GLORIA, Andrea
Nacque a Padova il 22 luglio 1821 da Osvaldo, orefice, e da Luisa Tebaldi. Di antica ma non cospicua famiglia, frequentò il ginnasio vescovile e compì nel 1844 gli studi giuridici nell'ateneo patavino; dopo la compilazione del catalogo dei manoscritti della Biblioteca universitaria, ottenne nel 1845 l'impiego di "cancellista" dell'Archivio civico antico di Padova, con l'incarico del riordinamento e della gestione delle collezioni, di recente accresciute dagli atti delle soppresse corporazioni. Il G. assolse tale incarico partendo dall'idea della funzione civile dell'Archivio storico come luogo principe di conservazione e valorizzazione della memoria e dell'identità cittadina. L'alta concezione della Patavinitas fu infatti il principio-guida della sua multiforme attività di funzionario, studioso e docente di paleografia.
Il G. si impegnò a incrementare le raccolte civiche, acquisendo l'archivio giudiziario e gli antichi registri degli estimi, della Camera di commercio, della corporazione della lana; riordinò le opere d'arte disperse nel palazzo comunale; fece riscattare la collezione padovana di codici, stampe, incisioni e monete di A. Piazza; ottenne le collezioni d'arte e bibliografiche appartenenti alle soppresse corporazioni religiose e i legati di cittadini eminenti. L'Archivio divenne così un'istituzione multiforme - biblioteca, pinacoteca, museo archeologico e numismatico - che nel 1859 si intitolò Museo civico e di cui il G. fu nominato direttore.
Orientatosi verso gli studi storici, il G. frequentò nel 1857 le lezioni dell'abate L. Menin, il cui impianto ancora universalistico non modificò la sua formazione essenzialmente autodidattica, posta all'incrocio della personale riscoperta degli exempla della tradizione storica locale - rappresentata da G. Brunacci e dai Dondi dall'Orologio - con le suggestioni del rinnovamento degli studi storici dell'età del Risorgimento (espresso dalla nascita delle deputazioni di storia patria) e con la recezione del metodo storico dalla cultura di lingua tedesca. Il suo oggetto fu identificato nella storia padovana, di cui fu nella seconda metà del XIX secolo il più assiduo illustratore.
Dopo i primi lavori a stampa (che mettevano a frutto documentazione archivistica di prima mano e metodo storico), nel 1855 il G. fu chiamato alla cattedra di paleografia dell'ateneo patavino, appositamente istituita per iniziativa di G. De Leva, docente di storia nel medesimo ateneo.
Per l'insegnamento il G. si avvalse dei consigli del paleografo viennese Th. von Sickel, che favorì la sua nomina a professore straordinario nel 1862 e cercò di conformare i corsi padovani con le disposizioni del governo imperialregio, suggerendone anche l'intitolazione di scienze ausiliarie della storia, secondo il criterio tedesco: questa denominazione, del resto, era convergente nella sostanza con gli intendimenti del G., che ebbe del proprio insegnamento una concezione sussidiaria alla ricerca storica, imprimendovi un taglio eminentemente pratico. A tal fine compilò un Album ad uso della scuola di paleografia e diplomatica dell'Università di Padova (Padova 1857), con riproduzioni litografate tratte in parte dal Nouveau traité de diplomatique dei benedettini di S. Mauro, in parte da documenti originali. L'album fu poi rifuso nel Compendio delle lezioni teorico-pratiche di paleografia e diplomatica (ibid. 1870), primo manuale a lungo usato nelle scuole italiane di paleografia e maggiore contributo del G. al progresso delle sue discipline, elaborato nella fase precedente all'introduzione di fotografia e filologia negli studi paleografici, e del metodo storico-giuridico in quelli diplomatici. Attraverso il Sickel insisté inoltre perché il governo investisse nel riordino degli archivi locali e adottasse nella selezione degli archivisti un rigoroso sistema di concorsi, come espresso nei Pensieri intorno a un migliore regolamento degli archivi delle venete provincie (ibid. 1863).
