FERRUCCI, Andrea
Figlio primogenito dello scalpellino Michelangelo di Bastiano, nacque a Fiesole (Firenze) il 1ºsett. 1559 e dopo due giorni fu battezzato nella cattedrale di S. Romolo (Bellesi, 1989). Avviato allo studio della scultura dapprima sotto la guida del padre e poi presso V. Cioli, s'immatricolò il 12 luglio 1587 all'Accademia del disegno di Firenze (ibid.). Tra il novembre del 1590 e l'agosto del 1591 eseguì la sua prima opera oggi documentata: un'arme in marmo e in bronzo per la facciata di palazzo Vecchio in via dei Leoni, perduta nel 1660. La scultura, commissionata al Cioli ma realizzata dal F. con la collaborazione dello scalpellino Iacopo d'Antonio Malespina, rientrava nei progetti di ristrutturazione e di ampliamento di alcuni ambienti dell'antico palazzo fiorentino, progettati da B. Ammannati ed eseguiti tra il 1588 e il 1594 (ibid.). Sotto la guida del maestro collaborò ancora tra il 1593 e il 1597 alla realizzazione delle arme con i ritratti di uomini illustri per il palazzo dei "Visacci" a Firenze (Pegazzano, 1992).
Nel 1593, dopo la morte del padre, il F. ereditò con i fratelli Salvestro e Nicodemo un podere a Doccia, nei pressi di Fiesole (Schottmüller, 1915); nello stesso anno eseguì alcuni disegni per il fonte battesimale del duomo di Prato, scolpito dallo scalpellino settignanese Domenico di Piero Lazzeri (Marchini, 1963). Nel 1594 divenne confratello della Compagnia di S. Giovanni Battista dello Scalzo a Firenze, per la quale rivestì nel 1608 il ruolo di consigliere e poi nel 1609 e nel 1610 la carica di camerlingo (Bellesi, 1989). Per la chiesa della Compagnia eseguì e donò, nello stesso anno della sua "entratura", due statue in pietra serena raffiguranti S. Pietro e S. Matteo.
Queste, perdute nel 1785, dopo la soppressione leopoldina della Confraternita, facevano parte di una serie di sculture degli Apostoli, la Vergine e S. Giovanni Battista, realizzata, oltre che dal F., da alcune tra le personalità più interessanti nel panorama artistico fiorentino del tempo (G. Caccini, V. Cioli, A. Susini e G. Parigi) e da personaggi meno noti o pressoché sconosciuti (P. Rotilenzi, R. Petrucci, C. Terra e G. B. Mossi: Bellesi, 1980).
Nel 1597 il F. ottenne l'allogazione di due modelli in cera, condotti su disegno di R. Pagni, per le nuove porte del duomo di Pisa. Pagati 42 lire, essi furono modificati in parte, poiché non conformi alle esigenze dell'Opera della primaziale pisana, accrescendo la spesa prevista di 300 scudi (Supino, 1899; Tanfani Centofanti, 1897). Dopo la morte del Cioli, avvenuta nel 1599, ebbe l'incarico di ultimare l'esecuzione di una statua in marmo bianco e in legno raffigurante Cupido, lasciata interrotta dal maestro al momento del decesso.
Conservata nel museo di casa Buonarroti a Firenze, essa costituisce una delle prove attributivamente più equivocate all'interno del catalogo del Ferrucci. Menzionata da F. Fantozzi (1842) sotto i nomi del F. e di Cioli e da A. Fabbrichesi (1865) come opera del solo F., la statua fu poi assegnata da A. Venturi (1935) ad Andrea di Piero Ferrucci, celebre scultore tardorinascimentale. La revisione attributiva della scultura spettò a U. Procacci (1965), che, pubblicando l'inventario seicentesco della collezione Buonarroti, segnalò un documento importante che gettò nuova luce sull'autografia della statua: "un Cupido di marmo grande quanto il naturale, opera di Andrea Ferrucci cominciata da Valerio Cigoli". Malgrado l'errore evidente del nome Cioli con Cigoli, il documento escludeva la possibilità di riconoscere nell'Andrea Ferrucci, citato nell'inventario, lo scultore del primo Cinquecento, morto tre anni prima della nascita di Cioli.
