TOTTOLA, Andrea Leone
TOTTOLA, Andrea Leone. – Non sono note la data di nascita (verso il 1780?) né la famiglia d’origine.
Un parente, se non addirittura il genitore, potrebbe essere stato il giurista Francesco Leone Tottola, del quale sono pervenuti diversi scritti pubblicati a Napoli negli anni 1770-1780, almeno uno riguardante il teatro di San Carlo (Jacobshagen, 2010, p. 21). È stata avanzata l’ipotesi che si trattasse di un doppio cognome, Leone Tottola (Rossini, 1992, dov’è indicizzato appunto alla ‘L’ e non alla ‘T’): così compare in un Prospetto d’abbonamento del 1820-21, dove il personale in forze al San Carlo viene elencato senza nomi di battesimo (Jacobshagen, 2010). Ma i documenti d’archivio e la letteratura critica lo menzionano comunemente con il solo cognome Tottola.
Quasi tutti i circa cento libretti d’opera da lui scritti o raffazzonati, dei generi più diversi, andarono in scena per la prima volta in teatri partenopei. A Napoli egli ebbe anche mansioni gestionali e direttive: nel 1810 era «poeta drammatico dei Reali Teatri» (il San Carlo e il Fondo) insieme a Giovanni Schmidt (Tosti-Croce, 2004, p. CII), nel 1812 «direttore e poeta» nel teatro Nuovo (Rossini, 1992, p. 53), nel 1813 «sotto-direttore dell’Impresa [dei] Reali Teatri» (p. 55). Il ritorno dei Borboni nel 1815 non pare aver inciso sulle sue mansioni; anzi, dal 1818 in avanti furono sempre di più i suoi libretti per il teatro principale, il San Carlo.
I primi melodrammi firmati da Tottola sono del 1802 e furono dati in tre diversi teatri napoletani: Siface e Sofonisba, «dramma per musica» di Pietro Alessandro Guglielmi, al San Carlo; Le nozze per impegno, «dramma giocoso per musica» di Luigi Capotorti, ai Fiorentini; L’impostore, «commedia per musica» di Luigi Mosca, al Nuovo, dove videro in prevalenza la luce i suoi drammi dei primi anni. Nell’autunno del 1804 scrisse uno dei rari libretti andati in scena fuori di Napoli: Olimpia, «dramma serio per musica» del napoletano Ercole Paganini, alla Pergola di Firenze.
Nella sua produzione dagli anni 1810 in avanti si segnalano alcune caratteristiche ricorrenti: l’introduzione dei dialoghi in prosa in luogo dei consueti (nell’opera italiana) recitativi in versi sciolti, l’ampio spazio riservato all’opera semiseria, la recezione vieppiù frequente di soggetti francesi recenti (Jacobshagen, 2010, pp. 27 s.). Il riferimento è in particolare a La forza del giuramento ossia Camilla, «azione drammatico serio-giocosa per musica» (1810; il lemma ‘azione’ ha una certa frequenza nei suoi libretti), Raoul signore di Crequì, «melodramma eroicomico» (1811), Adelaide maritata, «melodramma» (1812), Amalia e Carlo ovvero L’arrivo della sposa, «melo-dramma» (1812) e La foresta di Hermanstad, «melo-dramma eroi-comico» (1812), tutte di genere semiserio e tutte allestite nel teatro Nuovo con musica di Valentino Fioravanti, salvo Amalia e Carlo (Pietro Carlo Guglielmi). Si tratta delle prime opere napoletane con dialoghi parlati dopo la Nina o sia La pazza per amore di Giovanni Paisiello (Caserta 1789): da Tottola in poi i dialoghi parlati per l’opera comica e semiseria divennero abituali a Napoli per tutto l’Ottocento.
Il sovrintendente Giovanni Carafa allude ai meriti di Tottola in un paio di lettere. Il 29 settembre del 1812, a proposito di Amalia e Carlo, scrisse al poeta: «voi il primo, secondo le mie proposte per migliorare il teatro, avete perfettamente contribuito al buon successo dello spettacolo. Non posso punto dubitare che nell’avvenire avrete sempre più occasione di distinguervi, per le scelte de’ soggetti e per l’eleganza e l’interesse del componimento, che io vedo la base più forte per le riuscite de’ spettacoli» (Jacobshagen, 2010, p. 28). Il 14 dicembre 1812 al ministro dell’Interno: «Io non posso abbastanza lodare questo soggetto. Egli è stato il primo che, zelante nel secondare le mie istruzioni, è riuscito ad introdurre nel teatro buffo uno stile di produzioni sensate e nel tempo stesso facete» (Rossini, 1992, p. 53).
