FOSCARINI, Andrea
Nacque a Venezia il 14 ott. 1519, figlio primogenito di Marcantonio, detto il Mazzagatti, di Andrea, del ramo di S. Tomà, e di Marina Morosini di Battista.
Il F. era cugino di primo grado e quasi coetaneo del procuratore Giacomo, figlio di uno dei fratelli minori di Marcantonio, Alvise, e massimo esponente dell'ala conservatrice del patriziato veneziano. Il padre del F. morì nel 1546 e nel testamento si era mostrato più desideroso di assicurare la serenità e l'eguaglianza tra i figli che di mantenere l'integrità del patrimonio e volle dividere i propri averi - per la maggior parte immobili in città - in parti uguali tra i quattro figli maschi.
Il F. si trovò a capo della numerosa famiglia, con il compito di sistemare sorelle e fratelli, uno dei quali, Marin, ancora nella minore età. Cominciava allora a muovere i primi passi nella carriera politica, sui cui esordi però le fonti non concordano appieno. Secondo il Priuli, avrebbe iniziato nel 1545 come patron di fusta, una nave più piccola della galera; sulla base della Raccolta dei Consegi, invece, in quest'anno il suo nome appare solo tra i candidati alla carica di sopracomito, per ottenere la quale era tuttavia necessario un tirocinio di quattro anni a bordo di una nave. Secondo le registrazioni ufficiali del Segretario alle Voci il F. esordì nel 1551 come sopracomito con il primo di una lunga serie di comandi navali che durarono fino alla guerra di Cipro. Degli stessi anni furono i diversi tentativi del F. per ottenere anche incarichi a terra: concorse senza successo a quelli di magistrato alle Acque nel 1561 e nel 1564 e a quello di provveditore alle Legne in Istria nel 1565. Nel 1566 come comandante di una galera prese parte alla spedizione navale che agli ordini del capitano generale Gerolamo Zane era stata inviata nel basso Adriatico a pattugliare le coste pugliesi e a prevenire eventuali attacchi dei Turchi. Fu tuttavia una permanenza breve e il F. non dovette cimentarsi nel combattimento perché lo stato d'allarme rientrò. Nel 1567 si candidò senza successo al posto di provveditore al Cottimo di Londra e a quello di provveditore a Marano. Per quest'ultimo ritentò l'anno seguente e con successo: ottenne la nomina alla sede friulana nell'agosto e vi rimase fino alla primavera del 1570.
Marano si trovava in zona di confine e la sua importanza era soprattutto militare. La fortezza costituiva una difesa intermedia tra la laguna veneta e la parte più orientale del dominio di Terraferma. La piazzaforte controllava e proteggeva anche gli scali commerciali e militari che in gran numero sorgevano in quel tratto di Adriatico, in special modo Lignano.
Tra il 1569 e il 1573 la carriera del F. si snodò attraverso uffici e magistrature marittime in mansioni sia operative, al comando di galere, sia amministrative, come magistrato sopra le Galere dei condannati, cui spettava tra l'altro la formazione delle ciurme. Nel 1570 fu governatore nel Collegio della Milizia da mar, organo al quale spettava provvedere all'armamento della flotta permanente che la Serenissima manteneva in efficienza. La guerra di Cipro determinò una nuova mobilitazione e il ricorso a tutte le risorse materiali e umane per contrastare i Turchi; anche il F. - ci informa il Priuli - "armò anco l'anno 1571 una galera di governatore con il general Veniero".
La consolidata esperienza e i servizi resi consentirono al F., ormai cinquantenne, di proseguire la carriera in incarichi meno gravosi nell'ambito di magistrature cittadine, e a tentare la scalata a quegli uffici e Consigli nei quali si prendevano le decisioni più importanti della politica veneziana. Un segno del salto di qualità del suo cursus honorum è la nomina a membro della zonta del Senato nel settembre 1572 e l'anno successivo quella a membro ordinario.
