GASTALDI, Andrea
Nacque a Torino il 18 apr. 1826 da Bartolomeo, avvocato, e Margherita Volpato. La famiglia, di condizione agiata, gli fornì sollecitazioni culturali che si sarebbero riflesse sulle sue scelte artistiche. Osteggiato dal padre che voleva avviarlo alla carriera forense, il G. compì i primi passi nella pittura da autodidatta. Tuttavia, una non piccola influenza sulle sue scelte dovette esercitarla Giovanni Volpato, fratello della madre: accademico dell'Albertina, restauratore e ispettore della pinacoteca privata del re, Volpato fu personaggio di spicco nelle istituzioni artistiche torinesi.
Le notizie circa la fase formativa e la prima produzione del G. restano scarse e incerte e solo in parte soccorrono le pur preziose testimonianze di coloro che lo conobbero, come V. Bersezio, amico dell'artista e commentatore delle sue opere sulla Gazzetta letteraria (Maggio Serra, p. 19), il quale informa che fu Volpato a consigliare al giovane di iscriversi all'Accademia Albertina, allora diretta da G.B. Biscarra, pittore neoclassico accreditato negli ambienti ufficiali. Il suo esempio e quello degli altri insegnanti, quali G. Gaggini e P. Pelagi, come pure le tendenze prevalenti nella cultura artistica torinese, indirizzarono il G. verso l'adozione di un impianto formale classicheggiante, con palesi richiami alla pittura italiana del Cinque e del Seicento, appresa anche attraverso le raccolte dell'Albertina.
La formazione e la futura attività dell'artista vanno inoltre comprese nel quadro della politica culturale dei Savoia. Carlo Alberto, e dopo di lui Vittorio Emanuele II, si fecero promotori di molteplici iniziative culturali e artistiche finalizzate alla celebrazione della casata e della storia del Piemonte. Significativo, in tal senso, il programma decorativo ideato per il palazzo reale, che mobilitò tra gli altri G.B. Biscarra, A. Augero, P. Podesti e F. Hayez.
Convinto fin dal principio della funzione educativa ed edificante dell'arte, il 31 dic. 1857 il G. scriveva al fratello Lorenzo: "quando si tratta di far passare qualche atto d'eroica virtù, sia religiosa che civile, sento che lo faccio con vero amore, essendo questo il vero scopo dell'arte" (Monetti - Cifani, p. 154). Tale dichiarazione spiega la sua adesione alle poetiche del romanticismo storico, del quale sarebbe presto divenuto uno degli interpreti più apprezzati.
I primi suggerimenti tematici vennero al G. dalla storia sacra, cui lo predisponevano sia l'educazione ricevuta a scuola dai gesuiti, sia la sua stessa famiglia: la madre, fervente cattolica, fu attiva seguace di Giovanni Bosco; mentre il fratello Lorenzo, teologo di chiara fama dell'Ordine rosminiano (Isituto della carità), divenne nel 1871 arcivescovo di Torino.
Nel 1847 il G. partecipò per la prima volta alla mostra annuale della Società promotrice di belle arti di Torino, che l'avrebbe visto negli anni seguenti tra i più acclamati e assidui espositori. L'Addio tra Gesù e Maria (Torino, collezione privata), scelto per l'occasione, mostra un impianto formale neoclassico nel rilievo plastico conferito alle figure, definite da un disegno deciso e nitido, con palesi concessioni allo spirito della pittura religiosa del Cinquecento. L'anno seguente tornò alla Promotrice con L'Italia viene liberata dall'Austriaco per comando di Dio, e nel 1850 partecipò, sempre a Torino, alla V Esposizione di arte e industria con Il sacrificio di Abramo, Il cader del sole e Un re in catene (tutti e tre di ubicazione ignota).