Il 2 apr. 1602 furono collocate nelle nicchie ai lati dell'altare principale nella badia di S. Michele a Passignano due statue in gesso, S. Pietro e S. Paolo, eseguite dal F. per completare il ciclo decorativo della cappella maggiore, sovrinteso dal pittore D. Cresti con la collaborazione del fratello del F., Nicodemo.
Queste sculture, che dovevano essere sostituite in seguito con analoghe versioni in marmo (mai realizzate), costituiscono le prime opere, ancora in loco, interamente autografe dell'artista. Perduto nel corso dei secoli il nome del loro autore, furono assegnate da U. Middeldorf (1936) a I. Sansovino e alla sua bottega, sulla traccia di una statuetta con S. Paolo originale del Tatti, conservata nel Musée Jacquemart-André di Parigi, affine iconograficamente a uno dei gessi di Passignano. Dopo il recupero di informazioni documentarie puntuali (Schiavo, 1954 e 1955), le due statue furono restituite definitivamente al catalogo del F., sotto il cui nome sono state riprodotte in tempi recenti (Bellesi, 1989).
Intorno al 1602 il F. eseguì per la Guardaroba medicea "quattro cavalli di cera a un modello duna fonte", oggi perduti (Bellesi, 1989), e nel 1604 realizzò, con la collaborazione dello scalpellino B. Bozzolini, la decorazione del loggiato nel palazzo Serristori, poi Antinori Corsini, a Firenze (Ginori Lisci, 1972). Dal 1610 al 1616 l'artista era documentato nel cantiere fiorentino della chiesa di S. Trinita, in connessione ad alcuni lavori di scultura eseguiti nella cappella Usimbardi. Dallo spoglio dei documenti, conservati nell'Archivio capitolare di Colle Val d'Elsa (Bartalini, 1991), risulta che il F. realizzò alcuni capitelli in marmo bianco parzialmente figurati (alcuni dei quali, rimossi nel restauro ottocentesco della basilica, sono conservati nel Museo dell'Opificio delle pietre dure a Firenze).
L'attività dell'artista continuò con ritmo costante, includendo commissioni sacre e profane importanti, legate soprattutto alla famiglia granducale toscana. Risale al 1612 l'esecuzione di una "fonte di Marmi Bianchi e Misti", realizzata come apparato decorativo nella camera terrena di Cosimo II in palazzo Pitti (ambiente oggi incluso nel Museo degli argenti).
L'opera, nota tradizionalmente come la Grotticina, risulta costituita di vari elementi, comprendenti due putti con delfini, una tazza con volute e artigli, scale e una grotta-vasca con spugne e valve di conchiglie. La composizione, integrata perfettamente agli schemi architettonico-decorativi degli altri vani terreni nella stessa ala del palazzo, rappresenta uno dei raggiungimenti artistici migliori del F. e una delle prove più interessanti della scultura fiorentina dell'inizio del Seicento (Bellesi, 1989). Sebbene ancora formulata su modelli di derivazione tardomanierista, sembra anticipare, nella resa personalizzata dei putti e nell'utilizzazione di varie qualità marmoree, alcune delle composizioni più importanti del tempo, come il raffinato Monumento funebre di Bartolomeo Corsini di G. Silvani, oggi nel convento di S. Spirito a Firenze, databile alla metà del secondo decennio del sec. XVII.Tra le commissioni medicee allogate allo scultore in questo tempo le carte d'archivio segnalano l'esecuzione nel 1614 di alcune statuette con le Fatiche d'Ercole, realizzate individualmente dal F., da P. Tacca e da O. Mochi (A. Brook, in Il Seicento fiorentino. Biografie, catal., Firenze 1986, p. 128); nello stesso anno egli modellò "diversi cani fatti per servizio di mascherata" (Bellesi, 1989).
