LOREDAN, Andrea
Nacque a Venezia nel 1455 circa da Francesco di Giovanni e da Lodovica di Marsilio da Sant'Ippolito originario di Corfù (matrimonio celebrato nel 1455).
I genitori ebbero solo figli maschi: oltre al L., Antonio e Giacomo, come attestato dalla lapide in memoria della madre nella chiesa di S. Andrea della Zirada e da M. Sanuto, ambedue validi elementi dell'armata navale veneziana, e Luca, nato nel 1471 circa e approvato nel 1491, accorso spontaneamente in difesa della città di Padova nel 1509 nel corso della guerra di Cambrai.
Il L. fu approvato in avogaria di Comun nel 1474 ed entrò così a far parte del Maggior Consiglio della Serenissima. L'unica carica a cui sembra fosse eletto, il 18 ag. 1489, prima delle gloriose imprese marittime, fu quella di camerlengo di Comun, per svolgere funzioni di tesoreria generale per le casse statuali. Lasciò anzitempo questo incarico poiché fu eletto, il 18 apr. 1490, capitano delle galee di Romania al posto di Marco Correr. Cicogna lo riporta invece come capitano da Mar, inviato a osservare le mosse della flotta turca avvicinatasi a Corfù. Al suo ritorno, il 16 luglio 1491 fu eletto fra i Tre savi in Rialto, ma la sua indubbia capacità come uomo di mare non sfuggì agli organi di governo veneziani, che lo impiegarono con successo in rischiose operazioni.
Il L. godette di ottima fama di capitano giusto, liberale con i galeotti, ma pure severo, non permettendo alcun tipo di eccesso, come il gioco e la bestemmia, sulle sue navi, dando egli per primo il buon esempio ed esigendo dai nobili con lui imbarcati di mantenere le loro cabine in buon ordine e sempre con le porte aperte, affinché tutti i marinai potessero vedere il loro operare. Per queste ragioni fu amatissimo dalla ciurma, che lo seguì nelle difficili imprese contro alcuni tra i più feroci corsari che imperversavano per l'Adriatico e il Mediterraneo.
Nel 1493, quale provveditore di una piccola flotta, non esitò a inseguire il pirata turco Kemāl Re'īs (Camali) al quale riuscì a sottrarre molte imbarcazioni e un ingente numero distrusse col fuoco; nello stesso anno, presso l'isola di Cefalonia, riuscì a intercettare e catturare la barca di un non meglio identificato "corsaro fiorentino" con a bordo 120 uomini che furono in gran parte impiccati (Cicogna, p. 119). Stessa sorte subirono il celeberrimo corsaro Pietro Biscaglino e i suoi uomini. Nel 1494, in seguito alla cattura e impiccagione fatte eseguire dal L., presso Zante, del pirata Bazuola, la cui flotta batteva bandiera francese, giunse a Venezia un inviato a nome del re Carlo VIII per chiedere il risarcimento di 80.000 ducati per i danni arrecati. Altre vittoriose imprese il L. compì in quegli anni contro i corsari che infestavano le coste della Tunisia, rendendo più sicura la navigazione per i convogli mercantili veneziani.
Nel settembre 1496 fu ancora eletto capitano delle navi armate, in funzione difensiva antifrancese. Il 18 apr. 1497 salpò da Venezia, facendo vela verso l'Istria su una poderosa "barza granda armada" di circa 1200 tonnellate di stazza, con una ciurma di 450 uomini, valenti marinai e combattenti, dotata di più di 400 bocche da fuoco tra cannoni e altra artiglieria, ben fornita di archibugi e vettovagliamenti. Al suo seguito, con un'altra galea, fu inviato Daniele Pasqualigo.
