GRADENIGO, Andrea
Forse figlio di Nicolò di Bartolomeo, nacque a Venezia probabilmente entro il primo quarto del XIV secolo e fu un protagonista di rilievo della vita politica e diplomatica veneziana della seconda metà del Trecento, anche se rimane per più aspetti una figura dai contorni alquanto sfumati, della cui biografia è assolutamente impossibile ricostruire la componente privata e familiare.
Del tutto ignorato dagli Arbori del Barbaro, per i quali un Andrea Gradenigo non è neppure esistito negli anni a cavallo tra la prima e la seconda metà del XIV secolo, il G. appare condannato a vivere solo in ambito pubblico, ricordato esclusivamente per gli incarichi di governo, le missioni diplomatiche, gli interventi nei Consigli della Repubblica (Minor Consiglio, Pregadi, Consiglio dei dieci), le presenze nelle magistrature alle quali venne di volta in volta eletto. Tutte le fonti, documentarie e cronachistiche, senza eccezione alcuna, ne omettono il patronimico, che non compare mai, per quanto in un mare vastissimo di citazioni, forse perché superfluo, data l'inesistenza di omonimi con i quali confonderlo. Arduo, pertanto, assegnargli una collocazione ben definita nell'ambito del casato dei Gradenigo e più ancora in quello del ramo di appartenenza. Del pari, impossibile attribuirgli una moglie e dei figli; l'unico dato per così dire "privato" riguarda la contrada di residenza, S. Bortolomio.
Solamente grazie alla Commissaria di Giovanni Gradenigo di Nicolò (Arch. di Stato di Venezia, Procuratori di S. Marco, Commissarie miste, p. 143/a), che incidentalmente segnala l'esistenza di un Andrea fratello di Giovanni (che secondo il Barbaro invece di fratelli non ne avrebbe proprio avuti), è possibile suggerire l'ipotesi che anche il G. fosse figlio di Nicolò. Considerato poi che tanto Giovanni di Nicolò quanto il G. vissero "politicamente" nei medesimi anni e che probabilmente lo scarto d'età tra i due doveva essere minimo, l'affermazione, per quanto non suffragata da alcuna prova, ma solamente da riflessioni deduttive, non appare poi così azzardata.
Il primo dato certo relativo al G., quello che riesce a bucare il silenzio delle fonti nei suoi riguardi, risale al 1352, al primo incarico pubblico di cui si sia a conoscenza, un delicato compito di polizia militare. Dopo la sconfitta di Pera, il G. venne, infatti, eletto inquisitor in Armata con il compito di indagare su alcuni gravi episodi di trasgressione agli ordini ricevuti, dei quali si erano resi colpevoli alcuni ufficiali veneziani e che avevano seriamente compromesso l'esito dello scontro. In tale occasione il G. doveva individuare i cinque maggiori responsabili da inviare in seguito a Venezia per essere giudicati. L'impegno lascia comunque supporre che questo non sia stato il primo affrontato dal G., ma che a monte vi sia stato un lungo e proficuo apprendistato. La supposizione appare ulteriormente confortata dal fatto che nel 1356 il G. faceva parte del Consiglio dei dieci - al quale normalmente non si accedeva agli esordi del cursus honorum - rivestendone in più occasioni gli uffici interni di inquisitore e di capo. Durante questa sua prima permanenza nell'ambito del supremo organo giudiziario della Repubblica il G. ebbe modo di distinguersi per alcune "parti" da lui proposte nei confronti di alcuni esponenti della "congiura" di Marino Falier, con i quali la dirigenza politica veneziana aveva ancora dei conti in sospeso. In agosto venne poi eletto giudice del procurator.
Quasi a conferma di questa sorta di predilezione per l'attività inquisitoria e giudiziaria in genere - nel 1362 fu pure signore di notte - il G. ritornò in Consiglio dei dieci anche nel 1360-61 e nel 1366-67. In quest'ultima occasione, il 16 dic. 1366, quale capo, insieme con il consigliere ducale Pietro Zane, propose che nel salone del Maggior Consiglio la figura del doge Marino Falier venisse rappresentata in modo tale che la testa pendesse tagliata alla gola. Tra il 19 e il 21 luglio 1365 fece anche parte dei Collegi che concorsero all'elezione del doge Marco Corner. Prima di essere nuovamente eletto in Consiglio dei dieci nel 1366 era stato anche membro della Quarantia. Nell'agosto del 1367 il G. figura inoltre quale avogador di Comun e in avogaria lo si ritrova qualche anno dopo, nel 1370 e almeno fino ai primi giorni di gennaio del 1371.
