GAMBACORTA, Andrea
- Figlio di Gherardo (Gaddo), esponente di spicco della nota famiglia mercantile pisana, nacque a Pisa probabilmente all’inizio dell’ultimo decennio del sec. XIII. Come i suoi congiunti, risiedette nel quartiere di Chinzica, il più ricco e attivo della città, dove aveva una bottega per il commercio dei panni di lana, presso la quale per qualche tempo tenne il suo banco pisano la compagnia fiorentina degli Scali. Forte di una solida base patrimoniale e dotato di una florida situazione finanziaria, intraprendente uomo d’affari, sostenne un ruolo rilevante nella vita pubblica cittadina del Trecento.
Sul piano politico, l’attività svolta dal G. sembra aver avuto, ai suoi inizi, un carattere marginale: nel primo ventennio del secolo, infatti, solo occasionalmente - a quanto ci risulta - egli fu chiamato a funzioni consultive di primo piano, come quella di savio del Comune. Dall’inizio del decennio successivo, invece, in concomitanza con l’avvento al potere del giovanissimo conte di Donoratico Bonifazio Novello Della Gherardesca, succeduto come signore di Pisa al padre Gherardo (1° maggio 1320), la partecipazione del G. al governo della città si fece più intensa. Anziano per il bimestre gennaio-febbraio del 1322, nel 1325, insieme con il mercante Betto Sciorta, presentò ai pubblici Consigli una mozione mirante a ottenere provvedimenti per la tutela degli interessi dei mercanti pisani in concorrenza con quelli di Genova nel trasporto delle merci fiorentine: su dl essa doveva discutere e deliberare una pletorica commissione di 74 savi eletti da cittadini dei quartieri di Ponte, di Mezzo, di Fuoriporta e di Chinzica.
L’analisi del testo di tale mozione indusse il Silva a concludere che già allora a Pisa si sarebbero formate le basi, costituite in prevalenza da armatori e mercanti di mare, del raggruppamento politico (che di li a qualche decennio fu conosciuto come fazione o partito dei bergolini) favorevole a un accordo con Firenze.
Anziano per una seconda volta nel 133° per il bimestre marzo-aprile, nel 1331 il G. fu uno dei quattro sindaci plenipotenziari inviati a Napoli presso il re Roberto per concludere la pace. Nel 1333 fu di nuovo anziano (bimestre gennaio-febbraio) e ricopri la carica di console del Mare. Fu ancora anziano per i bimestri maggio-giugno del 1336, marzo-aprile del 1338 e maggio-giugno del 1340.
La morte del conte Bonifazio Novello (22 dic. 1340) e l’avvento del figlio di quest’ultimo, Ranieri Novello, riconosciuto il 28 ag. 1341 signore di Pisa, non pregiudicarono la carriera del G.: il rilievo del suo ruolo politico è già ben evidente molto prima dei fatti che sul finire del 1347 portarono al potere la sua fazione. Nel 1341 fu tra i testimoni del trattato di lega fra Pisa e Genova e nel 1343, per comune accordo delle due parti, ebbe l’incarico di fissare i dazi d’entrata delle merci fiorentine nei casi controversi e in quelli per cui i gabellieri non fossero competenti. Anziano per i bimestri maggio-giugno del 1342, luglio-agosto del 1345 e marzo-aprile del 1347, in quegli anni appare di frequente anche in commissioni di savi incaricati di provvedere all’elezione di pubblici ufficiali.
Tra il quarto e il quinto decennio del Trecento, inoltre, il G. - a causa dell’atteggiamento di esplicito dissenso da lui assunto nei confronti di Tinuccio Della Rocca e dei modi con cui quest’ultimo, in quanto tutore del conte Ranieri Novello, governava Pisa - si guadagnò crescenti consensi nell’opinione pubblica e si conquistò una posizione di predominio all’interno del suo schieramento politico. Il rilievo del suo ruolo tra i capi dell’opposizione è ben testimoniato dalla parte da lui avuta nei fatti che sul finire del 1347 travolsero i Della Rocca.
Quale tutore del conte Ranieri Novello, Tinuccio Della Rocca aveva esercitato, in forza della Balia del 30 ag. 1341, le funzioni di signore di Pisa. I suoi familiari e i suoi consorti avevano sfruttato tale circostanza per assicurarsi il predominio nella vita pubblica cittadina e si erano progressivamente allontanati dalla loro precedente posizione nei confronti del giovanissimo conte di Donoratico. Ciò aveva provocato contestazioni nei confronti di Tinuccio Della Rocca. Si erano allora formate correnti di dissenso e di opposizione, che si raccolsero poi intorno agli avversari tradizionali dei Della Rocca: gli Alliata, i Gambacona, i conti di Montescudaio. La linea di repressione che Tinuccio fu pertanto costretto ad adottare all’interno, ma soprattutto la politica di prestigio da lui avviata nei confronti delle potenze attive nella regione, i continui interventi militari e il progressivo aumento della pressione fiscale che essa comportava acuirono il malcontento popolare e non tardarono a trasformarlo in aperta ostilità.