In un periodo collocabile cronologicamente entro il 1615 l'artista scolpì i due Angeli ai lati dell'altar maggiore nella chiesa di S. Salvatore in Ognissanti a Firenze.
Le sculture, seppure esemplate iconograficamente su due composizioni marmoree del primo Cinquecento nella cappella Gondi in S. Maria Novella (Bellesi, 1989), rivelano nell'"aria di testa" delle figure, nella raffinatezza delle vesti e dei panneggi e nel motivo serpentinato delle acconciature riferimenti artistici perfettamente in linea con le sculture, pressoché coeve, di G. Caccini e della sua scuola (G. Silvani, A. Ubaldini, C. Fancelli).
Nel 1618 il F. lavorava al modello in cera per il paliotto dorato dell'altare di S. Carlo Borromeo, noto tradizionalmente come ex-voto di Cosimo II de' Medici e destinato alla città di Milano (Bellesi, 1989).
L'opera, che vide l'intervento di personalità artistiche importanti (C. Merlini, J. Falck, G. Parigi, M. Nigetti, G. Bilivert, O. Mochi), fu eseguita nelle botteghe medicee tra il 1617 e il 1624, come voto per invocare la guarigione del granduca. La morte di Cosimo, avvenuta nel 1621, impedì però l'invio dell'altare nel capoluogo lombardo. Della composizione, smembrata intorno al 1789 e in parte fusa, si conserva attualmente solo il rilievo centrale in pietre dure, visibile nel Museo degli argenti a Firenze.
A partire dall'inizio del secondo decennio del Seicento, il nome del F. compare frequentemente nei registri della famiglia medicea. A tale riguardo F. Baldinucci (1681-1728, p. 538) ricordava che "il granduca Cosimo secondo, per gran tempo il tenesse impiegato nello stanzone del giardino di Boboli, in fare statue di marmo per ornamento del medesimo...". Studi recenti, condotti sul celebre giardino principesco, hanno consentito il recupero di notizie documentarie inedite, che precisano innegabilmente l'intervento del F. in alcune sculture tuttora inloco. Da un registro delle possessioni medicee apprendiamo che in data 25 maggio 1621fu corrisposta al F. la somma di 102 scudi, quale compenso per un putto in marmo.
L'opera, identificabile con un Amorino su un cigno conservato attualmente nella vasca della Fontana del carciofo in Boboli (Pizzorusso, 1989 e 1991), fu commissionata con altre nove statue, pressoché affini iconograficamente, eseguite da alcuni degli artisti più interessanti della nuova generazione, quali i fratelli D. e G. B. Pieratti, A. Novelli e G. F. Susini.
Una nuova retribuzione al F. fu versata il 30 giugno 1621per "fattura di dua fonte di marmo e quattro nicchi" per il giardino di Boboli (Pizzorusso, 1989): opere sostituite con copie nel Settecento.
Sebbene residente a Fiesole nei pressi del convento di S. Michele a Doccia, il F. fu proprietario dal 1611 di un'abitazione nel quartiere di S. Giovanni a Firenze (Bellesi, 1989). Nel 1625 fece redigere il suo primo testamento, lasciando erede universale, dopo il decesso della moglie Dianora, il fratello Nicodemo (ibid.). A questo rogito seguì in data 21 ag. 1626 il suo ultimo testamento, che, mantenendo inalterate le disposizioni redatte nel testo precedente, aggiungeva solo piccole donazioni a parenti, amici e servitù (Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno, n. 11172, cc. 92v-93v).
Il F. morì a Firenze il 23 ag. 1626(alla stessa data perì anche la moglie) e il giorno successivo il suo corpo fu inumato nella chiesa della Ss. Annunziata (Bellesi, 1989).