In questi drammi Tottola si adeguò alla tradizione locale dei buffi napoletani, non senza manifestare la rituale riluttanza o degnazione dei librettisti, dichiarata nelle premesse del Raoul («col massimo rincrescimento è stato obbligato l’autore a scrivere in dialetto napolitano le parti di Luigi e Martino») e dell’Adelaide maritata («ho fatto parlare ad alcuni attori il nostro dialetto popolare: non era questa la mia idea, io credeva doverlo eliminare da questo nuovo genere di spettacolo, che dovrebbe esser diretto a richiamare la commedia in musica a quella dignità da cui sembra oggi troppo allontanata. Malgrado questo mio giusto desiderio, io ho dovuto cedere in questa parte all’impero dell’uso e delle convenienze; Divinità cui sulla scena, piucché altrove, è spesso mestieri sacrificare la ragione ed il gusto»). Camilla e Raoul signore di Crequì, rappresentate più e più volte, ebbero un insolito spazio nel governativo Monitore delle Due Sicilie, che a quel tempo poco si occupava di questioni teatrali; e ciò presumibilmente proprio in quanto drammi che si attennero a direttive governative: come i dialoghi parlati in luogo dei recitativi (Jacobshagen, 2010, p. 30).
Sono presenti i dialoghi parlati anche nel «melo-dramma» Il califfo di Bagdad (teatro del Fondo, 1813), memorabile anche per la palese influenza che esso esercitò su Almaviva o sia L’inutile precauzione di Cesare Sterbini per la musica di Gioachino Rossini (Roma 1816, presto ribattezzato Il barbiere di Siviglia, l’opera buffa più fortunata di sempre). Il ricalco riguarda il Finale primo con il colpo di scena centrale: il protagonista – il Califfo in un caso, il conte d’Almaviva nell’altro, entrambi sotto mentite spoglie ed entrambi interpretati dal grande tenore Manuel García, che della musica del Califfo fu anche il compositore – sta per essere arrestato ma, rivelando la sua vera identità al solo capo delle forze dell’ordine, non solo salva sé stesso ma lascia sbalorditi gli astanti (Lamacchia, 2008, pp. 140-145). Del 1816 è Gabriella di Vergy, «azione tragica» data al Fondo con musica di Michele Carafa, una delle prime opere serie con finale funesto ad aver goduto di una circolazione pluriennale; il libretto di Tottola fu poi messo in musica da altri compositori come Carlo Coccia (Fajello, 1817), Gaetano Donizetti (1826), Saverio Mercadante (1828).
Nel 1818 cominciò la collaborazione con Rossini. Mosè in Egitto, «azione tragico-sacra», data in quaresima, fu la prima delle loro quattro opere serie. Seguirono Ermione, «azionetragica» (1819) che si rifà all’Andromaque di Jean Racine; La donna del lago, «melo-dramma» (1819), dal poemetto omonimo di Walter Scott; e Zelmira, «dramma per musica» (1822), dalla Zelmire di Dormont du Belloy; ma per Mosè e La donna del lago le fonti dirette furono dei mélodrames francesi recenti (cfr. Mosè in Egitto, 2008; Staffieri, 2016). Sono opere molto diverse, per quanto concepite per la medesima compagnia di canto, incentrata sulla primadonna Isabella Colbran e i due tenori Giovanni David e Andrea Nozzari, con l’aggiunta all’occorrenza di una primadonna contralto, en travesti nella Donna del lago. Alle quattro opere napoletane va aggiunto il raffazzonamento di Eduardo e Cristina, effettuato assieme a Gherardo Bevilacqua Aldobrandini (Venezia, teatro di S. Benedetto, 1819), di un vecchio libretto di Schmidt per Stefano Pavesi (Napoli, San Carlo, 1810). Non trova invece riscontro l’apporto di Tottola alla Gazzetta, tradizionalmente a lui attribuita (cfr. Rossini, 2002, pp. XXV s.). Comunque Tottola fu il principale collaboratore letterario di Rossini, che lo chiamava scherzosamente ‘Torototela’ (G. Bevilacqua, Rossini, in Omnibus, Napoli, 10 maggio 1839).
Stando a una fonte tanto illustre quanto incline alla lepidezza aneddotica (Stendhal, 1824, pp. 406-408), si dovrebbe a Tottola lo spunto generativo della revisione dell’atto III nel Mosè in Egitto per la ripresa nella quaresima 1819: l’aggiunta della preghiera Dal tuo stellato soglio, che divenne uno dei pezzi più celebri di Rossini. Stendhal non perde l’occasione di definirlo ripetutamente un pauvre poète, denigrandone le scarse attitudini e il servilismo nei confronti di Rossini, il quale avrebbe composto la musica in molto meno tempo di quanto ne occorresse a Tottola per stendere i versi: così facendo, Stendhal si accodava a una lunga lista di detrattori di Tottola oltre che del genere letterario ‘libretto d’opera’. Così il coevo Giuseppe Carpani (1824): «L’autore delle parole è sempre agli antipodi di quello delle note; sublime il lavoro di questo, meschino per tutti i numeri dell’arte quello dell’altro»; Zelmira «è uno di que’ poetici aborti che [...] il valente maestro trasforma colla magica possa del suo ingegno in Veneri di prima bellezza». Ma gli riconobbe nondimeno qualche merito: «Havvi per altro del movimento nell’azione, e qua e là della veemenza di dialogo. Vi s’incontrano delle situazioni d’effetto; v’è contrasto di caratteri e d’accidenti, se volete, inverosimili e mal preparati, ma che porgono al maestro il mezzo di far parlare la musica; il che non è poco. Dello stile e dei versi è meglio il tacerne» (pp. 122 s.). Con quest’ultima considerazione Carpani sembra anticipare l’orientamento prevalente degli odierni studi di librettologia, che hanno ricondotto il lavoro dei librettisti, Tottola compreso, entro più consone categorie drammaturgiche prima ancora che letterarie, tanto più che il poeta teatrale era all’epoca corresponsabile della messinscena con il compositore. Di sicuro Tottola è stato uno dei principali artefici nel processo di codificazione delle convenzioni drammatico-musicali della sua epoca, destinate a perdurare per alcuni decenni.