Dopo la pace di Pietrasanta (17 maggio 1345), che concluse il disastroso confronto con i Visconti, Pisa, percorsa e divisa da odi e rivalità, si trovò in una congiuntura estremamente aspra. Nei due anni che seguirono, al di là di altri, ma difficilmente determinabili, apponi al governo cittadino, solo la figura del giovanissimo signore valse a salvaguardare la pace interna, garantendo - sia pure in modo precario - l’equilibrio nei rapporti Ira i diversi gruppi di pressione e dimostrando così di essere l’unica ragione capace di coagulare le diverse componenti della Comunità. Alla sua prematura scomparsa (5 giugno 1347), infatti, le contraddizioni interne, sino ad allora contenute, esplosero.
I dissidenti e gli oppositori del regime si strinsero intorno agli antichi avversari dei Della Rocca e sotto la loro guida scesero risolutamente in campo. Poiché si rifacevano alla memoria di Ranieri Novello, furono detti bergolini, dal soprannome Bergo, con cui era stato familiarmente indicato il giovanissimo signore di Pisa. Nell’estate del 1347 avviarono una violenta campagna propagandistica contro i Della Rocca e contro lo stesso Tinuccio cui non solo rinfacciavano la disastrosa politica estera e il fiscalismo esoso, ma che accusarono di aver eretto a sistema la malversazione e il peculato allo scopo di arricchirsi (onde la denominazione di «raspanti» loro attribuita) e di aver avvelenato - o fatto avvelenare - Ranieri Novello per insignorirsi della città. La tensione aumentò in seguito alla cassazione dell’ufficio di Conservatore voluta dai bergolini, e si ebbero tafferugli e disordini. Le autorità municipali cercarono di riportare la pace tra le parti, ma i loro tentativi non servirono a ristabilire l’ordine pubblico. Il 21 dicembre la nomina degli Anziani che avrebbero dovuto governare la città per il bimestre gennaio-febbraio 1458 provocò un tale malcontento che la situazione precipitò. Il 24 dicembre il G. insorse e fu l’anima della sommossa che rovesciò Tinuccio Della Rocca.
Facendo del quartiere di Chinzica la propria base operativa, il G. mosse, alla testa di un cospicuo contingente di armati, contro i propri avversari. Attraversata, a scopo intimidatorio, la città, per il ponte Vecchio raggiunse il quartiere di Mezzo, dove sorgevano le dimore dei Della Rocca e dove affrontò e disperse le forze dei suoi avversari. Gli scontri continuarono nel corso della giornata: i beni dei raspanti furono saccheggiati. Saccheggiata e data alle fiamme fu la casa di Tinuccio Della Rocca in Chinzica ed eguale sorte subirono quelle di altri insignì esponenti della sua fazione e della sua casata, quali i conti di Donoratico Gherardo e Bamabò Della Gherardesca e Dino e Ubeno Della Rocca. A notte i Della Rocca, sconfitti con i loro partigiani, furono scortati dai Gambacorta fino alla porta di S. Gilio e costretti a lasciare la città.
Il G., che concordi testimonianze coeve indicano come «maggiore e capo» della parte bergolina, esplicò la sua preminenza sul regime e sul governo nato dal moto del 24 dicembre non ricoprendo cariche istituzionali, ma esercitando un controllo immediato e capillare sugli indirizzi politici generali e sulle decisioni del Comune, attuato attraverso la partecipazione sua e di alcuni suoi congiunti alle commissioni convocate dagli Anziani e dai Consigli cittadini.
Nel febbraio del 1348 fu incaricato di provvedere, insieme con altri tre cittadini, all’elezione degli Anziani per il nuovo anno, secondo le decisioni prese dal Consiglio maggiore e dal Consiglio del Senato, il 25 dic. 1347. Numerose testimonianze convergono nell’indicare che la politica finanziaria fu l’interesse principale del G. e del nuovo governo. La loro opera, tuttavia, fu probabilmente piegata a interessi di parte, come è dimostrato dal fatto che subito dopo il loro insediamento al potere fu imposta ai raspanti una prestanza di ben 60.000 fiorini d’oro.
