FERRARI, Andrea
Nacque a Napoli da Antonio il 26 marzo 1770, in una distinta famiglia che gli permise di vivere in agiato benessere.
In data non precisabile si arruolò, apparentemente nell'esercito francese, e conibatté in Spagna e in Norditalia. Di certo partecipò alla battaglia di Montmirail l'11 febbr. 1814: gravemente ferito, fu insignito della Legion d'onore. Sarebbe successivamente tornato a Napoli per militare nell'esercito di Gioacchino Murat e presumibilmente nell'esercito borbonico dopo la sconfitta del Napoleonide.
Nel 1821, sconfitto il regime costituzionale cui aveva aderito, fu sottoposto, insieme con tutto il suo reggimento ("Marsi") alla giunta di scrutinio e conseguentemente licenziato. Colpito duramente dalla notizia della condanna a morte del fratello, capitano dei dragoni (solo all'ultimo commutata in ergastolo, poi in esilio), condusse da allora un'esistenza estremamente penosa, alternando lunghe detenzioni in prigione a rari momenti di libertà strettamente vigilata nella sua Napoli.
Solo nel 1830 riuscì ad ottenere il passaporto, e accampando non meglio precisati affari di famiglia riuscì finalmente a liberarsi del controllo della polizia borbonica. Si recò a Parigi, entrando a far parte della legione straniera che vi si andava allora formando. In questa anomala armata - composta in larga misura da reduci degli eserciti napoleonici che si erano rifiutati di prestar servizio per le forze della reazione - con il grado di aiutante maggiore prese parte alla dura campagna dell'Africa settentrionale, dove percorse in breve tempo tutti i gradi sino a giungere a quello di capo di battaglione.
Nel 1835 da Algeri la legione fu trasferita nella penisola iberica per contrastare le forze insurrezionali carliste e combattere a fianco di quelle regolari della regina Isabella. Il F. partecipò attivamente all'assedio del castello fortificato di Quinera, dove avevano preso riparo le truppe carliste; mancando di cannoni, gli assedianti assalirono col piccone le mura del fortilizio e, dopo l'arrivo provvidenziale di un pezzo da campo, costrinsero i cinquecento difensori alla resa (17 sett. 1835). Nel novembre combatté in Alta Aragona al comando del VI battaglione della legione, finendo col venir citato nell'ordine del giorno della divisione per il valore, lo slancio ed il sangue freddo dimostrati nel corso di una cruenta carica che decise la resa dei carlisti. Ancora nell'aprile del 1836 l'eroico comportamento del F. e degli uomini da lui capitanati valsero al suo battaglione il soprannome di "battaglione di ferro". La battaglia di Tirapegui, oltre a procurargli una ferita d'arma da fuoco, gli valse l'Ordine reale e militare di S. Ferdinando e la nomina a cavaliere di seconda classe. Conclusa vittoriosamente la guerra contro i Carlisti, la legione - che in Spagna aveva ricevuto il titolo ufficiale di divisione ausiliare francese - venne sciolta, per essere poi riorganizzata nel 1837. Il F. non ne fece più parte: la regina Isabella gli aveva offerto il grado di generale nell'esercito regolare spagnolo, ma egli aveva preferito tornarsene in Francia con il grado conquistato con merito sul campo di battaglia. Entrato nell'11º leggero, vi rimase sino al 1844, quando ottenne il ritiro.
Nel 1848, rifiutata l'offerta di Ferdinando II di Napoli che l'avrebbe voluto inquadrare nel suo esercito, allo scoppio della guerra contro l'Austria entrò a far parte come volontario dell'esercito pontificio. Nominato comandante di divisione dei corpi di nuova formazione che si andavano costituendo sotto il comando supremo del generale G. Durando, partì da Roma con le sue truppe (costituite per lo più da giovani volontari), conducendole prima ad Ancona e da qui nel Veneto, a Montebelluna, nei pressi di Treviso. L'8 maggio 1848, giunta notizia dell'approssimarsi delle forze nemiche, si mise alla testa della 2ª legione, del II battaglione volontari della 3ª legione e del battaglione bersaglieri dirigendosi verso Cornuda.