Dall'ufficio di archivista derivò l'episodio topico della sua partecipazione politica. Allo scoppio della rivoluzione del '48 il G. svolse infatti le funzioni di archivista, cancelliere e sorvegliante del Comitato provvisorio (insieme con il vice-segretario C. Magarotto, esule dopo il ritorno degli Asburgo) tenendo un importante diario degli ottanta giorni rivoluzionari (Il Comitato provvisorio dipartimentale di Padova dal 25 marzo al 13 giugno 1848, pubblicato per la prima volta con introduzione e note di G. Solitro, ibid. 1927). Il diario degli avvenimenti padovani fu proseguito dal G. con la Cronaca di Padova dal 10 dic. 1849 al 2 giugno 1867 (edita, con più scarno apparato, a cura di G. Toffanin jr., a Trieste nel 1977; dalla narrazione delle vicende padovane il G. o i suoi familiari soppressero, forse per una cautela antipoliziesca, la trattazione degli avvenimenti compresi tra il 13 giugno 1848 e il 9 dic. 1849). Prima del ritorno degli Austriaci il G. distrusse e occultò numerose denunce antiaustriache sporte dai cittadini e già protocollate, temendo che potessero essere causa di rappresaglie e repressioni di polizia. Il valore del testo del G., che intese discostarsi dalla cronaca della rivoluzione patavina di C. Leoni, risiede nell'osservazione diretta dei fatti. L'informazione non è tuttavia sempre esauriente e l'intento è sostanzialmente apologetico dell'opera del Comitato, di cui il G. intende documentare la lealtà nei confronti della Repubblica di Venezia - cui il Municipio patavino rivoluzionario aveva aderito -, stornare le accuse di imprevidenza e incapacità amministrativa, accreditare la correttezza dei metodi di governo: unica debolezza l'aver tollerato l'iniziativa della plebe e l'aver abbandonato il potere ancor prima dell'ingresso degli Austriaci in città.
L'operato della Repubblica, di cui sono segnalati favorevolmente i provvedimenti giudiziari ed economici, è in più punti censurato in relazione alla condotta militare, giudicata approssimativa nella valutazione delle forze in campo e priva di strategia offensiva. Ma, più sostanzialmente, il G. giudicò "illegale e inopportuna" la stessa proclamazione della Repubblica di D. Manin, ritenendo che con la cacciata degli Austriaci le province venete avessero recuperato la propria sovranità e non dovessero quindi aderirvi. A tali rilievi polemici fa riscontro la posizione unitaria del G. relativamente all'assetto delle province lombardo-venete e, in seguito al proclama albertino, favorevole alla fusione col Piemonte sabaudo, a tal fine sostenendo essere monarchico l'orientamento della maggioranza della popolazione. I tratti di descrizione dello spirito pubblico cittadino ne evidenziarono in più parti la concorde e diffusa spontaneità dell'entusiasmo antiaustriaco e rivoluzionario, ma ne censurarono da un lato la scarsa propensione alle armi, dall'altro la fiacchezza verso le ricorrenti insorgenze della plebe cittadina.
Il secondo lavoro si rivelò meno organico e autonomo nella lettura degli eventi, registrati in forma di diario e non sempre compiutamente, mancando fra l'altro ogni riferimento all'attività del Partito d'azione o alla stessa opera del Comitato segreto durante la guerra del 1866. Il Solitro vi lesse non soltanto la necessaria cautela del suddito di uno stato poliziesco e la manifestazione di una natura aliena dalle insubordinazioni, ma anche la gratitudine del pubblico funzionario verso il governo imperialregio che aveva patrocinato la nascita del Museo, consentito l'accrescimento delle raccolte cittadine custodite dal G., riconosciuto i suoi meriti scientifici con il conferimento della cattedra universitaria (G. Solitro, Scritti inediti di storia del Risorgimento (1848-1867), in A ricordo e onore di A. G., Padova 1915, p. 148). Tali sentimenti furono espressi dallo stesso G. durante una visita a Padova di Francesco Giuseppe, ritenendoli tuttavia non contrastanti con quelli di italianità. Il G. infatti, in un colloquio con un funzionario governativo ribadì la propria lealtà al sovrano, aggiungendo: "Come italiano io debbo amare l'indipendenza italiana, ma però credo anche dovere rispettare l'autorità costituita, massime per la mia posizione famigliare e sociale" (a Th. von Sickel, Padova 27 febbr. 1862, in Lazzarini, 1915, p. 31).
In seguito, gli orientamenti politici del G. non ebbero più occasione di manifestarsi pubblicamente, pur essendo registrata la sua elezione in tarda età come consigliere comunale di parte democratica. Più significativa ai fini della definizione del suo profilo politico-civile fu l'integrazione nell'élite cittadina, di cui divenne parte costitutiva grazie al prestigio guadagnato con l'impegno a favore delle istituzioni, con la produzione storico-erudita, con la docenza universitaria. Tale integrazione venne corroborata da una solida posizione patrimoniale e dall'appartenenza a importanti istituti e associazioni culturali: vicepresidente della R. Deputazione veneta di storia patria, socio effettivo del R. Istituto veneto di scienze, lettere e arti e dell'Accademia di Padova; socio delle accademie di Torino, Mantova, Lucca, Verona, Vicenza, Bovolenta, dell'Accademia dei Georgofili, dell'Accademia toscana La Colombaria, del Museo d'arte e industria in Vienna. Anche gli scritti d'occasione testimoniano dell'intensa partecipazione alle vicende interne del ceto dirigente locale, con i diversi opuscoli per i nuziali di eminenti famiglie (per es. Papafava-Cittadella Vigodarzere; Giusti-Cittadella; Zigno-Emo Capodilista), frutto di ricerche originali poi approfondite e rielaborate.