Tra il 1850 e il 1851 si colloca, probabilmente, il viaggio del G. a Roma e a Firenze, per completare e approfondire la sua formazione attingendo direttamente alle fonti dell'arte antica. Le poche informazioni fornite dal Bersezio non consentono di conoscere tempi e modi del soggiorno nelle due città, ma si possono supporre contatti con gli ambienti del movimento purista romano e con i pittori di storia come G. Bezzuoli (Maggio Serra, pp. 23-25).
Rientrato a Torino, nel corso del 1852 il G. ricevette dal Consiglio comunale la sua prima commissione pubblica ed eseguì l'affresco I prigionieri piemontesi di Gundebaldo re di Borgogna liberati da s. Epifanio e da s. Vittore (ibid., n. 5, ripr.), posto sulla lunetta del portale maggiore della chiesa di S. Massimo. Nel medesimo anno esordì nella pittura di storia dipingendo Il primo moto del Vespro siciliano (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), con il quale riprese un soggetto di successo, accostandosi sia nel tema sia negli esiti figurativi all'esempio di Hayez.
Il dipinto fu esposto alla Promotrice insieme con Il sogno di Parisina (Filadelfia, The Pennsylvania Academy of the fine arts), nel quale l'efficacia narrativa è affidata, anzitutto, al violento irrompere della luce che si addensa sui personaggi. L'opera, ispirata dal poemetto Parisina di G.G. Byron, segnò l'entrata del G. nel filone letterario della pittura romantica. Negli stessi anni veniva pubblicata a Torino una traduzione italiana delle opere del poeta inglese, che fu una delle fonti letterarie più apprezzate dagli artisti italiani dell'Ottocento.
Un evento importante per la carriera del G. fu l'acquisto da parte di Vittorio Emanuele II e della regina della Perdita del primo amore (Torino, Palazzo reale), esposto alla Promotrice del 1853, dove conobbe un buon successo di critica. Dal maggio di quello stesso anno è documentata la presenza del G. a Parigi, ove soggiornò fino al 1859, senza però diradare la sua presenza alle mostre torinesi.
Gli anni trascorsi in Francia non modificarono i fondamenti della sua arte che rimase nel solco della tradizione, "profondamente alieno com'era da ogni esuberanza e deformazione di forma e colore, così come da ogni violenza espressiva e tragica" (Mallè, p. 32). Egli cercò i suoi modelli tra i rappresentanti della pittura ufficiale, pittori di storia famosi e celebrati, quali A.-J. Gros, H. Delaroche, T. Couture, H. Vernet. La giuria del Salon primaverile del 1853, composta da E. Delacroix, H. Flandrin, P. Delaroche e F.-E. Picot, accettò il dipinto Coucher de soleil.
Nulla è dato di sapere sulle esperienze francesi del G., di cui si ignorano i legami con gli ambienti artistici e le frequentazioni quotidiane; ma nella capitale francese egli conobbe la pittrice Léonie Lescuyer, che sarebbe diventata sua moglie.
All'Esposizione universale parigina del 1855 ottenne la "mention honorable" con Il sogno di Parisina e Il prigioniero di Chillon (Oslo, Galleria nazionale), ancora un soggetto byroniano, trattato con crudo realismo. Riproposto a Torino nel 1854, il dipinto fu riprodotto da una litografia di G. Gonin sull'album della Promotrice.
L'Histoire des républiques italiennes du Moyen-Âge di J.-Ch. Simonde de Sismondi gli ispirò nel 1856 l'episodio rappresentato nell'opera Fra Savonarola tratto in prigione tra gli insulti dei compagnacci (Torino, Galleria civica d'arte moderna), nella quale l'intensità drammatica della scena è affidata alla contrapposizione tra la brutale animosità della folla e la nobilissima figura del monaco martire, luminosa immagine di una fede autentica e incorrotta. Al Sismondi l'artista ricorse ancora nel 1858 per L'imperatore Barbarossa dopo la disfatta di Legnano si sottrae al campo di battaglia (Torino, Palazzo reale), anch'esso acquistato da Vittorio Emanuele II alla mostra della Promotrice di quell'anno. L'interesse per Dante manifestato dalla cultura figurativa ottocentesca coinvolse anche il G. che, nel 1857, inviò alla Promotrice La Pia de' Tolomei (Torino, collezione privata), La Lia (opera perduta) e Dante e Virgilio incontrano Sordello.