Il 1° ott. 1369 il G. fu chiamato a far parte di una commissione di tre savi competente su tutta la materia relativa a Treviso, Ceneda e territori soggetti. Gli furono colleghi in questa occasione Andrea Venier e Daniele Corner. La presenza in avogaria non gli impedì in ogni caso di far parte dal 3 ott. 1370 ai primi di marzo dell'anno successivo, quale sapiens Aragonum, di una commissione di cinque membri cui venne delegata dal Pregadi ogni competenza circa i rapporti veneto-aragonesi. Nell'ottobre del 1373 fu eletto anche in zonta al Pregadi e contemporaneamente inserito nella commissione investita della materia aragonese e, al tempo stesso, delegata a occuparsi delle decime ecclesiastiche; quest'ultimo incarico gli venne nuovamente affidato il 3 ott. 1375.
A partire dal 1371 il G. fu impegnato inoltre in delicate missioni diplomatiche che lo portarono spesso lontano da Venezia. Il 5 gennaio di quell'anno fu infatti eletto oratore al cardinale legato di Bologna, Angelico Grimaldi, con l'incarico di esternargli le condoglianze della Repubblica per la morte di papa Urbano V, suo fratello. L'anno seguente, mentre era sopraconsole, venne designato ambasciatore a Costantinopoli, quindi il 9 marzo 1374 fu inviato a Cipro. Tuttavia, dal momento che quest'ultima missione non ebbe luogo, ottenne di poter concorrere ad altre cariche.
Nel febbraio del 1375 il G. fu accreditato rappresentante della Repubblica presso l'imperatore d'Oriente, con il duplice mandato di ottenere la proroga della tregua in corso tra i due Stati e chiedere soddisfazione dei danni subiti dai mercanti veneziani che commerciavano in Levante. Ricevuti tra il 13 e il 15 febbraio "sindicato" e "commissione", nei giorni immediatamente successivi prese il mare alla volta di Costantinopoli. A luglio inoltrato il G. si trovava ancora a Costantinopoli, impegnato in trattative defatiganti e per nulla produttive. L'imperatore, infatti, afflitto da gravi problemi finanziari, intendeva vendere a caro prezzo il rinnovo della tregua e le facilitazioni daziarie che stavano particolarmente a cuore ai Veneziani; al tempo stesso tollerava che questi subissero impunemente le angherie dei suoi funzionari doganali e delle altre autorità imperiali. Il Pregadi si trovò così costretto, vista l'inutilità della permanenza del G. a Costantinopoli, a farlo rientrare in patria con le galere di Romania. La missione venne poi ripresa e portata felicemente a termine due anni dopo da Giovanni Gradenigo, che poté trarre profitto dal mutato contesto bizantino.
Ai primi di novembre di quello stesso anno il G. fu quindi inviato ambasciatore presso Bartolomeo e Antonio Della Scala, con il compito di esternare le condoglianze della Repubblica per la morte di Cansignorio, loro padre, e di congratularsi per la felice successione al potere. Il 13 dello stesso mese il Pregadi, considerata l'importanza che stava assumendo la materia relativa alla Romania, nominò una commissione di cinque savi incaricata di esaminare la complessa questione. Il 15 seguente venne chiamato a partecipare ai lavori di questa commissione proprio il G., a motivo della recente esperienza costantinopolitana, affiancato da Vitale Lando e Andrea Dandolo, provenienti invece da Trebisonda. Il 27 dic. 1375 il G. fu incaricato dal Maggior Consiglio, insieme con Giovanni Nicolò Rosso, Giovanni Bembo, Daniele Corner e Bernardo Bragadin, di rivedere accuratamente i testi delle istruzioni ("commissioni") impartite all'atto della partenza ai rettori veneziani.
