Rovere, il D., che aveva in custodia la moglie e il figlioletto del morto duca, riuscì a farli fuggire e poi con uno stratagemma riparò a Firenze. Fu tra il 1503 e il 1506 in Corsica al seguito di Nicolò D. incaricato di sottomettere l'isola fatta insorgere da Ranuccio della Rocca; dopo un anno di calma, rinnovatasi l'insurrezione, egli fu capitano generale, sconfisse e fece prigioniero Ranuccio, che però, aiutato dai Francesi, poté fuggire.
Fino a questo momento egli era stato condottiero a servizio di chi lo assoldava; d'ora innanzi la sua azione militare si esercita e s'innesta nella storia di Genova. Nel 1512, dopo la battaglia di Ravenna, Genova si sottraeva al dominio dei Francesi e il D. cooperò a cacciarli dagli ultimi ridotti, rimettendo al governo della repubblica i Fregoso. Con l'aiuto degli Adorno i Francesi ritornarono; ma, dopo la battaglia di Novara (1513), il D., ritiratosi frattanto alla Spezia, mosse su Genova, l'occupò, aiutò Ottaviano Fregoso a conseguire il seggio ducale e, cacciato l'ultimo presidio francese dal castello della Briglia, ottenne il comando di una squadra a difesa del mare contro le incursioni dei Turchi.
La battaglia di Marignano ridiede a Francesco I la Lombardia e le aspirazioni su Genova; e Ottaviano Fregoso, a impedire il prevalere degli Adorno e dei Fieschi suoi avversarî, stringeva allora un accordo col re francese per il quale, abbandonato il titolo ducale, rimase al governo come suo vicario (nov. 1515). Il D. rimase al servizio di Ottaviano e quindi della Francia, della quale anzi entrò direttamente al soldo quando nel 1522, vinti i Francesi alla Bicocca, gl'imperiali di Carlo V s'impadronirono di Genova e Ottaviano Fregoso fu fatto prigioniero.
Al servizio di Francia rimase Andrea sin dopo la battaglia di Pavia, valorosamente combattendo in varie imprese; ma dopo la battaglia e la prigionia di Francesco I, fallito l'ardimentoso tentativo di liberarlo venutegli meno le paghe ed anche per dissapori col gran connestabile Montmorency, passò al servizio del papa Clemente VII, il quale gli diede l'incarico di cacciare da Genova gli Spagnoli. Ma, costretto a seguire i tentennamenti del papa, non vi riuscì; e poiché frattanto Clemente VII, caduta Roma, era assediato in Castel Sant'Angelo, terminata ormai la condotta, Andrea, ricusate anche per desiderio del papa le offerte di Carlo V, ritornò al servizio del re di Francia. Ritentò allora con maggiore fortuna l'occupazione di Genova; e nella città ricuperata fu posto a governatore non un Fregoso, perché egli si oppose, ma Teodoro Trivulzio.
Ma già cominciavano le prime avvisaglie di quel mutamento che è il fatto più importante e più discusso della sua vita. Andrea lamentava il ritardo delle paghe sue e delle ciurme, moltiplicava le lagnanze per varie ragioni, soprattutto faceva proprie le richieste dei concittadini, dolenti di vedere l'antica rivale Savona sottratta al dominio di Genova. Avanzava ragioni di malcontento verso il governatore francese della città e non si sentiva abbastanza considerato alla corte di Francia, mentre Carlo V, spinto dal concorde avviso dei suoi ministri in Italia, tentava di attirarlo al suo servizio. Quando nel 1528 il Lautrec pose l'assedio a Napoli, Francesco I invitò il D. a stringere la città dal mare: egli ricusò adducendo a pretesto la tarda età e la stanchezza e mandò invece il cugino Filippino, che il 28 aprile riportò sugli Spagnoli la vittoria di Capo d'Orso. E poco dopo, scaduta nel giugno la condotta con la Francia, non soltanto non la rinnovò, ma passò senz'altro al servizio di Carlo V, il quale ne accettò tutte le condizioni finanziarie e quelle relative a ciò che è convenuto di chiamare la libertà di Genova.
Non è dubbio che ragioni varie e complesse abbiano determinato questo passaggio, preparato e meditato di lunga mano. La leggerezza invincibile della politica francese dimostratasi anche di fronte agli ultimi appelli dell'ammiraglio al re, l'ostilità dalla quale il D. si sentiva circondato a corte e più dagli uomini di guerra e di governo, la conoscenza della doppiezza e degl'infingimenti opportunistici degli stati italiani di fronte alla politica spagnola, della quale Andrea intravedeva nettamente la sicura vittoria finale, sono cagione ed elementi dell'abile giuoco, col quale sembrò regalar lui al re di Spagna la vittoria, ne divenne benemerito e salvò, coi vantaggi materiali personali, l'indipendenza, almeno apparente, della sua città. E poiché egli aveva compreso con sicuro intuito che anche nella sua patria le antiche fazioni erano morte e che rispondeva allo spirito dei tempi la pace basata su un mutamento sociale, prima conseguenza fu appunto la trasformazione interna genovese (v. Genova: Storia).
Passato alla parte imperiale col patto della libertà di Genova e del riconoscimento dei diritti di questa su Savona, il D. si presentò davanti alla città il 9 settembre 1528 e fu trionfalmente accolto dal popolo festante. Da questo momento, pur conservando le forme repubblicane, egli fu il primo cittadino, tanto autorevole da potersi considerare signore, mentre l'ufficio di perpetuo sindacatore gli dava anche legalmente la funzione di arbitro del governo.