Il 27 maggio 1858 il G. divenne professore di pittura dell'Accademia Albertina, prendendo il posto di C. Arienti che si trasferì a Bologna.
La nomina del G. deve essere compresa sulla base dell'illuminata politica di riforme attuata dal direttore di quella istituzione, F. Arborio Gattinara, marchese di Breme, che in quegli anni aveva chiamato i più promettenti tra gli artisti dell'ultima generazione a ricoprire le cattedre delle varie discipline artistiche. Tra costoro, il G. trovava E. Gamba, figura di primo piano della pittura di storia, con cui avrebbe condiviso alcune rilevanti imprese decorative.
Rientrato da Parigi, il G. si stabilì definitivamente a Torino a partire dal 1860. Nel corso degli anni seguenti fu chiamato a ricoprire importanti incarichi ufficiali, che ne sancirono il prestigio ormai consolidato. Durante la Promotrice del 1860 grandi elogi furono tributati all'opera Pietro Micca nel punto di dar fuoco alla mina volge a Dio e alla patria i suoi ultimi pensieri (Torino, Galleria civica d'arte moderna), che ottenne il premio di Breme dell'Accademia Albertina. Come molti personaggi gastaldiani, colti nel silenzioso dialogo con se stessi, l'eroe simbolo della lotta del Piemonte per l'indipendenza dallo straniero è ritratto nel pio raccoglimento dell'invocazione a Dio, poco prima di sacrificarsi per la patria. Il dipinto fu inviato successivamente al Salon di Parigi del 1859 e all'Esposizione internazionale di Londra del 1862.
Nell'Innominato del 1860 il G. illustrò un passo famoso del XXII capitolo dei Promessi sposi di A. Manzoni. Risolta la scena in chiave introspettiva, con un ricercato effetto di controluce, vi dispiegò i mezzi di una pittura descrittiva e analitica, in grado di ottenere una ricostruzione ambientale perfetta quanto meticolosa. Il quadro fu acquistato dal ministero degli Interni e in seguito donato alla Galleria civica d'arte moderna di Torino, dove si conserva.
L'Atala di F.-R. de Chateaubriand è invece all'origine del dipinto omonimo eseguito dal G. nel 1862, esposto alla Promotrice torinese di quell'anno e conservato anch'esso alla Galleria civica. Dall'infelice storia d'amore tra due indiani della Louisiana il G. trasse la scena della morte della giovane protagonista, che risolse in una studiata composizione di gesti e atteggiamenti. L'Atala fu ripresentata all'Esposizione internazionale di Dublino del 1865.
L'attività del G. per commissioni pubbliche proseguiva intanto con la partecipazione alla decorazione dello scalone monumentale del palazzo reale di Torino, dove gli artisti coinvolti nell'impresa, tra cui V. Vela, E. Gamba e G. Bertini, furono chiamati a celebrare la storia della dinastia sabauda. La tela proposta dal G., Il conte Tommaso I di Savoia concede carte di libertà a varie città (1864-66), illustra quanto narrato da L. Cibrario, storico vicino alla corte, nelle Origini e progresso delle istituzioni della monarchia di Savoia.
Nel 1866 il G. entrò nel comitato direttivo del Museo civico di Torino e l'anno seguente venne accolto tra i membri della sottocommissione artistica dell'Albertina per l'Esposizione universale di Parigi, dove presentò La costanza dei Tortonesi (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), una tela di dimensioni imponenti commissionata dal ministero della Pubblica Istruzione.
