GARZONI, Andrea
Nacque a Venezia da Andrea di Francesco e da una non meglio identificata Foscarina, probabilmente prima del 1430. Proprio in quell'anno il padre (morto nella contrada di S. Bartolomeo nel 1444), fondava, assieme con i fratelli Matteo e Giovanni, il banco omonimo, che fu il più importante e duraturo fra quanti operarono nella Venezia quattrocentesca.
Tutta la vita del G. sembra risolversi in quella del banco; mentre sulle vicende di tale impresa creditizia disponiamo di una gran mole di notizie, sul G. mancano anche le informazioni fondamentali, ove non coincidano con quelle della sua attività economica. Non risulta infatti avere mai ricoperto cariche pubbliche, e non è nota la data di nascita né chi fosse sua moglie e quando l'abbia sposata. Di certo ebbe almeno quattro figli maschi (oltre agli ecclesiastici Garzone e Giovanni Battista, Francesco e Domenico; quest'ultimo avrebbe assicurato la continuazione del casato) e due femmine, sposate con un Balbi e un Bragadin. Né si può escludere che il G. abbia contratto più di un matrimonio, dal momento che nel 1504 - quando cioè era molto avanti con gli anni - due dei suoi figli, Francesco e Garzone, risultano ancora "in pupilar età" (Sanuto).
Rimasto orfano, il G. fu avviato, verosimilmente dagli zii, alla pratica bancaria; dell'impresa familiare assunse la direzione a partire dal 1478, quando la casa godeva di buona salute: ancora nel febbraio del 1490 Massimiliano d'Asburgo, re dei Romani, acquistava da essa una partita di gioielli, e sei anni dopo la Signoria stabiliva di devolvere al banco parte della decima, a bonifico di 80.000 libbre di rame acquistate dal G. per conto dell'esercito della Repubblica.
La situazione dei banchi veneziani - tra i principali il Garzoni, il Lippomano, il Pisani, il Soranzo, usualmente denominati "le quattro colonne del tempio" - andò rapidamente deteriorandosi per diverse ragioni: le carestie che si susseguirono dal 1497; la crisi commerciale dovuta alla guerra contro i Turchi, iniziata alla fine del 1498 quando ancora non era finita quella contro i Fiorentini; le incessanti richieste statali di prestiti per far fronte alle crescenti esigenze della politica. A tutto questo, infine, si aggiunsero per i Garzoni talune speculazioni sfortunate sull'argento.
Nel 1499, secondo la testimonianza del cronista Malipiero "a primo de fevrer, Andrea di Garzoni dal banco è stà in Colegio, e lagremando ha ditto alla Signoria che 'l convegniva serar el banco; e 'l Dose ghe ha offerto, per nome della Signoria, 30.000 ducati ad imprestedo […]; e esso ha resposo che 'l debito è grando, e che 'l no poderà prevalerse". I nodi dunque erano venuti al pettine, e le premure manifestate dal governo marciano nei confronti del G., che fu aiutato in tutti i modi allora e in seguito, costituiscono buona prova delle responsabilità e delle continue interferenze praticate dalla Signoria nella gestione del banco; la ragione contingente del fallimento provenne comunque da alcuni mercanti fiorentini, che ritirarono in pochi giorni ben 40.000 ducati, costringendo il G. a elevare al 3% il tasso d'interesse corrisposto.
Il G. dovette pertanto sospendere i pagamenti dichiarando un passivo netto di 55.000 ducati, che neppure le profferte esibite dalla Signoria potevano colmare; gli fu accordato salvacondotto per un anno, nel corso del quale egli cercò di realizzare danaro con la vendita delle sue proprietà fondiarie in Terraferma, ma senza trovare acquirenti, dal momento che il capitale preferiva allora lucrare i cospicui interessi del debito pubblico. Per tutto l'anno si protrassero gli sforzi per raddrizzare la situazione; finalmente la soluzione fu trovata nell'erezione di un nuovo banco, garantito dalla Signoria con una copertura di 70.000 ducati d'oro.
Il 3 febbr. 1500 il G., insieme con i figli e i nipoti, intervenne a una "solennissima messa" a S. Giovanni di Rialto, "et poi" - la fonte è ancora il Sanuto - "esso sier Andrea di Garzoni andoe in bancho et aperse il zornal et comenzò a scriver", annotando subito un versamento di 10.000 ducati da parte dei Fugger. Sei settimane appena sarebbe però durato questo nuovo tentativo del G., in realtà un mero espediente per accordarsi con i vecchi creditori; il 16 marzo già se ne annunciava il fallimento, causato dall'insolvenza di certi marrani spagnoli per 30.000 ducati.
Il G. si rifugiò nel monastero dei Frari, portando con sé il denaro contante, onde evitare le prime e più violente reazioni dei creditori; ma già l'indomani gli avogadori di Comun gli concedevano una dilazione al pagamento dei debiti, poi seguita (10 aprile) da un salvacondotto per sé e per i figli, puntualmente reiterato a ogni scadenza. Pur simulando una condotta ispirata a giustizia, il governo marciano cercò in tutti i modi di favorire il G.: l'8 aprile il Senato eleggeva tre commissari per dirimere le controversie esistenti tra i rappresentanti dei creditori, i fideiussori e la ditta, e delegando alle Quarantie eventuali appelli.
Il 21 apr. 1500 il G. si recava dal doge, secondo quanto riferisce il Sanuto: "Vene in Colegio sier Andrea di Garzoni, olim dal bancho, con barba, con Piero et Agustin soi nipoti, Zan Batista e Domenego so fioli, et butossi in zenochioni dimandando perdon, dicendo era stà ingannà da forastieri, ringratiando dil ben li havia fatto questa Signoria, pregando le ossa loro non vada in preda, et è anni 200 sono in questa terra" (la famiglia proveniva infatti da Lucca).
Non sono chiare le successive vicende, ma è certo che il G. lasciò Venezia; poté rientrarvi solo dopo un decreto dei consiglieri ducali del 23 nov. 1506, mentre una successiva delibera del 15 marzo 1507 appoggiava il pagamento dei suoi debiti all'ufficio dei Camerlenghi, avocandone in pratica allo Stato la liquidazione.
Il G. morì a Venezia alla fine di settembre del 1511, come testimonia Sanuto alla data del 30: "In questo zorno fo sepulto domino Andrea di Garzoni, fo dal banco vechio, morto in calamità, et à auto assa' dolori".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii…, IV, c. 17; Ibid., Avogaria di Comun, Miscell. civile, bb. 129/30, 388/12 (processi inerenti il fallimento del banco); D. Malipiero, Annali veneti dal 1457 al 1500, a cura di F. Longo, in Arch. stor. ital., t. VII (1844), pt. 2, pp. 531 s.; M. Sanuto, I diarii, Venezia 1879-86, II-III, VI-VII, XII, ad indices; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, p. 318; F. Ferrara, Documenti per servire alla storia de' banchi veneziani, in Archivio veneto, I (1871), 1, pp. 348-353; Id., Gli antichi banchi di Venezia, in Nuova Antologia, gennaio 1871, pp. 191 s.; H. Simonsfeld, Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig…, I, Stuttgart 1887, p. 324; U. Tucci, Monete e banche, in Storia di Venezia, V, Il Rinascimento. Società ed economia, a cura di A. Tenenti - U. Tucci, Roma 1996, p. 794; R.C. Mueller, The Venetian money market. Banks, panics and the public debt, 1200-1500, Baltimore-London 1997, pp. 107 s., 236, 248 s., 586; C. Belloni, Diz. storico dei banchieri italiani, Firenze 1951, p. 102.