Nell'agosto gli fu ordinato di congiungersi al capitano generale da Mar Melchiorre Trevisan per contenere le azioni ostili dei Turchi che avevano preso la galea grossa di Alvise Zorzi. Il L., inteso che il corsaro Pietro Navarro, che molti danni aveva recato ai navigli veneziani, aveva trovato rifugio con quattro galee nel porto di Roccella Ionica (presso Crotone), rapidamente lo raggiunse con due "grippi" (piccole galee), armato di 300 uomini, e dopo sei ore di feroce battaglia riuscì a ferirlo, a disperdere i suoi compagni e a espugnare la torre; tentò pure di conquistare il castello di Antonio Centilio ma, dopo due giorni di combattimento, il L. ordinò la ritirata, non prima di avere sequestrato tutte le artiglierie nemiche, devastato il contado e incendiato le galee del Navarro. Mentre veleggiava verso Modone, nel settembre il Senato gli impose di tornare in Sicilia.
Nel marzo 1498 gli fu dato ordine di riportarsi verso Levante e il 15 settembre il Senato consentì a lui e al Pasqualigo il ritorno in patria. Giuntovi, il L. si presentò, il 28 dicembre, davanti al Senato, dove presentò un'accurata relazione del proprio operato e ricevette pubbliche lodi dal doge Agostino Barbarigo.
Il 30 giugno 1499 il L. fu eletto provveditore generale dell'isola di Corfù, nel difficile momento che vedeva la Serenissima impegnata, come alleata di Luigi XII di Francia, contro il Ducato di Milano e nel contempo insidiata per mare dalla flotta ottomana, che Bajazet II sembrava dirigere verso Corfù. Il L. accettò l'incarico il 2 luglio, davanti al Collegio che stabilì la sua immediata partenza.
Nella commissione quale provveditore a Corfù, il Senato gli impose di recarsi, con le sue galee, verso l'isola senza effettuare scali e di mettersi immediatamente al servizio di Antonio Grimani, capitano generale da Mar. Al L., conferiti poteri di governo "sì in civile come in criminal", fu inoltre raccomandato il controllo sui suoi sottoposti, affinché non arrecassero alcun disturbo alle popolazioni civili e, nel contempo, di confortare e rassicurare i cittadini circa il sicuro ed efficace intervento difensivo della Serenissima. Quale appannaggio gli furono consegnati 400 ducati d'argento. Gli furono affiancati il valente Marco di Santi, come segretario, e pure Simon di Greci "homo marittimo", che con lui troveranno la morte.
Giunto a destinazione e prese accurate informazioni, il L. comunicò con tempestività che le mire turche non erano dirette a Corfù, bensì a Lepanto. Radunò, quindi, quanti più navigli poté, imbarcandovi anche civili che si erano spontaneamente offerti di seguirlo per difendere l'onore veneziano. Sulla consistenza di questa piccola flotta i cronisti sono discordi: probabilmente era composta di 11 grippi e 4 navi o caravelle, mentre D. Malipiero la vuole di 28 legni con 1000 uomini. Il L. salpò da Corfù senza attendere alcun ordine ufficiale e qualche ritardo si verificò nel sistema di comunicazione. Così il 12 agosto giunse inaspettato a Prodano, dove si era già concentrata la flotta veneziana, in attesa di venti favorevoli per muovere battaglia ai Turchi, approdati al porto della Sapienza (o dello Zonchio). L'incontro con il capitano generale da Mar, Grimani, che il L. andò subito a omaggiare, fu piuttosto teso; il Grimani lo rimproverò di aver lasciato incustodita Corfù, ma consentì che usasse l'imbarcazione a lui più gradita. Immediatamente il L. salì sulla nave "Pandora", ordinando che gli fossero portate le armi: la sua fama era tanta che l'intera armata lo acclamò ritmando il suo nome (Malipiero, p. 177). Allorché il capitano Albano Armer attaccò per primo la più imponente nave turca, il L. lo seguì e le tre imbarcazioni si incatenarono tra loro, iniziando una battaglia che si protrasse per "più de mezo dì". Improvvisamente divamparono le fiamme e per i combattenti non vi fu scampo, senza che alcuna nave veneziana andasse loro in aiuto: "Se allora le sole galie grosse havesseno investido l'armada del Turco, l'haveriano tutta fracassada: tutta la ciurma cridava: addosso addosso; et questi cani de i patroni mai non volsero investir" (ibid.). La notizia della morte da eroe del L. suscitò vivissima emozione a Venezia e l'equivoco comportamento costò al Grimani l'immediata sostituzione e l'arresto al momento dell'arrivo a Venezia (2 nov. 1499).
