GHERARDINI, Andrea
Nacque a Firenze nella seconda metà del XIII secolo da Filippo di messer Pegolotto.
Il nonno, cavaliere, appartenente a una delle più antiche famiglie di Firenze, che vantava antenati fra i consoli cittadini dal XII secolo, era stato podestà di Genova nel 1233. Nel 1260 era stato giudicato troppo vecchio e malato per prendere parte alla battaglia di Montaperti, e fu quindi deciso che potesse rimanere a Firenze. Il padre, Filippo, fu fra gli esponenti delle famiglie guelfe che erano state colpite dalle rappresaglie ghibelline decise con la vittoria di questa fazione a Montaperti e che ritornarono a primeggiare dopo il 1267, mantenendosi presenti nelle maggiori cariche del periodo che precedette la riforma istituzionale voluta da Giano Della Bella. Era infatti vivo e locava beni nel 1269. I Gherardini, che risiedevano nel sestiere di S. Piero Scheraggio, nel "popolo" di S. Stefano al Ponte, e avevano case e una torre in via Lambertesca, furono dichiarati magnati nel 1293, con l'entrata in vigore degli ordinamenti antimagnatizi.
Poco è noto della vita del G. fino all'inizio del XIV secolo e all'episodio per cui è rimasto consegnato alla memoria delle cronache, legato a una delle più tormentate vicende del conflitto che oppose i guelfi bianchi ai guelfi neri dopo l'entrata in vigore degli ordinamenti di Giustizia. Lo scontro fra le due fazioni dei Cerchi e dei Donati era già esplicito almeno dal 1296 e dal tumulto nato in margine al funerale di una donna appartenente alla casa dei Frescobaldi che aveva dato inizio al conflitto armato. Nel maggio 1299 Corso Donati era stato messo al bando, e l'eliminazione del capo degli avversari aveva spianato la strada alla fazione dei Cerchi. In coincidenza con il famoso episodio del calendimaggio del 1300, in cui l'occasione festiva di ritrovo era degenerata in uno scontro fra "brigate" delle due fazioni, era riesploso con violenza il conflitto fra le due parti, che aveva finito per determinare la polarizzazione di molte famiglie fiorentine nelle opposte fazioni. In questa occasione i Gherardini si erano schierati dalla parte dei Cerchi. I Donati, appoggiati dai guelfi neri, si erano rivolti al papa che, dopo aver incaricato della mediazione il cardinale Matteo di Acquasparta, aveva stretto accordi con Carlo di Valois per riportare la Toscana sotto il diretto controllo papale. In questo frangente i Cerchi, al governo a Firenze, cercarono di assicurarsi l'appoggio dei Pistoiesi.
Già dal 1296 i Pistoiesi, divisi fra due fazioni nate da una divisione della famiglia Cancellieri, dette dei Cancellieri bianchi e dei Cancellieri neri, avevano conferito al Comune di Firenze, nel tentativo di operare una pacificazione, il potere di reggere la città per cinque anni con diritto di nominare il podestà e il capitano del Popolo. Secondo Dino Compagni - il maggior cronista e testimone del conflitto fra bianchi e neri - il podestà fiorentino in carica nel semestre giugno-novembre 1300, Cantino Cavalcanti, approfittò della propria condizione per fare in modo che tutti gli Anziani, che prima venivano eletti in parti uguali fra le due fazioni pistoiesi, appartenessero alla parte bianca: il che naturalmente rese "malcontenti" i Pistoiesi e produsse desideri di rivalsa fra i neri.