L'impegno di funzionario a favore delle istituzioni fu la cifra del suo ruolo civile di rivendicatore e custode della Patavinitas. Non secondaria, in questa prospettiva, la sua concezione dell'archivio come luogo di conservazione di diritti, pubblici e privati: utilizzata soprattutto a sostegno del Comune di Padova, a cui fornì la documentazione per rivendicare la proprietà della cappella giottesca contro la famiglia Gradenigo, e a favore dell'Università contro il Demanio.
Intorno al tema padovano ruotarono anche le sue, meno impegnative, produzioni storico-letterarie: la partecipazione alle celebrazioni dantesche del 1865 (prima della liberazione del Veneto) da una parte testimoniò l'adesione alla prospettiva di appartenenza nazionale per il tramite della tradizione linguistica e letteraria, dall'altra si incentrò sull'individuazione della Dimora di Dante in Padova (in Dante e Padova. Studi storico-critici, ibid. 1865, pp. 1-29, una questione in seguito riesaminata dallo stesso G. nel saggio Dante Alighieri in Padova, in Giornale storico della letteratura italiana, XVII [1891], pp. 358-366: cfr. De Biasi, p. 245). Anche i suoi contributi agli studi sul Petrarca si focalizzarono sull'ubicazione della dimora del poeta in Arquà (Documenti inediti intorno al Petrarca con alcuni cenni intorno alla casa di lui in Arquà e alla casa dei Da Carrara a Padova, ibid. 1878); e parimenti gli studi galileiani intesero chiarire episodi della vita padovana dello scienziato e determinare l'ubicazione della sua abitazione (L'osservatorio e l'abitazione di Galileo Galilei in Padova, Padova 1892). Conclusioni e congetture che, quando davano luogo a contraddittori con altri studiosi, venivano difese con vivace asprezza dal G. in reiterati interventi successivi. L'ultimo degli scritti minori del G., anch'esso improntato all'esorbitante affetto per la "piccola patria", verté intorno alla questione odonomastica, ossia il mutamento della denominazione delle strade negli antichi centri cittadini che le amministrazioni comunali attuavano per celebrare, con l'intitolazione a protagonisti del Risorgimento, il processo di unificazione del paese. Il G. vi si oppose con il singolare argomento dell'eccezionale antichità delle denominazioni tradizionali in Padova, tale da sottrarla al processo di uniformazione nazionale pur ammesso per gli altri antichi centri della penisola (Dell'improvvido mutare i nomi antichi delle vie, ibid. 1899).
Nella scelta degli argomenti di una produzione scientifica ed erudita assai vasta e poliedrica (il Lazzarini censì 104 titoli a stampa) si riflette l'ispirazione civica del G., il cui primo lavoro fu composto poco dopo la sconfitta della rivoluzione, con l'illustrazione della Bolla d'oro nella dedizione della città di Padova alla Repubblica veneta (ibid. 1848), e il secondo volle ricordare l'Annua festività de' Padovani per la grande vittoria avuta nel 1386 sulle armi di Antonio Della Scala (ibid. 1850). Di maggiore impegno la raccolta delle Leggi sul pensionatico emanate per le provincie venete dal 1200 a' dì nostri (ibid. 1851), ispirate all'intento di utilizzare le carte d'archivio per stabilire la certezza di antichi diritti e la loro utilità nel presente: analoga ispirazione mostrò l'opera in due volumi Della agricoltura nel Padovano: leggi e cenni storici (ibid. 1855), premiata dalla Società d'incoraggiamento per l'agricoltura, importante istituzione scientifica di indirizzo liberale presieduta dal conte A. Cittadella Vigodarzere e poi da F. Cavalli. Di carattere storico-geografico è l'impegnativo studio in quattro volumi sul Territorio padovano illustrato (ibid. 1862), continuazione delle ricerche avviate per la partecipazione all'enciclopedica opera di C. Cantù, la Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, avviata nel 1859, cui il G. contribuì con Padova e la sua provincia (pp. 192-304). L'opera, di grande valore, fu il frutto di accurate ricerche sul campo durante le quali il G. si accompagnò anche a Th. Mommsen, e - come del resto anche le altre opere maggiori - largamente utilizzata in seguito dagli studiosi.