Più avanti Tottola si meritò un insultante epigramma (Raffaelli, 1881, p. 45): «Fu di libretti autor, chiamossi Tottola, / un’aquila non era, anzi fu nottola» (non improbabile allusione all’abito talare che Tottola avrebbe vestito). Più rilevante un giudizio negativo di un compositore coevo come Vincenzo Bellini, che per il suo debutto teatrale, Adelson e Salvini (1825), musicò un libretto scritto da Tottola nel 1816 (per Fioravanti). Così si espresse su un altro suo libretto nella lettera a Florimo del 7 luglio 1828: «voglio leggere il Solitario [di Charles-Victor Prévost d’Arlincourt] che trattò Tottola, credo per Pavesi [1826], ma se trovo il Romanzo interessante lo farò trattare da [Felice] Romani [...], e spero che Romani non farà il pasticcio e le visioni pittate di Tottola» (Bellini, 2017, p. 146).
Tottola scrisse libretti di rilievo anche negli anni Venti: per Giovanni Pacini Alessandro nell’Indie (1824) dal dramma del Metastasio, L’ultimo giorno di Pompei (1825), famosissimo per l’apparato scenico sensazionale di Antonio Nicolini e per il grandioso dipinto che ne trasse il pittore russo Karl Brjullov (Pietroburgo, Museo di Stato russo), Niobe (1826), Margherita regina d’Inghilterra (1827); per Gaetano Donizetti La zingara (1822), Alfredo il Grande (1823), Il fortunato inganno (1823), Il castello di Kenilworth (1829), Imelda de’ Lambertazzi (1830). Grande diffusione ebbe anche Chiara di Rosemberg per Pietro Generali (Napoli 1820), in particolare attraverso il rifacimento che ne fece Gaetano Rossi per Luigi Ricci (Milano 1831).
Morì a Napoli il 15 settembre 1831 (Tosti-Croce, 2004, p. CV).
Fonti e Bibl.: G. Carpani, Lettera al direttore della Biblioteca italiana. Sulla “Zelmira”, in Id., Le Rossiniane ossia Lettere musico-teatrali, Padova 1824, pp. 119-164; Stendhal, Vie de Rossini, Paris 1824, pp. 406-408; P. Raffaelli, Il melodramma in Italia dal 1600 sino ai nostri giorni, Firenze 1881, pp. 42-45, 49; A. Quattrocchi, T. e l’“Ermione”: un umile poeta per un libretto spregiudicato, in Ermione, programma di sala del teatro dell’Opera, Roma 1991, pp. 49-56; P. Maione, La drammaturgia minore di A.L. T.: recupero di una identità teatrale partenopea, in Festival Belliniano, Catania 1992, pp. 51-63; G. Rossini, Lettere e documenti, I, a cura di B. Cagli - S. Ragni, Pesaro 1992, ad ind.; M. Spada, Giovanni Schmidt librettista: biografia di un fantasma, in Gioachino Rossini 1792-1992, il testo e la scena, Pesaro 1992, pp. 465-490; G. Rossini, La gazzetta, ed. critica a cura di Ph. Gossett - F. Scipioni, Pesaro 2002, pp. XXV s.; M. Tosti-Croce, Un librettista denigrato: A.L. T., in Ermione, a cura di M. Tosti-Croce, Pesaro 2004, pp. XCVIII-CVII; F. Rossi, «Quel ch’è padre, non è padre...». Lingua e stile dei libretti rossiniani, Roma 2005, ad ind.; Zelmira, a cura di S. Lamacchia, Pesaro 2006; La donna del lago, a cura di A. Quattrocchi, Pesaro 2007; S. Lamacchia, Il vero Figaro o sia il falso factotum. Riesame del “Barbiere” di Rossini, Torino 2008, ad ind.; Mosè in Egitto - Moïse et Pharaon, a cura di E. Sala, Pesaro 2008; A. Jacobshagen, Der Mythos vom elenden Poeten. Anmerkungen zu A.L. T., in Rossini und das Libretto, a cura di R. Müller - A. Gier, Leipzig 2010, pp. 21-32; G. Staffieri, Scott al Cirque Olympique: una nuova fonte per “La donna del lago”, in Alle più care immagini. Atti delle due Giornate di studi in memoria di Arrigo Quattrocchi, a cura di D. Macchione, Borghetto Lodigiano 2016, pp. 83-122; V. Bellini, Carteggi, a cura di G. Seminara, Firenze 2017, ad indicem.