Nel frattempo il F. aveva concorso al posto di capitano a Candia e a quello di procuratore sopra gli Atti del sopragastaldo. Ma fu ancora l'attività navale a richiedere i suoi servigi in qualità di governatore della Milizia da mar, nel 1574 e forse anche nel 1578 (il dubbio è d'obbligo in assenza del patronimico nelle registrazioni della carica). Non gli riuscì, invece, di farsi eleggere bailo a Corfù e provveditore alle Biave, ma fu ricompensato nel 1574 con una nuova investitura alla dignità senatoria, dignità di cui si fregiò altre volte, nel corso del decennio, ricoprendo contemporaneamente anche incarichi di tipo amministrativo e giudiziario, come provveditore sopra la Giustizia nuova nel 1577 e l'anno dopo come magistrato in luogo di procuratore, una magistratura d'appello che dava la possibilità di entrare in Senato a chi la ricopriva, anche con diritto di voto.
Lasciati ormai gli incarichi che lo portavano fuori città e grazie a una posizione più solida e autorevole in seno al gruppo dirigente della Repubblica, negli ultimi quindici anni della carriera il F. si vide aprire le porte del Senato con frequenza pressoché annuale nella fase in cui il Senato si avviava a riprendere molti dei poteri fino a quel momento tenuti dal Consiglio dei dieci e a divenire il più importante organo decisionale della Serenissima. Nel 1578 era sfumato per il F. il primo tentativo di entrare nel Consiglio dei dieci, ma l'insuccesso fu compensato, a riprova della stima di cui godeva, con la nomina, da parte del Senato, a membro di un collegio di cinque patrizi che curavano la gestione del Banco Dolfin, uno degli ultimi banchi privati esistenti in Venezia, che era in fase di liquidazione. Dopo una seconda parentesi come sopraprovveditore alla Giustizia nuova, nel 1579, due anni più tardi il F. fu eletto censore, uno dei patrizi incaricati di vigilare sulla regolarità delle operazioni che si svolgevano in Senato e in Maggior Consiglio con particolare riguardo alla repressione dei frequenti brogli nei conferimenti degli incarichi pubblici. Il F. fu eletto membro effettivo e poi capo nel Consiglio dei dieci proprio nel 1582, l'anno della riforma che ne ridimensionò gli amplissimi poteri a vantaggio del Senato. Nel settembre fu nominato capitano a Padova, il più importante rettorato dello Stato veneto ove ebbe per collega il podestà Natale Donà.
Prestò giuramento l'8 marzo del 1583 e rimase in carica fino all'agosto del 1584 assolvendo ai gravosi compiti di ordine militare e fiscale propri della mansione.
Appena rientrato a Venezia lo aspettava un seggio in Senato e nel mese successivo uno in Consiglio dei dieci. Nel luglio del 1585 fu eletto consigliere per il sestiere di Dorsoduro, dopo che un precedente tentativo l'anno prima era fallito, e di nuovo nel 1590. Rientrò nel 1585 e 1586 in Senato come ordinario e fu in ballottaggio per il posto di podestà a Brescia nel gennaio 1587.
Il nome del F. senza il patronimico compare a fianco di alcune cariche riportate sia nel fondo del Segretario alle Voci dell'Arch. di Stato di Venezia sia dalla Raccolta dei Consegi del 1584-1588 conservati tra i manoscritti marciani: depositario in Zecca, provveditore all'Armar, provveditore sopra le Fortezze e provveditore nel Collegio della Milizia da mar. Per alcune cariche l'attribuzione al F. risulta più plausibile, in particolare quelle militari. La carriera di questo patrizio non particolarmente prestigioso e influente ma stimato comunque per competenza, dedizione e probità, era ormai giunta al suo apice e nel luglio del 1591 il F. sfiorò la nomina a procuratore, la più alta dignità dopo quella del doge, allorquando venne posto nella rosa dei candidati alla successione di Antonio Bragadin alla procuratia di S. Marco de citra (ossia di qua del Canal Grande con giurisdizione sui sestieri di San Marco, Castello e Cannaregio), ma non andò oltre il primo ballottaggio.
Nell'agosto del medesimo anno il F. fu richiamato al Consiglio dei dieci, ma non arrivò a concludere il suo mandato perché la morte lo colse il 24 novembre 1591, nella sua abitazione in S. Croce.