Assicurata col nuovo ordinamento la pace cittadina nel governo oligarchico, respinti gli ultimi tentativi francesi di ricuperare Genova nel 1529, l'attività del D. negli anni successivi fu tutta militare al servizio di Carlo V, dal quale, nel 1532, ebbe il titolo e il feudo del principato di Melfi. Sono di questi anni le imprese in Oriente contro i Turchi, l'occupazione di Tunisi (1535), la battaglia della Prevesa (1538), la spedizione di Algeri (1541), la partecipazione alle nuove guerre di Carlo contro la Francia, con notevoli azioni a Tolone e a Nizza, e tutta una serie di attacchi ai pirati barbareschi.
Improvvisamente la tranquillità interna venne turbata dalla congiura dei Fieschi (v.). La congiura, scoppiata la notte del 2 gennaio 1547, portò alla morte di Gianettino Doria; ma, annegato in porto Gian Luigi Fieschi, fallì interamente e la stessa sorte ebbe l'anno seguente quella di Giulio Cybo, che per disperazione e risentimento contro Andrea, che avversava i suoi diritti alla signoria di Massa, riprese i propositi del Fieschi.
Andrea D., si mostrò implacabile nella vendetta contro i Fieschi e i loro partigiani; non è però provato né probabile che egli avesse diretta partecipazione alla congiura che uccise Pier Luigi Farnese, sospettato complice di Gian Luigi. Ben diversa è invece l'opera avveduta e patriottica con la quale ruppe i propositi degli imperiali, che volevano cogliere l'occasione del pericolo corso di un rinnovato dominio francese a Genova per dominare stabilmente la città mediante l'erezione di una fortezza custodita da soldati spagnoli: Andrea finì infatti con l'opporre la più ferma e decisa, per quanto cortese e deferente, opposizione; e il piano spagnolo dovette essere abbandonato. La congiura dei Fieschi e gli avvenimenti che la seguirono, fornirono però occasione ad Andrea di introdurre nella costituzione cittadina una nuova riforma (v. genova: Storia).
Privo di prole, Andrea concentrò da allora il suo affetto e le sue speranze nel figlio di Gianettino, Gian Andrea, al quale trasferì le ricchezze e gli onori e che volle riconosciuto ammiraglio di Spagna. Ma non si appartò interamente. Quando Francesi e Turchi, all'intento di staccar Genova dalla Spagna, sollevarono l'isola di Corsica, Andrea sostenne che la politica di adesione alla Spagna doveva esser continuata e consigliò la spedizione da lui stesso poi capitanata, con valore e, ad un tempo, con severità scevra d'indulgenza e di pietà, contribuendo anzi alle spese con somme cospicue. Nella pace di Castel Cambrésis ottenne che l'isola fosse abbandonata dai Francesi e restituita a Genova. Poco prima, con l'accorrere in aiuto di papa Paolo IV minacciato da Francesco di Guisa, aveva compiuto l'ultimo atto militare della lunga vita; poiché alla spedizione contro i Turchi nel 1560 (terminata disastrosamente alle Gerbe, 14 maggio 1560) partecipò soltanto occupandosi dell'allestimento delle galee. Morì il 25 novembre 1560; fu sepolto nella chiesa di San Matteo ove gli fu eretto un sepolcro dal Montorsoli.
Capitano di ventura, ebbe dei condottieri l'avidità e l'ambizione, l'assenza di scrupoli e il desiderio di potenza; ma amò la sua città con ardore e fierezza, e sapiente riformatore e organizzatore la salvò dalla dissoluzione dandole un ordinamento nuovo. Comprese la necessità di por fine alle lotte che la dissanguavano nei contrasti faziosi, ma sentì anche come un principato ufficiale sarebbe stato a Genova causa di altro sangue e di altre rovine. Intuì la fatale vittoria della Spagna e la necessità quindi di legarsi ad essa, ma volle conservare quanto fosse possibile d'indipendenza alla patria. E non va infine dimenticata l'azione compiuta in favore delle arti. Le opere per la sua villa di Fassolo detta del Principe, determinarono la fioritura di un'arte nuova e di un nuovo splendore, perché dalla gara allora determinata tra la maggiore nobiltà trassero origine molti dei palazzi di cui Genova va superba e intorno agli artisti maggiori che lavorarono per il Principe, il Montorsoli e Perin del Vaga, sorse una schiera di discepoli e seguaci, ai quali si deve il rinnovamento artistico ed edilizio della città.
Bibl.: Oltre le Vite del Capelloni (Venezia 1565) e del Guerrazzi (Milano 1864, voll. 2), cfr. L. T. Belgrano, Della vita di A. D. di F. D. Guerrazzi e di altri recenti scritti intorno quel grande ammiraglio, in Archivio storico italiano, s. 3ª, IV, parte 1ª, p. 216 segg.; È. Petit, A. D.: Un amiral condottiere au XVIe siècle, Parigi 1887; G. de Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, voll. 5, Venezia-Padova 1863 segg.; C. Capasso, Paolo III, voll. 2, Messina 1925; A. von Czibulcka, A. D. ein Freibeuter und Held, Monaco 1925; Rivista storica italiana, 1888, p. 95 segg.; 1926, p. 136 segg.