LANCIA, Andrea
Andrea di ser Lancia, comunemente noto come L., nacque a Firenze presumibilmente nell'ultimo decennio del XIII secolo, al più tardi nel 1297 (Azzetta, 1996). Questa data si desume dal primo atto notarile reperibile recante la sua firma e datato 3 giugno 1315; per avere libero accesso al notariato, doveva all'epoca aver già compiuto il diciottesimo anno d'età. Ebbe un fratello, Bandino, che esercitò l'attività di speziale. Scarne le notizie circa un figlio, Filippo, anche lui notaio, che gli sarebbe premorto. La professione di notaio, che il L. esercitò senza interruzione fino al 1357, e che era stata già del padre, fu affiancata subito da interessi letterari. Coltivò fin dalla giovinezza un'autentica venerazione per Dante, che egli certamente conobbe, come attesta un passo della sua maggiore opera, l'Ottimo commento: "Io scrittore udii dire a Dante, che mai rima nol trasse a dire altro che quello ch'avea in suo proponimento; ma ch'elli molte e spesse volte facea li vocaboli dire nelle sue rime altro che quello, ch'erano appo gli altri dicitori usati di sprimere" (Inferno, X, 87; ed. a cura di A. Torri, I, p. 183). L'incontro dovette avvenire durante un viaggio in Veneto, probabilmente a Verona, dove il poeta soggiornò a lungo, tra il 1312 e il 1318. Il L. conobbe anche Giovanni Boccaccio, con il quale più tardi avrebbe stretto una relazione di lavoro e, forse, d'amicizia. Il L. abitava nel "popolo" di S. Pier Maggiore, nel sesto di S. Giovanni, dove si svolgeva gran parte della vita mercantile fiorentina e dove, intorno al 1314, la famiglia del Boccaccio si trasferì per rimanervi fino al 1327.
Non è da escludere che proprio il L., già avanti nella formazione, abbia introdotto il giovane concittadino agli studi classici. Ancor giovane, infatti, egli vi si era dedicato e in forma privata aveva tradotto alcune epistole di Seneca a Lucilio. Frutto esiguo, ma significativo, di questa familiarità con la letteratura latina fu la compilazione di un'epistola sul tema dell'ubriachezza, nella quale assumeva le vesti di Lucilio.
Il contributo più importante del L. va individuato nell'opera di volgarizzatore, attraverso la quale egli saldò la cultura volgare alla latina. In una data incerta (prima del 1322, forse nel 1316) Coppo Domenichi, amico del Boccaccio, che a Firenze ricoprì più volte la carica di priore, gli commissionò una traduzione dell'Eneide.
Il testo latino utilizzato dal L. era il compendio stilato da un ignoto Anastasio, dell'Ordine dei frati minori: era una trasposizione in prosa risultante dall'eliminazione dal testo originale di passi lirici e descrittivi che, pur rischiando di offuscare l'intelligibilità del senso, non corrompeva né la lingua, né la metrica dei versi virgiliani. Benché esistesse già una traduzione dell'Eneide compilata da Ciampolo di Meo Mellone degli Ugurgieri da Siena, l'opera del L., intessuta di frequenti richiami danteschi e animata da intenti divulgativi, riscosse un successo immediato: la utilizzarono come fonte Giovanni Villani per la Cronica, e il Boccaccio per il Filocolo. Al Villani il L. era legato da un'amicizia intellettuale, fondata sulle comuni letture e sullo scambio di rarissimi testi, di cui entrambi si servirono nelle loro opere. Nel 1476 il volgarizzamento dell'Eneide ebbe, infine, un'edizione a stampa (Venezia, Hermann Liechtenstein).
L'attività del L. come volgarizzatore di testi classici, che sembra da circoscrivere alla sua giovinezza, è ancor oggi difficilmente quantificabile. Mentre non sembrano sussistere dubbi circa l'autenticità dell'Eneide, possono essergli assegnati solo con un margine di incertezza i volgarizzamenti di due testi ovidiani, l'Ars amandi e i Remedia amoris, dello pseudovidiano Pulex, del Liber de agricoltura di Palladio e, infine, dei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo. Destituita di fondamento sembra l'autenticità del volgarizzamento delle Regole d'amore di Andrea Cappellano e delle pseudoquintilianee Declamationes.
