GUARDI, Andrea
Non si conosce la data di nascita di questo scultore originario di Firenze, attivo a Napoli e nella Toscana occidentale nel XV secolo.
Il padre, Francesco da Firenze, fu forse scultore; è stata infatti proposta la sua identificazione con un Francesco di Guardi da Firenze, scalpellino, attivo a Bologna nel 1382 (Middeldorf, p. 24 n. 25).
Il G. partecipò probabilmente, sul finire degli anni Venti del XV secolo, alla realizzazione del monumento funebre del re Ladislao d'Angiò Durazzo, in S. Giovanni a Carbonara a Napoli. A lui sono stati attribuiti l'angelo reggicortina di sinistra (Abbate, p. 455) e le figure dell'Annunciazione (Ciardi, 1987, p. 19). Riscontri stilistici piuttosto puntuali con Donatello e Michelozzo Michelozzi (Monumento Coscia: Firenze, battistero di S. Giovanni) nella produzione del G. legittimano l'ipotesi di una sua prima formazione a Firenze, nell'orbita dei due artisti. Il G. dovette poi essere ancora influenzato significativamente dalla maniera della loro bottega a Napoli, dove entrambi i maestri furono impegnati, al termine degli anni Venti, nell'allestimento del sepolcro Brancacci nella chiesa di S. Angelo a Nilo.
A sostegno di una gravitazione in ambito donatelliano andrebbe peraltro considerato un pannello marmoreo raffigurante la Madonna col Bambino, noto come Madonna Orlandini, (Berlino, Bode Museum), se se ne accetta l'attribuzione al G. riproposta di recente. L'opera risulta chiaramente esemplata sul modello della Madonna Pazzi di Donatello, e fu realizzata con ogni probabilità prima del 1432 (Avery).
I riferimenti ai modi fiorentini non esauriscono tuttavia la cultura figurativa del G., chiaramente informata anche sugli esiti della plastica di Iacopo della Quercia; risulta però tutta da dimostrare l'ipotesi di un suo discepolato presso la bottega di quest'ultimo (Abbate). Alcune suggestioni derivanti dalla scultura di Iacopo sono a ogni modo evidenti nel monumento funerario di Ruggiero Sanseverino, firmato dal G. intorno al 1433, nella cappella di S. Monica annessa alla chiesa di S. Giovanni a Carbonara.
L'artista vi operò peraltro una sintesi interessante tra la tipologia sepolcrale sviluppata nel corso del XIV secolo da Tino di Camaino e una struttura compositiva pienamente quattrocentesca, impostando pilastri, ornati di piccole figure all'interno di nicchie, su un grande arco pieno.
A Napoli il G. intervenne inoltre a completare il progetto, ancora in S. Giovanni a Carbonara, per il sepolcro di Sergianni Caracciolo, eretto non prima del 1436 (Ciardi, 1987, p. 103 n. 58), rielaborando il motivo strutturale e decorativo dei pilastri ornati sperimentato nella tomba Sanseverino.
Nel 1442 il G. era a Pisa, dove prese bottega in società con lo scultore Guardo o Guardi di Nofri da Settignano. I contatti con l'ambiente napoletano nel frattempo non si erano interrotti. Nel 1444 stipulò un contratto per un'altra commissione di prestigio, il sepolcro del viceré di Sicilia Pietro Speciale.
Il lavoro del G., i cui frammenti si conservano nella Biblioteca comunale di Noto, fu realizzato a Pisa nel corso di quello stesso anno; non incontrò tuttavia i favori del viceré che, nel 1463, affidò la composizione del monumento a Domenico Gaggini.
Dal 1451, e per circa dieci anni (ibid., p. 45), il G. fu impiegato dall'Opera del duomo di Pisa. La prima commissione di una certa importanza riguardò un intervento di modifica dell'altare di S. Ranieri, realizzato un secolo prima da Tino di Camaino.
All'opera, attualmente riassemblata nella chiesa di S. Ranierino, lavorò in collaborazione con altri scultori, tra i quali Gaspare d'Antonio e Andrea da Carrara. Le figure (Eterno con due angioletti nella lunetta, Santi e Profeti nei pilastrini) sono caratterizzate da una definizione piuttosto sommaria delle forme anatomiche e da una costruzione delle proporzioni non in linea con la tendenza classicheggiante dell'epoca.
Una statua a tutto tondo rigidamente frontale che raffigura S. Ranieri, ora collocata sul terrazzino delle reliquie del duomo, fu realizzata negli anni immediatamente successivi al 1451 per la zona absidale, dove si trovava fino all'incendio del 1595.
Spetta a Ciardi (1987, pp. 37-48) il merito di aver restituito al catalogo del G. i frammenti di un tabernacolo eucaristico smembrato (tre lastre raffiguranti personificazioni allegoriche: Pisa, Museo di S. Matteo), databile a questi anni, proponendo un'ipotesi plausibile riguardante la forma originale.
Nella seconda metà del sesto decennio il G. iniziò a lavorare in duomo al monumento per il sepolcro del vescovo Pietro Ricci, voluto da suo nipote Giuliano. La tomba, smembrata nel 1713, è oggi conservata parzialmente nel Museo di S. Matteo.
Nell'organizzazione della struttura il G. prese a modello, con ogni probabilità, il monumento realizzato da Bernardo Rossellino per il sepolcro di Leonardo Bruni in S. Croce a Firenze, facendo altresì riferimento, per alcuni dettagli, ancora al monumento Brancacci.