Personalità di indubbio interesse nell'ambito della scultura fiorentina dell'inizio del Seicento, il F. fu uno dei maestri più apprezzati del tempo. Nella sua scuola si formarono i fratelli Pieratti, R. Curradi, B. Rossi e C. Salvestrini
Fonti e Bibl.: F. Bocchi-G. Cinelli, Le bellezze della città di Firenze, Firenze 1677, p. 224; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua [1681-1728], a cura di F. Ranalli, III, Firenze 1846, pp. 538 s.; G. Richa, Notizie istor. delle chiese di Firenze divise ne' suoi quartieri, IV, Firenze 1756, p. 269; VIII, ibid. 1758, p. 206; G. Cambiagi, L'antiquario fiorentino o sia Guida per osservar con metodo le cose notabili della città di Firenze, Firenze 1781, p. 148; V. Follini-M. Rastrelli, Firenze antica e moderna, VII,Firenze 1797, p. 191; F. Fantozzi, Nuova guida ovvero Descriz. storico-artistico-critica della città e contorni di Firenze, Firenze 1842, pp. 276, 548; A. Fabbrichesi, Guida della Galleria Buonarroti, Firenze 1865, p. 8; V. Bocci, Guida serafica della Toscana, Pistoia 1874, p. 77; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, p. 161; R. Razzoli, La chiesa di Ognissanti di Firenze, Firenze 1898, p. 26; I. B. Supino, Le porte del duomo di Pisa, in L'Arte, VIII-IX(1899), p. 376; F. Schottmüller, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI,Leipzig 1915, p. 489; A. Garnieri, Firenze e dintorni in giro con un artista, Firenze 1924, p. 110; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, X, I,Milano 1935, pp. 186 s. (come A. di Piero Ferrucci); U. Middeldorf, Sull'attività della bottega di Iacopo Sansovino, in Riv. d'arte, XVIII (1936), pp. 245-263; W. Paatz-E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, IV,Frankfurt am Main 1952, p. 423; VI, ibid. 1953, p. 91; A. Schiavo, La badia di S. Michele a Passignano in Val di Pesa, in Benedectina, VIII (1954), p. 264; Id., Notizie riguardanti la badia di Passignano estratte dai fondi dell'Archivio di Stato di Firenze, ibid., IX(1955), p. 54; G. Marchini, Il Tesoro del duomo di Prato, Prato 1963, p. 125; U. Procacci, La Casa Buonarroti a Firenze, Milano 1965, p. 202; L. Ginori Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell'arte, II,Firenze 1972, p. 626; E. Allegri -A. Cecchi, Palazzo Vecchio e i Medici, Guida storica, Firenze 1980, pp. 366 s. (come G. Ferrucci); R. Fantappiè, Il Bel Prato, I,Prato 1984, p. 50; S. Bellesi, Precisazioni sulla vita e sull'attività dello scultore fiorentino A. di Michelangelo F., in Antichità viva, XXVIII (1989), 1, pp. 49-55; Id., Scuole e tendenze scultoree fiorentine tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento, in P. Bernini. Un preludio al barocco (catal.), Sesto Fiorentino 1989, pp. 40 s., 44; C. Pizzorusso, A Boboli e altrove. Sculture e scultori fiorentini del Seicento, Firenze 1989, pp. 19 s., 39 s., 48, 74 s., 82, 102, 106-108; R. Bartalini, Felice Palma e Lorenzo Usimbardi, in Prospettiva, 1991, n. 64, pp. 76-77, 79-82; C. Pizzorusso, Inediti per una fontana di Venere, in Boboli 90, Firenze 1991, pp. 83 s.; D. Pegazzano, I "Visacci" di Borgo degli Albizzi..., in Paragone, XLIII (1992), 509-11, p. 59; S. Blasio, in Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi, Torino 1993, I, p. 44; S. Bellesi, ibid., p. 77.