Il 5 marzo 1377 il G. fu inserito, con Zaccaria Contarini e Giovanni Bembo, nella delegazione veneziana inviata a papa Gregorio XI, da poco ritornato a Roma. Un difficile compito attendeva in questa occasione i diplomatici veneziani che, oltre a congratularsi con il pontefice per il felice rientro, dovevano tentare di comporre la vertenza che lo opponeva ai Fiorentini nella guerra degli Otto santi e soprattutto cercare di sistemare una volta per tutte la controversa questione delle "decime dei morti", agitata dal coriaceo vescovo castellano Paolo Foscari, risalente ai tempi della peste del 1348. Ricevuta la commissione dai Pregadi il 29 aprile, i tre rappresentanti lasciarono Venezia il 14 maggio successivo, conformemente agli ordini ricevuti.
Nell'ottobre di quello stesso anno il G. fu quindi inviato ambasciatore a Pietro IV d'Aragona per negoziare un'alleanza tra i due Stati contro Genova.
La missione non ebbe però successo, anche a motivo della diffidenza del re nei confronti dei Veneziani che in una precedente occasione non avevano avuto alcuna remora ad aprire trattative separate con i Genovesi senza tener conto dell'alleato aragonese. Non trova invece ulteriori conferme l'affermazione di Pietro Gradenigo, secondo la quale il G. sarebbe stato in quell'anno anche a Buda, ambasciatore presso Ludovico d'Angiò, re d'Ungheria: "per trattar con esso lega contro Genovesi" (p. 74). A partire dal mese di ottobre fu inoltre uno dei sei del Minor Consiglio.
Tra l'estate e l'inverno del 1380, mentre era in pieno svolgimento la guerra di Chioggia contro i Genovesi, il G., con Zaccaria Contarini e Giovanni Gradenigo, che si aggiunse in un secondo momento alla delegazione veneziana, partecipò ai lavori del congresso generale delle potenze belligeranti radunato a Cittadella, per iniziativa di papa Urbano VI, premessa dei futuri negoziati di Torino. Nel 1380, inoltre, fece parte del Consilium sapientium guerre, il Consiglio al quale il Pregadi aveva delegato l'intera materia del conflitto. Il 10 febbr. 1381 fu nominato ambasciatore presso il duca d'Austria, Alberto III, tuttavia dovette rifiutare l'incarico a causa delle non buone condizioni di salute.
In quello stesso anno, ma a guerra ormai conclusa, il G. fu uno dei diplomatici inviati dalla Repubblica a felicitarsi con il cardinale Filippo d'Alençon per la sua nomina a patriarca d'Aquileia. E nell'ottobre di quello stesso anno, unitamente a Donato Tron e Marco Zen, venne eletto ambasciatore presso Carlo III d'Angiò Durazzo, nipote del re d'Ungheria, da poco assunto al trono napoletano. I rappresentanti veneziani, accreditati con il pretesto di esternare a Carlo le congratulazioni della Repubblica per il felice acquisto del Regno di Napoli, dovevano in realtà cercare di strappare al sovrano nuove e più ampie concessioni a favore dei mercanti e dei sudditi veneziani dimoranti nel Regno, o quantomeno ottenere la conferma e il rinnovo di quelle di più antica data.
Le richieste veneziane vennero esaminate dai funzionari regi tra la fine di novembre e i primi di dicembre, comunque solo a conclusione dei festeggiamenti per l'incoronazione della regina Margherita di Durazzo (25 novembre), cerimonia alla quale i diplomatici veneziani, per ordine del Pregadi, dovettero intervenire con il massimo dello sfarzo possibile. Le risposte della Corona, in gran parte evasive e per nulla corrispondenti alle aspettative della Serenissima, almeno per le questioni di maggior rilevanza, furono consegnate agli ambasciatori a più riprese, in ogni caso tra il 18 e il 21 apr. 1382, dopo di che gli stessi furono licenziati e poterono intraprendere il viaggio di ritorno, senza aver ottenuto eccessiva soddisfazione dal sovrano.