Ricorrendo ancora una volta alla ricostruzione storica del Sismondi, per illustrare l'assedio di Tortona da parte del Barbarossa il G. elaborò una composizione concitata, di tono epico, sostenuta da un'abile regia nella complessa dislocazione dei gruppi di figure. Accolto tiepidamente a Parigi, il dipinto fu riproposto a Torino nel 1868 e riscosse notevole successo.
Sempre nel 1867 il G. fu impegnato nella decorazione dell'abside della chiesa parrocchiale di Groscavallo (presso Torino) per la quale realizzò l'affresco La cena in casa di Simone (Maggio Serra, tav. XII), dove i canoni classici si risolvono in accademica freddezza.
Alla prima Esposizione artistica italiana di Parma, svoltasi nel 1870, l'artista vinse la medaglia d'argento con il dipinto Un dramma dell'epoca preistorica in una famiglia dei primi abitanti delle Alpi (Torino, Galleria civica d'arte moderna), che suscitò le riserve di T. Signorini e C. Boito. Qui il G. si trovò ad affrontare un tema del tutto inconsueto per l'arte, ma oggetto di studio negli ambienti scientifici. La sua attenzione fu probabilmente attirata dalle ricerche del fratello Bartolomeo, professore di geologia e mineralogia presso la Scuola di ingegneria di Torino e pioniere nel campo della paleontologia.
Ancora nel 1870 prese parte ai lavori della commissione consultiva istituita dal ministero della Pubblica Istruzione per stilare un elenco dei monumenti nazionali del Piemonte. Al G. furono affidati i monumenti del Chierese, terra d'origine della sua famiglia. Nel 1871 egli tornava all'indagine sugli affetti con Savitri, un soggetto amoroso tratto dal poema indiano Mahabharata, che piacque ai critici e al pubblico della Promotrice.
La riproduzione litografica sull'album della mostra è l'unica testimonianza rimasta del dipinto, del quale restano soltanto alcuni bozzetti preparatori (Maggio Serra, nn. 43-47). Lettore colto e aggiornato, il G. dimostrava di saper cogliere prima degli altri le novità offerte dal panorama culturale di Torino, dove fiorivano proprio in quegli anni gli studi di orientalistica. Nel 1878 il G. avrebbe attinto nuovamente al Mahabharata per illustrare l'episodio di Damaianti dormiente in una selva abbandonata dal marito Nalo.
A un diverso clima culturale sembra preludere la Saffo del 1872 (Torino, Galleria civica d'arte moderna), che mostra "tangenze assai precoci nel panorama culturale del nostro paese con le declinazioni simboliste dei temi classici familiari agli artisti nordici, in particolare a certi tedeschi attivi a Roma, nell'entourage di Böcklin" (ibid., p. 205). L'opera comparve nel 1872 alla II Esposizione nazionale di belle arti di Milano e un anno dopo all'Esposizione universale di Vienna.
Nel 1873 il G. entrò nella commissione per i restauri e gli abbellimenti da eseguirsi nel duomo di Chieri. Il recupero dell'originario impianto gotico dell'edificio, celato sotto gli interventi barocchi, fu fortemente caldeggiato dal fratello arcivescovo Lorenzo e affidato alla direzione di E. Mella Arborio, restauratore e grande esperto dell'architettura medievale. Il nuovo apparato decorativo fu affidato a E. Gamba e al G., che realizzò le otto figure di Dottori della Chiesa da collocarsi nella navata centrale (1878-79).
Nel 1877 il G. si servì per la prima volta della tecnica dell'encausto, tornata in auge nell'Ottocento, per l'esecuzione della monumentale e fosca figura di Bonifacio VIII, opera di cromia brillante ma discutibile per la forzatura psicologica che sfocia nel grottesco (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Il dipinto figurò alla III Esposizione artistica nazionale di Napoli e fu riproposto nel 1878 all'Esposizione universale di Parigi. Sempre nel 1877 l'Accademia di Brera elesse l'artista tra i suoi soci onorari.