Al di là dell'effettivo numero delle sue traduzioni, il L. resta una figura di rilievo segnata dall'avvento della borghesia imprenditoriale, cui il diffondersi del volgare come lingua ufficiale prestò un formidabile strumento di coesione sociale e culturale. Di modeste proporzioni, invece, la sua opera di autore di testi letterari, se sono da attribuirgli quattro novelle tramandate fino a tutto il Cinquecento insieme con le Cento novelle antiche e di cui reca menzione il volgarizzamento dei Remedia ovidiani.
Nel 1324 il L. si mise in viaggio per Avignone, città nella quale si era già recato in precedenza e dove aveva conosciuto Sennuccio Del Bene. In Curia lo attendeva un incarico quadriennale per conto di due mercanti fiorentini. Giunto nei pressi di San Miniato, rimase vittima di un agguato che lo avrebbe segnato per tutta la vita. Marti, la località in cui avvenne l'agguato, era soggetta a Pisa, al tempo alleata di Castruccio Castracani, signore di Lucca. Il L. fu assalito da un gruppo di scherani e derubato dei suoi averi. Fu poi condotto nella rocca di Santa Maria a Monte, dominio del Castracani, rinchiuso in carcere e incatenato ai ceppi. Per liberarlo, i rapitori chiesero una cifra esorbitante; il L. fu dunque costretto in un primo tempo a rifiutare il pagamento e rimase prigioniero per cinque mesi, durante i quali subì ogni sorta di tortura: gli furono asportati cinque denti e l'orecchio sinistro. Pagato un ingente riscatto, infine, tornò libero.
Rientrato a Firenze nell'ottobre del 1324, chiese al Comune di Pisa un risarcimento di 600 fiorini d'oro. Non ottenendo quanto richiesto, l'8 febbr. 1325 ricorse all'ufficiale della Mercanzia, Sacco da Perugia, preposto alla vigilanza sulle strade, per esigere il diritto di rappresaglia, che gli fu infine riconosciuto il 26 maggio 1329.
Il L., ancora giovane, riportò da quell'esperienza un danno gravissimo, morale oltre che fisico, che non gli consentì di mantenere gli incarichi presso la Curia; ebbero seguito, invece, i rapporti con il Comune fiorentino e il L. poté continuare, inoltre, a esercitare liberamente la professione di notaio. Tra il 1331 e il 1332 fu incaricato di brevi ambascerie, che gli fruttarono compensi di 30-40 soldi al giorno: dapprima a Pistoia, poi a Pisa, infine a San Miniato.
Il 30 luglio 1333 fu nominato, insieme con Ricci di Signa, notaio dei sindaci dell'Esecutore degli ordinamenti di giustizia; l'incarico fu poi riconfermato due volte: il 4 febbr. 1334 fu affiancato da Bonaiuto Nolfi, il 31 genn. 1335 da Tomaso Lamberti. Il 20 luglio 1334 era stato intanto eletto notaio degli Ufficiali di notte e di fuoco. A questo periodo risale anche un ufficio di natura finanziaria: nel 1335, insieme con Giovanni di Lapo da Sesto, fu deputato a segnare le entrate della Camera del Comune di Firenze. Per i mesi di giugno e luglio del 1335 svolse mansioni di custodia dei libri e degli atti della Camera del Comune, cui era preposto insieme con altri cinque incaricati. Più tardi, politicamente vicino ai guelfi, libero da ogni impedimento, giunse a ricoprire una carica prestigiosa: dal 1° maggio al 31 ag. 1337 fu nominato console dell'arte dei giudici e dei notai, accanto a due giudici (Guido Dandi da Sommofonte e Tommaso degli Altoviti) e altri due notai (Benedetto di maestro Martino e Berto degli Ammirati).