Qui, fatta prendere posizione alle truppe e piazzata la mezza batteria di cannoni in suo possesso, mandò le pattuglie a perlustrare i dintorni; lo scontro, durissimo e condotto contro forze superiori per numero e capacità di fuoco, costrinse il F. - che invano aveva atteso sino all'ultimo il soccorso degli uomini capitanati dal generale Durando - a ripiegare verso Montebelluna, incaricando il maggiore Cesarini, comandante il II battaglione della 3ª legione, di coprire la ritirata agevolando l'esodo dei feriti e delle ambulanze. Ma il ripiegamento divenne fuga disordinata, con gli uomini presi dal panico (causato anche dalla voce di tradimento rapidamente diffusasi).
Il disegno di riunire le forze a Montebelluna e qui riorganizzarle per una più efficace difesa si trasformò in un concentrarnento generale su Treviso. Un nuovo scontro con le truppe austriache, la cui potenza di fuoco delle batterie di cannoni era nettamente superiore a quella delle forze volontarie, si risolse in un disastro, ed ancora una volta gli uomini guidati dal F. furono presi dal panico ripiegando disordinatamente verso Venezia. A Mestre si incontrò con il Durando, che gli affidò la missione di recarsi a Bologna per invocare l'intervento delle milizie napoletane (17 maggio). Dopo altre delicate missioni, il F. fu chiamato a Roma, che lasciò il 12 giugno inviato dal governo presso Carlo Alberto per ottenere un aiuto per le forze volontarie che combattevano in condizioni disastrose nel Veneto. Ottenuta la promessa di soccorso dal sovrano, fu spedito immediatamente a Venezia, dove, alla testa di 6.000 soldati pontifici, combatté contro gli assedianti austriaci, riuscendo persino ad organizzare e condurre 1.500 uomini all'assalto di Cavanella d'Adige, dove si erano arroccate parte delle forze nemiche.
Il 7 dic. 1848 fece ritorno a Roma e qui, il 18 genn. 1849, fu nominato, provvisoriamente tenente generale della guardia civica romana dalla Commissione governativa. Sempre nello stesso mese venne eletto dal collegio elettorale di Forlì deputato all'Assemblea costituente, all'interno della quale diede il proprio contributo votando a favore della Repubblica.
Si spense a Roma il 23 giugno 1849 combattendo contro le truppe francesi. I suoi resti riposano nell'ossario del Gianicolo.
Fonti e Bibl.: M. Montecchi, Fatti e documenti riguardanti la divisione civica e volontari mobilizzata sotto gli ordini del general F. dalla partenza da Roma fino alla capitolazione di Vicenza, Venezia 1848;G. Bernelle-A. de Colleville, Storia dell'antica legione straniera, Bologna 1852, pp. 92, 257, 260, 262 s., 276, 283 s., 289, 334, 336, 340, 381, 393, 398 s., 422 s., 465, 520 s., 525, 534;A. Moschetti, La corrispondenza del generale pontificio F . durante la guerra del 1848 nel Veneto, in Boll. del Museo civico di Padova, I (1898), pp. 6 s.; II (1899), pp. 15 s.;III (1900), pp. 24-27; E. Ovidi, Roma e i Romani nelle campagne del 1848-49, Torino 1903, passim; Rassegna storica del Risorgimento, XXIII (1936), 5, pp. 621 s.; P. Zama, Il portafoglio di campo del generale A. F. nella campagna del Veneto del 1848, in Atti del XXIV Congresso di storia del Risorg. ital. (Venezia, 10-14 sett. 1936), Roma 1941, pp. 489-493; P. Pieri, Storia militare del Risorginto, Torino 1962, pp. 222, 375 s., 378-382, 397, 401, 454, 842.