Con il passare degli anni il G. finì per attenuare la sua partecipazione alle manifestazioni espositive, nonostante i consensi e i riconoscimenti conseguiti; tale scelta, unita a uno stile di vita appartato, può forse spiegarsi alla luce dei mutamenti del gusto verificatisi nel clima artistico della fine del secolo, con l'abbandono progressivo della grande pittura di storia e l'approdo alle poetiche del verismo (Maggio Serra, p. 64).
Alla fine degli anni Settanta, la sua opera al servizio della committenza ecclesiastica proseguì con la grande tela del 1877, eseguita per la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo di Torino, raffigurante La caduta di Simon mago (Torino, Galleria civica d'arte moderna), dove il G. rivisitava il Rinascimento con un occhio di riguardo alla pittura del Tintoretto, e, l'anno seguente, con l'Apparizione di Nostro Signor Gesù Cristo alla beata Margherita Alacoque nel monastero di Paray-le-Monial in Francia nel 1675, per la parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù, costruita dietro sollecitazione di Lorenzo Gastaldi; in quest'ultimo dipinto l'accento fortemente devozionale si carica di echi da Controriforma, gli stessi che si ravvisano nella pala del Barnabita Antonio Maria Zaccaria per la chiesa di S. Francesco a Moncalieri del 1888.
Nel 1879 fu richiesto il parere del G. e di E. Gamba circa l'opportunità di demolire l'oratorio di S. Rocco a Pallanza per questioni di viabilità. Nella relazione stilata in seguito alla perizia effettuata sul posto, si consigliava di mettere in salvo gli affreschi del XV secolo trasportandoli altrove prima di abbattere l'edificio. L'anno seguente il G. figurò nella commissione della IV Esposizione nazionale di belle arti di Torino, che annoverava tra i membri V. Vela e M. Cammarano. L'ultima apparizione pubblica dell'artista avvenne all'Esposizione generale italiana svoltasi a Torino nel 1884. Il G., chiamato a presiedere la commissione di accettazione e collocamento delle opere, espose Emanuele Filiberto infante e Gli amori celebri, opere di ubicazione ignota, ma note attraverso studi e bozzetti preparatori (Maggio Serra, nn. 62-71, tav. XXI). Tra gli ultimi dipinti va ricordata la tela con Semiramide allevata dalle colombe, di cui restano diversi studi (ibid., nn. 74-76), tratta da La figlia dell'aria di P. Calderón de la Barca.
Pittore legato essenzialmente alla rappresentazione della figura umana, nelle sue varie connotazioni psicologiche, il G. non indulse in altri generi pittorici, benché all'interno della sua produzione debbano annoverarsi alcuni paesaggi e studi di osservazione della natura, che però non paiono aver rivestito un carattere autonomo. Questi, secondo Maggio Serra, proverebbero "più che un interesse per il paesaggio, la volontà di analizzare, fino a padroneggiarli, gli elementi naturalistici che ambientano certi dipinti di figura" (p. 209, n. 85).
Il G. morì a Torino il 9 genn. 1889. Un mese dopo l'Accademia Albertina gli dedicò una mostra retrospettiva.
Fonti e Bibl.: F. Monetti - A. Cifani, Lettere del pittore A. G. al fratello Lorenzo (1852-1857)…, in Studi piemontesi, XIV (1985), 1, pp. 149-159; G. Lavini, A. G. Studio critico, Torino 1891; L. Mallè, La pittura dell'Ottocento piemontese, Torino 1976, pp. 32 s.; R. Maggio Serra, A. G. 1826-1889. Un pittore a Torino tra romanticismo e realismo, Torino 1988 (con bibl.); A. Casassa, in La pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1990, pp. 843 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 240; Enclopedia Italiana, XVI, pp. 429 s.