Al sesto decennio è databile una scultura lignea raffigurante forse S. Margherita, nella chiesa di S. Frediano a Pisa, che denuncia forti analogie con le figure di S. Ranierino (Collareta, pp. 228-230). Alla fine degli anni Cinquanta il G. iniziò a lavorare nel Camposanto, imponendo progressivamente la propria bottega, in cui collaboravano, tra gli altri, il figlio Salvi e il cognato Simone di Domenico, nell'ambito della principale committenza cittadina, realizzando opere di completamento e alcuni apparati decorativi; dal 1462 il suo nome non compare più nel libro dei conti (Ciardi, 1987, p. 49). Nel 1461 realizzò le transenne marmoree che delimitavano il presbiterio della chiesa di S. Maria della Spina, attualmente conservate nel Museo di S. Matteo.
Le lastre, considerate le sue opere più significative, presentano i tratti della produzione matura e raffigurano alcune personificazioni allegoriche all'interno di cornici elegantemente definite. Le soluzioni compositive diventano però piuttosto deboli quando lo scultore deve articolare più figure negli stessi margini, come nel riquadro in cui sono raffigurate la Fede e la Speranza.
Prima del 1467, anno in cui è documentato a Piombino, il G. scolpì firmandolo un altare (Madonna col Bambino e santi) per la cattedrale di Carrara.
Nella predella del grande dossale, smembrato già nel XVII secolo e poi più volte ricomposto fino all'attuale sistemazione in duomo, sono raffigurati due devoti identificabili con i probabili committenti, Spinetta Fregoso, signore di Carrara, e sua moglie Antonia Malaspina. Il dossale carrarese dovette costituire un riferimento importante per gli artisti che lavoravano nella zona, come dimostrano, per esempio, alcune analogie strutturali riscontrate con la Purificazione della Vergine, seconda ancona realizzata dai Riccomanni nel duomo di Sarzana, la cui lavorazione, commissionata nel 1463, riprese quando l'opera del G. era ormai terminata (Rapetti, pp. 111-122).
A Piombino, con le mansioni di architetto e scultore, presso la corte di Iacopo (III) Appiani, il G. realizzò, tra l'altro, la cappella della Madonna di Cittadella e le transenne del presbiterio all'interno di essa, nonché un fonte battesimale per la chiesa di S. Antimo.
Riferibile a questo periodo è inoltre un tabernacolo conservato nella cappella di S. Venanzio del battistero lateranense, la cui attribuzione è sostanzialmente accolta dalla critica. Alcune recenti attribuzioni di opere eseguite, probabilmente nel corso del settimo decennio per i borghi di Collecchia, Viano, Castelnuovo Magra e Marciaso hanno evidenziato un'ampia presenza del G. e della sua bottega in ambito apuano (ibid., pp. 122-132).
A Pisa, il G. realizzò, nel 1470, un dossale marmoreo per la chiesa di S. Giovanni al Gatano e probabilmente anche un'Annunciazione ora conservata nella parrocchiale di Lari.
In un documento del 1476 il G. viene menzionato come defunto, senza tuttavia specificare la data della morte (Fanucci Lovitch, 1995).
Il G. ebbe un figliastro, Giovanni, e due figli: Salvi, nato dal matrimonio con una sorella dello scultore Simone di Domenico, intorno al terzo decennio del Quattrocento, e Bernardino, nato probabilmente dalle seconde nozze del G., celebrate nel 1451, e attivo principalmente nella bottega paterna. Una solida tradizione storiografica identifica Salvi con il capomastro che lavorò in S. Spirito a Firenze tra gli anni Settanta e Ottanta, realizzando sulla scia dei progetti brunelleschiani la cupola e la controfacciata della chiesa (Borsi - Morolli - Quinterio; Ciardi, 1987, pp. 73-78, 102 s.).
Fonti e Bibl.: F. Abbate, Problemi della scultura napoletana del '400, in Storia di Napoli, IV, 1, Napoli 1974, pp. 449-456; U. Middeldorf, Quelques sculptures de la Renaissance en Toscane occidentale, in Revue de l'art, 1977, n. 36, pp. 7-26; F. Borsi - G. Morolli - F. Quinterio, Brunelleschiani, Roma 1979, pp. 322 s.; R.P. Ciardi, Il Quattrocento, in Scultura a Pisa tra Quattrocento e Seicento, a cura di R.P. Ciardi - C. Casini - L. Tomasi Tongiorgi, Pisa 1987, pp. 12-85, 103 (con bibl.); M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVIII secolo, I, Pisa 1991, pp. 12 s.; R.P. Ciardi, "Ars marmoris". Aspetti dell'organizzazione del lavoro nella Toscana occidentale durante il Quattrocento, in Niveo de marmore. L'uso artistico del marmo di Carrara dall'XI al XV secolo (catal., Sarzana), a cura di E. Castelnuovo, Genova 1992, pp. 341-349, 356 s.; C. Casini, Magistri marmoris a Pisa e nel contado dalla seconda metà del Quattrocento agli anni Trenta del Cinquecento, in Le vie del marmo… (catal., Pietrasanta), a cura di R.P. Ciardi - S. Russo, Firenze 1992, pp. 73-99; G. Lucchesi, Museo dell'Opera del duomo di Pisa, Pisa 1993, pp. 55 s.; M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVIII secolo, II, Pisa 1995, p. 16; C. Rapetti, Storie di marmo. Sculture del Rinascimento fra Liguria e Toscana, Milano 1998, pp. 111-132; M. Collareta, Verso l'età nuova, in Sacre passioni. Scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo (catal., Pisa), a cura di M. Burresi, Milano 2000, pp. 228-233; C. Avery, Studies in Italian sculpture, London 2001, p. 25; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, I, pp. 454 (s.v. Andrea di Francesco da Firenze), 456 (s.v. A. G.); XV, p. 162 (s.v. Guadi Andrea).