Sulle circostanze della morte del L., tuttavia, i cronachisti discordano: Malipiero lo vuole fuggito con 80 uomini verso Modone dove, catturato dai Turchi, gli fu salvata la vita perché "cognosuo [riconosciuto] e fo salvà vivo con tre de soi, e scrive de so pugno" (p. 181); Sanuto riporta testimonianze sul suo estremo sacrificio ma anche su una possibile cattura da parte dei Turchi (III, coll. 6, 13-16). Sulla gloriosa fine in battaglia si pronunciano, invece, il Bembo e in particolare il contemporaneo Priuli che, descrivendone gli ultimi istanti nella difficile scelta di morire bruciato o cadere in mano nemica, afferma: "appresso in mano uno stendardo di San Marco, disse: Io sum vixuto et nasuto soto questo vexilio et chussi etiam voglio morir soto questo vexilo, et entrò in el focho, et a questo modo fo la fine di tanto homo che facea tremar tuto levante" (c. 109v).
Nelle genealogie (Priuli e copie più recenti di M. Barbaro) il L. è confuso con un contemporaneo Andrea di Nicolò di Antonio di Daniele, come rilevato in E.A. Cicogna (p. 119); i registri del Segretario alle Voci, Misti, in Arch. di Stato di Venezia, quasi totalmente privi di patronimico, non facilitano la distinzione tra le carriere politiche dei due.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 343-344; Misc. codd., III, Codd. Soranzo, 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, c. 688; Segretario alle Voci, Misti, regg. 6, cc. 11r, 36v, 83v, 143r; 7, c. 44r; SenatoDeliberazioni, Misti, reg. 37, c. 99; Deliberazioni, Secreta, reg. 37, cc. 96v, 99; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 130 (=8613): G. Priuli, Diarii, parte I (1494-1500), c. 109v; G.N. Doglioni, Historia veneziana scritta brevemente…, Venezia 1598, X, p. 505; A.M. Vianoli, Historia veneta, Venezia 1684, II, p. 43; Degl'istorici delle cose veneziane… tomo secondo, che comprende le istorie veneziane latinamente scritte da Pietro cardinale Bembo ecc., V, Venezia 1718, pp. 151 s.; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1843, t. 7, parte 1a, pp. 176 s., 181; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, pp. 119-125; M. Sanuto, I diarii, I, Venezia 1879, coll. 303 s.; II, ibid. 1879, coll. 865 s., 873, 877, 879, 897, 903; III, ibid. 1880, coll. 6, 13-16, 73, 174, 1444; G. Diedo, Storia della Repubblica di Venezia…, I, Venezia 1751, pp. 343 s.; M.A. Laugier, Histoire de la République de Venise…, VIII, Paris 1766, pp. 113 s.; G. Cappelletti, Storia della Repubblica di Venezia, VII, Venezia 1851, pp. 214 s.; S. Romanin, Storia documentata della Repubblica di Venezia, V, Venezia 1856, pp. 134 s.; L. Fincati, La deplorabile battaglia navale del Zonchio (1499), Roma 1883, pp. 9 s.; G. Cogo, La guerra di Venezia contro i Turchi (1499-1501), in Nuovo Arch. veneto, XVIII (1899), pp. 47-50; M.F. Neff, Chancellery secretaries in Venetian politics and society, 1480-1533, University of California, 1985, pp. 540 s.; R. Zago, Grimani, Antonio, in Diz. biogr. degli Italiani, LIX, Roma 2002, p. 594.