Di seppur indiretta ispirazione patriottica, per il vittorioso scontro fra le città venete e l'Impero asburgico, apparve la raccolta della documentazione relativa a Padova dopo la lega stretta in Cambrai dal maggio all'ottobre 1509 (ibid. 1863). Di maggior impegno fu la ricostruzione della serie cronologica dei Podestà che furono in Padova durante la dominazione carrarese (ibid. 1859), lavoro più volte riproposto e rimaneggiato e alla base della vasta produzione del G. dedicata alla storia delle istituzioni padovane attraverso la raccolta dei monumenti, che costituì la sua fase più matura. A questo ambito appartiene la pubblicazione della serie degli Statuti del Comune di Padova dal secolo XII all'anno 1285 (ibid. 1873, cui seguì Della pubblica amministrazione de' Padovani nei secoli XII e XIII, cenni tratti dagli statuti, ibid. 1874), che contiene le norme amministrative e giuridiche di Padova per il periodo indicato, e soprattutto appartiene il fondamentale Codice diplomatico padovano dal secolo sesto a tutto l'undecimo (Venezia 1877), seguito dal Codice diplomatico padovano dall'anno 1101 alla pace di Costanza (ibid. 1879), esauriente raccolta, pubblicata dalla Deputazione di storia patria, di 1878 documenti, pubblici e privati, che integrarono la precedente collezione trascritta da mons. G. Brunacci nel suo Codex diplomaticus Patavinus custodito nella Biblioteca del Seminario.
Nella Prefazione il G. espose un'epistemologia della storia intesa come vasta e scientifica ricostruzione delle civiltà e dei popoli, che deve partire dalla dimensione locale per allargarsi a quella nazionale e poi universale. Dai lavori maggiori il G. ritagliò sempre trattazioni su soggetti più specifici, alcune di notevole rilievo, come Intorno al corso dei fiumi dal secolo primo a tutto l'undecimo nel territorio padovano (Padova 1877) e L'agro patavino dai tempi romani alla pace di Costanza (ibid. 1881), tratte dall'importante Territorio padovano. A integrazione e sussidio del glossario di Ch. Du Cange il G. trasse dai propri studi documentari la Proposta di un glossario latino-barbaro e volgare del Medio Evo d'Italia (ibid. 1875), non avvalorata dal parere degli studiosi successivi.
La più rilevante opera del G., i Monumenti della Università di Padova, 1222-1318 (Venezia 1884), fu concepita come una continuazione del Codice diplomatico, dove il fuoco dell'attenzione era spostato sulla corporazione universitaria intesa come istituzione. Anche ai Monumenti - che incorsero nella critica di H. Denifle - il G. premise una dichiarazione di metodo storico, affermando la necessità della fondazione su fonti documentarie certe, rinnovando l'appello al governo, ora italiano, alla cura delle istituzioni archivistiche locali e proponendo che fossero istituite in ogni capoluogo di provincia. Così, pur a riposo dal 1887 dalla direzione del Museo, la produzione erudita del G. continuò ad essere informata alla concezione della funzione civile delle istituzioni. Le sue opere maggiori - il Territorio padovano, il Codice diplomatico patavino, i Monumenti dell'Università - continuarono a lungo a essere punto di riferimento e fonte di documentazione per gli studiosi.
Il G. morì a Padova il 31 luglio 1911.
Fonti e Bibl.: Le carte del G. sono conservate presso la Biblioteca civica di Padova, non inventariate. È parzialmente edito il Fondo Andrea Gloria delle Carte Lampertico presso la Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza. A. Bonardi, A. G., commemorazione…, in Atti e mem. della R. Accademia di scienze, lettere e arti in Padova, XXVIII (1911-12), disp. 1, pp. 43-52; Commemoraz. del prof. A. G. letta dal socio corrispondente Vittorio Lazzarini…, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere e arti, LXXI (1911-12), t. I, parte I, pp. 149-169; A ricordo e ad onore di A. G., numero unico del Bollettino del Museo civico di Padova, XV (1912); V. Lazzarini, A. G. paleografo, Padova 1915; G. De Biasi, Padova, in Enc. dantesca, IV, Roma 1973, pp. 245-247; D. Cortese, Tre inediti del G., Padova 1978; S. Bortolami, A. G. e il suo contributo alla storia ecclesiastica padovana, in Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, 1981, pp. 11-44; L. Lazzarini, Un mio ricordo della facoltà di filosofia e lettere, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, 1992, n. 25, p. 551; V. Lazzarini - L. Lazzarini, Maestri scolari amici. Commemorazioni e profili di storici e letterati a Padova e nel Veneto alla fine dell'Ottocento e nel Novecento, a cura di G. Ronconi - P. Sambin, Trieste 1999, pp. 4, 13, 53-79; G. Gullino, L'Istituto veneto di scienze, lettere e arti dalla rifondazione alla seconda guerra mondiale (1838-1946), Venezia 1996, p. 402; F. Lampertico, Carteggi e diari, 1842-1906, a cura di R. Camurri, II, Venezia 1998, p. 302.