Il 30 genn. 1383 il G. fu designato, insieme con Leonardo Dandolo, ancora una volta ambasciatore presso il patriarca d'Aquileia; la missione, il cui obiettivo era soprattutto la definizione di alcune questioni dipendenti in gran parte dagli esiti della pace di Torino (8 ag. 1381), costituisce l'ultimo incarico pubblico del G. di cui si abbia notizia certa. Accreditato infatti il 3 luglio del medesimo anno quale rappresentante veneziano presso il sultano d'Egitto, non poté prendere possesso della carica perché fuori Venezia. E il 9 luglio seguente rifiutò analogo incarico a Costantinopoli; in quest'ultimo caso non si conoscono i motivi del rifiuto.
È questo l'ultimo dato certo riconducibile al G., l'ultima citazione documentaria dalla quale si possa desumere che egli fosse ancora in vita; dopo di che il sipario del silenzio torna a chiudersi, inesorabilmente, sulla sua vicenda umana e politica. È possibile comunque ipotizzare che sia morto non molto tempo dopo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 74: P. Gradenigo, Memorie istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, cc. 10r, 61r, 138v, 175v, 191v, 339r, 365v; Misc. codd., III, Codici Soranzo, 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, pp. 582, 584; Commemoriali, regg. VI, c. 137v; VIII, cc. 45v, 92r; X, c. 249v; Consiglio dei dieci, Deliberazioni miste, regg. 5, cc. 50r, 51v-52v, 53v, 89r, 90r-91r; 6, cc. 45r-47v, 49r; Maggior Consiglio, Deliberazioni, Liber Novella, cc. 100r, 138r, 166rv; Senato, Deliberazioni miste, regg. (tutti in copia) 32, cc. 36r, 43v, 131r; 33, cc. 60v, 145v, 159rv, 160v; 34, cc. 116v-117r, 281r; 35, cc. 75v, 98v, 104v, 128v, 192v, 293rv; 36, cc. 11v, 126v-127r, 190v, 204v; 37, cc. 60r, 102r, 186v, 195v; Senato, Sindicati, reg. 1, cc. 126v nn. 312 s., 133v n. 325, 135r n. 327; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 2329: Storia delle famiglie venete…, c. 34r; 3782: G. Priuli, Li pretiosi frutti del Maggior Consiglio, II, c. 103r; Codd.Gradenigo, 133/I, cc. 32v, 37v, 59v, 65v; G. Gatari - B. Gatari, Cronaca Carrarese, a cura di A. Medin - G. Tolomei, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, I, p. 194; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, II, Venezia 1878, p. 336 n. 330; III, ibid. 1883, pp. 153 n. 109, 154 n. 115, 388 n. 243; Régestes des délibérations du Sénat de Venise concernant la Romanie, I, 1329-1399, a cura di F. Thiriet, Paris 1958, pp. 136 nn. 551 s., 140 nn. 566 s.; Délibérations des Assemblées vénitiennes concernant la Romanie, II, a cura di F. Thiriet, Paris 1971, pp. 46 n. 821, 47 n. 827; Consiglio dei dieci, Deliberazioni miste. Registro V (1348-1363), a cura di F. Zago, Venezia 1993, pp. 162 n. 425, 163 n. 430, 165 n. 435, 168 n. 443, 257 n. 671, 259 n. 676, 260 n. 678, 261 n. 682; F. Verdizzotti, De' fatti veneti dall'origine della Repubblica sino all'anno 1504, I, Venezia 1686, p. 257; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1855, p. 164; A. Segre, Di alcune relazioni tra la Repubblica di Venezia e la S. Sede ai tempi di Urbano V e di Gregorio XI (1367-1378), in Nuovo Archivio veneto, IX (1905), pp. 205-208, 211; N. Nicolini, La solenne ambasciata veneta a Carlo di Durazzo, in Arch. storico per le provincie napoletane, n.s., LI (1926), pp. 243, 346; V. Lazzarini, Marino Faliero, Firenze 1963, pp. 190, 212, 244, 293; Ministero per i Beni culturali e ambientali, Arch. di Stato di Venezia, Dalla guerra di Chioggia alla pace di Torino. 1377-1381 (catal.), a cura di M.F. Tiepolo, Venezia 1981, pp. 22 n. 13, 58 n. 96.