Il 7 apr. 1301 i Consigli della Repubblica fiorentina dettero licenza al G. di accettare la capitaneria (semestrale) di Pistoia, con inizio dell'ufficio il 1° maggio. Nell'occasione il G., secondo il Compagni, fu nominato cavaliere, dato che nei Comuni medievali solo i cavalieri potevano essere nominati capitani o podestà. Apparentemente al G. fu fatto credere ("fu mostro", stando al Compagni) che i neri stessero congiurando con i Lucchesi per impadronirsi di Pistoia. Secondo la sentenza emanata contro di lui alcuni mesi più tardi, nel gennaio del 1302 (quando i neri ripresero il potere a Firenze) e riportata nel volume noto con il nome di Libro del chiodo (così detto dal chiodo infitto nella "coperta" di legno che lo caratterizza), il G. nel maggio (il 24 maggio, secondo le Storie pistoresi), dopo aver convocato in piazza i bianchi e i ghibellini di Pistoia insieme con un certo numero di cavalieri e fanti forestieri armati, fece citare i membri delle famiglie dei Cancellieri neri, dei rossi, dei Sighibaldi (Sighiboldi) e dei Ricciardi affinché si presentassero immediatamente in piazza, per ucciderli. Subito dopo aver fatto la citazione, dato che nessuno si presentava, si recò alle case dei rossi e le fece espugnare; dopo aver fatto la stessa cosa con le case dei Sighibaldi e dei Ricciardi, fece bruciare e devastare il palazzo di Simone Cancellieri - autore in seguito della denuncia contro di lui - ed espulse da Pistoia tutti gli esponenti della parte guelfa (cioè dei neri), dichiarandoli ribelli. Oltre a provvedere a far bruciare torri e case degli espulsi, il G. condannò poi gli esponenti della fazione dei neri rimasti in città a pene pecuniarie molto alte "per nessun altro motivo che l'essere guelfo" (Libro del chiodo), ed estorse personalmente a varie persone molte centinaia di fiorini. Egli, sempre secondo le Storie pistoresi, otteneva sistematicamente le confessioni con la tortura, in modo da spingere i rei confessi a "ricomperare" la libertà al prezzo di somme altissime, dopodiché li confinava, traendone, stando alla sentenza riportata dal Libro del chiodo, una somma superiore ai 10.000 fiorini d'oro. Anche Compagni (I, 25) sostiene che: "Alcuni dissono, il detto messer Andrea n'avea avuti fiorini IIIIm", ma non è chiaro in entrambe le versioni se si tratti della somma che personalmente avrebbe estorto agli inquisiti per arricchirsi in proprio o se si tratti, come suggerisce una delle voci citate dal cronista (rispetto alla quale questi non si schiera), di denari "dati dal Comune di Firenze per rispetto [cioè in considerazione] della nimicizia ne avea acquistata" (ibid.). Finito (alla fine di ottobre) l'ufficio di capitano, il G. era stato sostituito nel governo di Pistoia da Schiatta Amati, dei Cancellieri bianchi, nominato dai Fiorentini capitano di Guerra. Ma nel frattempo (1° novembre) Carlo di Valois era entrato in Firenze, e poco dopo si verificò l'irruzione in città di Corso Donati, che avrebbe contribuito a rovesciare il governo della fazione dei Cerchi e a instaurare il potere della fazione dei Donati.
Nel gennaio del 1302 furono emanate le prime condanne. Fra i primi a essere citati nel nuovo libro delle condanne a morte e al bando per motivi politici (il già ricordato Libro del chiodo) fu appunto il G., insieme con quattordici cittadini, tra i quali Dante Alighieri, condannati per avere, secondo l'accusa, operato dei brogli nelle elezioni della Signoria dal dicembre del 1299 in poi allo scopo di favorire la parte bianca. Come è noto, per Dante la condanna significò l'inizio dell'esilio che lo avrebbe portato pellegrino per l'Italia fino alla sua morte nel 1321. Il G. fu condannato il 18 gennaio al pagamento di 10.000 lire entro tre giorni, pena la rovina delle case e la confisca dei beni. Dato che non ottemperò al pagamento, né si presentò davanti ai suoi giudici, meno di due mesi dopo, il 10 marzo, fu condannato in contumacia al rogo insieme con gli altri. I due provvedimenti significarono quindi per lui di fatto l'esilio insieme con altri esponenti della sua famiglia, che in parte guidarono le imprese dei fuorusciti bianchi contro i dominanti neri fino al 1304 e negli anni seguenti, fino alla morte di Corso Donati nel 1308, e oltre.