Numerosi membri della famiglia del G. vennero chiamati a far parte dell’anzianato e di commissioni di savio Tuttavia, il criterio di parzialità che governava l’assegnazione dei pubblici incarichi fu subito evidente e contribuì a generare un manifesto risentimento verso il G. e il nuovo governo.
Il G. mori a Pisa poco dopo il 1350, forse già nel corso dell’anno successivo.
Il G. può essere considerato uno dei mercanti più ricchi di Pisa nella prima metà del Trecento. La solidità delle sue risorse finanziarie ebbe senza dubbio un ruolo importante nella sua affermazione politica. I suoi possessi fondiari nel contado cittadino erano collocati in gran parte in Valdera e, in particolare, lungo il corso del torrente Roglio: ad Alica, in primo luogo e a Forcoli, ma anche a Calcinaia, a Marti, a Putignano, a San Giusto, a Cisanello, a Sant’Ermete, situate lungo il corso inferiore dell’Arno. In queste zone il G. incrementò, nei primi decenni del Trecento, una già consistente proprietà di terre «campie» (terreni seminativi), di vigne e terreni da frutto. Deteneva inoltre, insieme con Francesco, Lotto, Bartolomeo e Niccolò Gambacorta, il patronato della chiesa di S. Andrea di Forcoli. Nel 1323, insieme agli stessi e a Pietro Gambacorta, donò all’ospedale pisano della Misericordia una casa sita in San Pietro in Valdera. In Pisa, oltre alla casa con giardino, alla bottega di pannilana e al fondaco - detenuto in comproprietà con i consorti - attestato in un documento del 20 maggio 1327, possedeva la casa dove risiedeva, in cappella S. Sebastiano. Il suo prestigio nel quartiere di residenza è attestato da numerosi documenti che lo indicano come tutore o procuratore di affari per conto di privati e di enti ecclesiastici.
Fu forse per volere del G. che Taddeo Gaddi fu chiamato nel 1341 a Pisa per decorare il coro della chiesa di S. Francesco, dove erano collocate le sepolture dei membri della famiglia.
Il G. ebbe due figli maschi, Pietro, il futuro signore di Pisa, Gherardo e una figlia, Paola, da lui data in moglie al nobile Giovanni Bucci.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pisa, Comune A, reg. 33, c. 15v; 50, c. 46v; 74, cc. 109v, 197v; Diplomatico, Speciali, 1320 dic. 5; Ibid., S. Marta, 1327 maggio 20; Ibid., Cappelli, 1327 apr. 19, 1346 genn. 27; Ibid., Carmine, 1329 luglio II; lbid., Nicosia, 1330 dic. 7, 1335 luglio 14; Corporazioni religiose soppresse, 243, f. 1, cc. 17 ss.; Miscellanea manoscritti, 84, c. 4r; Cronica di Pisa, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1725, coll. 1017 s.; F. Dal Borgo, Diplomi pisani, Pisa 1765, p. 397; Breve vetus seu Chronica Antianorum civitatis Pisarum, a cura di F. Bonaini, in Arch. stor. ital., VI (1845), pp. 682-710; G. Villani, Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1991, ad ind.; A. Schaube, Das Konsulat des Meeres in Pisa, Leipzig 1888, p. 56; G. Volpe, Pisa, Firenze, Impero ai principi del 1300 e gli inizi della signoria civile a Pisa, in Studi storici, XI (1902), pp. 193-203, 299, 312 ss.; G. Baldasseroni, La pace tra Pisa, Firenze e Lucca nel 1343, Firenze 1904, p. 18; I. Benvenuto Supino, Arte pisana, Firenze 1904, ad ind.; P. Silva, L’ultimo trattato commerciale tra Pisa e Firenze, in Studi storici, XVII (1908), p. 647; Id., Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti, Pisa 1910, pp. 10,21-23; G. Rossi Sabatini, Pisa al tempo dei Donoratico. Studio sulla crisi istituzionale del Comune, Firenze 1938, pp. 232-235; E. Cristiani, Le più amiche proprietà fondiarie dei Gambacorta, in Studi in onore di A. Fanfani, II, Milano 1962, pp. 385-406; Id., Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli 1962, pp. 457 s.; M. Tangheroni, Gli Alliata. Una famiglia pisana del Medioevo, Padova 1969, p. 78; Id., Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 1973, pp. 31,41,54,83, 174; M.L. Ceccarelli, I Gambacorta, in Antichità pisane, II (1975), pp. 1-6.