Il 26 ott. 1342 il L. siglò a Firenze quattro accordi di pace tra alcune famiglie. Subito dopo si trasferì a Volterra, in qualità di notaio del camarlingo Angelo di Giammoro di Folco de' Baroncelli. L'attività si protrasse non oltre il luglio 1343, quando terminò la signoria di Gualtieri di Brienne duca d'Atene. Al 1345 risale un'epistola sull'edificazione del monastero di S. Maria indirizzata all'abate della stessa, con la quale volle ricordare alcuni episodi curiosi che accompagnarono l'avvenimento (Epistola Andreae notarii Florentini domino Niccolao abbati monasterii Sanctae Mariae de haedificatione dicti monasterii).
Nel semestre luglio-dicembre 1347 fu notaio dei Quattro difensori dei contadini; l'anno successivo esercitò per conto dell'Ufficio della condotta, mentre nel 1349 fu notaio per gli Ufficiali degli stipendiati. Sono questi gli anni della sua attività anche come consigliere del Comune di Firenze, occasione che gli offrì di collaborare con il Boccaccio. Nel semestre tra il 26 ag. 1352 e il 26 febbr. 1353 il L. esercitò per l'Ufficio della gabella del pane e si trovò di nuovo con il Boccaccio, che ricopriva il ruolo di ufficiale.
Grazie a queste occasioni di lavoro, il L. poté rinsaldare il legame intellettuale con il Boccaccio; frequentò quasi certamente il suo circolo letterario che riuniva, fra gli altri, Zanobi da Strada e Francesco Nelli. Se non è facile stabilire quali fossero i rapporti con il Boccaccio, resta certo che il L. esercitò un'influenza determinante nell'orientarne gli studi, tra il 1352 e il 1353, in senso dantesco.
Il L. aveva all'epoca terminato da un decennio la terza e ultima redazione della sua opera principale, iniziata intorno al 1334: il commento alla Commedia, che ora gli si attribuisce con sicurezza. Si tratta del primo commento integrale fiorentino dell'opera - dal momento che un commento alle tre cantiche in volgare era stato già compilato da Iacopo Della Lana tra il 1324 e il 1328 -, che il L. elaborò avvalendosi delle esegesi precedenti (quelle di Iacopo Alighieri, Graziolo Bambaglioli e Iacopo Della Lana). Nell'edizione del 1612 del Vocabolario, l'Accademia della Crusca riconobbe le doti eccelse della lingua usata nel commento, che indicò come "da alcuni chiamato l'ottimo".
Nel suo complesso l'opera è il frutto di un attento e continuo lavoro di interpretazione, ispirato a un notevole rigore critico, soprattutto evidente nel confronto tra le interpretazioni precedenti. La conoscenza diretta di Dante permette, inoltre, al L. di contestualizzare alcuni passi nell'esatta dimensione storica in cui nacquero. Ciascun canto è introdotto da un Proemio, che ne chiarisce i contenuti generali; in quello che apre il canto I dell'Inferno, il L. sostiene la natura allegorico-morale del Dante-agens e delle guide, ma il commento procede a glossare la littera del racconto piuttosto che il suo eventuale sovrasenso. Nondimeno, l'autore menziona le interpretazioni allegoriche dei passi che maggiormente presentano rinvii a sensi ulteriori. Egli mostra, inoltre, una grande dimestichezza con autori classici e con i testi dei Padri della Chiesa, fonti cui ricorre per spiegare il significato di molti passi e per celebrare l'auctoritas di Dante. È stata avanzata l'ipotesi che la copia della Commedia conservata nel codice Riccardiano 1033 sia di mano del Lancia.