In effetti, il G. si trovava presente nel giugno del 1302 al convegno dei capi principali dei bianchi e dei ghibellini che si tenne nel coro della chiesa di S. Godenzo sull'Appennino, e a cui partecipò anche Dante. Nel corso del convegno i fuorusciti fiorentini e i ghibellini garantirono agli Ubaldini che si sarebbero assunti essi stessi il costo dei danni che fossero derivati alla famiglia feudale dalla situazione di guerra in cui si sarebbe trovato coinvolto il suo territorio (il testo del patto è edito in Del Lungo, 1879-87, II, p. 569). In seguito le azioni dei fuorusciti continuarono nel territorio sia a nord, sia a sud di Firenze, anche con l'apporto di altri contributi, ma proseguirono nel frattempo in città anche le condanne da parte dei neri. Nei mesi di giugno e luglio il G., insieme con i fratelli Mannuccio e Catalano, essendosi evidentemente unito alle forze di Naldo Gherardini, suo parente, fu fra i Gherardini che conducevano azioni di guerra contro Firenze dal castello di Montagliari nel Chianti, derubando i passanti per la strada diretta a San Casciano o sequestrandoli per chiederne il riscatto, e bruciando nel contado le case dei loro oppositori. Per questi motivi il 25 ag. 1302, dopo essere stato citato in giudizio e non essersi presentato, fu condannato in contumacia alla decapitazione e alla distruzione di tutti i beni immobili. Quando nel settembre le truppe fiorentine assediarono il castello, il G., al pari di Naldo, faceva probabilmente parte del gruppo di Gherardini ai quali, in cambio della resa, fu concesso di allontanarsi liberamente. Probabilmente mantenne ancora in seguito, insieme con altri esponenti della sua famiglia, una funzione di capo dei fuorusciti bianchi.
Dopo questa data le fonti su di lui si diradano, e non ci è nota neanche la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani, 936, n. 177 (per Filippo); 937, n. 159; Mss. Passerini, 188, 216; Storie pistoresi (1340-1348), a cura di S.A. Barbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XI, 5, pp. 17-20; Il libro di Montaperti, a cura di C. Paoli, Firenze 1889, p. 54 (per Pegolotto); Consigli della Repubblica fiorentina (1301-1315), a cura di B. Barbadoro, I, Bologna 1921, p. 7; Liber extimationum, a cura di O. Brattö, Göteborg 1956, p. 38 (per Filippo); D. Compagni, Cronica, a cura di G. Luzzatto, Torino 1978, pp. 60, 62; Libro del chiodo, a cura di F. Ricciadelli, Roma 1998, in Fonti per la storia dell'Italia medievale, Antiquitates, IX, pp. 5-8, 41, 56; R. Davidsohn, Forschungen zur (älteren) Geschichte von Florenz, Berlin 1896-1908, III, pp. 300 s.; S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, 1, Firenze 1647, p. 215; G. Pelli, Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri ed alla storia della sua famiglia, Firenze 1823, p. 117; E. Repetti, Diz.geografico, fisico, storico della Toscana, V, Firenze 1843, p. 63; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, Firenze 1879-87, I, pp. 198 s., 202, 302; II, pp. 121, 476, 512, 570, 574; Id., Il Libro del chiodo e le condannagioni fiorentine del 1302, in Arch. stor. italiano, s. 4, VII (1881), pp. 209-212; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, Firenze 1896, pp. 101 s.; N. Zingarelli, Dante, Milano s.d. [1898-1902], p. 181; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1972-73, II, p. 294 (per Pegolotto); IV, pp. 135, 204 s., 274 s., 277, 319, 327; L. Ginori Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell'arte, II, Firenze 1972, p. 595; S. Raveggi - M. Tarassi - D. Medici - P. Parenti, Ghibellini, guelfi e popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze 1978, pp. 16 n. (per Pegolotto), 119 (per la famiglia Gherardini).