Volle essere sepolto nella chiesa di S. Maria Zobenigo, nell'arca di famiglia. Il 16 maggio 1591 aveva fatto testamento, nominando esecutori la figlia Chiara e il genero Andrea Minotto. Dopo essersi ricordato di enti assistenziali e istituti religiosi veneziani, di collaboratori e servitori fedeli, lasciava erede universale la figlia Chiara e istituiva un fedecommesso in favore della linea maschile e in subordine quella femminile, a partire dai figli di Chiara. Del patrimonio non si sa molto e, sulla scorta della dichiarazione dei redditi del 1582, poteva consistere soprattutto di beni fondiari e di qualche immobile, nel Polesine e a Rovigo. Secondo il Barbaro, il F. si sarebbe sposato due volte: nel 1559 con la vedova di Nicolò Morosini e, rimasto a sua volta vedovo, nel 1578 con Paola Badoer, di Alessandro, che era al suo terzo matrimonio. Dei due matrimoni del F. non si fa cenno nel testamento. Sono invece ricordate, senza indicazione della maternità, tre figlie: Chiara, l'erede universale, sposata nel 1578, Marina, premorta al padre, e una Foscarina, monaca nel convento padovano di S. Benedetto.
Il Cicogna, in un'aggiunta autografa alla copia degli Arbori del Barbaro conservata al Museo Correr (ms. Cicogna 3149), riferisce di una figlia naturale del F. di nome Paolina, monaca a S. Benedetto in Padova e legittimata dal padre nel 1590, forse identificabile con la Foscarina nominata nel testamento.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. del Museo Civico Correr, Cod. Cicogna 2782: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 27; ibid., 2499: M. Barbaro, Arbori de' patrizi veneti, III, pp. 298 s.; Ibid., E.A. Cicogna, Catalogo dei manoscritti dal MMMI al MMMD, c. 59v; Venezia Bibl. naz. Marciana, Mss. It. cl. VII 183 (=8161), cc. 386 s.; Mss. It., cl. VII 822 (=8901), Raccolta dei Consegi, c. 275; 824 (=8903), c. 14v; 825 (=8904), cc. 312v, 314v; 826 (=8905), cc. 7v, 10, 246, 270v, 303, 334v; 827 (=8906), cc. 23v, 52, 72, 146, 156; 828 (=8907), cc. 105, 122, 142, 168, 172, 177, 199v, 228 s., 232 s., 293, 299, 310v; 829 (=9808), cc. 74, 106 s., 112 s., 200, 202v, 215, 223v, 240, 301, 338; 830 (=8909), cc. 11, 68, 78, 93, 218 s., 223, 228v, 269v, 281, 298, 7bisv, 27bis, 53bis; 831 (=8910), cc. 25, 28, 33v, 51v, 87, 89, 125v, 143v, 221v, 224, 227, 265; Arch. di Stato di Venezia, Miscell. cod., I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, III, cc. 552, 555; Ibid., Ospedali e luoghi pii, b. 132, filza 1, cc. 2, 7; Ibid., Avogaria di Comun. Libri d'oro nascite, b. 81, f. 5 reg. 51, c. 134; Ibid., Dieci Savi alle decime in Rialto, bb. 157 bis, n. 780 (1582); nn. 480, 507; 126, n. 258 (1566); 135, n. 18 (1566); Ibid., Notai di Venezia, Testamenti, bb. 127, n. 699; 1267, n. 84 (testamenti del padre e dei familiari); Ibid., Provveditori e sopraprovveditori alla Sanità. Necrologi, b. 823; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni Maggior Consiglio, regg. 2, cc. 195v; 4, cc. 191v; 5, c. 12v; 7, c. 1v; Segretario alle Voci.Elezioni Pregadi, regg. 3, cc. 27v, 37, 45, 58v, 81v, 99, 100, 101v, 104v, 105, 114v; 5, cc. 27, 30, 38v, 39v, 76, 78v, 84v; 6, cc. 56v; Ibid., Consiglio dei Dieci. Giuramenti rettori, reg. 4, cc. 5v, 118; Ibid., Lettere rettori, b. 84, anno 1583, s.n.; Ibid., Senato. Terra, regg. 52, c. 25v, 74, 93, 95; 54, c. 58v; Ibid., Miscellaneaducali e atti diplomatici, b. 29; Ibid., Miscellanea codici, I, reg. 47, 26 luglio 1591; A. Gloria, I podestà e capitani di Padova dal 6 giugno 1509 al 28 apr. 1797,serie cronologica, Padova 1861, p. 22; Id., Il territorio padovano, I, Padova 1862, p. 286; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, IV, Podestarie e capitaniati di Padova, Milano 1975, p. LIV; V, Provveditorato di Cividale del Friuli - Provveditorato di Marano, Milano 1976, p. LXIII.