Nel 1355 a Firenze fu varata una riforma generale della legislazione statutaria e nel novembre furono stanziati dei fondi per opere di volgarizzamento degli statuti, con l'intento di renderli accessibili anche a coloro che non conoscevano il latino e che spesso trovavano nella loro ignoranza una giustificazione per aver violato la legge. Il L., che fu individuato come uno dei traduttori, aveva inoltrato una petizione in favore della traduzione delle riformagioni. La petizione fu accolta e già l'anno successivo il L. tradusse l'Ordinamento contro alli soperchi ornamenti delle donne e soperchie spese de' mogliazzi e de' morti; di lì a poco gli fu commissionata la traduzione degli Statuti del Comune di Firenze. Il primo volgarizzamento riguardava lo statuto del capitano del Popolo e quello del podestà del Comune di Firenze: la somma stanziata il 24 nov. 1355 ammontava a 300 fiorini e il lavoro fu quasi certamente opera del Lancia. L'incarico fu confermato il 12 sett. 1356, quando si sa che egli aveva già volgarizzato altri documenti. A partire dall'ottobre successivo egli iniziò analoghe trasposizioni su riformagioni, provvisioni e ordinamenti, portandone a compimento oltre cinquanta entro il 1357 e ricevendo pagamenti bimestrali. Al 16 ott. 1357 risale l'ultimo documento recante il nome del Lancia. Il luogo e la data della sua morte sono ignoti.
Opere: Una lettera di Andrea Lancia, e due favole di Esopo, con avvertimento di P. Fanfani, in L'Etruria, I (1851-52), pp. 103-106; P. Fanfani, Compilazione della Eneide fatta volgare per ser Andrea Lancia, ll. I-II, ibid., pp. 162-188; ll. III-V, pp. 221-252; ll. VI-VII, pp. 296-318; ll. VIII-IX, pp. 497-508; l. X, pp. 625-632; ll. XI-XII, pp. 745-763; Legge suntuaria fatta dal Comune di Firenze l'anno 1355 e volgarizzata nel 1356 da Andrea Lancia, a cura di P. Fanfani, ibid., pp. 366-384, 429-443; Ottimo commento, a cura di A. Torri, I, Pisa 1827; II, ibid. 1828; III, ibid. 1829 (ed. anast., Bologna 1995); Ordinamenti, provisioni e riformagioni del Comune di Firenze volgarizzati da Andrea Lancia, ed. critica a cura di L. Azzetta, Venezia 2001.
Fonti e Bibl.: P. Colomb de Batines, Appunti per la storia letteraria d'Italia ne' secoli XIV e XVI: A.L., scrittore fiorentino del Trecento, in L'Etruria, I (1851-52), pp. 18-27; L. Bencini, Della vita e delle opere di A. L., ibid., pp. 140-155; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, 1, Firenze 1879, p. 427; G. Vandelli, Una nuova redazione dell'Ottimo, in Studi danteschi, XIV (1930), pp. 93-174; B. Sandkühler, Die frühen Dantekommentare und ihr Verhältnis zur mittelalterlichen Kommentartradition, München 1967, ad ind.; M.T. Casella, Il Valerio Massimo in volgare: dal L. al Boccaccio, in Italia medioevale e umanistica, VI (1963), pp. 49-136; S. Bellomo, Primi appunti sull'"Ottimo commento" dantesco, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CLVII (1980), pp. 369-382; C. Segre, Volgarizzamenti del Due e Trecento, Torino 1980, pp. 569 s.; M.T. Casella, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Padova 1982, pp. 9 s.; G. Valerio, La cronologia dei primi volgarizzamenti dell'Eneide e la diffusione della Commedia, in Medioevo romanzo, X (1985), pp. 3-18; I volgarizzamenti dell'Ars amandi e dei Remedia amoris, a cura di V. Lippi Bigazzi, Firenze 1987, pp. 19-25; G. Gorni, Dante, A. L. e l'Ovidio volgare, in Studi medievali, s. 3, XXIX (1988), 2, pp. 761-769; L. Azzetta, Notizie su A. L. traduttore degli Statuti per il Comune di Firenze, in Italia medioevale e umanistica, XXXVII (1994), pp. 173-177; Id., Per la biografia di A. L.: documenti e autografi, ibid., XXXIX (1996), pp. 121-170; Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall'VIII al XX secolo, Milano 1961, pp. 337 s.; Enc. dantesca, III, pp. 565 s.; Enc. virgiliana, III, pp. 105-109; Diz. biogr. degli Italiani, III, pp. 21 s.